Incendi di Chicago e Peshtigo
Incendi concomitanti, ma uno dimenticato
La domenica 8 ottobre 1871 fu una data da ritenere fra le peggiori della storia statunitense del XIX secolo, giacché fu funestata da una serie di incendi che, fra i disastri causati e i danni fisici e mortali inferti alla popolazione, non ebbe uguali. Il fuoco, che imperversò sulla cittadina di Peshtigo nel Wisconsin e sulla città di Chicago nell’Illinois, mise a soqquadro pure le città di Holland e Manistee nel Michigan e Port Huron, situato all’estremità meridionale del Lago Huron.
Alla fine, a fuoco spento finalmente, si riscontrò che circa 5.000 chilometri quadrati di foresta erano stati trasformati in fumo e cenere, mentre erano state distrutte 12 comunità. Le vittime furono tantissime, ma il numero esatto non fu mai definito. Gli incendi di maggiori dimensioni, però, sono stati quelli, scoppiati per ragioni non note, in due località degli Stati Uniti distanti 250 chilometri fra di loro: furono veramente disastrosi e quello ritenuto di entità relativamente inferiore è riuscito a far passare l’altro, non dico nel dimenticatoio, ma comunque in secondo piano. Si sta parlando dei due grandi incendi che hanno cagionato vere e proprie catastrofi nelle città di Peshtigo, nel Wisconsin, e di Chicago nell’Illinois.
A quei tempi, Peshtigo aveva qualche migliaio di abitanti, mentre Chicago, che aveva iniziato a crescere attorno al 1833, nel 1871 ne aveva già circa 300.000. Infatti, la città cresceva rapidamente, e questo fu il guaio peggiore, senza che nessuno si interessasse a porre la giusta attenzione nell’applicazione delle norme di sicurezza che dovrebbero essere sempre di guida e di monito, quando si utilizzano materiali pericolosamente combustibili quali il legno, nella realizzazione di migliaia di fabbricati, edificati l’uno a fianco dell’altro, e di molto altro.
D’altra parte, Peshtigo e Chicago erano sorte in territori dove le foreste di grandi estensioni erano a disposizione, per cui gli alberi erano appetibili sia per la loro natura adatta alla rapida realizzazione di costruzioni, sia per la facilità di lavorazione. Questa predilezione lo dimostra il fatto che non solo le costruzioni in elevazione erano realizzate in legno, ma anche i marciapiedi consistevano in pino resinoso, materiale per natura infiammabilissimo. Che nessuno avesse per un attimo pensato al peggio, cioè che la situazione sarebbe potuta diventare estremamente pericolosa, lo dimostra, come fu confermato, che pure l’unica stazione di pompaggio aveva il tetto in legno.
Il tempo era bello e secco, mentre un vento teso già da qualche settimana soffiava gagliardo, proveniente dalle campagne aride. Il tutto era asciutto. Questa era la situazione ambientale quel tragico giorno.
L’incendio di Peshtigo sicuramente fu peggiore di quello di Chicago, anche se, purtroppo, pure questo ha fatto danni esageratamente alti. Però, come capita spesso e forse a torto, vale il detto latino «ubi maior, minor cessat»; questo per dire che, se l’incendio di Peshtigo è stato forse il massimo che possa capitare, l’incendio di Chicago, inferiore per intensità e danni, ha fatto più scalpore, diffondendo la notizia nelle zone più remote del pianeta e facendo rabbrividire coloro che ne vennero a conoscenza. In tal modo, le disgrazie di Peshtigo passarono in secondo ordine, quasi come se nulla fosse mai accaduto.
Pertanto, nella narrazione si dà la precedenza all’incendio di Chicago, quale città nota a tutti, per poi riprendere il discorso, doveroso, su quello di Peshtigo.
L’incendio di Chicago, che è stata ritenuta una delle più grandi catastrofi che abbiano colpito gli Stati Uniti nel XIX secolo, ha comportato, oltre a incalcolabili danni materiali, la perdita della vita per diverse centinaia di persone.
