L’America Latina «fasciocomunista»
Suggestioni nazionaliste e socialiste
insieme hanno dominato a lungo il continente sudamericano
Secondo una vasta letteratura in particolare di tipo marxista, la storia dell’America Latina sarebbe stata condizionata pesantemente dai conservatori e dalla oligarchia dei proprietari terrieri. In una situazione di quasi anarchia come quella vissuta dal continente nella prima metà dell’Ottocento, naturalmente il ruolo sociale ed economico dei proprietari terrieri risultava superiore a quello delle classi urbane, ma una simile affermazione è comunque riduttiva, in America Latina i protagonisti della politica sono stati molto numerosi, con movimenti politici molto variegati, all’interno dei quali risultavano numerosi quelli appartenenti alla Sinistra. La stessa letteratura parlava del continente latino americano come di un terreno di conquista da parte del capitalismo nord americano, in realtà dagli anni Trenta sono prevalsi Governi che hanno attuato restrizioni allo scambio con l’estero (ma anche pesanti vessazioni verso gli investitori stranieri) e imposto una gestione statale dell’economia. In generale i Governi «rivoluzionari» che si sono impegnati nella lotta al capitalismo, hanno invece trascurato la questione delle basse retribuzioni del lavoro che costituiva un problema grave per il continente.
La storia dell’America Latina si dimostrò estremamente diversa da quella nord americana. Fin dalle origini vide un gran numero di conflitti territoriali, di guerre civili (soprattutto fra centro e regioni periferiche), di dittature, di totale mancanza di legalità e di banditismo. Anche nei periodi relativamente meno agitati non mancarono bancarotte di Stato e ondate di inflazione galoppante. Inutile dire che in una situazione del genere, il potere dei capi militari (i «caudillos»), personaggi per lo più anonimi e senza alcun connotato politico, fu sia a livello locale che centrale assolutamente determinante. Nella regione andina dalla Bolivia al Venezuela il susseguirsi di colpi di Stato militari nell’Ottocento fu praticamente continuo e incessante. Il continente sebbene potenzialmente molto ricco dilapidò le sue risorse nei durissimi contrasti interni.
I moti per l’indipendenza del 1810 vennero capeggiati nel Sud dal moderato José Martin, nel Nord da Simon Bolivar che si ispirava in qualche modo alla figura di Robespierre e si impose come dittatore anche nei confronti dei Paesi che non accettavano la preponderanza venezuelana e colombiana. Nel Messico si ebbero i movimenti estremisti religiosi di Padre Miguel Hidalgo, responsabile di un massacro di creoli e di Padre José Maria Morelos che provocò una vasta e disordinata rivolta di indigeni. In Uruguay operava José Artigas che combatté gli Argentini e promosse una vasta espropriazione di terreni a favore dei non creoli.
Negli anni immediatamente successivi all’indipendenza l’Argentina precipitò nella guerra civile fra unitari e federalisti, nel 1829 si affermò il potere di Rosas, grande proprietario terriero contrario al predominio di Buenos Aires, che autoproclamatosi «tiranno unto dal Signore per la salvezza della patria» con il sostegno delle masse contadine organizzate in una milizia che terrorizzava il Paese, impose la sua dittatura sanguinaria. Un’analoga situazione si ebbe in Venezuela dove i gauchos meticci minacciavano costantemente le istituzioni cittadine. Mentre nel piccolo Stato del Paraguay si ebbero dittatori con spiccate tendenze alla megalomania. Diversamente da quanto è stato scritto, non sempre le classi superiori corrispondevano ai creoli e quelle popolari agli indios. Uno dei maggiori capi di governo messicani, l’avvocato Benito Juarez era indio, mentre il successore Porfirio Diaz era meticcio.
Il Paese dove si aveva maggiore legalità e maggiore rispetto dei diritti umani era oltre al Cile, il monarchico Brasile, ma anche qui una volta eliminata la Corona nel 1889 prevalsero le lotte violente di potere. Nella seconda metà dell’Ottocento gli Stati Latino Americani comunque iniziarono a stabilizzarsi, grazie ai Governi liberali e federalisti, si ebbe una maggiore legalità che favorì anche gli investimenti (ferrovie e nuove produzioni agricole) e la crescita economica. In particolare in Argentina e Uruguay si ebbe un boom economico che favorì una notevole immigrazione dall’Europa. In Messico dopo il periodo dei movimenti contadini messianici si ebbe il Governo del Generale Porfirio Diaz che sebbene autoritario favorì l’ordine pubblico e consentì uno sviluppo anche industriale del Paese.
