Il ruolo dell’oro nella congiuntura mondiale
Aspetti storici e valutazioni delle
politiche d’intervento in tema monetario
Nel 2023, il prezzo dell’oro in dollari è cresciuto di oltre il 16%: una percentuale notevolmente superiore all’inflazione americana, che si è attestata sul 3,2%. C’è di più: nei confronti del febbraio 2022, data d’inizio della guerra russo-ucraina, il prezzo in questione ha fatto registrare a tutto aprile 2024 una crescita del 36,5%, cui corrisponde un incremento mensile di quasi un punto e mezzo. L’oro, in buona sostanza, continua a costituire un bene rifugio per eccellenza contro l’inflazione, e contro fatti esogeni capaci di modificare il ciclo congiunturale in misura straordinaria, come hanno affermato tanti economisti: ultimo della serie, il Professor Giovanni Scanagatta dell’Università «La Sapienza» di Roma, in una valutazione «online» (anch’essa di aprile 2024) che conviene segnalare, se non altro per alcune proposte oggettivamente lontane dalle attuali scelte strategiche del momento politico, per lo meno in Occidente.
L’offerta di oro, come si evidenzia nella fonte in questione, è abbastanza stabile nel breve periodo, dipendendo dalla capacità produttiva delle miniere in tutto il mondo, e lasciando un ruolo importante, caso mai, alla variazione delle scorte, come accade durante le turbative ragguardevoli. La capacità produttiva, dal canto suo, esprime una sicura propensione alla crescita di lungo periodo grazie agli investimenti e al progresso tecnico, tanto più che lo sviluppo economico generale costituisce la matrice necessaria e sufficiente a promuovere l’espansione dell’oro, se non altro alla luce delle sue caratteristiche di bene sostanzialmente immune da rischi di ammortamento, di deprezzamento e di obsolescenza.
Nel 2023 l’offerta complessiva di oro è stata di 4.448 tonnellate (fonte: World Gold Council), pari ad altrettanti milioni di grammi, che nel commercio prevalente costituiscono l’unità di misura più gettonata. A fronte di tale offerta, la scomposizione della domanda globale mette in luce destinazioni assai diverse: la prima si riferisce alla gioielleria con il 49% del totale, seguita dalle riserve delle Banche Centrali col 23, e dagli investimenti col 21, mentre gli usi tecnologici danno luogo alla quota residua, in misura di 7 punti. Nella maggior parte, questi utilizzi tendono alla stabilità di breve e medio periodo, sebbene gli impieghi nella tecnologia siano notevolmente più sensibili alle oscillazioni congiunturali, laddove gli investimenti finanziari, dal canto loro, sono maggiormente subordinati agli effetti delle situazioni d’incertezza indotte dalle guerre e dai conflitti di altro tipo.
A proposito delle Banche Centrali, conviene aggiungere che le loro strategie possono essere assai diverse, come emerge dal comportamento di quella cinese e di quelle dei Paesi Arabi che hanno dato un contributo molto importante all’aumento della domanda d’oro per le rispettive riserve valutarie. Ciò significa che i Paesi in via di sviluppo e quelli che possono contare su redditi unitari importanti sono in grado di accantonarle in volumi competitivi.
Negli scenari di grande incertezza che il mondo sta vivendo sul piano geopolitico e su quello economico, a maggior ragione dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina, in atto da oltre un biennio, e nello stesso tempo, alla luce della lunga tensione fra la Repubblica Popolare Cinese e Taiwan, autentica mina vagante nel Sud-Est Asiatico, la domanda dell’oro e il suo prezzo tendono a crescere fortemente, come attestano le cifre proposte in premessa. In tali situazioni, sulle funzioni dell’oro come unità di misura del valore di un bene, e come mezzo degli scambi, prevale quella della sua domanda come «riserva di valore».
Nel Treatise on Money (London 1930) il grande economista inglese John Maynard Keynes (1883-1946) ha posto in evidenza che un eccessivo risparmio costituisce un freno allo sviluppo, pur aggiungendo che troppi investimenti richiedono adeguati interventi pubblici contro l’inflazione, e ha definito l’oro come un «avanzo barbarico», sebbene la sua forza nella storia dell’umanità abbia costituito un’ancora di sicurezza, perché può essere oggetto di scambio in una vasta generalità di casi. Le sue riflessioni portarono un contributo fondamentale al superamento dell’antico sistema a base aurea, proprio nell’intento di promuovere una crescita più adeguata alle mutate condizioni del mondo, cominciando da quelle demografiche, il cui tasso stava già diventando esponenziale; tuttavia, indussero una modificazione strutturale destinata a creare un sistema non immune da sperequazioni a favore delle monete più forti.
