Storia del caffè
«Attraverso il tè, l’Oriente penetra nei
salotti borghesi;
attraverso il caffè, penetra nei cervelli» (Paul Morand,
1936)
attraverso il caffè, penetra nei cervelli» (Paul Morand, 1936)
Lo sorseggiamo di mattina, al termine del pranzo, nei momenti di pausa dal lavoro o quando desideriamo qualcosa di gustoso che allontani la stanchezza e ridia vigore alle membra. È il caffè, uno dei simboli di italianità nel mondo.
Eppure il caffè col Belpaese, storicamente parlando, ha ben poco in comune. La sua storia inizia molto lontano, nelle assolate lande dell’Etiopia Centrale, dove questa pianta cresce tuttora spontaneamente, ed è ammantata dalla leggenda: si racconta che, nel III secolo della nostra era, un pastore abissino di nome Kaldi vide le sue capre intente a brucare degli arbusti dalle foglie ovali e dai piccoli frutti di un vivido color rosso, simili a ciliegie. Nonostante l’ora avanzata, le capre erano ancora arzille. Capì che erano quelle piante a dar loro quell’insolita energia, e ne raccolse alcune per provarne gli effetti su se stesso: ma per il cattivo sapore e l’effetto eccitante pensò fossero piante malefiche, e il giorno seguente le diede alle fiamme. Dal rogo uscì un aroma tanto intenso e buono da attirare numerose persone, compreso un gruppo di monaci del posto: essi notarono che l’infuso dei semi giallastri manteneva i religiosi svegli durante le lunghe ore di raccoglimento. Fu così che la conoscenza della pianta si diffuse di monastero in monastero, fino a propagarsi in tutto il mondo.
Fin qui la leggenda. La storia ci insegna che i pastori abissini non bevevano il caffè, ma ne mangiavano le rosse ciliegie crude o ridotte in poltiglia e mescolate, probabilmente, con grasso di montone. Più tardi la polpa rossa esterna delle bacche, una volta fermentata in acqua, fu usata come una specie di vino o comunque come bevanda leggermente alcolica.
Gli Arabi usavano fare un infuso di tutto il frutto del caffè. Solo una parte veniva leggermente tostata (arrostita) per poterla meglio conservare e vendere poi ai mercanti. Un giorno avvenne che un distratto servitore lasciasse arrostire eccessivamente i frutti, tanto che gli stessi semi risultarono fortemente tostati. L’errore si trasformò ben presto in una scoperta molto interessante: ci si accorse infatti che quei semi davano una bevanda di gran lunga migliore di quella ottenuta con l’intero frutto. Da allora il caffè, o meglio i semi del caffè, iniziarono la loro lenta, ma inarrestabile diffusione nel mondo.
Questa pratica di tostare le bacche del caffè prima di farne un infuso, pare sia iniziata nel XIII secolo nella regione dello Yemen in Arabia, dove si trova il porto commerciale di Moka o Mocha e dove la bevanda – non la pianta – ha acquistato il nome con cui è famosa in tutto il mondo: «qahwah», cioè «forza», «vino» o, più in generale, «bevanda eccitante» (la connessione, spesso affermata in Europa, fra il nome «kahwah» e la denominazione Caffa della regione a Sud dell’Abissinia dove la pianta è originaria, è da escludere per gravi ragioni filologiche e storiche). Essa era utilizzata per prolungare le veglie dei monaci sufi, mistici dediti alla preghiera ed alla meditazione.
La religione islamica ha rappresentato fino a tutto il XV secolo il principale veicolo di diffusione del caffè nel Levante fino all’India e nell’Africa Settentrionale. Per gli Arabi il caffè era un bene custodito gelosamente, infatti si concedeva di esportarlo solo privo della ciliegia esterna, quindi sterile e impossibile da trapiantare: contravvenire a questa regola significava essere punito con la pena di morte, non solo per il colpevole ma per tutta la sua famiglia fino al terzo grado di parentela!
I primi «locali da caffè», chiamati «kahave-kane», nacquero alla Mecca con scopi religiosi ma presto diventarono luoghi di riunione conviviale per uomini e donne: lì si declamavano poesie, si ascoltava musica, si giocava a scacchi, si predicava, si discuteva di politica. Tutto questo non piaceva alle autorità religiose islamiche, contrarie alla libertà di pensiero ed alla circolazione delle idee, che bollarono il caffè come bevanda diabolica; altre proibizioni, in Turchia e in Persia, si alternarono ancora per un secolo a periodi di liberalizzazione.
