Carlo VIII
Una vita all’insegna dell’ambizione e
della brama di compiere grandi imprese, ma segnata anche
dalla sfortuna
Il Re di Francia Carlo VIII rimane un personaggio ambiguo nella storia d’Europa e del mondo. Morto in giovane età senza lasciare eredi (con lui si estinse il ramo regale della dinastia Valois), ricoprì però una «parte» fondamentale negli eventi che sarebbero seguiti alla sua morte. Eventi che si dimostreranno infausti per l’Italia!
Ma andiamo con ordine. Carlo VIII, figlio di Luigi XI, era nato ad Amboise in Francia il 30 giugno 1470. Il cronista fiorentino Bartolomeo Masi lo descrive «piccolo di persona, brutto di viso, le spalle grosse, il naso aquilino et ancora aveva piè ad uso d’oca, le dita appiccate insieme»; per di più, era anche debole e malaticcio. Il padre, tutto preso dagli affari di Stato, non si preoccupò dell’educazione di questo figlio, cosicché il giovane Carlo pensava solo a divertirsi: i suoi svaghi preferiti erano la caccia e la lettura di romanzi cavallereschi, che gli facevano sognare le gesta di Carlo Magno in Europa e di San Luigi in Terrasanta.
Quando Luigi XI morì, Carlo aveva solo 13 anni. Troppo giovane per governare, fu assistito nei primi anni del Regno della sorella Anna di Beaujeu; cominciò a governare quando ebbe compiuto i 20 anni.
Ereditava un Regno unito, retto da una stupenda macchina amministrativa, e difeso dal migliore esercito d’Europa come uomini, mezzi e disciplina. Carlo non era particolarmente intelligente, era persino semi-analfabeta, ma ambizioso e desideroso di compiere avventure, ispirato dai libri letti in gioventù: il suo maggior progetto riguardava la conquista dell’Italia, giustificandola col pretesto di essere discendente degli Angioini Francesi, che un tempo avevano governato l’Italia Meridionale. Da lì, poi, avrebbe guidato i suoi uomini in una Crociata per liberare Gerusalemme dagli Arabi (progetto che sarebbe stato irrealizzabile, qualora lo avesse tentato).
L’Italia di quegli anni era il Paese più ricco e più civile del mondo. Gli Italiani del Rinascimento, amanti delle arti e della bellezza, bravissimi artigiani e abili banchieri, non erano però riusciti a trovare la concordia nazionale e a costituire un’unità territoriale: la Penisola era suddivisa in numerose Signorie spesso in lotta tra di loro, l’unico Stato solido era la Repubblica di Venezia. Lorenzo de’ Medici era riuscito ad appianare le contese e i dissapori, garantendo un quarantennio di pace, ma era morto due anni prima.
Carlo VIII trovò un alleato nel principe di Milano Ludovico il Moro (non ancora duca, ma solo reggente della città), che lo invitò addirittura a scendesse in Italia in suo aiuto per vendicarsi di Alfonso II, suo cognato e Re di Napoli che, appena salito al trono, gli aveva dichiarato guerra.
Il Re di Francia non se lo fece ripetere due volte. Per garantirsi le spalle, cedette alla Spagna e all’Imperatore Massimiliano d’Asburgo alcune regioni di confine, mandando in frantumi l’unità territoriale faticosamente raggiunta dal padre. Il 22 agosto 1494 l’esercito francese iniziava la sua marcia, passava le Alpi al valico del Monginevro il 2 settembre e il 9 dello stesso mese entrava in Asti. Era formato da circa 1.600 «lance» di sei cavalli ciascuna, 8.000 fanti con archibugi e spade a due mani, 12.000 balestrieri, 8.000 alabardieri svizzeri e diversi pezzi di artiglieria.
Da Asti, dove si incontrò con Ludovico il Moro che lo accolse con grandi onori e gli consegnò una forte somma di denaro, Carlo VIII proseguì la marcia lungo la Penisola raggiungendo Piacenza, Pontremoli e quindi Sarzana, dove sorgeva un grande castello dei Fiorentini. Carlo vi pose l’assedio. Il principe Piero di Lorenzo de’ Medici di Firenze, anziché mandare rinforzi, inviò una delegazione per trattare la resa. Oltre a Sarzana, furono ceduti ai Francesi altri castelli e intere città, come Pisa e Livorno.
