Berta Isabel Càceres
Una paladina dei diritti umani

La Repubblica dell’Honduras è uno Stato dell’America Centrale che si trova fra l’Oceano Pacifico e l’Oceano Atlantico. Prima di essere occupato dagli Spagnoli, fu abitato da popoli precolombiani fra cui i Maya. Dopo essersi liberato dal giogo spagnolo nel 1821, l’Honduras ha sempre mantenuto un regime a carattere repubblicano presidenziale. Purtroppo, però, è un Paese che ha un tasso altissimo di criminalità, particolarmente legata alla produzione e al commercio della droga, costellato da un esagerato numero di omicidi, statisticamente valutato in 169 per 100.000 abitanti. Socialmente, è uno Stato povero, con la sua gente in stato di estrema indigenza. Tutto questo sintetizza ciò che è quel piccolo Stato Centroamericano.

In quel Paese, dove la violenza è di casa, nacque Berta Isabel Càceres Flores il 4 marzo, ma non si sa se del 1971, del 1972 o del 1973. La sua giovinezza trascorse in un ambiente in cui la violenza era di casa e seguì le orme della madre, Berta Flores, un’ostetrica originaria di El Salvador, piccolo Stato confinante con l’Honduras, che si dedicò intensamente al sociale. Studiò presso l’Università, dove ottenne l’abilitazione all’insegnamento e, nel 1993, fondò, insieme con altri, un’organizzazione, denominata «Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras» (COPINH – «Consiglio delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras»), che aveva il plurimo scopo di proteggere i diritti degli indigeni dello Stato, in particolare dei Lenca, di migliorare le loro condizioni di vita e di salvaguardare l’ambiente del Dipartimento di Intibucà.

Già da tempo era stato approvato il progetto per la costruzione di una diga sul Rio Gualcarque, nella parte Nord Occidentale del Paese, necessaria per creare una raccolta di acqua indispensabile per far funzionare la centrale elettrica Agua Zarca, progettata e in fase di realizzazione. La diga, oltre a devastare l’ecosistema, avrebbe messo in difficoltà la sopravvivenza delle circa 600 famiglie di abitanti di Rio Blanco, una piccola comunità che abitava nella foresta pluviale sita ad alta quota fra i dipartimenti di Santa Barbara e Intibucà, perché l’unica fonte di approvvigionamento di acqua era proprio il Rio Gualcarque. Ebbene, quella diga non si doveva fare, per il bene della comunità. Il Governo ne aveva autorizzato la costruzione, indipendentemente dal contenuto della Convenzione del 1989, secondo la quale i popoli indigeni hanno diritto all’autodeterminazione: infatti, per i Lenca, si insisteva sul fatto che il fiume, oltre che indispensabile per la loro sopravvivenza, era sacro e non si doveva intervenire per sfruttarlo per altri scopi. Di tutto questo essi erano all’oscuro e, nel 2006, una loro delegazione si recò dalla Càceres per comunicarle che nella loro zona c’era un certo movimento di gente non del luogo e che aveva fatto tutta una serie di accertamenti e di analisi sul suolo, senza nemmeno preoccuparsi di comunicare ai locali le ragioni di quella accurata ispezione. Questa manovra aveva sollevato parecchie e giustificate preoccupazioni.

Berta, immediatamente coinvolta nella faccenda, venne a sapere che era stata fatta un’associazione fra le compagnie «International Finance Corporation», la cinese «Sinohydro» (la più grande costruttrice di dighe del mondo) e la «Desarollos Energéticos» (DESA) allo scopo di costruire, insieme, una serie di dighe idroelettriche, che avrebbero tagliato il corso del fiume Gualcarque, e che l’intervento era stato autorizzato dal Governo senza chiedere che cosa ne pensassero gli indigeni e senza pensare per un attimo se ciò avrebbe causato loro danni gravi e irrecuperabili; questa fu una scelta grave, in netto contrasto con la citata Convenzione del 1989: per i Lenca si trattava di un grosso problema perché – non sembra ozioso ribadirlo – quel fiume era l’unica fonte di approvvigionamento di acqua indispensabile per le loro necessità.

Berta, con la sua battaglia per impedire la costruzione della diga idroelettrica, si mise in una situazione di pericolo, come ebbe a confidare ai suoi figli, affermando che si sentiva continuamente minacciata da un gruppo di sicari che andavano in giro chiedendo notizie su di lei e su di loro.