Il disastro, stando alle ricostruzioni della vicenda, è avvenuto per una causa banale, se si vuole, ma serve a dimostrare che quando si fanno le cose l’attenzione non è mai troppa, per cui, se per 99 volte tutto finisce bene, la centesima potrebbe avere conseguenze veramente catastrofiche.
Stando alle cronache del tempo, verso le ore 21:00 di domenica 8 ottobre 1871, in un edificio adibito a granaio e deposito di attrezzi interamente costruito in legno, di proprietà della coppia Patrick e Catherine O’Leary, posto nelle vicinanze della stretta, sterrata De Koven Street, la signora si stava apprestando a mungere la sua vacca, quando questa, forse infastidita, con un calcio rovesciò la lanterna che serviva per vederci, essendo sera, accendendo il fieno secco posto sul pavimento e da qui l’estendersi delle fiamme a tutto il resto fu questione di un attimo, dando vigore all’incendio. Questo accadde secondo il colorito racconto del giornalista Michael Ahern che (ma solamente 22 anni dopo) confessò che si era trattato di una sua invenzione (una bufala, pertanto) per rendere più interessante la sua narrazione. In ogni modo, sembra che proprio da lì l’incendio sia partito. La signora O’Leary, interrogata in tribunale sotto giuramento, disse che quando successe il fatto era a letto a dormire e ne venne a conoscenza solamente quando un vicino la svegliò. Ma non mancarono altre versioni sulla causa che fece appiccare il fuoco, fra cui, oltre a una qualche colpa attribuibile all’uomo (d’altra parte i piromani non rappresentavano una novità), fu incolpata una cometa.
A questo punto, si può ritenere che la causa di come sia stato appiccato il fuoco resti ignota.
Le fiamme si espansero rapidamente e passarono agevolmente da una struttura alla successiva, favorite dal secco delle stesse e dal vento avente una certa intensità con direzione da Nord-Ovest a Sud-Est. Non a caso, Chicago fu chiamata pure «Windy City», cioè «Città Ventosa».
Se c’è qualcosa da ridire in merito alla facilità con cui l’incendio poté estendersi in maniera irrecuperabile, lo si deve fare nei confronti dell’amministrazione locale che non ha capito subito l’entità e la gravità di quanto stava accadendo, tardando colposamente il suo intervento; questa è un’ipotesi logica, pur se non convalidata da documentazione. Però, a onor del vero, non si può sottacere il fatto che solamente dopo 40 minuti dallo scoppio dell’incendio ci fu l’intervento dei vigili del fuoco a seguito di una telefonata (altra ipotesi non documentata) da parte di una farmacista, preoccupato perché vedeva una grande nuvola di fumo nell’altra parte della città. I pompieri si diedero da fare, ma il clima secco, il caldo e quel maledetto vento, che favoriva il diffondersi delle fiamme, resero inutile ogni tentativo di spegnerle. Il sindaco, disperato, chiese l’aiuto dei pompieri delle città limitrofe, ma questi non poterono fare nulla di più, anche perché l’acquedotto era stato distrutto, per cui niente acqua. E il vento, con le sue folate, riuscì a far superare all’incendio il Chicago River, il fiume che divide in due la città, allargandolo anche all’altra parte. In questo modo, veniva tolta ai cittadini, in preda al panico e al terrore, la possibilità di attraversare il corso d’acqua e mettersi al sicuro, perché a quel punto nessun luogo lo era. Così, l’incendio ebbe buon gioco, bruciando tutto quanto di combustibile incontrava nella sua corsa e uccidendo tutti quei poveretti cui era stata preclusa ogni via di scampo.
Quando, essendo diminuita l’intensità del vento ed essendo caduta una leggera pioggia, finalmente il fuoco, anche perché non aveva più nulla da divorare, dopo tre giorni si spense, si fece il resoconto dei danni da lui causati, questi si poterono paragonare a quelli che possono essere prodotti da un intenso bombardamento a tappeto, che aveva interessato attorno ai 15 chilometri quadrati di territorio.
