Spartaco Schergat
Medaglia d’Oro al Valor Militare
Onore e gloria all’Eroe di Alessandria nel centenario dalla
nascita in ossequio a valori in pervicace desuetudine con la
donazione del Balkan alla Slovenia e la svendita di navi
italiane all’Egitto
Onore e gloria all’Eroe di Alessandria nel centenario dalla nascita in ossequio a valori in pervicace desuetudine con la donazione del Balkan alla Slovenia e la svendita di navi italiane all’Egitto
L’Italia, in base alle ultime notizie, si appresta a compiere l’ultimo misfatto della sua storia anti-etica portando a termine la surreale e immotivata donazione del vecchio «Balkan» alla comunità slovena di Trieste, sottraendo al patrimonio pubblico e alla consolidata fruizione universitaria e culturale un complesso il cui valore si ragguaglia a 10 milioni di euro. Il tutto, in coincidenza col centenario dell’incendio che il 13 luglio 1920 era scoppiato nell’edificio in questione, che ospitava alcune Organizzazioni della predetta comunità e che venne attribuito erroneamente a un fascismo tuttora lungi dal potere, cui sarebbe pervenuto oltre due anni più tardi.
È congruo ricordare che davanti al «Balkan» si era dato luogo a una spontanea manifestazione italiana di protesta in seguito ai fatti di Spalato in cui avevano perso la vita Tommaso Gulli e Aldo Rossi, Vittime della violenza slava, e all’accoltellamento mortale di Giovanni Nini, avvenuto in quello stesso giorno a Trieste a opera di un Serbo, ma è utile aggiungere che la manifestazione del dissenso italiano e di solidarietà con le Vittime coincise con l’uccisione di una quarta Vittima: il tenente Luigi Casciana, raggiunto da un colpo d’arma da fuoco proveniente dalle finestre del palazzo, nelle cui stanze in possesso della comunità slovena era stata collocata un’autentica santabarbara in previsione di possibili moti anti-italiani.
Da queste premesse ha tratto origine una «vulgata» a supporto della tesi, oggettivamente infondata, secondo cui il «Balkan» sarebbe stato incendiato dai fascisti, col conseguente obbligo di un risarcimento già avvenuto da tempo, quantunque non dovuto, con il conferimento del nuovo teatro sloveno di Trieste, appositamente costruito a spese dell’Italia. In tempi più recenti, la questione è tornata alla ribalta a seguito delle trattative in sede comunitaria per il trasferimento dell’Agenzia Europea del Farmaco che avrebbe lasciato Londra a seguito della Brexit: ebbene, in occasione di un incontro a livello intergovernativo, l’Italia, nel tentativo di assicurarsi la sede dell’Agenzia, peraltro con esito per essa infausto in quanto risolto a vantaggio dell’Olanda, aveva acquisito il favore di Lubiana, in cambio di una «restituzione» del palazzo triestino non certo dovuta per motivazioni oggettive ma indotta soltanto dalla predetta «vulgata».
La questione, dopo l’iniziale errore ai massimi livelli diplomatici, ha finito per coinvolgere anche il Quirinale diventando un affare di Stato e dando vita a motivati dissensi anche nell’ambito del mondo giuliano, istriano e dalmata, non certo soddisfatto per il nuovo episodio di subordinazione, oltre tutto irrilevante al fine di un’ottimizzazione delle relazioni internazionali già conseguita con precedenti e ben maggiori rinunzie italiane: prima fra tutte, quella di Osimo.
Questa lunga introduzione era necessaria per collocare in una prospettiva adeguatamente opportuna il centenario dalla nascita di Spartaco Schergat e per infrangere il muro di silenzio sulla memoria di questo Eroe che nella notte del 19 dicembre 1941 aveva violato il munito porto di Alessandria d’Egitto assieme al suo Capitano Antonio Marceglia e altri quattro compagni di avvenura pilotando durante parecchie ore di nuoto i cosiddetti «maiali» nella sfida al continuo rischio di intercettazioni avversarie, e danneggiando in maniera irreversibile[1] la celebre corazzata Queen Elizabeth ormeggiata in condizioni di massima sicurezza, mentre gli altri due equipaggi completavano l’opera ai danni di diverse navi nemiche.
Giova aggiungere che Schergat, Volontario della prima ora, si era già distinto in precedenza nelle operazioni compiute a Gibilterra, guadagnando una Medaglia di Bronzo e una Croce di Guerra, oltre a una seconda conseguita nel Mediterraneo Orientale prima di Alessandria. Dopo l’impresa egiziana del dicembre, i due incursori riuscirono a entrare in città ma vennero riconosciuti perché erano stati muniti di valuta ormai priva di corso legale, a dimostrazione di un’opinabile funzionalità dei Servizi. Imprigionati e trasferiti in Palestina, furono poi decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare[2] aggiungendosi alla lunga lista delle massime decorazioni già conferite a combattenti giuliani e dalmati: infatti, Schergat era nativo di Capodistria e Marceglia di Pirano. A guerra finita la storia li avrebbe costretti all’esilio assieme agli altri 350.000 profughi che lasciarono terra, affetti e beni personali con una scelta plebiscitaria motivata dal rifiuto del sistema comunista, fondato sul terrore.
