Pio XII Defensor Civitatis
Testo della relazione su Pio XII
presentata il 4 giugno 2019 al convegno su Pio XII
Nel Secondo Conflitto Mondiale Pio XII, dopo aver tentato inutilmente di far restare l’Italia neutrale, cercò di mantenere continui contatti con le parti tra loro in lotta tramite le Nunziature e le rappresentanze diplomatiche presenti all’interno del Vaticano (USA e UK) e a Roma, incluse quelle dei Paesi neutrali. Tale azione, non appariscente ma persistente, tentò di circoscrivere il più possibile decisioni di morte e sofferenze tra i civili. Tra le molte iniziative, il Papa affrontò anche il problema dell’incolumità di Roma. Questo orientamento non fu un atto di preferenza ma un passo realistico. L’Urbe, oltre al suo valore religioso e storico, rimaneva la capitale di un Paese in guerra contro gli Anglo-Americani (e i loro alleati). Inoltre, nel 1943, divenne un’area attraversata da colonne militari tedesche che dovevano raggiungere il Sud d’Italia, e – in seguito – la linea Gustav. Sempre nel 1943, la città fu sede di comandi tedeschi e di centri di «intelligence». A Roma, infine, era pure posizionata l’Ambasciata della Germania nazista presso la Santa Sede. Gravavano quindi sull’Urbe dei rischi di particolare gravità, considerando anche la presenza dei militi della Repubblica Sociale Italiana.
Studiando i più recenti documenti del periodo precedente l’arrivo degli Alleati a Roma (4 giugno 1944) si rimane colpiti anche da un fatto. Le iniziative di Pio XII a favore dell’Urbe furono continuamente ostacolate e aggredite da eventi dirompenti. Non si tenne conto degli appelli trasmessi dal Papa a Inghilterra, Francia e Italia, prima ancora del giugno del 1940.
Mentre la posizione USA rimase in seguito cauta, la linea di Churchill[1], a motivo della presenza di aerei italiani nella fase finale della «battaglia d’Inghilterra»[2], fu apertamente favorevole a bombardamenti su Roma.
L’Urbe fu colpita la prima volta il 19 luglio del 1943. I piloti sbagliarono in più casi i bersagli. Vennero distrutte zone densamente abitate e ospedali. San Lorenzo fu il quartiere che ebbe più rovine, oltre al Tiburtino, Prenestino, Casilino, Labicano, Tuscolano e Nomentano. Le bombe provocarono circa 3.000 morti e 11.000 feriti, di cui 1.500 morti e 4.000 feriti nel solo quartiere di San Lorenzo.
Il 20 luglio Pio XII trasmise una lettera di protesta al Presidente USA.
Le incursioni proseguirono il 13 agosto. Tra i morti ci fu anche Padre Raffaele Melis[3], parroco di Sant’Elena. Era accorso per offrire i conforti religiosi alle persone gravemente ferite.
Pio XII a San Giovanni in Laterano dopo il secondo bombardamento su Roma (13 agosto 1943)
I bombardamenti proseguirono anche in date successive.[4] In tale contesto sono difficili da dimenticare le uscite di Pacelli dal Vaticano per visitare i quartieri distrutti (l’area di San Lorenzo fuori le Mura, e le zone Appio Latino, Porta Maggiore e Casilino), e per sostenere i sopravvissuti.
Il 25 luglio del 1943 l’Italia, con il cosiddetto «armistizio breve» (una resa senza condizioni) si trovò divisa in due zone. Italiani della Repubblica Sociale Italiana, a fianco della Wehrmacht, combatterono contro Italiani inquadrati nelle forze alleate che risalivano la Penisola o nelle formazioni partigiane. Comunque il Comando anglo-americano non accettò l’Italia governata da Badoglio come «alleata» e si coniò apposta un nuovo termine: «co-belligerante».
Pio XII si trovò ad affrontare una criticità notevole. Attraverso propri fiduciari e organismi umanitari, doveva mantenere aperto ogni possibile canale di comunicazione con entrambi gli schieramenti all’interno dello stesso territorio italiano. Ciò si rendeva indispensabile per accedere ai campi per internati (che accoglievano anche popolazioni di altri Paesi), per mitigare condanne di tribunali, per prevenire azioni militari capaci di provocare ulteriori lutti, per sostenere la distribuzione di vitto e vestiario dentro e fuori Roma, per accogliere gli sfollati, per sostenere gli anziani, gli infermi, i disabili, le donne in stato di gravidanza, i minori, per dare notizie alle famiglie rimaste disgregate dalla guerra. E proprio nell’Urbe, Pio XII promosse un punto centrale di distribuzione di aiuti umanitari (Commissione Soccorsi, settembre 1939)[5], potenziando contemporaneamente un Ufficio Informazioni (1939)[6].