In Europa il caffè arrivò grazie al Tedesco Leonardo Rauwolf dopo un viaggio in Oriente nel 1592, seguito subito dal botanico italiano Prospero Alpini, che nello stesso anno ne descrisse esattamente la pianta nel De plantis Aegypti. Pietro della Valle e Onorio Belli furono i principali diffusori della scura bevanda in Italia, che fu la prima Nazione Europea a consumarla largamente. Già alla fine del Cinquecento a Venezia, che commerciava col Levante, si vendevano le prime tazzine di caffè dell’Europa Occidentale: documenti risalenti al 1626 confermano il grande successo del caffè nella Serenissima, tanto che si introdussero nuove tasse sulla bevanda, che era bevuta senza zucchero, come in Oriente. Le prime botteghe del caffè furono però aperte solo nel 1645 ed il medico e letterato Francesco Redi, nel suo Bacco in Toscana, cantava: «Beverei prima il veleno / che un bicchier che fosse pieno / dell’amaro e reo caffè». Nel 1726 Floriano Francesconi aprì a Venezia il Caffè Florian (che ebbe tra i suoi frequentatori Byron, Rousseau, Canova, Pellico...), mentre un Greco fondava nel 1775 il Caffè Quadri, ambedue tuttora aperti in Piazza San Marco. Tutta la vita elegante e scioperata della città lagunare si svolse in questi e in altri locali simili fino alla Rivoluzione Francese, epoca in cui i caffè divennero centri di agitazione e di propaganda politica, soffocata poi dalla repressione austriaca; i caffè si trasformarono allora in luoghi di convegno di malcontenti e cospiratori.
In Francia il caffè giunse con Thevenot nel 1659, ed ottenne un’accoglienza molto favorevole alla Corte di Luigi XIV, dove veniva amabilmente sorseggiato durante i ricevimenti e coltivato nelle reali serre. Il primo caffè inteso come esercizio pubblico, il Cafè Procope, culla dell’Illuminismo, fu aperto a Parigi nel 1643 da un Italiano, Procopio Coltelli di Palermo; rimangono ancor oggi dipinti sulle pareti i ritratti di Voltaire, di Piron, che furono tra i suoi frequentatori. Famosissimi i luoghi dove si poteva gustare quella «bevanda scura» a Parigi, i «Café Parisiennes», dalle sale di modeste dimensioni e dall’intima e raffinata decorazione, centri di vita culturale, artistica, politica. Nel 1720 i caffè a Parigi erano quasi 400; consistevano in una o più sale terrene (spesso gaiamente decorate con specchi, stucchi, pitture, di cui alcuni caffè di Venezia danno ancora esempi ammirevoli) in diretta comunicazione con la via o la piazza sulle quali si estendevano allineando all’aperto tavoli e sedie. Non stupisce allora che Pietro Verri e Cesare Beccaria, nel 1764, abbiano trovato giusto intitolare la loro rivista filosofico-letteraria, «Il Caffè» (una delle più significative espressioni dell’Illuminismo Italiano), alla bevanda che «rischiara lo spirito e riconforta l’anima».
Ivana Kobilca, Kofetarica (la bevitrice di caffè), 1888, Museo nazionale di Lubiana (Slovenia)
Ai nostri giorni il caffè di grandi dimensioni, luogo di ritrovo e di stazionamento al centro della città, è stato quasi del tutto soppiantato da un locale analogo ma più piccolo e più rispondente all’intensità della vita moderna: il bar. Si è così sviluppata la tendenza a trasportare alla periferia e spesso nei parchi pubblici i nuovi caffè, divenuti prevalentemente luoghi di sosta e di trattenimento.
Quando, circa 150 anni fa, fu identificata la caffeina, il caffè – già utilizzato in pasticceria per dolci da forno, da credenza, gelati, salse – invase anche il campo della medicina: la caffeina viene usata anche oggi come stimolante del ritmo respiratorio e circolatorio, come cardiotonico, diuretico, antinevralgico, stimolante del sistema nervoso centrale (la caffeina contenuta in una tazzina di caffè da 50 millilitri è di 30 milligrammi per il caffè espresso, di 150 milligrammi per il caffè con la moka e di 5 milligrammi per il caffè decaffeinato). La farmacologia considera moderata una dose di 20-30 centigrammi di caffeina: una simile dose può produrre insonnia e scomparsa del senso della fatica; una dose eccessiva e pericolosa è quella di un grammo: può produrre irrequietezza, tremori, mal di capo e, talvolta, allucinazioni. Il caffè è anche in grado di esercitare una notevole stimolazione della secrezione gastrica (aiutando così la digestione degli alimenti) se la dose giornaliera rimane tra le due e le quattro tazzine.
Numerosi furono, e sono tuttora, gli uomini famosi grandi estimatori del caffè. Ludwig van Beethoven sosteneva che per fare un buon caffè occorrevano sessanta chicchi, e aveva la mania di contarli personalmente ogni volta. Balzac scrisse il suo epitaffio che diceva: «Visse e morì attraverso 30.000 tazze di caffè!». Giacomo Leopardi adorava il caffè dolcissimo, mentre Alessandro Volta lo prendeva rigorosamente amaro, così come Eduardo De Filippo e tutti i degustatori professionisti. I Napoletani, grandi intenditori di caffè, sentenziarono che la bevanda andava zuccherata ma non mescolata: così ai primi sorsi si provava la «forza assoluta» poi, con un giro di mano, si smuoveva lo zucchero che stava sul fondo e la bocca restava dolce.