Ma l’interessamento della Càceres era orientata anche verso altri obiettivi, quali la lotta contro la rovinosa deforestazione, i calpestati diritti dei contadini sulla terra coltivabile, la concessione di grandi aree da parte del Governo a basi statunitensi con notevole perdita di suolo coltivabile; e, fra l’altro, si batté a spada tratta contro il femminismo estremista e altri problemi che rendevano difficile la vita degli indigeni. La DESA, invece, non mollò e, per buttare un po’ di fumo negli occhi degli indigeni, cambiò il punto dove avrebbe dovuto essere eretta la diga o, molto vagamente, le dighe.

A partire dal 2006 la Càceres organizzò una campagna contro quella costruzione, tanto da essere più volte soggetta a minacce da parte dei militari.

A partire dal 2013, Berta guidò il COPINH e i locali nelle proteste e impedendo di procedere alle compagnie che avevano l’incarico di costruire le dighe. Durante una di quelle manifestazioni, il 15 luglio 2013, ci fu una sparatoria da parte di militari contro i manifestanti, che si concluse con il ferimento di tre membri del COPINH e l’assassinio di uno di loro. Santa Barbara e Intibucà, perché l’unica fonte di approvvigionamento di acqua era proprio il Rio Gualcarque e non si sa se fossero seccati per le proteste o rinsaviti, stanchi delle divergenze si ritirarono. L’anno successivo, stando a quanto riportato da organizzazioni non governative, i morti durante le manifestazioni contro la diga e l’apertura di miniere, sempre a sfavore delle popolazioni locali, furono 12. Nel maggio 2014, in due diversi scontri, ci furono tre feriti e due morti.

Alcuni documenti relativi a fatti del 2014 e resi noti nel 2016, riportano quanto sia il Governo Honduregno sia la società DESA fossero indignati per le proteste sollevate contro di loro dalla Càceres e dai suoi compagni e che li ritenessero anarchici che violentemente atterrivano la popolazione con ingiustificate motivazioni, aggiungendo che erano usurpatori e dannosi alla Nazione, di cui volevano minare le fondamenta democratiche. Questa forma di resistenza prestata da Berta e dai locali contrariava assai il Governo, la cui reazione fu fermamente disapprovata da Amnesty International. Malgrado ciò, i maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine e le minacce non difettavano.

L’impegno di Berta fu veramente notevole, avviando diverse campagne su tantissimi problemi che riguardavano l’ambiente: la deforestazione senza limiti e al di fuori della legge, il suolo occupato da basi degli USA sul terreno dei Leuca e le proprietà terriere furono i temi maggiormente propalati. Inoltre si mise in difesa delle donne e dei loro diritti. Insomma, era un personaggio scomodo per il Governo Honduregno, che non pensò due volte ad accusarla di terrorismo, ad arrestarla e a starle sempre addosso.

Come si vede, Berta era al centro delle attenzioni minacciose da parte dei potenti e ciò a tal punto che, il 28 giugno 2009, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani sentì il dovere di includerla nell’elenco delle persone ritenute in pericolo di vita, in occasione del colpo di Stato Honduregno, e il giorno successivo la stessa Commissione, venuta a sapere che l’abitazione della Càceres era stata circondata da un gruppo di militari, avanzò la richiesta affinché si provvedesse a proteggerla. Che lei si sentisse in pericolo non c’è nemmeno un momento per dubitarne, come del resto ebbe a dichiarare nel 2013 ad Al Jazeera che 18 persone erano nella lista dei difensori dei diritti umani, dove lei risultava essere al primo posto; affermò che si sentiva in un pericolo costante, ma che comunque non avrebbe mai mollato. E, naturalmente, per il Governo e per la DESA lei continuava a essere un pericolo pubblico.

Del resto, ella stessa sapeva di essere nel mirino di qualcuno, anche perché era soggetta all’invio di messaggi che erano inquietanti; questo fu riferito da Berta alla sorella Augustina, dicendo che era vittima di continue molestie e che si sentiva strettamente controllata: insomma, confidò che sentiva la sua vita in estremo pericolo.

Ma alla fine, chi riteneva che Berta fosse un elemento da eliminare vide avverarsi il suo sogno. Infatti, nella notte fra il 2 e il 3 marzo 2016, alcuni uomini armati si presentarono alla sua abitazione, «La Esperanza», sita a circa 200 chilometri da Tegucigalpa, entrarono con la forza e, senza tanti scrupoli, le scaricarono addosso le loro pistole.