Schergat era nato il 12 luglio 1920, proprio nel giorno che vide la morte violenta di Gulli e Rossi a opera degli Slavi in quel di Spalato, innescando le dimostrazioni dell’indomani a Trieste: una coincidenza casuale che oggi assume un valore simbolico, in primo luogo per l’opportunità di onorare degnamente un Eroe a cui l’Italia ufficiale del dopoguerra non seppe offrire altro, se non un posto di bidello scolastico in un Liceo della città di San Giusto e una sostanziale nonché colpevole dimenticanza, fino alla scomparsa avvenuta nel 1996 quando a Schergat, in condizioni di sopraggiunta precarietà economica e fisica, erano state riconosciute pressoché «in extremis» le provvidenze della cosiddetta Legge Bacchelli, promulgata durante il Governo Craxi nell’intento di prestare aiuto a «cittadini illustri in stato di particolare necessità». Eppure, Spartaco aveva dato un alto esempio di come gli Italiani migliori fossero capaci di coniugare il nobile sentire e il forte agire in maniera ottimale, non senza ottenere l’ammirato apprezzamento del nemico, quale degna integrazione della Medaglia d’Oro.
I mezzi tecnici degli incursori di Alessandria, come quelli di Gibilterra e di altre vicende belliche, erano certamente modesti rispetto ad altri ma sopperivano il coraggio, la preparazione, la stessa inventiva progettuale, e prima ancora la volontà di manifestare al mondo che l’Italia migliore non conosceva ostacoli e sfidava l’impossibile scrivendo pagine degne di un’epopea.
La storia non finisce qui. Infatti, la Marina Militare Italiana, nel tardivo ma nobile intento di rendere onore ai suoi Eroi e all’esempio che avevano dato ai giovani di tutte le epoche, ha deciso in tempi recenti di dedicare a Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi, un altro Eroe di Alessandria, due fregate uscite dai cantieri di Riva Trigoso il 26 gennaio 2019, in guisa che il Nome di questi ottimi Italiani, e i valori per cui si erano battuti col più alto riconoscimento, venisse affidato a una memoria non formale, a correzione sia pure minoritaria di precedenti silenzi se non anche di ostracismi.
Eppure, non sempre le buone intenzioni hanno lunga durata perché capita che vengano poste in desuetudine alla luce di sopravvenuti interessi contingenti ma prevalenti. Per l’appunto, è quanto accaduto a Nave Schergat e Nave Bianchi vendute all’Egitto per una manciata di euro (le informazioni ufficiali parlano di un valore appena superiore al miliardo) dando per scontato che l’acquirente le avrebbe rinominate in aderenza a diversi valori e diverse proprie valutazioni. Correttamente, l’Ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ex Capo di Stato Maggiore della Marina Militare Italiana, ha proposto che vengano costruite due nuove navi in sostituzione di quelle appena alienate, dedicandole agli stessi Eroi in modo da ovviare al «vulnus», ma il fatto rimane in tutta la sua evidenza dichiaratamente mercantile con un provento che per la dissestata finanza dello Stato costituisce un «ridiculus mus».
Stavolta, i dissensi sono stati più diffusi perché l’operazione di compravendita è avvenuta mentre sono tuttora in essere le dispute a cui ha dato luogo alla scomparsa del giovane ricercatore Giulio Regeni, avvenuta proprio in Egitto non senza probabili coinvolgimenti della polizia locale, ma non è questo il punto: prima ancora, non si sarebbe dovuto conferire i Nomi degli Eroi nazionali a due unità che non fossero destinate alla Marina Militare Italiana, se non altro per evitare che il fabbisogno finanziario dello Stato, pervenuto a livelli drammatici, inducesse la decisione di una svendita che offende la memoria di Spartaco Schergat e di Emilio Bianchi e non giova – sia consentito evidenziarlo – al buon nome dell’Italia nel contesto internazionale.
L’Italia è diventata molto attenta nel conferire Medaglie d’Oro, sia pure al solo merito civile, senza dire che ha revocato iniquamente, e diversamente dalla prassi altrui, parecchie di quelle che erano state riconosciute in guerra perché riferite alla cosiddetta «parte sbagliata». È un buon motivo in più per onorare tutti i Caduti e tutte le Medaglie, a prescindere dal fatto che siano rimaste agli atti ufficiali o meno, iniziando da quella di Schergat in occasione del centenario dell’Eroe.
1 La nave, dopo alcune sommarie riparazioni, fu in grado di riprendere il mare ma soltanto per essere trasferita a Norfolk, dove rimase in carenaggio per complesse ulteriori riparazioni strutturali, ma anche in tempi successivi fu militarmente inattiva. In questo senso, il successo di Marceglia e di Schergat, riconosciuto dal nemico senza mezzi termini, ebbe carattere sostanzialmente totale anche se la nave non venne affondata. Lo stesso dicasi per l’equipaggio composto da Luigi Durand de la Penne ed Emilio Bianchi che andò a bersaglio procurando danni oltremodo rilevanti alla nave da battaglia Valiant che venne recuperata soltanto a lungo termine, quando le sorti della guerra erano praticamente decise. Il terzo e ultimo equipaggio della spedizione, comandata da Junio Valerio Borghese, era costituito da Vincenzo Martellotto e Mario Marino che centrarono in pieno l’obiettivo principale costituito dalla petroliera Sagona danneggiando seriamente anche quella contigua. I sei incursori furono tutti catturati e mancarono forzatamente l’appuntamento per il recupero al termine della missione, fissato al largo di Rosetta.
2 Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e dopo avere scontato circa due anni di prigionia, i sei Italiani vennero liberati e consegnati al Regno del Sud che si era costituito con sede iniziale a Brindisi dopo la fuga di Vittorio Emanuele III, avendo Pietro Badoglio nel ruolo di Capo del Governo. Le decorazioni ebbero luogo nel 1944 e in segno di «particolare onore» furono consegnate da Sir Charles Morgan nella sua qualità di Comandante della forza navale che era stata oggetto dell’attacco di Alessandria: significativo ma amaro riconoscimento del valore italiano.