Micheletto
Anima nera di Cesare Borgia

Quando si esaminano certi fatti, entrati con onore o con malcelato disgusto nella storia, è spontaneo fare riferimento a coloro che compaiono in prima persona, senza approfondire su come si siano veramente svolti i fatti e su chi ci fosse dietro. Così, ecco che Tizio ha combinato questo guaio, Caio ha avuto una buona idea, Sempronio ha effettuato quell’intervento, e così via. In effetti, dietro ogni azione, bella o cattiva che sia, ma soprattutto nel secondo caso, ci sono sempre i tirapiedi, gli aiutanti, gli scagnozzi, che operano nell’ombra per compiere ciò che non si intende fare in prima persona, sia per non essere scoperti, sia perché per le schifezze conviene lasciare fare ad altri a pagamento.

È questo il caso di uno Spagnolo, nato a Valencia in Spagna, attorno al 1470, di nome Miguel de Corella (detto pure Micheletto o Michelotto, due nomignoli che sembrerebbero riguardare una persona dolce, bonaria e cordiale, ma al contrario da prendere con le molle o, meglio, starne alla larga, come se fosse appestata), amico fin dall’infanzia del figlio Cesare, detto «Il Valentino», del Papa Alessandro VI (al secolo, Rodrigo Borgia) e suo fedele, prezzolato condottiero e assassino, dopo gli studi portati avanti insieme all’Università di Pisa, a partire dal 1490.

La fiducia estrema da parte di Cesare fu guadagnata da Corella nel 1490, prima, quando riuscì ad avvelenare il Cardinale Orsino Orsini con la coppa preparata dallo stesso per far fuori il Papa Alessandro VI, e poi quando uccise due assassini prezzolati per eliminare la famiglia Borgia nella sua abitazione, divenendo il «boia di Valentino».

Dopo avere assunto il comando di una compagnia di balestrieri a cavallo nel 1496 al servizio del Duca di Gandia Giovanni Borgia, l’anno successivo, per ordine del Papa, con un gruppo di cavalleggeri si recò a Monteleone di Orvieto per mettere al sicuro gli abitanti, che erano stati minacciati da Bandino da Castel della Pieve.

E nel 1500, entrò a Orvieto, dove imprigionò molti cittadini, accusati di essere d’accordo con Bartolomeo d’Alviano, che si riteneva fosse a capo di una congiura per abbattere il Papa, e senza tante storie e a scanso di equivoci, andando sul sicuro, fece decapitare lui e tutti i presunti complici.

Ma in quello stesso anno, il fatto che fece più scalpore a quell’epoca fu la morte per «emorragia» capitata al secondo marito di Lucrezia Borgia, Alfonso d’Aragona, Duca di Bisceglie, dopo una grave caduta a terra, così come è stato raccontato dal Corella. Invero, la storia racconta che i fatti si siano svolti in modo del tutto diverso. Il 15 luglio, in Piazza San Pietro, Alfonso era stato aggredito e ferito ed era in via di guarigione. Per Cesare Borgia, sempre manipolatore delle vite altrui, il cognato era una palla al piede secondo gli orientamenti politici del momento, mentre a lui avrebbe fatto comodo avere una sorella libera da vincoli matrimoniali per eventualmente inserirla nei suoi intrallazzi politici. Pertanto, Alfonso doveva essere eliminato e Corella, il 18 agosto, a capo di un cricca di elementi pari a lui, con la scusante di dover arrestare coloro che stavano imbastendo un complotto organizzato dalla famiglia dei Colonna, fece irruzione nella torre nuova del giardino di San Pietro, dove trovò il poveretto ancora malconcio e dolorante dopo essere sfuggito a un sanguinoso attacco proditorio il mese precedente. Immediatamente, Corella fece incatenare l’Ambasciatore Aragonese e i due medici, che erano in sua compagnia e, mentre Lucrezia e la sua damigella Sancia d’Aragona erano riuscite a scappare e ad andare in cerca d’aiuto nella zona delle stanze papali, strangolò Alfonso. Per inciso, si può ricordare che l’uccisione per strangolamento era il metodo preferito dal Corella, anche se è stato riportato che i metodi per eliminare i nemici suoi e di Cesare erano ben 150 (che professionalità!).