Per cominciare, si è registrata la distruzione di 17.500 edifici abitativi e pubblici, facendo restare senza casa circa un terzo degli abitanti, il danneggiamento di circa 120 chilometri di strade e di circa 190 chilometri di marciapiedi. 2.000 lampioni andarono distrutti. I danni in moneta contante furono attorno a 200 milioni di dollari, corrispondenti a circa 4 miliardi di dollari di oggi.
E alla fine, oltre all’apocalittico desolante panorama che si stendeva davanti agli occhi degli astanti, si dovettero contare 125 corpi di persone perite nel disastro, ma sicuramente le vittime furono fra le 200 e le 300.
Ben pochi edifici si salvarono dalla furia devastatrice delle fiamme; fra questi è la «Water Tower» («Torre dell’Acqua»), che è rimasta un emblema della città; in pratica a quei tempi fungeva da serbatoio per la raccolta e per la distribuzione dell’acqua all’utenza, mentre attualmente è divenuta sede di un ufficio turistico.
Comunque, la città non doveva morire, anzi doveva risorgere dalle sue ceneri come l’Araba Fenice: e infatti, fu ricostruita nel giro di pochi anni e importante fu l’elevazione dell’«Home Insurance Buiding» («Edificio di Assicurazione sulla Casa»), cioè del primo grattacielo della storia.
Per ricordare che la metropoli fu sede del così definito «Grande Incendio», nella bandiera del municipio è stata inserita una stella.
Come accennato più sopra, l’incendio di Chicago ha fatto passare in secondo piano quello scoppiato a Peshtigo nel Wisconsin, lo stesso 8 ottobre 1871, a tal punto che non furono molti coloro che ne vennero a conoscenza. L’incendio di Peshtigo, di cui rimase ignota la causa della sua accensione, prese il via nella notte della domenica e si estese rapidamente, attaccando e divorando tutto quanto di combustibile trovava sul suo cammino. Fu tutto un fuggi fuggi generale da parte delle madri, che tentavano di portare i loro rampolli, svegliati di soprassalto, in zone sicure, mentre i mariti si davano da fare per tentare (operazione dimostratasi, purtroppo, sprecata) di fermarlo e possibilmente spegnerlo, improvvisandosi pompieri. Ma tantissime persone, terrorizzate, scappavano a gambe levate il più lontano possibile nel disperato tentativo di sfuggire alla furia delle fiamme.
In quel periodo, la cittadina con circa 1.700 abitanti era in grande espansione, favorita da un fiorente commercio di legname, che era abbattuto e lavorato direttamente nelle foreste che la circondavano, nelle vicinanze del Lago Michigan. Laggiù, a partire dal 1780, c’erano possibilità di lavoro per tanti immigrati, che erano fuggiti dalla miseria dominante in diversi Paesi Europei. Infatti, la sua crescita avveniva con l’appoggio della città di Chicago, che distava 250 chilometri, per la commercializzazione del legname; questo fu una fonte di ricchezza per entrambe le città, ma pure la rovina per loro e per i dintorni delle stesse.
Così, le due città, nella notte della domenica 8 ottobre 1781, furono colpite dalla resa dei conti della loro imprevidenza in merito alla salvaguardia, possibile solo osservando precise e drastiche norme di sicurezza. E pure a Peshtigo l’incendio divampò all’improvviso, senza offrire nessuna possibilità del suo spegnimento. La diffusione delle fiamme fu favorita dalle condizioni ambientali caratterizzate da tempo secco e da vento teso e non c’è da meravigliarsi se, una volta appiccato, il fuoco abbia potuto espandersi praticamente senza incontrare ostacolo alcuno. Invero, l’incendio trovò l’ideale nella natura dei materiali usati nelle varie strutture: gli scarti di lavorazione erano ammucchiati e dispersi senza il minimo ordine preventivo in varie parti del territorio, le abitazioni erano completamente costruite in legno, in legno erano pure i marciapiedi e le pavimentazioni stradali erano addirittura in trucioli di legno. Insomma, con il senno di poi, si potrebbe dire che si trattava di un invito, logicamente involontario, da parte della comunità di Peshtigo (assolutamente ignara e disgraziatamente imprevidente) al Dio Fuoco a farsi in quattro per divorare tutto il ben di Dio che aveva a disposizione: e il fuoco, come fu dimostrato, non disdegnò l’abbondanza delle possibilità che gli venivano offerte.
