Toro Seduto
Il capo indiano, calmo, saggio e...
«lento»
Dopo la scoperta dell’America, quel continente divenne un luogo di conquista da parte degli Europei, inizialmente per deportarvi i carcerati, personaggi indesiderati in patria, e successivamente per togliere la libertà e il possedimento di quel suolo dove i locali (chiamati «Pellerossa» o «Indiani», per l’errore commesso da Cristoforo Colombo, che era convinto di aver raggiunto l’India, dopo avere circumnavigato il globo terrestre) da secoli cacciavano e raccoglievano ciò che la natura forniva loro, per la loro sopravvivenza e per il benessere delle loro tribù.
Per gli Europei, si trattava della terra di nessuno, pronta a ricevere i cacciatori di bisonti, gli agricoltori alla ricerca di nuovi pascoli per l’allevamento del bestiame, terra da coltivare, miniere d’oro da sfruttare, e ciò in un crescendo continuo che ebbe il massimo verso la metà del XIX secolo.
E, logicamente, questi atti di prepotenza non piacquero a nessuno dei nativi e per molti fu l’occasione per tentare di opporsi alla violenza con la violenza, ma inizialmente con possibilità ridotte dalla differenza di tecnologia militare (armi da fuoco contro frecce e giavellotti, finché pure loro ebbero modo di usare armi da fuoco) e di contingente di uomini a disposizione. E, alla fine, purtroppo per loro, a causa del numero sempre crescente di individui che provenivano da oltre oceano, non restò altro da fare che abbassare il capo a una capitolazione dignitosa e, alla fine, fu loro tolto quasi tutto ciò che a loro spettava per diritto atavico.
In ogni modo, pur sapendo che non sarebbero riusciti a cacciare coloro che dilagavano e impunemente occupavano i loro territori, i locali resistettero come fu loro possibile, per finire sotto i colpi delle armi degli invasori oppure per essere ingloriosamente messi in un canto, nelle cosiddette «riserve indiane», che non erano altro che territori ritenuti dagli invasori di scarso interesse di qualsiasi tipo e dove le possibilità di sopravvivenza spesso erano carenti.
Gli indigeni, che si erano sistemati nei territori che oggi formano gli Stati Uniti, appartenevano a tribù che si erano insediate dove nel tempo buono vivevano con le catture nella caccia ai bisonti, celebravano riti religiosi, litigavano fra di loro e d’inverno superavano a fatica i suoi disagi e i suoi rigori, restando strette insieme per vincerli.
Gli invasori, sempre più numerosi e litigiosi, avevano praticamente diviso il suolo nordamericano in due Stati, uniti sì, ma separati negli intendimenti e negli interessi: questi erano gli Stati Uniti d’America del Nord e gli Stati Confederati d’America del Sud. Non potevano andare d’accordo fra di loro, soprattutto perché al Sud vigeva lo schiavismo, fiore all’occhiello della produzione del cotone e di altri frutti della terra, mentre il Nord, che non aveva tali tipi di produzione, non aveva problemi a sbandierare la libertà. E così, il 12 aprile 1861, si scontrarono con le armi, con lo scoppio della Guerra Civile Americana o Guerra di Secessione Americana, che durò quattro anni, e il 13 maggio 1865 il Sud fu sconfitto e dovette subire l’abolizione dello schiavismo, oltreché dell’indipendenza.
Ma mentre gli «stranieri» invasori litigavano fra di loro, gli Indiani non sopportavano la loro presenza e in più occasioni lo dimostrarono con la forza, sempre opponendosi alla loro presenza.
Fece molto parlare di sé il capo indiano Nuvola Rossa che, dopo la Guerra di Secessione Americana, continuò a contrastare l’esistenza dei forti costruiti dall’esercito, finché nel 1868 si giunse alla firma del trattato di Fort Laramie, con il quale si concedeva ai Sioux un territorio posto sulla sponda occidentale del fiume Missouri, dove i coloni non avrebbero avuto accesso; e per gli Indiani che avessero deciso di dedicarsi all’agricoltura, fu concesso un ampio territorio nella parte sudoccidentale del Dakota del Sud. Nuvola Rossa lo accettò, ma Toro Seduto, che nel frattempo era divenuto il capo dei Sioux, non credette per un attimo nella buona fede degli Statunitensi.
