Francisco Pizarro
Un condottiero senza scrupoli
Nella colonizzazione dell’America, un avventuriero che si fece, a modo suo, molto onore fu Francisco Pizarro. Ben poco si sa della sua infanzia così come dell’anno della sua nascita, che avvenne attorno al 1474 a Trujillo, nella spagnola Estremadura, da una famiglia abbastanza modesta. Si sa solamente che fino all’adolescenza, per guadagnarsi da vivere, si dovette accontentare di fare il guardiano di porci. Era figlio naturale di Gonzalo Pizarro, capitano dell’esercito del condottiero spagnolo Gonzalo Fernández de Córdoba, che si distinse in azioni militari in Italia e Navarra. Comunque, egli lo riconobbe e Francisco visse con la madre, Francisca Gonzàlez, della quale si sa molto poco (forse era un’ancella della sorella del padre, Beatrìz) e con i suoi familiari. Ebbe una scarsa educazione, tanto che non sapeva né leggere né scrivere: a mala pena sapeva scrivere la sua firma. Pare che alcuni degli animali che erano sotto la sua custodia siano andati perduti, per cui ritenne opportuno mettersi al sicuro andando a Siviglia da dove, nel 1502, si imbarcò per raggiungere l’America, sperando in un futuro migliore. Sostò a Hispaniola, la Repubblica Dominicana attuale, e poi, al seguito del nuovo governatore Nicolàs de Ovando, sbarcò a Panama, dove si stabilì e dove ebbe un ruolo importante.
Amable-Paul Coutan, Ritratto di Francisco Pizarro, 1835, Palazzo di Versailles (Francia)
Al servizio di Pedrarias Dàvila, nel 1508 partecipò alla spedizione nel Golfo di Darien.
Nel 1510, si unì a circa 300 uomini che, sotto la guida di Alonso de Ojeda, intendevano fondare una colonia sulla costa pacifica dell’America del Sud. La colonia, nel territorio dell’attuale Colombia, fu chiamata San Sebastian. Ma la scorta di viveri era molto ridotta, mettendo in seria difficoltà la sopravvivenza dei coloni; perciò l’Ojeda andò in cerca di cibo, lasciandoli sotto il comando di Pizarro. La carenza di approvvigionamenti, la ferocia del caldo tropicale e le malattie che li tormentarono falcidiarono quei poveretti, ne frustrarono la resistenza, tanto che solamente un centinaio di loro riuscì a tornare vivo a Cartagena da quella infelice impresa.
Nel 1513, partecipò alla spedizione organizzata da Vasco Núñez de Balboa avente lo scopo di esplorare le terre sull’Oceano Pacifico lungo l’istmo di Panama e verso Sud.
L’anno dopo, Balboa ebbe grossi problemi, quando era governatore della Castiglia d’Oro, tanto da essere sostituito da Pedro Arias Dàlila che diede l’ordine a Pizarro, quale autorità spagnola, di arrestare Balboa; questi, senza tanti scrupoli verso il suo ex socio, obbedì. Questo atto di lealtà da parte di Pizarro fu molto apprezzato da Dàlila, sicché, dopo l’esecuzione di Balboa, lo nominò sindaco di Panama, città fresca di fondazione, carica che fu sua dal 1519 al 1523. Durante questo periodo, gli affari di Pizarro andarono tanto bene da farlo diventare un uomo ricco.
Intanto, nel 1522 gli erano giunte alle orecchie le notizie portate da Hermàn Cortés a proposito delle sue esplorazioni nel Messico e, soprattutto, delle ricchezze che laggiù si erano trovate. Allora, forse si chiese se tutto il Nuovo Mondo potesse essere estremamente ricco. Pertanto, fu stimolato al punto tale da verificare di persona se non fosse la stessa cosa andando lungo le coste dell’Oceano Pacifico verso Sud, dove tanti territori aspettavano di essere esplorati. E, manco a farlo apposta, nello stesso tempo erano giunte notizie riportate da Pascual de Andagoya, quale partecipante di una spedizione: egli raccontò dell’esistenza di un Regno, chiamato Birù o Pirù, potente e ricchissimo, situato lungo le coste dell’Oceano Pacifico, andando proprio verso Sud. Fu quella la molla che lo indusse a rompere gli indugi e a partecipare in prima persona a una spedizione, smanioso com’era di esplorare terre nuove. Fece un accordo con il compagno d’armi Diego de Almagro e con il sacerdote Fernando de Lùque, pure loro spinti dagli stessi interessi, e prima dal 1524 al 1525 e poi dal 1526 al 1527, salparono per esplorare le coste del Pacifico del Sud America, con la speranza di trarne immense ricchezze. Il permesso fu rilasciato con piacere dal governatore Dàvila, solleticato dal fatto che, se si fosse fatta qualche impresa per occupare territori, una parte del bottino avrebbe riempito le sue tasche.
Il primo viaggio ebbe risultato negativo, dato che nella località denominata Pueblo Quemado ebbero uno scontro violento con gli indigeni, per cui si decise di ritornare a Panama purtroppo con le pive nel sacco. In ogni modo, quel viaggio consentì loro di avere notizie più dettagliate sull’Impero che si trovava più a Sud, per cui non mollarono, tanto che ritentarono l’impresa nel 1526. Salparono e raggiunsero la Baia di San Matteo dove, però, la presenza di una moltitudine di indigeni sconsigliò di attaccare, prevedendo una solenne batosta, e pertanto, mentre il grosso si accampava nell’Isola del Gallo, Almagro ritornò a Panama per chiedere rinforzi, ma il governatore non fu d’accordo e, ritenendo che fosse un’impresa troppo pericolosa, ordinò di tornare tutti a casa. Pizarro non volle obbedire a quell’ordine e decise di restare, ma solamente 13 dei suoi uomini lo appoggiarono. Pizarro e i 13 ebbero la conferma non solo dell’esistenza di un Impero, ma pure della sua favolosa ricchezza. A quel punto, Pizarro ritenne che fosse il caso di fare le cose con l’autorizzazione del Sovrano di Spagna e con i giusti mezzi, per cui ritornò a Panama nel 1527.