Praticamente senza incontrare resistenza, Carlo VIII entrò a Firenze, passò per Siena e Viterbo e giunse a Roma. I Signori Italiani, timorosi, gli lasciarono libero passo attraverso i loro territori: non avevano eserciti veri e propri, ma dei piccoli corpi di mercenari che si impegnavano in combattimenti solo da giostra, piuttosto incruenti. I rapidi successi del Re di Francia furono resi possibile soprattutto dalla disgregazione socio-politica degli Stati Italiani, piuttosto che dalla loro impreparazione militare.
Infine, Carlo VIII raggiunse Napoli il 22 febbraio 1495 tra le acclamazioni della popolazione, mentre il Re Ferdinando si rifugiava nell’isola d’Ischia. Non erano ancora passati cinque mesi dal giorno della sua partenza da Asti!
La campagna d’Italia non fu altro che una «passeggiata militare». I contemporanei la chiamarono «la guerra del gesso» perché si diceva che i Francesi per conquistare l’Italia avevano consumato soltanto… del gesso, per segnare le case dove dovevano alloggiare i soldati.
Carlo VIII aveva però un lato del carattere carattere pessimo: era estremamente avido e ricorreva a ogni mezzo per arricchire, dai prestiti non restituiti, all’usura, alle imposizioni, ai furti. Quando si trovava in Piemonte non esitò a farsi consegnare da due nobili signore i loro gioielli e li vendette per avere denaro con cui pagare i suoi soldati; a Firenze chiese indennità tanto elevate da provocare la famosa reazione di Piero Capponi («Voi sonerete le vostre trombe, noi soneremo le nostre campane» è la sua risposta alla minaccia di ordinare l’attacco alla città se non fossero state esaudite le sue richieste), riuscendo però ugualmente a ottenere la somma di 120.000 ducati. A Napoli spogliò i conventi delle reliquie più rare, le chiese delle opere d’arte più preziose, i palazzi delle suppellettili di maggior pregio; tra le cose trasportate in Francia, vi fu persino una porta in bronzo del Castel Nuovo.
Ben presto, le razzie e la tracotanza degli invasori provocarono il malcontento dei Napoletani, mentre anche nel resto della Penisola si stava diffondendo un movimento di opposizione alla Francia. Il Papa Alessandro VI bandì una Santa Alleanza a cui aderirono Venezia, Milano, il Re di Spagna e l’Imperatore Massimiliano.
Carlo VIII capì che doveva tornare in Francia. Con l’esercito risalì la Penisola senza rinunciare ai saccheggi e a Fornovo, presso Parma, s’imbatté nelle truppe dell’Alleanza, più numerose di numero, ma poco affiatate e male armate, composte da mercenari e comandate da Gian Francesco III Gonzaga, Marchese di Mantova. Lo scontro avvenne il 6 luglio 1495: fu breve ma violento, e lasciò sul campo 3.000 morti. Gli Italiani respinsero i Francesi al primo assalto, ma i tesori ammucchiati nel campo nemico fecero perder loro la testa spingendoli al saccheggio. Se avessero continuato a combattere, annientando l’esercito francese, forse la storia futura del Paese sarebbe cambiata. Invece lasciarono a Carlo VIII la possibilità di fuggire nottetempo con parte del suo esercito, pur privo delle salmerie e del tesoro (fra cui la sua collezione di disegni erotici). Mostrando così come l’Italia fosse un frutto maturo, a disposizione di chiunque lo volesse cogliere.
Quest’impresa non poté essere compiuta da Carlo VIII perché tre anni dopo, il 7 aprile 1498, per avere urtato violentemente la testa contro una porta, morì, dopo alcune ore di agonia, lasciando in eredità una Francia immersa nei debiti e nel disordine. Non aveva compiuto l’impresa, ma ne aveva indicato la via.