E, con il tempo, la situazione per i locali peggiorava di giorno in giorno, tanto che attorno all’anno 1875, si resero conto che l’estensione territoriale dei terreni a loro disposizione calava a vista d’occhio e le mandrie di bufali, che costituivano una delle poche risorse alimentari a loro disposizione, erano sempre più ridotte; inoltre, l’agricoltura, essendo i terreni poco fertili, forniva scarse quantità di prodotti e le provviste fornite dal Governo erano insufficienti. Si aggiunse, poi, una questione che ebbe un grande peso: difatti, nelle Black Hills (Colline Nere) erano stati individuati giacimenti d’oro, che attirarono frotte di cercatori e di gente di malaffare, mandando su tutte le furie gli Indiani, perché si trattava di un luogo per loro sacro dal quale si doveva stare alla larga.
Nacque un dissidio al quale lo stesso Presidente Ulysses Grant provò a porre rimedio, ma invano, anche perché il Governo si chiese se non fosse il caso di comprarlo, ma la proposta fatta non ebbe il risultato previsto.
Come reazione, ci fu la decisione che tutti i Sioux, a partire dal 1876, dovevano essere insediati nella riserva indiana, considerando nemici coloro che avessero rifiutato di andarci. E, per essere sicuri che i Sioux avrebbero obbedito, furono inviati tre reggimenti guidati dal Generale Philip Sheridan.
In quell’occasione, entrò nella triste storia della colonizzazione dell’America del Nord un personaggio di nome Sitting Bull (Toro Seduto), nato nel territorio del fiume Grand River (Rio Grande) nel 1831. Egli, che era divenuto il capo dei Sioux Hunkpapa Lakota e il condottiero dei suoi guerrieri pellerossa, non credette nella buona fede degli Statunitensi, che, al contrario di quanto promettevano, praticavano la politica espansionistica senza ritegno.
Nel 1851, Sitting Bull sposò «Capelli lucenti», poi, dopo la sua morte, si unì, l’una dopo l’altra a «Neve su di lei», «Donna rossa», «Vista dal suo popolo» e, infine, a «Quattro vesti».
Per il resto, sino ad allora, di lui si sa solamente che era un valido guerriero e che aveva combattuto durante le operazioni belliche di Nuvola Rossa nel periodo che va dal 1866 al 1868, diventando il capo indiscusso dei Lakota. Era famoso fra i suoi per la calma, il buon senso e la cautela nel prendere senza fretta importanti decisioni, tanto che gli era stato dato un soprannome che, tradotto, corrisponde al nostro «Lento». Non prestò mai fiducia al Governo Americano, considerandolo formato da gente falsa e ingannatrice, con la quale era inutile perdere tempo per fare negoziati.
Convinti che, se avessero reagito, gli Americani li avrebbero aggrediti, Toro Seduto e Cavallo Pazzo, capo di Arapaho e Cheyenne, unirono le loro forze.
E quando il Governo Centrale emanò l’ordine che imponeva di ritirarsi nella riserva indiana, lui e Cavallo Pazzo rifiutarono e con i loro circa 7.500 guerrieri, si sistemarono in un’area di terreno molto fertile nei pressi del fiume Little Bighorn. Dopo l’insediamento, fu celebrata la Danza del Sole, rito che durava diversi giorni, durante il quale Toro Seduto confidò di avere avuto una visione, secondo la quale gli invasori si sarebbero trovati di fronte tantissimi soldati, «fitti come cavallette», agguerriti per combatterli, e che sarebbero «caduti a testa in giù», colpiti e pertanto da loro sconfitti. E gli Indiani, essendo lui uno sciamano, presero per buona quella profezia.
Come c’era da aspettarsi, il 25 giugno 1876, di sorpresa gli Indiani si trovarono di fronte un reggimento del Governo degli Stati Uniti (il Settimo Cavalleggeri) alla guida del Tenente Colonnello George Armstrong Custer, esperto nelle guerre e nelle battaglie contro gli Indiani, dalle quali era sempre uscito vincitore. Ma, purtroppo, questa volta era stato sottovalutato il contingente di guerrieri disponibile per Toro Seduto: infatti, con 630 soldati e relativi ufficiali si trovò di fronte diverse migliaia di avversari. Considerato, poi, che secondo gli esperti aveva sbagliato la tattica, lanciandosi all’attacco con il reggimento diviso in tre battaglioni, di cui uno comandato da lui e da Reno e Benteen gli altri due, da un lato la sua potenza offensiva risultò ridotta, mentre dall’altro sia il numero dei guerrieri, sia la loro aggressività per difendere le proprie famiglie e sia il possesso di fucili a ripetizione, di importanza fondamentale in un confronto diretto, furono fattori che giocarono a favore degli aggrediti: sotto la guida dei capi, fra cui emerse il valore di Cavallo Pazzo, lo scontro finì con una solenne sconfitta degli Statunitensi, in una sanguinosa disfatta con Custer e tutti i suoi caduti in un micidiale accerchiamento. Così, ciò che Toro Seduto aveva previsto, era accaduto.
