Roma 1944
La «liberazione» o la «presa» di Roma:
qualche considerazione al di là delle vulgate
Nella tarda primavera del 1944, con lo sfondamento del fronte di Cassino dopo la lunga resistenza della Wehrmacht e la difficile difesa della testa di ponte costituita dagli Alleati con lo sbarco di Anzio, la battaglia per la conquista di Roma entrava nella fase decisiva, e il 4 giugno le prime avanguardie anglo-americane entravano nella Città Eterna. Si tratta di una pagina di storia notevolmente stravolta dalle vulgate, che – se non altro per questo – ha diritto a giuste attenzioni da parte degli addetti ai lavori, ma non soltanto di loro.
Diversi frontespizi della «Domenica del Corriere» e della «Tribuna Illustrata» dell’epoca sottoposero al popolo italiano, con il linguaggio schietto delle immagini scaturite dall’interpretazione di autentici maestri del disegno, le pagine più gloriose della guerra condotta dall’Asse e dai giovani reparti della Repubblica Sociale Italiana, primi fra tutti l’eroico Battaglione Barbarigo e la Decima del Comandante Junio Valerio Borghese, tanto da avere meritato l’onore delle armi da parte del nemico. A suo modo, fu una pagina memorabile, su cui lo scorrere impietoso del tempo ha steso un velo di silenzio, ma senza pregiudicarne la memoria, perpetuata nelle ricorrenti celebrazioni, e talvolta in manifestazioni significative tra cui si può ricordare il dissenso nei confronti del Presidente Americano George Bush, quando andò a visitare il cimitero americano di Nettuno nel maggio 1989.
Al di là delle vicende militari del periodo, sia nella zona dello sbarco intorno a Littoria e alle altre città di fondazione costruite durante il Ventennio, sia sulla Linea Gustav da Ortona alla costa del Tirreno, furono tantissimi gli episodi che vale la pena di rammentare agli immemori, e di illustrare ai troppi ignari. Fra gli altri, si possono ricordare i crimini di guerra di cui si macchiarono gli Alleati anche nel Lazio, culminati nell’assunto di George Patton secondo cui era possibile uccidere senza prendere prigionieri; il «sacrilegio» perpetrato con la distruzione di Montecassino militarmente inutile, per non dire dei bombardamenti terroristici su cittadine come Palestrina o Velletri; gli attentati partigiani compiuti a Roma nel gennaio e febbraio 1944, tutti senza rappresaglia, fino a quando la bomba di Via Rasella fu la goccia che fece traboccare il vaso dando luogo all’eccidio delle Fosse Ardeatine mentre gli antifascisti trovavano rifugio nelle basiliche dell’Urbe.
Sul fronte civile, non si può fare a meno di menzionare l’epopea dei coloni pontini che non esitarono a imbracciare il fucile per difendere la loro terra dall’invasione. Lo stesso dicasi per il clamoroso fallimento degli scioperi che si sarebbero voluti organizzare a Roma da parte delle forze cielleniste; per lo spontaneismo dei franchi tiratori che senza alcuna organizzazione preventiva (diversamente da quanto sarebbe accaduto a Firenze) accolsero gli Alleati sparando dalle finestre e dai tetti; per i giovani partigiani che i militi del Barbarigo restituirono alle famiglie invece di fucilarli sul posto come sarebbe stato consentito dalle leggi di guerra; e dopo la «liberazione», per le am-lire, la svalutazione galoppante e le «segnorine» pronte a cedersi per le voglie di chi vantava di avere portato a Roma i valori della democrazia.
Nello stesso tempo, è da sottolineare il nobile comportamento di un personaggio del vecchio mondo tedesco come il Generale Frido Senger und Etterlin, impegnato sul fronte di Cassino, che diede un contributo essenziale alla salvezza di tanti capolavori dell’Abbazia, disponendone il rifugio in Vaticano, senza dire del devoto rispetto nei confronti dei monaci. Purtroppo, l’occupazione germanica sarebbe passata alla storia per i delitti contro l’umanità perpetrati da Herbert Kappler e dai suoi pretoriani.
