Le operazioni dei sommergibili giapponesi
lungo le coste occidentali statunitensi
1941-1942
Nella primavera del 1941, il Comando Supremo della Marina Imperiale giapponese, predispose, in caso di ostilità con gli Stati Uniti, un piano per colpire con mezzi subacquei il nemico sul suo stesso territorio nazionale. E data la grande distanza che separava il Giappone e le sue basi del Pacifico dalla costa occidentale nordamericana, gli strateghi di Tokyo decisero di utilizzare per tali missioni sommergibili di grosso tonnellaggio, dotati di grande autonomia.
Tra il 18 e il 24 dicembre 1941, nove sottomarini giapponesi da grande crociera appartenenti al tipo A e B (I-9, I-10, I-17, I-19, I-15, I-21, I-23, I-25 e I-26) raggiunsero a scaglioni le posizioni ad essi assegnate al largo della costa nemica, iniziando a navigare in prossimità di importanti obiettivi portuali, industriali e urbani[1].
I comandanti delle unità nipponiche dovevano assolvere ad un duplice compito: intercettare ed affondare il maggior numero di unità americane e alleate civili e militari (soprattutto petroliere e portaerei) e cannoneggiare, qualora si fosse verificata l’occasione, stazioni radio e impianti ubicati lungo il litorale nemico. L’I-19 si posizionò davanti a Los Angeles, l’I-15 al largo di San Francisco, l’I-25 davanti alla foce del fiume Columbia e l’I-26 all’imboccatura dello Stretto di Juan de Fuca, la via d’acqua che conduce al porto di Seattle. L’I-9 si posizionò in prossimità di Capo Blanco (Oregon), l’I-17 al largo di Capo Mendocino (California), l’I-23 davanti alla Baia di Monterey (California), l’I-21 al largo della Baia di Estero (California) e l’I-10 davanti a San Diego (California).
Poco prima dell’alba del 18 dicembre, l’I-17 (2.500 tonnellate di dislocamento) emerse in superficie a circa 15 miglia da Capo Mendocino e una delle vedette del comandante Kozo Nishino avvistò tra i piovaschi un mercantile americano (il Samoa) che stava facendo rotta su San Diego con un carico di legname. Per risparmiare i preziosi siluri, Nishino decise di attaccare l’unità nemica con il pezzo di coperta da 140 millimetri. Giunto a poche centinaia di metri dalla preda, Nishino fece aprire il fuoco, ma il mare piuttosto mosso impedì al pezzo di centrare subito il Samoa, il comandante del quale, capitano Nels Sinnes, tentò di manovrare per evitare i colpi. Dopo avere tirato cinque o sei bordate, e non avendo ottenuto alcun risultato apprezzabile, Nishino ordinò di silurare la nave. Incredibilmente però, l’ordigno, lanciato da brevissima distanza, sfilò sotto lo scafo americano, esplodendo oltre l’obiettivo.
Data la pessima visibilità, Nishino pensò di avere sicuramente colpito l’unità e si allontanò, comunicando via radio al comandante dell’I-15 che navigava nei paraggi il risultato dell’operazione. Sinnes, nel frattempo, aveva fatto fermare le macchine, nella speranza che il sommergibile nemico si allontanasse. Poi, verso le 7 del mattino seguente riprese la sua rotta e a tutta velocità si diresse su San Diego, che raggiunse due giorni più tardi.
Il 20 dicembre, l’I-17 ebbe la sua seconda opportunità, intercettando alle 13.30 la petroliera Emidio (appartenente alla Socony-Vacuum Oil Company). L’unità, che da Seattle stava dirigendosi, priva di carico, a San Francisco, venne individuata a circa 20 miglia da Capo Mendocino. Nishino cercò di avvicinarsi all’obiettivo dal lato destro di poppa, ma giunto ad un quarto di miglio, l’equipaggio della petroliera si accorse della sua presenza. Il comandante della nave, Clark Farrow, tentò allora la fuga, scaricando nel contempo tutta la zavorra. Tuttavia, la superiore velocità del sommergibile giapponese permise a Nishino di raggiungere in breve la nave che, nel frattempo, aveva iniziato a lanciare l’SOS. Giunto a distanza di tiro, il sottomarino armò il pezzo da 140 millimetri e aprì il fuoco, polverizzando l’antenna radio della petroliera e danneggiando alcune sovrastrutture dell’unità. In rapida sequenza altri due proiettili colpirono nuovamente lo scafo. Farrow fermò quindi le macchine e fece calare le scialuppe, una delle quali venne improvvisamente centrata da una salva che fece volare in mare tre marinai dei 36 che componevano l’equipaggio.