Il periodo di sviluppo economico e di democratizzazione del continente venne interrotto nel 1910 da una brutale guerra civile in Messico. Contro il Governo di Diaz si schierò il liberale Madero che godeva del sostegno degli Stati Uniti. La sua vittoria fu breve, venne eliminato dal Generale Huerta mentre il Paese andava verso una rapida disgregazione. Da una parte operava Emiliano Zapata promotore di un collettivismo contadino, dall’altra il bandito Pancho Villa. Sconfitti i moderati, la rivoluzione assunse le caratteristiche di uno scontro all’interno dello schieramento di Sinistra, l’anticlericale violento Venustiano Carranza combatté Zapata e venne ucciso da Alvaro Obregon (ucciso successivamente da un oppositore) che oltre che come anticattolico fanatico si distinse per la politica di esproprio delle terre con metodi coercitivi. Successivamente il potere, sempre di tipo autoritario, passò a Elias Calles e Lazaro Cardenas vicini alle idee comuniste che procedettero ad una politica di estese nazionalizzazioni economiche che impoverirono il Paese. Le persecuzioni contro i Cattolici iniziate nel 1917, si accentuarono nel 1926 e provocarono vaste rivolte nel Paese.
I terribili eventi messicani non furono isolati, nel 1919 si ebbe in Argentina la cosiddetta «settimana tragica» con saccheggi nella capitale e il tentativo di socialisti e anarchici di costituire soviet per imporre il proprio potere contro un Governo noto per le sue grandi riforme democratiche, quello del radicale Irigoyen. Anche nel resto del continente si diffusero movimenti anarchici e marxisti. In particolare si ebbe negli anni Venti in Perù il cosiddetto comunismo incaico ad opera di José Mariategui, e quello che può essere considerato il primo partito populista latino americano, l’Alleanza Popolare Rivoluzionaria Americana, ad opera di Haya de la Torre, che ispirò altri gruppi politici che coniugavano nazionalismo antiamericanista e socialismo. Il nuovo partito peruviano ebbe un grande peso elettorale negli anni successivi, il suo leader venne considerato un idolo dalle masse contadine indigene ma governò solo indirettamente in coalizioni di partiti, e nel corso del tempo rivide in senso moderato le sue posizioni.
L’antiamericanismo, il nazionalismo e il populismo, una versione moderata del socialismo, divennero elementi importanti della politica sud americana. Gli Stati Uniti avevano costantemente promosso la cooperazione e una politica di forti investimenti produttivi, ma negli apparati propagandistici dei populisti vennero rappresentati come una minaccia per galvanizzare le masse scontente. Una definizione esatta del populismo forse non è possibile, elementi fondamentali furono comunque l’avversione per le classi superiori, la demagogia, la mobilitazione delle masse, il ricorso massiccio alla spesa pubblica e la leadership carismatica. I Governi populisti misero fine allo sviluppo economico dei rispettivi Paesi e limitarono la democrazia anche se non arrivarono agli eccessi tipici dei Governi marxisti.
Il Brasile dopo la caduta della monarchia venne governato dai produttori di latte e di caffè delle regioni più ricche del Paese, non mancarono le agitazioni sociali, ma più consistenti furono quelle dei cosiddetti «tenentes», ufficiali di basso grado animati da ideali radicali e nazionalisti, fra i quali quello di maggiore rilevanza, il comandante comunista Luis Carlos Prestes, promotore di una epica marcia attraverso il grande Paese. Nel 1930 anche a causa della crisi del ’29, scoppiò una rivolta contro i politici tradizionali, che con il sostegno dei tenentes portò al potere il leader dei gauchos Getulio Vargas. Il nuovo Governo si impegnò soprattutto nel drastico ridimensionamento del sistema federale e nell’intervento dello Stato nella gestione dell’economia. Formalmente la democrazia non era abrogata, finché nel 1937 dopo alcune rivolte capeggiate dalla estrema Destra e dalla Sinistra comunista, vennero eliminati i partiti e imposto il cosiddetto Estado Novo sul modello fascista italiano. La nuova costituzione prevedeva maggiori poteri presidenziali, un sistema corporativo, importanti riforme sociali e insieme una gestione di Stato dell’industria. Anche grazie a grandi apparati propagandistici la svolta ebbe l’appoggio entusiastico degli operai delle grandi città e una diffusione di un culto della personalità che vedeva in Vargas il «padre dei poveri». Non si ebbero tendenze estremiste né grandi persecuzioni, nel 1945 comunque un certo avvicinamento di Vargas ai comunisti spinse i militari alla ribellione, ma nel 1950 il vecchio leader si ripresentò alle elezioni come capo del Partito Socialdemocratico riportando un notevole successo. Tale successo fu effimero, la pianificazione economica e la spesa pubblica eccessiva provocarono un’ondata di inflazione, travolto dagli scandali nel 1954 Vargas morì suicida. I suoi successori, spostatisi ulteriormente a Sinistra, continuarono la politica statalista che influì negativamente sullo sviluppo economico del Paese.