Quando le donne ritornarono con i soccorsi, la porta era chiusa, senza possibilità alcuna di entrare. Corella raccontò quanto si è riportato più sopra e nessuna delle due signore ebbe modo non solo di vedere il cadavere, ma anche di partecipare al funerale.

Sempre nel 1500, iniziarono le operazioni che dovevano portare alla conquista della Romagna. Infatti, in ottobre, Corella guidò 400 fanti nell’assedio della rocca Giorgio da Cotignola nella città di Pesaro, per entrare il mese successivo a Forlì, insieme con il Vescovo di Trani, entrambi come luogotenenti di Cesare. Tanto per non perdere la faccia come riparatore dei torti, in dicembre a Forlì fece impiccare un calzolaio colpevole di aver venduto un paio di scarpe a prezzo troppo elevato. E a Forlì fece impiccare un suo familiare per aver rubato una spada a un cittadino.

La sua figura continuò a imperversare in Romagna, con malefatte di ogni tipo: vessazioni, ruberie, assassinii, devastazioni. Verso la metà del 1500 Faenza si arrese, scendendo a patti, e Micheletto vi entrò con 500 soldati. Più tardi, accompagnò Cesare a Roma, portando con sé i giovani Astorre e Giovanni Evangelista Manfredi, suoi oppositori che, malgrado i patti che erano stati sottoscritti con i papalini, furono eliminati senza tanti complimenti.

Poiché Micheletto puntualmente riusciva a portare a termine tutto quanto era desiderato da Cesare, come premio fu nominato Governatore di Piombino, carica che coprì dal 1502 al 1507 e per di più fu luogotenente del Borgia nelle campagne della Romagna. Nel 1502, insieme con Ramiro de Lorca raggiunse Pesaro. Durante il viaggio, venne a sapere che a Fossombrone e Pergola erano in atto tumulti sollevati da insorti. Fece una deviazione e si recò punirli a sanguinosamente saccheggiando gli abitati alla fine dell’anno 1502. In quell’occasione, furono strangolati, si ritiene da lui personalmente, Vitellozzo Vitelli e Oliverotto da Fermo, colpevoli di essere contrari a Cesare.

Nel 1503, Michelotto e il Della Volpe con 700 cavalieri combatterono in Romagna contro i detrattori del Valentino, ma mentre attraversavano la Toscana caddero in un agguato e furono catturati e imprigionati a Firenze. Malgrado le torture, non si riuscì a far rivelare al Corella qualche segreto di Cesare e tanto meno ebbe successo la proposta di cambiare casacca, cioè di passare nel campo avversario. Solamente l’intervento di Papa Giulio II fu determinante per la sua liberazione e poi, grazie all’intervento di Niccolò Machiavelli, ebbe l’incarico di bargello, cioè di capo della polizia cittadina, carica che conservò fino al 1507.

Di ciò che ha combinato Micheletto non tutto è finito nei libri di storia e nelle cronache: di tanti assassinii non si hanno notizie precise oppure si è persa la memoria.

Nel febbraio 1508, Micheletto era in visita al Cardinale Georges I d’Amboise, un sostenitore di Cesare, e quando uscì dalla sua abitazione fu aggredito da un gruppo di suoi compatrioti e ucciso; sicuramente non si trattò di una rapina, poiché la borsa piena di denaro non sparì, ma la ragione dell’assassinio non si è mai conosciuta. Comunque, se si vuole, si è trattato di una fine ampiamente meritata.

Il suo cadavere fu inumato nel cimitero per stranieri, situato al di fuori delle mura, in una fossa comune. Del resto, con il suo «curriculum vitae» non si poteva certo pensare a un funerale solenne e a una tomba monumentale.

(maggio 2024)

Tag: Mario Zaniboni, Micheletto, Cesare Borgia, Miguel de Corella, Il Valentino, Alessandro VI, Rodrigo Borgia, Orsino Orsini, boia di Valentino, Giovanni Borgia, Bandino da Castel della Pieve, Orvieto, Bartolomeo d’Alviano, Lucrezia Borgia, Alfonso d’Aragona, conquista della Romagna, Ramiro de Lorca, Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, Giulio II, Niccolò Machiavelli, Georges I d’Amboise.