Uno scandalo mariano: Caravaggio e la Madonna
dei Pellegrini
Arte, concezioni religiose e sociali
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei Pellegrini, 1603-1605, Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio, Roma (Italia)
Anche le arti figurative possono essere – e sono – strumenti di comunicazione, e non solo di stati d’animo e sentimenti dell’artista, ma anche di concezioni religiose e sociali. È quanto mette in risalto la lettura critica di un dipinto di Caravaggio.
Agli inizi del Seicento, il ricco notaio bolognese Cavalletti affida al giovane pittore Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571-1610), il compito di dipingere un quadro mariano che doveva raffigurare la Madonna di Loreto.
L’opera doveva essere collocata nella cappella del Cavalletti, presso la chiesa romana di Sant’Agostino.
Questo lavoro (1603-1605), in apparenza di non difficile esecuzione, trova però nell’artista che deve eseguirlo (olio su tela; cm 240 x 150) un soggetto irregolare nella condotta ma geniale nell’intuizione.
Quando Caravaggio inizia a dipingere, decide – con quella rapidità tipica dei grandi artisti – di non raffigurare la Madonna nelle forme consuete per quel tempo (e anche per altri periodi).
La Vergine non è seduta su un trono. E comunque, non è in posizione «da regina». Non ha corona, non ha vesti preziose, ricamate con disegni simbolici. Non è raffigurata in un atteggiamento «da udienza». Non ha scettro. Non è in una nicchia d’onore. Tutto ciò colpisce subito i primi osservatori del dipinto i quali restano ancor più disorientati da un altro aspetto.
Caravaggio, infatti, opera una scelta radicale: la «sua» Madonna non solo non è posta in un contesto regale, «sovrastando» qualcuno, ma addirittura non è neanche circondata da mura che riconducano alla sacralità del luogo, all’intimità di un ambiente, alla stessa Santa Casa di Loreto (che nel corso del Cinquecento conosce un periodo di grande fasto, grazie soprattutto ai lavori di abbellimento finanziati dal Papa Marchigiano Sisto V e poi, agli inizi del Seicento, da Clemente VIII). No, in questo caso la Vergine «lascia» cori angelici, Santi e Beati, per affacciarsi sulla porta della chiesa. E quindi per vedere l’umanità nella dimensione quotidiana, nella storia che progredisce, nelle ombre, penombre e luci di una realtà creaturale segnata dal tentativo e dalla fatica. Dalle risate e dalle rughe. Dallo slancio del cuore e dalla cecità di pupille spente. Dalla vita e dalla morte.
Caravaggio, nel suo itinerare in più terre, e nel frequentare anche ambienti posti ai margini del tessuto sociale, conosce le fattezze di tanti volti umani, e i messaggi che queste esprimono.
Così, la «sua» Madonna non solo è capace di prendere il Bambino e di portarlo in ambienti poco illuminati, poco puliti, per certi aspetti anche «a rischio», ma addirittura di avvicinarlo alla gente del popolo, a chi, nei soli modi che conosce, esprime una devozione che è, contemporaneamente, afflato e fiducia totale.
Questa totalità di affidamento è segnata dalla scelta di inginocchiarsi e da quella di dialogare pregando con sguardi che, per la loro intensità, esprimono un modo che si manifesta anche esternamente ma che in realtà è profondamente «dentro» il cuore di questi due anziani fedeli.
Non c’è bisogno, in questa dinamica di «conversazioni», di «presentazioni», di «spiegazioni», di «suppliche» scritte in buon italiano. Anche perché il vero atteggiamento di fede non è quello che rimane in attesa del segno prodigioso, ma è quello a cui basta ripetere anche una sola esclamazione.
Nuda di bellezza letteraria, ma preziosa nell’amore.
Questo inginocchiare davanti alla Vergine e a Gesù Bambino non solo fisico, ma soprattutto una vita (rappresentata dall’età anziana), non è compreso da alcuni contemporanei di Caravaggio che si scandalizzano per dei dettagli messi bene in vista dal pittore: i piedi sporchi (fangosi) dell’uomo. E la cuffia sdrucita e sudicia della donna. La terra che ha reso «impresentabili» le estremità di questa povera gente è un elemento che viene letto solo in negativo.
La sporcizia è legata a povertà, questa all’inferiorità, questa a un ambiente ove torna la logica di un tragico «concentramento»… Tutto è motivo di biasimo: l’Immacolata non può essere avvicinata a gente sporca, forse anche maleodorante.
E poi quell’immagine di vergine sembra pure «stanca» (è appoggiata a uno stipite della porta).
Ma questa posizione di riprovazione di alcuni verso un pittore che ha «visto» quello che altri non sono riusciti a scorgere, appare preconcetta e comunque parziale alla luce di alcune rapide considerazioni:
1) il Caravaggio bolla il genere trionfalistico (esuberanza di gloria umana) per recuperare un principio di quotidianità. In tal senso si pone in sintonia con una visione religiosa dell’oggi, che attinge alla lezione storica dell’incarnazione;
2) questo pittore, poi, annulla una concezione statica della rappresentazione di vissuti soggettivi e sociali, per valorizzare la dinamica del rapporto interpersonale. In tal senso colpisce che non solo la Madonna è uscita dalla chiesa (segnata da povere mura), ma che, anzi, si protende con dolcezza verso due figli di Dio;
3) e, ancora, non è difficile affermare che in Michelangelo Merisi non è presente solo la volontà di realismo emergente dai volti e dai dettagli, ma – in più – si osserva il desiderio di esprimere da una parte la funzione materna di Maria e, dall’altra, la religiosità e l’umiltà di chi – in ginocchio e senza timore – fissa attentamente il volto del Signore.
È difficile, quindi, insistere su presunte tesi o versioni concettuali dell’artista devianti dall’insegnamento ecclesiale.
Piuttosto, è più facile recuperare in Caravaggio alcuni segni nascosti del suo animo, e una precisa convinzione di fede.
Nei segni nascosti emerge, a parere di chi scrive, un desiderio vibrante di pace (raggiungimento di un equilibrio interiore e assenza di tensioni dall’esterno), di tenerezza (manifestazione dell’intimo), e di immediata comprensione (superamento di ogni estraneità di giudizio).
Nel suo vissuto religioso, poi, permane una convinzione che si individua da una osservazione del contesto. La Madre di Dio è posta all’interno di una dinamica di redenzione (il Bambino Gesù, in un contesto di luce, fissa attentamente i due popolani) che è caratterizzata dal movimento divino: iniziativa di Dio, chiamata di Dio, manifestazione di Dio, eccetera.
Tutto questo è presente, a mio avviso, nella mente del pittore che tenta in qualche modo, e con un linguaggio umano, di scindere tra loro la verità dell’Incarnazione e il ritualismo degli uomini, segnato a volte da molte apparenze.
La Madonna, in pratica, non può avere le fattezze idealizzate di una donna qualsiasi. Ma è creatura vera che sa diventare, unita a Gesù, «luogo di accoglienza» di quanti lasciano alle spalle le tensioni del viandante irrequieto, per accettare di indossare l’abito del pellegrino in cammino verso la Casa del Padre.