In quel momento, nella casa di Berta era ospite l’attivista ambientale messicano Gustavo Soto, che era giunto il giorno precedente per discutere con lei il problema idroelettrico. A lui, tutto sommato, l’aggressione finì meglio di quanto poteva accadere, giacché restò ferito da due colpi di pistola, uno a una mano e l’altro al volto, ma in maniera leggera.

Quello stesso 3 marzo, il Governo procedette a effettuare l’autopsia sul corpo della Càceres e ad aprire un’inchiesta con l’attivazione dell’«Unità per Crimini Violenti» («Unidad de Delitos Violentos»), che collaborava con gli Stati Uniti. Quel giorno fu arrestato un appartenente al COPINH, Aureliano Molina Villanueva, ma in mancanza di prove fu subito rilasciato; lo stesso avvenne per la guardia di sicurezza José Ismael Lemus, che il 5 marzo venne ugualmente arrestato e rilasciato. Inoltre, la Corte stabilì che Castro e Ismael non potevano uscire dallo Stato fino a quando le indagini non fossero giunte al termine.

Secondo la Commissione Interamericana dei Diritti Umani, la Càceres doveva essere tenuta sotto protezione, mentre, al contrario, nessuno era presente quando sarebbe stato necessario. Fu sollevata una scusante che lasciò l’amaro in bocca: la donna aveva cambiato casa, senza renderlo noto a nessuno (bah!).

Il Governo arrestò, il 16 maggio 2016, quattro persone: un funzionario della DESA, un dipendente della società di sicurezza assunta dalla DESA, un comandante dell’esercito e un capitano in pensione: questa operazione si meritò l’applauso dell’Ambasciatore Statunitense.

La Càceres lasciò quattro figli che, per la loro sicurezza, aveva fatto espatriare in Argentina, e l’ex marito, Salvador Zúñiga. Dei figli, la venticinquenne Berta Isabel Càceres Zúñiga dichiarò chiaramente che i responsabili della morte della madre erano i dirigenti della compagnia che aveva l’incarico di costruire le dighe, aggiungendo che è facile, per chi dispone di potere e denaro, ottenere tutto quanto desideri.

La notizia dell’uccisione della donna fece il giro del mondo, sollevando in tutti stupore e indignazione. Ci fu la presa di posizione dell’Ambasciatore Statunitense in Honduras e dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani, che hanno sollecitato l’apertura di un’inchiesta e di indagini da parte dell’Organizzazione degli Stati Americani. Il Presidente dell’Honduras, Juan Orlando Hernàndez, dichiarò che si sarebbe fatta chiarezza sulla morte della Càceres e il Segretario Generale dell’OAS insistette sulla necessità di proteggere i difensori dei diritti umani in Honduras.

Furono molti i personaggi in vista del mondo intero di allora a esprimere il loro disappunto per quanto era avvenuto in quel Paese. Ci furono pure studenti locali che organizzarono manifestazioni contro quanto si era verificato, ma non mancarono dimostrazioni contro quell’atto di violenza a Bogotà e in Europa, a Vienna, Berlino, Barcellona.

Coloro che uccisero la Càceres e ferirono Gustavo Castro furono individuati e quindi processati dal Tribunale di Tegucigalpa; la sentenza del 2 dicembre 2019 fu la condanna dei quattro assassini, Elvin Rápalo, Óscar Torres, Edilson Duarte e Henry Javier Hernández, a 34 anni di reclusione per l’uccisione della Càceres, ai quali si aggiunsero altri 14 anni per il tentato omicidio di Castro.

Tutto sommato, questa sentenza fu un atto significativo in un Stato dove i diritti umani finiscono spesso sotto i piedi; però l’amaro in bocca rimase, perché i mandanti di quel delitto non furono mai individuati con certezza, anche se sembra assodato che il mandante non fosse altri che il Presidente della società che era intenzionata a sfruttare l’acqua del fiume per far funzionare le dighe idroelettriche.

(novembre 2025)

Tag: Mario Zaniboni, Berta Isabel Càceres, Honduras, COPINH, Santa Barbara, Intibucà, Rio Gualcarque, Lenca, International Finance Corporation, Sinohydro, Desarollos Energéticos, DESA, Amnesty International, La Esperanza, Unidad de Delitos Violentos.