Cibi dall’antichità ai giorni nostri
Alcuni esempi famosi e meno famosi in
Toscana che ancora oggi vengono commercializzati
A volte i cibi segnano profondamente non solo un territorio ma anche il rapporto tra una civiltà e i suoi caratteri storico-politici.
Nel caso della Toscana diversi ne sono gli esempi. Abbiamo diversi cibi che risalgono davvero alla notte dei tempi, ancor oggi commercializzati. Partirei da alcuni più noti. A Firenze troviamo la pappa col pomodoro. È un piatto povero di origine contadina. Nel 1912 divenne celebre sulle pagine del «Giornalino di Giamburrasca» dello scrittore fiorentino Vamba. Nel 1965 una trasposizione di Rita Pavone per la regia di Lina Wertmuller e musicata da Nino Rota ne fece la colonna sonora del personaggio. La pappa col pomodoro richiede pane casalingo toscano, cioè sciapo, senza sale. Pomodori, brodo vegetale, spicchi d’aglio, basilico e olio d’oliva extravergine toscano, sale e pepe. Si presenta come una zuppa di pane. Sicuramente introdotta in Toscana quando i pomodori presero con le conquiste geografiche ad arrivare in Europa.
Altro piatto celebre sempre fiorentino e di cucina povera, la trippa alla fiorentina. Con soffritto, trippa, unita anche in questo caso a pomodori, fatta cuocere a fuoco lento e servita anche con una spolverata di parmigiano e olio di oliva. Anche in questo caso, certamente insieme alla trippa è il pomodoro che rappresenta il re di questo piatto. Anche in questo caso presumiamo che la trippa, servita in qualche caso anche bianca probabilmente prima dell’arrivo dei pomodori in Europa, sia in seguito divenuta un piatto universalmente diffuso anche presso i ceti più poveri.
A Siena, non lontano da Firenze, troviamo alcuni dolci che ci riportano inesorabilmente a quel Cinquecento Rinascimentale più ricco, a quelle tavole imbandite dei nobili del tempo. È in ambito popolare però che anche questi piatti hanno avuto origine. Ricciarelli, Copate, Cavallucci, Cantuccini e Panforte. Antichi dolci natalizi ancora apprezzati ed esportati in tutto il mondo. Il Panforte risale addirittura all’anno Mille. A Siena arrivò una spezia nobile e prestigiosa: il pepe. E nacque il Panpepato, il babbo, dicono a Siena, del Panforte come lo conosciamo oggi. La prima documentazione scritta la ritroviamo in un documento del 1205 custodito nel convento di Montecelso, alle porte di Siena. Pare che i contadini avessero l’obbligo di pagare alle suore una tassa che consisteva in una grande quantità di pani insaporiti di pepe e miele. L’attuale Panforte deriva infatti dal Panpepato che a sua volta ha origine dal Panmielato.
Il Panpepato era un dolce che era di esclusiva pertinenza dei nobili, dei ricchi e del clero anche perché il pepe era una spezia molto costosa e rarissima. Il pepe era considerato una spezia così pregiata che veniva usata anche come merce di scambio al posto delle monete. Il Panpepato veniva preparato dall’Arte dei medici e speziali di Siena.
Una leggenda vuole che nel 1260, durante la battaglia di Montaperti tra Siena e Firenze, i Fiorentini stanchi per il lungo viaggio si sarebbero rifocillati con viveri magri mentre i Senesi col Panpepato avrebbero potuto usufruire di molte calorie. Solo nel Settecento fu rivisitata questa antica ricetta e preparata come la conosciamo oggi. In particolare il panforte Margherita commercializzato e bianco fu preparato in occasione della visita della Regina Margherita di Savoia e del Re Umberto a Siena. Siamo ormai nella seconda metà del XIX secolo.
Molte sono le zuppe che troviamo in Toscana. Non solo pappa al pomodoro e ribollita fiorentina, ma anche acqua cotta grossetana e zuppa alla frantoiana lucchese.
Questi sono tutti piatti popolari che risalgono spesso all’epoca medievale. La zuppa alla frantoiana della mia città viene preparata con cavolo nero, porri, patate, fagioli locali, a cui qualcuno unisce la cotenna del maiale. Una lentissima cottura caratterizza questi piatti. L’olio di oliva a crudo, una volta servita in tavola, è un classico di questa specialità culinaria. Erano anche in questo caso i contadini che dal lontano Medioevo si nutrivano di questi prodotti. A Livorno, che divenne con i Medici il porto del Granducato Toscano, troviamo il Cacciucco alla Livornese. In questo caso il pesce e i crostacei, col pane raffermo, fanno da base a questo piatto. Addirittura si prevedono 16 tipi di pesce per questa pietanza. I marinai e i portuali di Livorno ne fecero in passato un glorioso nutrimento che ancora oggi è molto apprezzato sia dai Toscani sia dagli altri.
E ancora la zuppa inglese. In questo caso le vicende risalgono al Rinascimento. La zuppa inglese è un morbido dolce al cucchiaio composto da strati di crema pasticciera e dal cacao, intervallati da Pan di Spagna o savoiardi morbidi, inzuppati nell’Archemes.
Secondo le tesi più accreditate la zuppa inglese affonderebbe le sue origini nel Rinascimento, più precisamente intorno al 1500 quando un diplomatico italiano, di ritorno da Londra, chiese alla Corte dei Duchi d’Este di preparargli un trifle, dolce tipico inglese assaggiato in Inghilterra e da lui molto gradito. Nel tentativo di riprodurlo, i cuochi crearono una versione italianizzata sostituendo qualche ingrediente per renderlo ancor più ricco e raffinato. Il Pan di Spagna sostituì la pasta lievitata all’inglese, la crema pasticciera sostituì la panna. Più in là nel tempo, vennero introdotti altri ingredienti molto colorati per rendere la preparazione piacevole alla vista. L’Archemes, liquore colorato di rosso vivo, nel quale veniva inzuppato il Pan di Spagna e il cacao, che serviva a creare contrasto con la crema pasticciera. Verso il 1800 la zuppa inglese fece la sua apparizione a Ferrara e Bologna. Ma Lucca ha questo primato nella diffusione del dolce, forse perché i territori lucchesi, confinanti con i possedimenti estensi, subirono molto questi influssi culinari esteri. Lucca poi era una città-stato e in tutta evidenza i contatti con Londra e le varie città europee erano consistenti. Altra storia la torta coi becchi di verdura, tipica lucchese. Questa risale al Medioevo e ha un sapore dolce e salato a un tempo, dove la bietola e altre verdure con uvetta e un pizzico di zucchero creano un impasto davvero unico che ancora è molto gradito nelle pasticcerie locali. Il Buccellato, sempre a Lucca, è un dolce addirittura romano, costituito da un impasto di pane e anici che lo rende unico. I Romani lo facevano rotondo e molto duro, tale da costituire una sorta di trofeo. Poi col tempo ha preso la forma del classico pane anche se si tratta di un dolce, ed è divenuto più morbido al palato. Giacomo Puccini ne andava particolarmente ghiotto e lo gustava dai suoi amici Taddeucci che ancora oggi in città lo preparano con la sapienza maestria di un tempo. Ogni preparato, ogni ricetta, ci rivela un pezzo della nostra storia, sia locale che d’importazione. Un tracciato davvero interessante e pieno di curiosità rilevanti.