Francesca «la Sarda»
Un’avvelenatrice seriale, senza odio
Il 10 febbraio 1633, Francesca «la Sarda» fu condotta dal carcere della Vicaria nella Piazza Marina a Palermo di fronte al palazzo dell’Inquisizione, per subire la condanna che le era stata comminata per la sua attività di avvelenatrice. Infatti era stata condannata a morte per decapitazione dalla Regia Corte Capitaniale con la terribile accusa di essere «fabbricatrice di un veleno diabolico in acqua, della quale solo dandone una stilla in qualsivoglia cosa, faccia perdere il calore naturale, e fra tre giorni al più ne morivano le persone che la bevevano, così in Palermo, come nel Regno». Questo è quanto si trova nello scritto di Rosario De Luca dal titolo I veleni a Palermo.
No, non si trattava di avvelenamenti per vendicare offese, bensì di incidenti voluti da persone che richiedevano il suo aiuto per liberarsi da chi dava loro fastidio oppure le avevano in una qualche maniera offese in maniera imperdonabile. Il suo impegno era del tutto «ad personam»: «mio marito mi fa le corna», «quel tizio mi ha messo sul lastrico», «il tale mi ha calunniato», eccetera, cioè motivazioni varie che per Francesca erano tutte valide allo stesso modo; lei era un’imprenditrice, che vendeva il suo prodotto a chi glielo chiedeva, comportandosi come il venditore di vestiti, di mobili, di oggettistica varia, eccetera: punto! Non è dato sapere di che veleno si trattasse e tanto meno della sua composizione; si ritiene solamente che fosse a base di acqua, ma ciò che conta è che era infallibile, lasciando a chi lo beveva solamente pochi attimi di vita.
L’offerta di Francesca incontrava sempre più il favore della sua clientela, tanto che la faccenda cominciò a preoccupare le autorità, perché quel giro d’affari cresceva velocemente, come era dimostrato dalle morti che si susseguivano con una certa regolarità e che avevano iniziato a estendersi anche nei paesi del circondario di Palermo. Chi si interessò di questo crescendo di morti per avvelenamento fu il Viceré, Fernando Enriquez Afàn de Ribera, detto «Vendicatore severo dei delitti» per la sua attività nei confronti della malavita delle campagne e dei pirati barbareschi che agivano lungo le coste siciliane. Tutto sommato, al Viceré non interessava più di tanto ciò che combinava Francesca, ma quando il numero dei morti si allungava sempre di più e fra i loro nomi comparivano quelli di personaggi importanti, e magari a lui direttamente o indirettamente legati, volle vederci chiaro, ordinando che si facessero indagini in merito. Alla fine, Francesca «la Sarda» fu individuata, arrestata e incarcerata.
Usando l’arma micidiale della tortura, che d’altra parte si è sempre dimostrata infallibile, perché pur di far cessare il tormento fisico uno confessa anche nomi e fatti di cui è perfettamente all’oscuro, a Francesca furono estorti i nomi di Pietro Placido Marco e di Tofana d’Adamo. I due, naturalmente sottoposti a tortura, confessarono che erano fornitori della mistura alla clientela, mentre la sua inventrice e produttrice era Francesca «la Sarda».
La confessione del giovane non fu sufficiente a fargli subire una morte rapida come quella che avviene con la scure: infatti, fu condannato alla pena del raccapricciante squartamento, che fu regolarmente eseguita il 21 giugno 1633; ma quella volta, invece di ricorrere a quattro cavalli fatti muovere in quattro diverse direzioni, furono utilizzate quattro galee secondo una moda spagnola, naturalmente mettendo in scena un grande spettacolo, fuori della norma, che attirò la curiosità morbosa del popolo.
Il 12 luglio dello stesso anno, anche Tofana d’Adamo subì la condanna a morte con l’accusa di aver eliminato un imprecisato numero di persone fra le quali, secondo qualcuno, era pure suo marito.
Giunte a questo punto, venendo a mancare la preparatrice del prodotto e i suoi distributori, le autorità si tranquillizzarono e abbassarono la guardia, convinte che fossero definitivamente eliminate le cause delle tante morti improvvise.
Bene – come si dice – tutto bene quel che finisce bene! E invece no, perché successe ciò che era inatteso: infatti, contro ogni previsione, le morti continuarono a verificarsi, se non addirittura con un incremento, e per di più il fenomeno, oltre a interessare Palermo e il suo circondario, si era esteso fino a Napoli, per sfociare più tardi a Roma. Tutto questo perché il commercio era passato nelle mani di Giulia Tofana (forse figlia o nipote della d’Adamo), avviando tutta un’altra storia.
