Diplomacy
Kissinger e la diplomazia internazionale.
Imperi a confronto
Chi all’Università, come me ormai qualche decennio fa, ha dato esami essenziali nelle dinamiche politiche come storia delle relazioni internazionali e diplomazia, conosce bene il volume di Henry Kissinger intitolato appunto Diplomacy.
Henry Kissinger, nato Heinz Alfred Kissinger in Germania (era un Ebreo Tedesco) nel 1923 e deceduto a Kent nel 2023, aveva conosciuto gli orrori della Germania nazista. Bavarese, lasciò la Germania nel 1938 per le persecuzioni naziste, trovando con la sua famiglia prima riparo a Londra, poi grazie ad alcuni parenti a New York. Fu lì che cambiò il suo nome in Henry e fu studente brillante. Col fratello si arruolò nell’esercito americano dopo aver ottenuto la cittadinanza nel 1943 e divenne un traduttore dal tedesco in un organismo del controspionaggio. Nel dopoguerra collaborò nella scuola dei servizi segreti del comando europeo dove collaborava con gli ufficiali per dare la caccia ai nazisti fuggiti. Dopo la guerra, Kissinger non rimase nella scuola ma portò a termine a Harvard gli studi interrotti. Una tesi su Pace, Legittimità ed Equilibrio e uno Studio sulla statistica di personaggi come Castlereagh e Metternich. Lavorò a Harvard con incarichi minori.
Fu grazie a Rockfeller che cominciò una proficua consulenza per gli affari esteri del Presidente Eisenhower (Kissinger fu sempre repubblicano) e mantenne lo stesso incarico per Presidenti successivi come Kennedy, Johnson, Nixon e Ford.
Con Nixon ebbe un ruolo strategico particolare nonostante fosse stato contro di lui nelle precedenti Presidenze. Come Nixon era pragmatico, aveva amore per il potere, cinismo e li univa una stima non priva di diffidenza. Questo raccontano le cronache.
Non sono certamente qui per elogiare Kissinger. Sono personaggi molto lontani dalle dinamiche europee e ancor più italiane, lui e i Presidenti Americani citati. Gli Stati Uniti, sia sul fronte democratico che repubblicano, hanno, per dirla con Francois Furet, abbracciato l’idea di popolo borghese, dedito al «business» e a una visione della vita sociale estremamente pragmatica. In Europa, sempre parafrasando Furet, non si ha un popolo borghese che si riconosce in uno Stato ma una classe, quella borghese, scissa in senso ideologico dal resto della popolazione europea che non appartiene a questa classe. Le ideologie in Europa governano l’Idea. L’Europa, a differenza degli Stati Uniti, dovrebbe provare nuovamente ad abbracciare le idee. Prima delle ideologie. Non si tratta di una disquisizione filosofica, tutt’altro.
Kissinger, per quanto Ebreo, preferì sempre definirsi prima un Americano, poi un nixoniano e in ultimo un Ebreo. Il popolo borghese anche con lui riconosceva se stesso.
Se il cinismo della sua Diplomacy portò gli Stati Uniti a determinare il golpe del 1973 nel Cile di Allende, creò in Medio Oriente un disimpegno nel tentativo di allontanare il Medio Oriente dalla sfera d’influenza sovietica. Pragmatico e sempre attento a favorire la normalizzazione tra Israele e i Paesi Arabi vicini per tutelare gli interessi energetici e di sicurezza di Washington. Sin qui nulla di nuovo sotto il sole ma se osserviamo la realtà degli ultimi anni ci accorgiamo che il ruolo diplomatico, per quanto annacquato e talvolta retorico, è stato sostituito con modalità marcatamente belliciste. Adesso gli Stati Uniti vogliono addirittura allontanare i Palestinesi, presupponiamo come provocazione, dalle loro terre per racconti più o meno commerciali. Gli Stati Uniti, ieri come oggi non stupiscono. Sono nati come Impero. Washington, il primo Presidente Generale, incarnava modelli vicini alla sfera anglosassone che vedeva nella Gran Bretagna di allora un vero Impero commerciale in tutto il globo. Fino alla Guerra di Secessione gli Stati Uniti rimasero essenzialmente rurali, anche se già molto potenti e all’avanguardia, e con l’accelerata industriale successiva a tale conflitto, l’unico davvero giocato sul loro territorio come guerra civile, divennero il Paese della Lobby delle Armi, dei traffici petroliferi, del terziario avanzato. Gli Stati Uniti da allora in poi conobbero sempre prosperità. Oggi devono fare i conti con una globalizzazione che affossa questa loro volontà accentratrice e il Protezionismo, anche se assolutamente in maniera errata in un contesto globalizzato, diviene per taluni una meta da seguire, direi più ideologica adesso rispetto al passato, che costruttiva.