Il 15 agosto 1943 il Governo Badoglio dichiarò Roma «città aperta». Il suo Ministro degli Esteri (Raffaele Guariglia), con l’aiuto della Santa Sede, della Svizzera e del Portogallo, comunicò ai Governi di Londra e di Washington la nota ufficiale che conteneva tale dichiarazione. Gli Alleati, però, non riconobbero all’Urbe tale «status» a motivo dei centri militari germanici non trasferiti altrove e di quelli della Repubblica Sociale Italiana.
Carro armato tedesco a Piazza Venezia, in Roma (Italia)
Con l’occupazione tedesca di una parte del territorio italiano si verificarono nella diocesi di Roma fatti sempre più gravi. Il 13 settembre del 1943 Berlino, d’intesa con i comandanti della Wehrmacht e delle SS, decise di posizionare sentinelle naziste a Piazza San Pietro, lungo la linea di confine che separava la Repubblica Sociale Italiana dal Vaticano. Unitamente a ciò, occorre ricordare che il Vaticano non aveva riconosciuto la Repubblica di Salò. Ne derivò quindi un problema. Come garantire la sovranità sulle proprietà extraterritoriali ecclesiastiche in Italia?
La presenza di militari tedeschi a San Pietro costituì l’aspetto visibile di una manovra occulta. Si trattò del diretto controllo dell’area vaticana attraverso lo spionaggio nazista e fascista. Oltre all’ascolto da Forte Braschi di messaggi via etere (inclusa quindi la Radio Vaticana, all’interno della quale c’erano due tecnici filonazisti[7]), alle ispezioni riguardanti le comunicazioni postali e telefoniche, alle verifiche degli articoli dell’«Osservatore Romano», si arrivò a dislocare posti di blocco nei luoghi di accesso al Vaticano.
Inoltre, gli agenti del III Reich erano arrivati a seguire i passi dello stesso Pontefice anche se non riuscirono sempre a individuarne le decisioni più riservate. Ulteriori pedinamenti riguardarono sacerdoti[8], religiosi e laici impegnati ad assistere la popolazione nelle esigenze più immediate (specie alimentari e sanitarie) e a nascondere i perseguitati.
Il 7 ottobre 1943 i comandi nazisti decisero di deportare in Germania 2.000 carabinieri reali presenti a Roma. L’ordine, impartito dal Generale Rodolfo Graziani[9], venne tenuto segreto, si celarono anche le direttive del Tenente Colonnello Herbert Kappler[10] ai suoi reparti. I membri dell’Arma erano considerati un pericolo perché rimanevano fedeli al Re, perché avevano sostenuto gli insorti a Napoli, e perché disponevano di un proprio armamento.[11] Il treno con i carabinieri partì dalla Stazione Ostiense. Chi gestì l’intera operazione nascose ogni informazione al Vaticano. Anche in questo caso il Pontefice ricevette notizie dettagliate a operazione conclusa. Dei militari internati oltre 600 uomini non tornarono più alle proprie case.
Eliminati in parte i carabinieri (altri membri dell’Arma si unirono ai partigiani), fu possibile alle forze occupanti attuare la razzia degli Ebrei a Roma (16 ottobre 1943) e la loro deportazione (più di 1.000 persone di ogni età). Per tale operazione Berlino inviò a Roma una formazione di specialisti al comando del capitano Theodor Dannecker.[12] Ciò è prova del fatto che si voleva agire fino in fondo e in fretta.
Alcuni avvisarono gli Ebrei del pericolo imminente ma non furono ascoltati dai responsabili del tempo. Altri (gli Alleati) non rivelarono di essere a conoscenza da più giorni del dramma in arrivo (anche se potevano decrittare i dispacci nazisti). Pure le formazioni partigiane dimostrarono un’assenza di iniziativa militare.