Dopo avere sparato l’ultimo colpo, il sommergibile giapponese si immerse, proprio pochi minuti prima dell’arrivo in zona di due aerei statunitensi che avevano captato l’SOS lanciato dalla petroliera attaccata. Uno degli aerei sganciò una bomba di profondità che, tuttavia, non danneggiò il sommergibile giapponese. Quest’ultimo però, essendo deciso a non mollare la preda, rimase comunque in zona per risalire, circa mezz’ora dopo, a quota periscopica, per tentare di silurare la petroliera. Giunto a non più di 200 metri dal bersaglio il comandante Nishino fece lanciare un ordigno che, pur colpendo lo scafo, non riuscì ad affondarlo. La nave, trasportata dalla forte corrente, andò poi ad incagliarsi su una secca situata a ben 85 miglia di distanza dal luogo di siluramento, davanti a Crescent City (California).
Il giorno seguente, 31 marinai americani sopravvissuti a bordo delle scialuppe, vennero recuperati da un battello della guardia costiera statunitense, al largo della Baia di Humbolt. Proprio in quelle ore, un altro sommergibile giapponese, l’I-23 del capitano Genichi Shibata, che operava in una zona non distante, intercettò e silurò, circa 330 miglia a sud, al largo di Santa Cruz, un’altra petroliera americana, la Agriworld da 6.771 tonnellate, appartenente alla Richfield Oil Company. Giunto ad una distanza di circa 450 metri dall’obiettivo, il sommergibile giapponese colpì l’unità nemica con un siluro che esplose sul lato poppiero destro della nave (comandata dal capitano Frederick Goncalves). Pur essendo stato danneggiato dal siluro, lo scafo puntò verso la costa con un andamento zigzagante in modo da impedire all’I-23 – che nel frattempo era emerso nonostante il mare molto mosso – di aggiustare la mira con il suo pezzo di bordo. Dopo avere scagliato otto inutili proiettili contro il bersaglio il sottomarino fu costretto a desistere e ad immergersi, consentendo alla Agriworld di dare il segnale di SOS e di guadagnare la costa della penisola di Monterey, sotto lo sguardo di una numerosa folla di civili assiepata sulla spiaggia.
La mattina del 22 dicembre, il sottomarino I-21 al comando del capitano Kanji Matsumura, intercettò al largo di Point Arguello – situato circa 55 miglia a Nord di Santa Barbara – la petroliera H. M. Story, appartenente alla Standard Oil Company. L’unità giapponese emerse e tirò una cannonata contro la nave americana che tuttavia riuscì a cambiare rotta nascondendosi dietro una fitta cortina fumogena. Temendo di perdere la preda, il capitano Matsumura si immerse e lanciò un paio di siluri contro la petroliera che comunque riuscì ad evitarli. Pochi minuti dopo intervennero alcuni aerei della Guardia Costiera statunitense che sganciarono diverse bombe di profondità contro il sommergibile, costringendolo a fuggire in direzione Sud. Anche l’attacco dell’I-21 fu osservato da alcuni civili che passeggiavano lungo la spiaggia.
Verso le ore 3.00 del giorno seguente, Matsumura intercettò, a circa sei miglia dalla località costiera di Cayucas (California), una seconda petroliera, la vecchia Larry Doheney, appartenente alla Richfield Oil Company, che navigava vuota. L’I-21 emerse e i marinai giapponesi fecero tuonare il cannone. Il comandante della nave, capitano Roy Brieland, vide esplodere in acqua un paio di colpi e quindi iniziò a far zigzagare la nave. Dopo circa cinque minuti, approfittando di un’accostata della petroliera, Matsumura le lanciò contro un siluro che, dopo essere passato sotto la chiglia della nave, andò ad esplodere contro la scogliera, svegliando tutti gli abitanti del non lontano villaggio costiero di Cayucas. Fallito anche il secondo bersaglio, lo sfortunato Matsumura prese il largo. Ma dopo poco più di due ore incontrò una terza petroliera, la Montebello della Union Oil Company che, carica, aveva lasciato il terminal della società di appartenenza situato in prossimità di Avila.