I nativi, felici del risultato a loro favorevole, ringraziarono il Grande Spirito che li aveva protetti durante la battaglia e festeggiarono la loro vittoria. Ma il disastro non piacque all’opinione pubblica, che si mostrò adirata, spingendo il Governo a reagire. E infatti, gli Statunitensi, decisi a farla finita una buona volta, facendo perdere definitivamente agli indigeni la loro indipendenza, inviarono un esercito talmente numeroso che sarebbe stata cosa da pazzi il ritenere di essere in grado di affrontarlo con qualche speranza di batterlo. All’intimazione di arrendersi, molti nativi abbassarono il capo e accettarono, praticamente segnando la fine dei Sioux, mentre Toro Seduto e i suoi fedeli nel 1877 fuggirono e ripararono in Canada, a Nord di Wood Mountain, nello Saskatchewan, dove rimasero per quattro anni.
Durante la loro permanenza in Canada, qui le mandrie di bufali erano parecchio ridotte, per cui la fame non mancava e, fra l’altro, si era fatta alta la tensione fra le autorità di quel Paese e gli Stati Uniti, perché consentiva agli Indiani di soggiornarvi. A questo punto, anche perché coloro che non lo avevano seguito si trovavano in cattive acque, per le pessime condizioni del tempo e sopravvivevano solamente grazie alla carità degli uomini bianchi, il 19 luglio 1881, Toro Seduto e i suoi decisero di rientrare e di arrendersi alle forze governative. Però, lui e i suoi fedeli furono tenuti alla larga dagli Indiani che non li avevano seguiti, mandandoli nel Dakota del Sud, a Fort Randall, sulle sponde del fiume Missouri, presso la città che, oggi, è Pickstown, dove furono tenuti come prigionieri di guerra. Solamente nel 1883, fu loro concesso di rientrare a Fort Yates, presso la Standing Rock Agency, a cavallo fra il Dakota del Nord e il Dakota del Sud.
L’anno successivo, il promotore di spettacoli Alvaren Allen, propose a Toro Seduto di partecipare a uno spettacolo, che sarebbe stato chiamato Sitting Bull Connection e che avrebbe fatto il giro di diverse regioni canadesi e degli Stati Uniti del Nord; egli accettò e così, dopo che fu concessa l’autorizzazione da parte dell’agente e ispettore indiano canadese-americano degli Stati Uniti, James Mc Laughlin, lo spettacolo poté iniziare il suo corso. Quando lo spettacolo si trovava nel Minnesota, Toto Seduto fece l’importante conoscenza di Annie Oakley, una giovane dotata di un’abilità straordinaria nell’usare le armi da fuoco. La simpatia fra i due fu quasi immediata, tanto che Toro Seduto la considerò come una figlia adottiva, chiamandola con l’affettuoso nome di Little Sure Shot (Piccolo Colpo Sicuro), nome che a lei fu tanto caro da mantenerlo per tutta la sua carriera.
Nel 1883, Toro Seduto ebbe il permesso di lasciare la riserva per unirsi al Circo Barnum e così seguire Buffalo Bill (al secolo, William Frederick Cody) nello spettacolo itinerante Wild West Show avente per tema le guerre fra nativi e invasori e la vita nelle grandi praterie, dove restò per quattro mesi. Fu per lui un periodo tranquillo e sereno e che gli diede soddisfazioni, godendo dell’amicizia dei colleghi e del rispetto del pubblico. Ebbe una certa notorietà e raggranellò un po’ di soldi facendosi fotografare e offrendo il proprio autografo ai turisti, donandone, talora, a mendicanti e a gente senza casa.
Una volta tornato alla Standing Rock Agency, riprese la sua vita normale.