Nella piccola Repubblica Dominicana si ebbe nello stesso periodo l’affermazione di un dittatore populista dalle umili origini, Rafael Trujillo. Il suo Governo fu decisamente più violento e più corrotto, ma anch’esso stimolò la crescita industriale, grandi lavori pubblici, promosse alcune misure a favore della popolazione povera, insieme all’esaltazione propagandistica della sua persona (chiamata dalla stampa «El Benefactor»). Nel corso del lungo regime si pose duramente in contrasto con gli Stati Uniti e gli altri Paesi Americani, finché nel 1960 (alcuni sostengono su istigazione della Cia) venne assassinato. Un altro personaggio che si gratificava di essere un uomo del popolo giunto al potere, fu il Cubano Fulgencio Batista. Governò per un certo periodo insieme al Partito Comunista, promosse la legislazione sociale, eliminò i rigidi vincoli commerciali con gli Stati Uniti, ma si astenne dall’antiamericanismo intransigente e da interventi duri nei confronti dell’economia. Venne rovesciato nel ’59 da Castro che in quel periodo, non ancora comunista, aveva militato nei cosiddetti gruppi di «pisteloros» radicali.
Negli anni Trenta il Messico era pacificato dopo il lungo periodo rivoluzionario che aveva provocato un elevato numero di morti, il potere era saldamente in mano ai socialisti che avevano monopolizzato l’apparato statale. In questo clima salì al potere un altro «padre dei poveri», «Tata» Lazaro Cardenas, che da una parte mise fine alle violenze contro i Cattolici, ma dall’altra impose un sistema economico autoritario. Vennero notevolmente inasprite le espropriazioni di terreni a favore di comunità di contadini (comunque soggette a controllo statale), nazionalizzate le grandi imprese (senza alcun indennizzo) e realizzato un sistema corporativo di controllo sulla società. «Por un Estado al servicio del pueblo» fu il principale slogan del regime, la mobilitazione delle masse divenne un elemento importante della politica anche se l’economia reale languiva e non mancavano le proteste.
Nel 1938 il Fronte Popolare comprendente socialisti, comunisti e radicali vinse le elezioni in Cile e diede l’avvio alla pianificazione economica e a diverse iniziative a favore delle classi povere, il Governo ebbe breve vita, ma condizionò le scelte economiche successive (nel ’64 la «cilenizzazione» del rame) e i partiti di Sinistra ritornarono più volte al potere. Più significativi furono gli eventi nella vicina Argentina, che risentì anch’essa della crisi del ’29. Nel 1930 ufficiali di tendenze nazionaliste simili a quelle dei tenentes brasiliani misero fine al Governo democratico di Irigoyen, avanzarono aperture nei confronti delle potenze dell’Asse e interesse verso la dottrina fascista. Seguì un periodo di potere civile militare con prevalenza di elementi conservatori, finché nel 1946 organizzazioni sindacali e partito laburista ottennero una importante vittoria alle elezioni con il Generale Juan Peron. La Confederazione Generale del Lavoro fu il principale sostegno del nuovo Governo, ma anche la Chiesa non fece mancare il suo aiuto. Vennero promossi grandi piani di edilizia popolare, di assistenza sanitaria, sul piano internazionale vi fu un tentativo di costituire un’associazione di Stati in contrasto con gli USA, mentre la stampa venne messa sotto controllo. Gli apparati propagandistici esaltavano la giustizia sociale e il sacrificio del singolo per il bene della collettività senza scadere comunque nell’estremismo e riconoscendo la validità della collaborazione di classe. Il ricorso alla mobilitazione delle masse fu l’elemento più caratteristico del Governo, alla quale contribuì in maniera determinante la moglie di Peron, Evita, impegnatissima a prestare soccorso alle famiglie indigenti e considerata dal popolo come una Santa. Gli organi di informazione esaltavano la dottrina giustizialista equidistante e lontana dal capitalismo e dal comunismo, ma il successo di tale corso non fu lungo, una improvvisa svolta in senso anticlericale di Peron lo portò in duro contrasto con la Chiesa, mentre l’economia dava segni di peggioramento. Le nazionalizzazioni dell’industria, le restrizioni al commercio con l’estero e la spesa pubblica eccessiva portarono ad una ondata di inflazione che rischiò di causare il crollo dello Stato, provocando l’intervento nel 1955 delle autorità militari. I successivi Governi civili e militari continuarono la politica di controllo statale dell’economia.