La nave, agli ordini del capitano Olaf Eckstrom, tentò per circa dieci minuti di zigzagare, ma alla fine venne centrata da un siluro. Calate le scialuppe in mare l’equipaggio (35 uomini) si mise in salvo, proprio mentre il sommergibile, ormai emerso, iniziava a cannoneggiare la nave. La Montebello affondò nel giro di 45 minuti. Secondo la testimonianza dei marinai, il sottomarino mitragliò con il suo impianto da 25 millimetri anche le scialuppe e quindi si immerse. I naufraghi raggiunsero poi la spiaggia a Sud della cittadina di Cambria.
La mattina del 24 dicembre, al largo di San Diego, l’I-19 tentò di affondare la goletta di legno Barbara Olson, ma il siluro le passò sotto la chiglia esplodendo circa 200 metri oltre. Udito il boato, il cacciasommergibili Amethyst in perlustrazione al largo di Los Angeles, intervenne a tutta forza in soccorso della Barbara Olson, ma quando la raggiunse constatò che il sommergibile giapponese si era già dileguato. Quattro ore più tardi, l’I-19 guadagnò le acque prospicienti il vecchio faro di Point Fermin (Canale di Catalina), incrociando poco dopo il piroscafo Absaroka da 5.700 tonnellate della McCormick Steamship Company, che navigava carico di legname. Il sommergibile lanciò contro la nave due siluri, uno dei quali colpì il bersaglio. La scena venne osservata da terra da alcuni soldati addetti ad una batteria costiera. Il capitano Louie Pringle ordinò ai suoi 33 uomini di abbassare le scialuppe e di abbandonare la nave, non prima di avere lanciato l’SOS.
Dopo poche decine di minuti arrivarono alcuni aerei e il caccia Amethyst che lanciò 32 bombe di profondità, non riuscendo però a colpire il sommergibile giapponese. Nel frattempo, la nave venne agganciata da un rimorchiatore e trascinata fino ad una spiaggia situata a Sud di Fort MacArthur. Il 26 gennaio 1942, la rivista «Life» uscì con una copertina raffigurante l’attrice Jane Russell, ritratta sorridente vicino alla grossa falla dello scafo della Absaroka.
Dopo una settimana di attacchi lungo le coste occidentali statunitensi, i sommergibili giapponesi (ad esclusione dell’I-9 che era andato in missione nelle acque di Panama il 20 dicembre) iniziarono a selezionare, secondo gli ordini ricevuti dal loro Comando, alcuni bersagli di terra. Ma non se ne fece nulla. Soltanto l’I-17 riuscì, nel tardo febbraio del ’42, a bombardare una raffineria di petrolio e alcune banchine vicino a Santa Barbara, rimanendo in zona per appena 20 minuti. Tutta la squadra giapponese tornò alle proprie basi delle Isole Marshall.
Complessivamente, i nove sommergibili giapponesi che dal dicembre 1941 al gennaio 1942 operarono lungo le coste occidentali statunitensi affondarono soltanto cinque tra piroscafi e petroliere americane, per un totale di 30.370 tonnellate di stazza, danneggiandone altre cinque per 34.299 tonnellate. Nessun sottomarino venne però perso durante queste azioni. Dal punto di vista psicologico, queste operazioni nipponiche causarono comunque molta apprensione nell’opinione pubblica americana e molta preoccupazione nelle alte sfere dell’esercito e della marina statunitensi. I Giapponesi non dimostrarono di sapere approfittare di questo vantaggio.
Nel maggio del 1942, un’altra consistente flottiglia giapponese (composta da unità appartenenti al Primo e al Secondo Gruppo Sottomarini) venne inviata nuovamente lungo le coste occidentali statunitensi per cercare di arrecare danni al naviglio nemico e alle unità operanti lungo il litorale o dirette alle Isole Midway, Aleutine e a Panama. Il 20 giugno, davanti alle coste dell’Oregon, l’I-25 (proveniente da Guadalcanal) affondò un piroscafo, effettuando, il giorno seguente, un breve bombardamento sul porto di Astoria.