Ciò posto, è utile chiedersi quali siano le cause principali delle variazioni di prezzo del metallo aureo. L’evidenza mette in luce una relazione inversa fra tale prezzo e il tasso d’interesse reale del dollaro, come inversa si mostra pure la relazione tra la quotazione dell’oro e il tasso di cambio del dollaro. Tuttavia, il fattore di maggiore importanza della domanda odierna deve essere individuato proprio nelle condizioni d’instabilità dei mercati, a causa dei grandi eventi mondiali cui si accennava. In altri termini, le variazioni di prezzo dell’oro, e le stesse oscillazioni di breve periodo, sono un indicatore fondamentale dei livelli d’incertezza circa gli eventi futuri.
Un’altra caratteristica dell’oro che va evidenziata sul piano micro-economico, come ha rilevato il Professor Scanagatta, è la correlazione inversa che presenta il suo valore rispetto a quello delle attività finanziarie. Per tale motivo, una buona diversificazione delle scelte di portafoglio comporta la detenzione di una certa quantità di oro, cui gli Stati che vanno per la maggiore non hanno mancato di uniformarsi.
Sul piano della politica monetaria, è chiaro che le Banche Centrali possono influenzare, a parità di altre circostanze, il prezzo dell’oro attraverso i tassi d’interesse reali, cioè quelli nominali, dedotto il tasso d’inflazione. I tassi d’interesse reali devono essere mantenuti positivi, favorendo in questo modo il potere d’acquisto della moneta grazie alla scarsa convenienza di preferire i beni-rifugio come l’oro per proteggersi dall’inflazione, anche se gli investimenti privati vi fanno ricorso ugualmente, in specie nei tempi difficili.
I mercati vivono di attese, e quindi è importante considerare non solo il prezzo per contanti dell’oro, ma anche quello a termine, relativo alle varie scadenze. A esempio, il prezzo attuale a termine di un anno supera del 15% quello per contanti. Si tratta, quindi, come evidenzia ancora il Professor Scanagatta, di un prezzo a termine nettamente superiore a quello di parità, che si ottiene aumentando il prezzo per contanti di un valore conforme al tasso d’interesse del dollaro nella prospettiva annuale. La differenza esprime l’attesa di crescita del valore di scambio dell’oro[1].
A giudizio del suddetto cattedratico, ai fini di pianificare i fondamenti di un nuovo «ordine monetario internazionale» bisogna aggiungere un’ultima riflessione importante sull’oro, e su «discrezionalità» e «regole» della politica monetaria, con riferimento all’antica trattazione del problema nel pensiero di un altro grande economista quale David Ricardo (1772-1823) che fu anche parlamentare britannico, e che vi avrebbe dedicato specifica attenzione, con particolare riferimento al «gold standard» inteso come garanzia di stabilità, o quanto meno, di rischi circoscritti.
Ricardo era consapevole che, alla radice del deprezzamento nel cambio della sterlina, aveva avuto un ruolo molto importante la politica di eccessive emissioni della Banca d’Inghilterra, laddove, sempre a suo giudizio, sarebbe stata fondamentale una gestione «naturale» della moneta, affidata alla regola fissa della convertibilità aurea, invece della «moneta manovrata» basata sulla discrezionalità della medesima Banca d’Inghilterra. Ricardo screditava la «moneta manovrata» perché il sistema aureo si fondava sull’oro, che era la «merce-tipo» di quello economico, e lo riportava all’«unitarietà» perduta con l’introduzione della moneta inconvertibile.
Se non altro, si trattava di un insegnamento finalizzato alla realizzazione di un ordine monetario internazionale senza il dominio di una moneta sulle altre, facendo riferimento a uno «standard» uguale per tutti, indipendentemente dall’azione discrezionale della Banca Centrale di un solo Stato. Allo stato delle cose, pur nella consapevolezza di dover aggiornare tale assunto alla luce delle ben diverse condizioni mondiali, come da intuizione e prescrizioni del Keynes, si tratta di spunti idonei a promuovere, se non altro, una riflessione sulle strozzature che possono scaturirne nel sistema economico, senza escludere quelle di natura etica, e come tali prioritarie. Oggi, il futuro è nel grembo di Giove anche per quanto riguarda le scelte di politica economica, ma non c’è dubbio sul fatto che scuole di pensiero tanto diverse, come quelle cui si è fatto cenno in precedenza, debbano andare alla ricerca di un «contemperamento» idoneo a promuovere sviluppo senza avventure.
1 Gli investitori accedono a molti mercati delle materie prime tramite contratti a «termine» o «futures». I contratti «futures» si basano sulle aspettative dei prezzi futuri, del costo del denaro e dei tassi di interesse. Gli investitori sono esposti a un’altra fonte di variabilità: la forma della curva dei «futures». Quando tale curva è inclinata verso l’alto, i prezzi dei «futures» sono superiori a quelli a pronti, come nel caso dell’oro. In questo caso, l’aspettativa è di tassi di interesse crescenti. Nel caso contrario, l’attesa è di tassi d’interesse decrescenti. Invece, nel caso di quotazioni a pronti uguali a quelle a termine, è quella di tassi a breve stabili.