Secondo una storiografia obiettiva, nel momento in cui la dichiarazione di guerra era stata «consegnata» agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna (10 giugno 1940), Roma avrebbe «ospitato» circa un milione di fascisti, scesi a meno di 20.000 per coloro che tre anni dopo avrebbero aderito alla Repubblica Sociale. In altri termini, quella di chi scelse di combattere sul fronte dell’onore fu una scelta elitaria, e a più forte ragione consapevole, emersa nel proclama di Borghese dell’aprile 1944; nel valore degli studenti italiani volontari della «Luftwaffe» che si batterono sul fronte di Cisterna; nell’eroismo quasi sovrumano di uomini come il Comandante Carlo Faggioni del Gruppo Aerosiluranti Buscaglia che prima di inabissarsi al largo del Circeo aveva meritato cinque Medaglie d’argento, tre di bronzo e una promozione per merito di guerra.
I partigiani, compresi quelli laziali, non erano davvero il grande, compatto esercito di cui si sarebbe favoleggiato a guerra finita. Anzi, è documentato che gli uomini in armi – compresi quelli ispirati dal «vento del Nord» – furono una minoranza espressa in larga misura dalla Sinistra socialista e soprattutto comunista: nel frattempo, l’ampia maggioranza degli Italiani aveva scelto la soluzione attendista, pur avendo compreso che le sorti del conflitto erano verosimilmente segnate.
Quella degli Alleati non fu una vera vittoria, né ad Anzio né sulla Linea Gustav: nonostante il loro vantaggio strategico e quello fondamentale dei mezzi disponibili, la guerra sarebbe continuata sino alla primavera dell’anno successivo. Caso mai, fu una vittoria sul piano politico, o meglio su quello dell’immagine, perché la «presa di Roma» ebbe un impatto significativo nell’opinione pubblica mondiale; ma resta il fatto che, come ebbe a dire il Generale Henry Atkinson, a parti inverse sarebbero state sufficienti 48 ore mentre gli Alleati corsero il rischio di essere rigettati a mare dopo lo sbarco, anche per l’imperizia del Generale John Lucas che avrebbe provocato le ire omeriche di Winston Churchill, ed ebbero bisogno di cinque mesi per aprirsi la strada di Roma.
In effetti, data la loro conclamata superiorità, gli Alleati «potevano vincere la guerra pur perdendo tutte le battaglie». In questo giudizio di Pietro Cappellari, massimo storico di quello snodo bellico, è possibile cogliere l’essenza militare della vicenda, ma resta il fatto, come avrebbe detto Julius Evola, che nella concezione dell’Asse, diversamente da quella anglo-americana, l’elemento spirituale era inseparabile dal fattore materiale: assunto non soltanto tedesco, perché le forze della Repubblica Sociale Italiana non sfigurarono affatto nel confronto, come avrebbe riconosciuto lo stesso Comandante Supremo degli Alleati, Generale Dwight Eisenhower. Del resto, tutta la campagna d’Italia fu un vero e proprio «calvario» di quasi due anni contrassegnati da una lunga serie di contrastati e difficili avanzamenti dell’esercito anglo-americano, col supporto spesso determinante di Marocchini, Neozelandesi e Polacchi: Sicilia, Salerno, Ortona, Cassino, Nettuno, Linea Gotica.
Come si diceva in premessa, esistono vulgate dure a morire, con ricorrenti occasioni di ulteriore propagazione: fra le tante, l’iniziativa di bandire un concorso per i migliori temi e le migliori poesie in onore dei «liberatori». Forse, esiste un condizionamento psicologico dovuto alla ricorrente retorica del cosiddetto «export di democrazia» tale da concretizzare e avallare l’attenuante dell’ignoranza, che in diritto non esiste ma che nel mondo dell’ethos trova generose applicazioni.
A questo riguardo, giova rammentare che qualche tardivo ravvedimento non è mancato. A esempio, quando il feretro di Umberto Bardelli, leggendario Comandante del Barbarigo e dei suoi eroici combattenti, venne trasferito nel Campo della Memoria di Nettuno, l’Associazione Nazionale Alpini, dopo un pervicace ostracismo durato qualche decennio, riconobbe il sacrificio della Divisione Monterosa e la nobiltà del suo impegno tra le forze repubblicane. In sostanza, sia pure con lentezza, qualcosa si muove, nel quadro di una maggiore obiettività storica, e di un difficile perseguimento della verità.