Il 7 giugno, l’I-26, operativo al largo della British Columbia, affondò un altro cargo e bombardò, il giorno 20 dello stesso mese, la stazione radio situata sull’isola di Vancouver. Anche l’I-7 colò a picco un mercantile in una zona non precisata. Alla fine di agosto del ’42 l’I-25 (appartenente al Primo Gruppo Sottomarini) si spostò davanti a Capo Blanco (Oregon). L’operazione venne condotta con il preciso scopo di vendicare l’attacco aereo americano contro Tokyo effettuato l’aprile precedente.
L’I-25 lanciò il suo piccolo idrovolante Yokosuka E14 Y1 GLEN (pilotato dal tenente Nobuo) con a bordo due bombe sub-alari al fosforo da 76 chilogrammi, andando a colpire una fitta foresta non lontana dalla costa (in località Wheeler Ridge, 4 miglia a Sud-Est di Mount Emily), provocando un incendio[2]. L’aereo fece poi ritorno al sommergibile in tutta tranquillità (secondo i resoconti del servizio di spionaggio giapponese, sembra che ai primi di settembre il GLEN dell’I-25 abbia effettuato una seconda, analoga missione di bombardamento sulla stessa zona dell’Oregon, arrecando egualmente pochi danni). In seguito a questi attacchi, il Comando Aereo Statunitense dislocò in Oregon una squadriglia di caccia P-38 per sventare altre minacce.
I primi di ottobre, l’I-25 affondò due petroliere, la SS Camden da 6.600 tonnellate non lontano da Seattle e la SS Larry Doheney (scampata fortunosamente all’affondamento nell’inverno del ’41) vicino a Capo Sebastian il 5 ottobre. Essendo rimasto con un solo siluro, l’I-25 fece ritorno in patria (base di Yokosuka) l’11 ottobre, al termine di una buona e difficile missione. Sulla via del ritorno sembra che l’I-25 abbia affondato per sbaglio il sommergibile sovietico L-16 che da Vladivostok stava dirigendosi a Panama. Il 24 ottobre, l’I-25 raggiunse Yokosuka al termine di una missione di ben 12.000 miglia.
1 I sommergibili giapponesi impiegati tra il
dicembre 1941 e l’ottobre 1942 lungo le coste nordamericane
avevano le seguenti caratteristiche:
I-9 e I-10: dislocamento normale 2.919/4.150 tonnellate;
dimensioni 113,7 per 9,55 per 5,3 metri; autonomia 16.000
miglia; potenza 12.400/2.400 hp; velocità 23,5 nodi in
emersione e 8 nodi in immersione; equipaggio 114 uomini;
armamento 6 tubi lanciasiluri da 533 millimetri con 18 armi
più un cannone da 140/50 millimetri poppiero, 2 impianti
binati antiaerei da 25 millimetri, 1 idrovolante monomotore da
ricognizione Yokosuka E14 Y1 GLEN catapultabile.
I-15, I-17, I-19, I-21, I-23, I-25, I-26: dislocamento normale
2.589/3.654 tonnellate; dimensioni 108,7 per 9,3 per 5,20
metri; autonomia 14.000 miglia; potenza 12.400/2.000 hp;
velocità 23,6 nodi in emersione e 8 nodi in immersione;
equipaggio 101 uomini; armamento 6 tubi lanciasiluri da 533
millimetri più un cannone da 140/50 millimetri poppiero, 2
mitragliere antiaeree da 25 millimetri, 1 idrovolante
monomotore da ricognizione GLEN catapultabile.
2 Caratteristiche tecniche dell’idrovolante Yokosuka E14 Y1 GLEN: Motore 1 Hitachi Tempu da 340 HP; lunghezza 8,54 metri; apertura alare metri 11; peso al decollo 1.450 chilogrammi; velocità massima 246 chilometri orari; tangenza massima metri 5.420; autonomia 880 chilometri; armamento 1 mitragliatrice da 7,7 millimetri più 60 chilogrammi di bombe alari; equipaggio 1/2 uomini.
Carl Boyd, Akihiko Yoshida, The Japanese Submarine Force and World War II, Airlife Publishing Ltd, Shrewsbury 1996
Erminio Bagnasco, I Sommergibili della Seconda Guerra Mondiale, Ermanno Albertelli Editore, Parma 1973
Jentschura, Hansgeorg, Dieter Jung, Peter Mickel, Warships of the Imperial Japanese Navy, 1869-1945, Naval Institute Press, Annapolis 1986.