Nel 1690 alcuni marinai olandesi sbarcati a Moka, nello Yemen, riuscirono ad impadronirsi di alcune piantine e, dopo pochi anni, fiorirono le prime piantagioni di caffè nelle isole di Giava e Sumatra, in Indonesia. Il Governo Francese regalò poi al Re Sole una piantina per l’Orto Botanico di Parigi, dove si riuscì a riprodurne altre: nel 1723 Gabriel Mathieu Descleus ottenne dal Monarca di Francia alcune piante di caffè da piantare nelle proprie colonie delle Indie Occidentali, prima a Santo Domingo e poi alla Martinica, isola delle Antille Francesi. Cominciò così in queste terre la prima vera coltivazione intensiva di questa pianta, di cui i Francesi monopolizzarono il commercio sino alla fine del XVIII secolo. Oggi le coltivazioni di caffè interessano Brasile (il primo produttore e il principale esportatore al mondo; il caffè vi fu introdotto nel 1723, ma la coltivazione assunse grande importanza solo a partire dal 1810), Colombia, Venezuela, America Centrale, Antille, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania, Zaire, Mozambico, Angola, Costa d’Avorio, Madagascar, India, Arabia. Le coltivazioni si estendono dal livello del mare fino ai 1.800 metri; tra i 300 e gli 800 metri si ottengono caffè ritenuti fini e soavi, mentre in Giamaica le coltivazioni giungono anche a 2.500 metri sulle Blue Mountains, dove viene prodotto un caffè di grande qualità (e di elevato costo!), molto dolce e dal sapore di cioccolato. Attualmente il caffè è secondo solo al petrolio per livello mondiale di scambi commerciali.
Le abitudini dei diversi Paesi, poi, hanno dato vita a diversi modi di gustare il caffè: il caffè corretto, per esempio, è un espresso «corretto» con liquore nella tazzina o a parte; il caffè crema è un espresso con panna fresca servita nel bricco o in un apposito contenitore monodose; il caffè doppio è un espresso preparato con una dose doppia di caffè nel filtro da due, servito in una tazza grande; il caffè macchiato è un espresso guarnito in superficie con latte schiumoso; il caffè lungo è un caffè normale servito con un bricco d’acqua calda a parte; il caffè ristretto è un espresso concentrato, viene utilizzata la normale quantità di caffè per ottenere metà della bevanda; infine, il caffè espresso è un caffè corposo concentrato. In Italia ci sono molti altri tipi di caffè, dal cappuccino, al mocaccino, al marocchino e via dicendo, risultato della nostra grande fantasia anche in campo culinario, mentre all’estero il caffè si riduce generalmente a due soli tipi, il caffè semplice (che è in realtà un caffè ultra-lungo, una brodaglia al limite dell’imbevibilità) e il caffè espresso, bevibile ma non certo al livello dell’espresso nostrano. Grandi consumatori di caffè sono anzitutto i Paesi produttori; in Europa questa droga viene consumata particolarmente in Italia, in Francia e in Svizzera; il consumo di caffè è invece poco diffuso in Cina, in Giappone e in Inghilterra, dove si preferisce il tè.
Noi Italiani siamo dei cultori del caffè espresso, denso e dal sapore pieno. Le torrefazioni italiane sono sempre alla ricerca delle qualità migliori di caffè: uno stuolo di onesti e seri torrefattori assembla pregiate miscele provenienti da diverse coltivazioni (anche una decina) pur di arrivare al risultato voluto quanto a gusto, aroma, corpo, acidità e colore. Questa continua ricerca di qualità ci ha dato la posizione di leader per quanto riguarda la bontà delle miscele di polveri di caffè italiane, ma ha anche fatto sì che le nostre macchine per ottenere il caffè espresso siano le migliori al mondo. La prima macchina professionale prodotta industrialmente nella Penisola fu realizzata dall’ingegnere torinese Angelo Moriondo alla fine del 1800; nel 1901 il Milanese Luigi Bezzera inventò una macchina che consentiva la preparazione di caffè a ritmi più rapidi, mentre la prima vera macchina per il caffè espresso è opera di un altro Milanese, Achille Gaggia, nel 1948.
(Una curiosità: se al banco vogliamo ottenere il massimo del piacere, prestiamo attenzione al tempo impiegato dal barista per prepararci la nostra tazzina fumante – se dalla prima all’ultima goccia di caffè che cade nella tazza passano meno di 23 secondi aspettiamoci un caffè «sciacquato», debole, senza corpo. Il tempo giusto di colatura dovrebbe essere di 27 secondi, passati i 30 saremo davanti a un caffè amaro, bruciato. Inoltre, ciò che denota se un espresso è fatto bene è la presenza della crema, quello strato color caramello che ricopre interamente la superficie del caffè: deve avere colore uniforme e dopo il primo sorso dovrà avvolgere il bordo della tazza come uno sciroppo).
Anche per il caffè, come per altri prodotti, esiste un organismo che, attraverso l’analisi sensoriale e le tecniche di gestione dell’assaggio, permette di avere delle valutazioni oggettive sulle qualità dei vari caffè analizzati, permettendoci di gustare in tutta tranquillità la nota bevanda scura e aromatica: si tratta dell’Istituto Internazionale Assaggiatori di Caffè, nato nel 1999.