La sua espansione fu tanto repentina che tantissimi abitanti non ebbero nemmeno il tempo di uscire in strada per mettersi al sicuro. I più fortunati riuscirono a raggiungere il Peshtigo River, il fiume che divide in due la città, e tentarono di passare dall’altra parte: qualcuno ce la fece, altri annegarono per incapacità di nuotare o per ipotermia; si racconta, fra l’altro, che insieme con le persone non mancarono cavalli e mucche che pure loro si gettarono nel fiume nella speranza di salvarsi. Ogni pozza d’acqua di una certa consistenza e ogni bacino di raccolta idrica fu occupato da abitanti in fuga dalle fiamme. Ma purtroppo le opportunità di salvare la vita erano al lumicino: con il vento che viaggiava a una velocità attorno ai 100 chilometri all’ora e più, e su un fronte di fiamme alto diverse decine di metri e largo da 7 a 8 chilometri, accompagnato da una nube di fumo misto a cenere, il fuoco riuscì a superare il fiume, attaccò anche l’altra parte della città e continuò distruggere tutto quanto incontrava sulla sua strada. Giunse pure alla vicina «Green Bay» («Baia Verde») e lasciò il segno nella Penisola di Porta. Coloro che ebbero la fortuna di salvare la vita testimoniarono che l’incendio aveva generato un tornado che si accanì contro vagoni ferroviari e abitazioni facendoli rotolare via.
Il fuoco continuò la sua devastazione per tutta la notte e il territorio che si presentò agli occhi degli astanti, dopo il suo spegnimento, formava un disordine infernale e non dava l’impressione che fino al giorno prima lì ci fossero stati centinaia di abitazioni e di edifici pubblici. Invero, un giornalista in un suo articolo scrisse che «nell’area non c’è traccia di abitazioni umane; il territorio è una landa desolata, in cui solamente a fatica si riesce a riconoscere dove prima esistevano strade».
Le vittime in città furono quantificate fra 500 e 800, alle quali si aggiunsero quelle delle pianure che furono fra 1.300 e 2.400; i numeri ballerini si devono al fatto che anche gli uffici anagrafici andarono in cenere, portando con sé tutti i documenti relativi, per cui non fu possibile fare un esatto bilancio delle vittime.
Non si sa nulla sulla causa dello scoppio di quel maledetto incendio. Non mancarono coloro che ritennero ci sia stato un intervento alieno o di comete, comunque fu ribadito nelle sedi competenti che, pur essendo il periodo secco particolarmente favorevole allo scoppio di incendi, non mancò l’incuria da parte delle autorità cittadine, oltretutto lasciando l’ambiente in condizioni che peggiori non potevano essere, giacché non fu fatto quanto sarebbe stato necessario al fine di evitare il compiersi di quell’immane tragedia.
La cittadina è stata ricostruita e attualmente ha attorno ai 3.500 abitanti. Il «Peshtigo Fire Museum» («Museo dell’Incendio di Peshtigo») raccoglie oggetti e un memoriale che ricordano la triste vicenda.
Che ci sia stata una coincidenza temporale fra l’incendio di Peshtigo e quello di Chicago (e quelli delle località ricordate più sopra) è da ritenersi casuale, favoriti tutti da condizioni ambientali ottimali (tempo asciutto e vento), ma senza connessioni di sorta. Il fatto che l’incendio di Chicago abbia avuto una risonanza mondiale fu dovuto alla notorietà della grande città, che ha messo la cittadina di Peshtigo in un angolo, tanto che la sua tragedia passò alla storia come il «fuoco dimenticato» di Peshtigo. Ma non sarebbe corretto dimenticare l’enorme differenza fra i numeri delle vittime degli incendi delle due località.