In un inverno particolarmente freddo e con scarsità di acqua nella riserva dei Sioux, un Indiano della tribù dei Paiute, Wovoka, diffuse una corrente religiosa, che proclamava la resurrezione dei morti. Si trattava della cosiddetta Ghost Dance (Danza dei Fantasmi), cioè il complesso delle danze rituali che si svolgevano durante quattro notti e la mattina del quinto giorno. E gli Indiani non dimenticavano di seguirla, convinti che fosse imminente il ritorno dei morti (i fantasmi, appunto), che avrebbero provveduto a cacciare i bianchi dalle loro terre, ripristinando il loro diritto alla proprietà dei terreni e di tutto quanto essi potevano fornire, dei bufali «in primis». Toro Seduto dimostrò un certo interesse per questo movimento, che ritenne una speranza per il futuro, consentendo ai partecipanti alla danza di entrare nel suo accampamento. Ciò mise in agitazione il ricordato James Mc Laughlin, che ebbe il timore che questa servisse al capo per prendere le iniziative del caso, diventando pericoloso per gli Stati Uniti.
Così, il 14 dicembre, decise di prendere provvedimenti, inviando una lettera al tenente Henry Bull Head nella quale indicava le modalità da seguire per catturare Toro Seduto. Secondo il suo piano, l’arresto sarebbe dovuto avvenire al mattino del giorno 15, verso le ore 5:30, in silenzio e facendo in fretta per non dare il tempo ai suoi seguaci di svegliarsi e di opporvisi. E all’ora stabilita i gendarmi, in numero di 39, si avvicinarono all’abitazione in cui Toro Seduto dormiva, la circondarono e in parte entrarono e lo dichiararono in arresto. Il capo e la moglie persero volutamente tempo, in modo che i suoi uomini, subodorato che qualcosa di grave stava succedendo, si accalcarono intorno alla casa. Intanto, il tenente Bull Head aveva fatto uscire Toro Seduto e gli aveva ordinato di salire a cavallo, dicendo, in modo che i Sioux potessero udire, che il suo capo desiderava parlargli e che poi sarebbe potuto tornare a casa. Toro Seduto non gli credette e rifiutò di salire sul cavallo, facendo scoppiare l’ira dei poliziotti, che iniziarono a maltrattarlo e colpirlo in malo modo, tanto che un Lakota, entrato nella storia con il nome di Catch the Bear (Acchiappa l’Orso), sparò un colpo di revolver contro Bull Head; questi rispose al fuoco, però colpì Toro Seduto in pieno petto, mentre un altro poliziotto, Red Tomahawk, gli sparò alla testa. Non mancava altro che quella duplice orrenda azione a far scoppiare l’ira incontrollata dei seguaci di Toro Seduto e gli spari da una parte e dall’altra fecero vuoti paurosi; alla fine, il bilancio della sparatoria fu la ferita di Toro Seduto (il cui decesso avvenne verso mezzogiorno), di suo figlio Piede di Corvo, di 7 suoi accoliti e di due poveri cavalli, mentre li seguirono nell’altro mondo 8 poliziotti, fra cui Bull Head.
Il corpo di Toro Seduto fu trasportato a Fort Yates e seppellito nel suo cimitero. Nel 1953, i discendenti della famiglia Lakota riesumarono quelli che furono ritenuti i suoi resti mortali, li fecero trasferire e sotterrare nella contea di Corson nel Dakota del Sud, presso Mobridge, non lontano dalla sua città natale.
Di lui, che cosa si ricorda?
In occasione dell’Esposizione Colombiana del Mondo aperta a Chicago nel 1893, la sua capanna della sponda del Grand River vi fu trasferita in mostra e i ballerini pellerossa si esibirono nelle loro danze.
Un francobollo da 28 centesimi di dollaro con la sua effige fu emesso il 14 settembre 1893 nella serie «I Grandi Americani».
Per volere del consiglio tribale dei Sioux della riserva indiana Standing Rock College, l’istituto universitario fu cambiato in Sitting Bull College, in suo onore, il 6 marzo 1996.
Molti libri e film che parlavano di lui e delle sue gesta, ebbero un grande successo.
La sepoltura di Toro Seduto è nota in tutto il mondo come il Monumento di Sitting Bull. Del resto, che il capo indiano sia stato una persona famosa lo dimostra, per esempio, la sua scultura, che è la maggiore di tutte quelle che si trovano nel cimitero di Legoland in Danimarca.