Anche nella arretrata Bolivia le tendenze nazionaliste socialiste ebbero il loro seguito. Nel 1936 i militari imposero un Governo che aumentò pesantemente la pressione fiscale verso i ceti abbienti e nazionalizzò gli impianti della Standard Oil of New Jersey presenti nel Paese, e vennero successivamente accusati di filonazismo. Nel 1952 il Movimento Nazional Rivoluzionario di Paz Estenssoro in precedenza filofascista, con il sostegno delle masse indigene proclamò la rivoluzione socialista, la nazionalizzazione delle miniere e promosse una politica di espropriazione delle terre. Nel 1964 un colpo di Stato militare impose un altro Governo rivoluzionario che venne combattuto dai guerriglieri altrettanto rivoluzionari di Che Guevara.
Avvenimenti simili si ebbero in Venezuela, una rivolta popolare nel 1945 portò a un Governo socialdemocratico presieduto da Romulo Betancourt, che aumentò il controllo statale su agricoltura e petrolio. Rovesciato nel 1948 dai militari, ritornò al potere (in coalizione con altri partiti) nel 1952 duramente osteggiato dai guerriglieri filocubani. Sempre nel ’45 un colpo di Stato militare portò al potere in Guatemala il colonnello Arbenz Guzman che fu protagonista di un vasto piano di espropri a danno soprattutto della United Fruit Company. Si avvicinò ai comunisti ma tale politica gli fu fatale, venne rovesciato da un altro gruppo di militari sostenuto dagli Stati Uniti, episodio spesso ricordato da coloro che sostengono la tesi di un’eccessiva invadenza di quel Paese.
Il richiamo al fascismo non ebbe più seguito negli anni successivi, comunque il nazionalismo socialista rimase vivo nel Paese. Nel 1968 in Perù il Generale Velasco Alvaredo rovesciò il Presidente Belaunde Terry di Azione Popolare, partito moderato di Sinistra, e impose la sua dittatura. Venne nazionalizzato il petrolio ma anche settori economici minori come la pesca ed espropriate molte terre anche contro gli interessi dei contadini. Seguì una politica estera attiva filocubana, acquistò ingenti armamenti dall’Unione Sovietica, ma venne deposto nel ’75 da un Generale del suo Governo. Nel 1970 il socialista Salvador Allende vinse le elezioni presidenziali in Cile in coalizione con altri partiti dell’estrema Sinistra. Oltre alle nazionalizzazioni di compagnie americane, in contrasto con il Parlamento il nuovo Governo si impegnò in espropri di terreni e aziende che portarono ad una grande fuga di capitali e al collasso dell’economia. Il Paese era sconvolto dalle proteste e dagli scioperi e si parlava della presenza di gruppi armati costituiti da agenti cubani. Nel ’73 in un clima di quasi guerra civile, Allende volle sostituire il capo di Stato Maggiore di tendenze moderate con il più estremista Generale Pinochet, tale iniziativa gli fu fatale e venne deposto al termine di drammatiche vicende.
Gli anni Sessanta e Settanta furono anni difficili per l’intero continente dove operavano movimenti guerriglieri rurali e urbani. Ad un certo punto si assistette a un forte spostamento a Sinistra della Chiesa Cattolica. I suoi appelli sulla questione della povertà diffusa potevano considerarsi validi, le sue proposte per migliorare la situazione con una semplice redistribuzione del reddito senza intervenire sul sistema economico produttivo carente e bloccato, risultavano invece piuttosto astratte. Il continente riprese il suo sviluppo economico e politico a metà degli anni Ottanta con il ritorno dei liberali al potere.