Così, l’anno successivo, decise di imbarcarsi per la Spagna per essere ricevuto dall’Imperatore Carlo V e per raccontargli tutto quanto era a sua conoscenza di quei territori d’oltremare. Il Sovrano, che aveva assistito alla fortunata conclusione dell’impresa di Cortès in Messico, fu piacevolmente interessato e si dimostrò favorevole ad avviare un’impresa che avesse come fine l’occupazione dei territori conquistati a nome della Monarchia Spagnola; naturalmente si assicurò che il tutto venisse fatto come concordato, fissando un regolamento ben preciso, al quale Pizarro non poteva sottrarsi. Nel 1529, dunque, partì per questa nuova impresa americana, con la carica ufficiale di Capitano Generale e con la promessa di diventare governatore, con le prerogative di Viceré dei territori conquistati, ai quali sarebbe stato dato il nome di Nuova Castiglia. E nel 1531, Pizarro con l’equipaggio di cui facevano parte anche tre dei suoi fratellastri (Gonzalo, Hernando e Juan), iniziò la spedizione concordata con il Re.
Salpate le ancore da Panama, sbarcò nella baia di San Matteo e di lì andò a Tumbéz, dove venne informato che gravi disaccordi e disordini erano in atto fra i sostenitori dell’uno e dell’altro dei fratelli Huascar e Atahualpa per la guida dell’Impero Inca e che, notizia molto ghiotta, quest’ultimo era nella città di Cajamarca, non molto lontana da dove si trovava lui.
Gli Inca, il cui nome era quello del dirigente politico che per estensione fu loro attribuito, costituivano una civiltà originaria di Cuzco, la capitale dell’Impero, che nel XVI secolo era predominante nelle Ande Centrali, dove si era espansa, occupando i territori di altre etnie. Essi non conoscevano la scrittura, le armi metalliche, la ruota, però erano bravi costruttori tanto che i territori, che facevano capo a città da loro fondate mettendo in atto la particolare tecnica costruttiva a secco, erano stati collegati fra di loro con strade, sicuramente non faraoniche, a causa delle difficoltà oggettive incontrate in zone montuose complesse e difficili da affrontare, ma comunque percorribili.
Un’occasione d’oro per Pizarro da non perdere, per portare in porto la realizzazione dei suoi progetti. Così, senza perdere ulteriore tempo, il 15 novembre 1532 partì alla guida di un paio di centinaia di uomini e raggiunse rapidamente la città dove Atahualpa stava festeggiando la vittoria sul fratello Huascar. Gli Inca ospitarono amichevolmente gli Spagnoli, i quali, approfittando della situazione favorevole senza tanti complimenti, imprigionarono il Sovrano, per cui i circa 40.000 uomini di cui poteva disporre Atahualpa non poterono reagire in alcun modo. Corre voce che Pizarro abbia fatto servire ai soldati dell’Imperatore vino avvelenato, facilitando la sua malvagia impresa: vero o non vero? Certo è che il dubbio resta, eccome, giacché il comportamento cinico di Pizarro nei confronti degli indigeni, in tutte le varie occasioni che gli si sono presentate, fa pensare che non ci si scosti più di tanto dalla verità.
L’Inca restò prigioniero e, pur avendo pagato per la propria vita e la propria libertà un enorme riscatto, nel 1533, senza tanti complimenti fu ucciso. Sicuramente, un grande esempio di corretta applicazione delle leggi che dovrebbero assicurare il trattamento della gente con giustizia!
L’anno successivo, Pizarro entrò nell’antica città di Cuzco, dove fece eseguire un saccheggio esemplare, nominò Imperatore Manco Capac e consolidò la conquista del territorio.
Di lì a poco, il socio Almagro avviò la conquista dei territori più a Sud, sempre lungo le coste del Pacifico, cioè quelli oggi appartenenti al Cile.
Intanto, Pizarro nel 1535 fondò le città di Lima e Trujillo e altri insediamenti minori, distribuiti in tutto l’Impero. Ma naturalmente le genti locali non apprezzavano le situazioni in cui si erano venute a trovare a causa di quegli individui barbuti giunti da un altro mondo, tanto che assalirono e assediarono Cuzco. Intervenne Almagro che, nel 1537, non solo riuscì a riprendere il controllo della città, ma anche a prendere prigionieri due fratellastri di Pizarro (il terzo era rimasto ucciso durante gli scontri), perché riteneva che a quel punto la città facesse parte dei territori da lui governati. Pizarro, in disaccordo con tale giustificazione, fece battaglia al suo ex socio, riuscendo a batterlo e metterlo a morte: ciò avvenne nel 1538.
Fatti come quello dell’uccisione di Almagro non passano facilmente nel dimenticatoio, perché c’è sempre qualcuno che ritiene impossibile dimenticare. Infatti, nel 1541, i sostenitori di Almagro, insieme con il figlio Diego, detto «el Moro», fecero irruzione nel palazzo di Lima dove Pizarro esercitava le funzioni di autorità spagnola e lo uccisero a coltellate.
Fine degna di un individuo che dei problemi degli altri non si era mai preoccupato, se non quello di eliminarli e di saccheggiare i loro beni, sempre pronto a darsi da fare per operare «pro domo sua».