Ma io mi soffermerei su chi Impero non è mai stato, ossia l’Europa.
Schiacciata (anche la Gran Bretagna vista la sua collocazione ormai lontana da mete intercontinentali) tra gli Stati Uniti, che appunto con la diplomazia e con le armi insieme hanno dominato, e l’ex Unione Sovietica, di fatto di stampo zarista ieri come oggi.
Sorretta l’Europa fino a ora dagli Stati Uniti, sul piano militare.
L’Europa non è un Impero, ma ancora un’accozzaglia di Stati. I tentativi di utilizzare principi guida democratici e diplomatici ne hanno fatto, nonostante le difficoltà esposte, un faro, almeno fino agli anni Ottanta del XX secolo. Poi il vuoto. Paradossalmente, la caduta del Muro di Berlino ha generato una moneta comune ma non una politica comune. Perché in Europa c’è una classe borghese ma non un popolo borghese. La borghesia europea propone guerre, a rimorchio degli Stati Uniti.
Questo purtroppo accadeva anche in tempi di guerra fredda, basti pensare al celebre film di Sordi Finché c’è guerra c’è speranza, dove l’esportazione di armi in Africa faceva da sottofondo a ipocrisie di ogni genere. Industria delle armi altrettanto lobbistica rispetto a quella americana ma più frazionata, mal distribuita. Non abbiamo un esercito comune perché non siamo popolo ma classi, direbbe Francois Furet. E poi siamo certi che una politica così detta difensiva gioverebbe a un sistema di Stati come quello europeo? I principi che hanno governato l’Europa Occidentale del dopoguerra, quella della Ceca e del Benelux, erano essenzialmente legati a principi anti bellicisti, almeno sulla carta. L’Italia nella sua Costituzione ripudia la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali. Solo la Francia ha mantenuto un apparato militare di tutto rispetto, dettato dalla difesa dei suoi interessi coloniali, dentro e fuori dal territorio francese. In tutti questi anni, a partire dalla caduta del Muro di Berlino, l’Europa si è dissociata da condotte belliciste volte alla realizzazione di un esercito comune. Non solo c’era la Nato ben strutturata ed efficiente, ma una precisa volontà di espandersi economicamente salvaguardando le basi sociali dell’Europa. Perché sì, la borghesia qui, in Europa, non è popolo, ma il popolo in un contesto democratico aveva trovato accoglienza nella tutela dell’istruzione e della salute per tutti, principi guida del panorama europeo occidentale.
Adesso di fatto l’Europa, idealmente conscia del pericolo russo, pericolo peraltro sempre presente a partire dalla caduta del Muro, col disimpegno americano per ragioni essenzialmente economiche, tenterebbe di alzare l’asticella a detrimento dei valori sociali. Sentiamo nuovamente parlare di guerra, di leva obbligatoria, di poveri «Cristi» pronti ad andare potenzialmente a combattere in seguito a un attacco nemico. L’Europa non solo non è mai diventata Impero ma non ha mosso un passo dalle strategie del passato che tanto riecheggiano i fatti del dopo Prima Guerra Mondiale. Più che di corsi e di ricorsi storici, parlerei di mancanza di strategia, di pressappochismo, di mancanza di idee e di una valanga di ideologie. Mai seppellite in Europa, nonostante si voglia ai più far credere il contrario. Nessuno qui casca dal pero, semplicemente è mancata una visione d’insieme, una onestà intellettuale che avrebbe quanto meno dovuto farsi promotrice, e ciò era poco probabile vista questa borghesia ideologica, di velleità democratiche, quelle autentiche, mai davvero inseguite nel corso del tempo. L’Unione Sovietica prima e la Russia adesso inseguono quanto mai hanno dimenticato, sia in Patria che fuori. Nulla è davvero cambiato né qui, né paradossalmente altrove. Una «escalation», la nostra, non costruttiva e priva di diplomazia.