Malgrado tali evidenze, si volle – in tempi successivi – concentrare ogni attenzione solo su Pio XII accusandolo di «passività». Però, proprio in questi anni diversi autori – incluso il sottoscritto[13] – hanno pubblicato più documenti che attestano l’attivazione di una rete di contatti per fermare l’operazione nazista a Roma e per tentare di salvare i perseguitati. In particolare si continua a tacere sui collegamenti tra Carlo Pacelli[14], Padre Pancrazio Pfeiffer[15] e il Generale Rainer Stahel[16], sui contatti tra Stahel e Heinrich Himmler[17]. Si dimenticano inoltre le testimonianze rese dall’allora colonnello Dietrich Beelitz (ufficiale di collegamento tra Albert Kesserling[18] e il Quartier Generale di Adolf Hitler) e dall’allora giovane tenente Nikolaus Kunkel[19] (del governatorato militare di Roma). E si fa anche silenzio sulle dichiarazioni del diplomatico Albrecht von Kessel[20] riguardanti i cablogrammi dell’Ambasciatore Tedesco Ernst Heinrich von Weizsäcker[21] definiti «bugie tattiche».
A seguito di questa articolata azione, che Stahel pagò poi a caro prezzo con il trasferimento punitivo a Vilnius, Berlino ordinò di cessare il rastrellamento. Alla fine, e fino all’ultimo, si tentò di strappare prigionieri dall’internamento provvisorio a Via della Lungara e dalla deportazione. Occorre aggiungere che taluni autori continuano a non includere nel numero degli Ebrei salvati né quelli che riuscirono a nascondersi prima del 16 ottobre perché informati da molti Cattolici (inclusi commissari di Pubblica Sicurezza)[22], né quelli che lo stesso 16 ottobre riuscirono a sfuggire alla cattura[23], né quelli che dopo il 16 ottobre furono protetti da istituzioni ecclesiali e da ambienti comunque cattolici. Rimane ancora da ricordare che esponenti delle forze dell’ordine, cattolici, protessero Ebrei coprendoli con la loro autorità e con il loro silenzio. Ne è un esempio l’azione svolta dal maresciallo di Pubblica Sicurezza Gennaro Lucignano[24] sull’Isola Tiberina. Tutta la dinamica in questione, documentata da ricerche effettuate anche dal sottoscritto[25], fu segnata da intese non generiche che legarono tra loro Santa Sede, Vicariato di Roma, Parroci e Azione Cattolica.[26]
Si colloca in tale contesto la decisione della Santa Sede, subito dopo il 16 ottobre 1943, di rilasciare alle Case religiose romane una lettera da presentare in caso di irruzioni tedesche.
Nel testo era scritto che la specifica Istituzione era alle dipendenze della Sacra Congregazione dei Religiosi, per servizio del suo Istituto religioso presso la Santa Sede, e come tale non era passibile di perquisizione o di requisizione senza la preventiva intesa con i Superiori Ecclesiastici della detta Sacra Congregazione.
L’attestazione era del Governatore dello Stato della Città del Vaticano[27], «per incarico dell’Eminentissimo Signor Cardinale Luigi Maglione, Segretario di Stato del regnante Sommo Pontefice Pio Papa XII». Tale documento costituisce la prova dell’ordine impartito oralmente da Pacelli di proteggere ogni Istituzione presente a Roma che nascondeva perseguitati (specie Ebrei).
Postazioni naziste vicine a Castel Sant’Angelo, in Roma (Italia)
Mentre il 4 gennaio 1944 la banda Koch[28] violava l’extraterritorialità del convento di San Sebastiano (e in seguito quella dell’Abbazia di San Paolo fuori le Mura, notte tra il 3 e il 4 febbraio 1944), il 7 gennaio del 1944 Kappler attuava un rastrellamento a Pietralata (1.200 fermati, 242 deportati).
Il 12 gennaio del 1944 ebbe inizio la battaglia di Cassino. Gli Alleati furono momentaneamente bloccati dai Tedeschi.
Alla fine, gli Anglo-Americani (anche con il supporto militare di altri Paesi) decisero una serie di azioni letali che non risparmiarono né Cassino (sbagliando alcuni obiettivi e colpendo molti civili), né lo stesso monastero benedettino.
Sfondata la linea tedesca, Marocchini e Algerini, inquadrati nel Corpo di Spedizione Francese, violarono l’integrità fisica di centinaia di donne nella zona di Esperia (Frosinone) e in altre località, oltre a macchiarsi di altri crimini.
Informato delle tragedie in corso, Pio XII intervenne immediatamente. È stato proprio il sottoscritto a documentare l’azione del Papa grazie alle carte ritrovate in Francia presso l’archivio del Cardinale Eugène Tisserant.[29]
Il 10 febbraio 1944, a Castelgandolfo, tra le ore 9 e le 10 del mattino, i bombardieri alleati in due ondate colpirono il Collegio di Propaganda Fide e Villa Barberini, in piena zona extra-territoriale. Oltre i feriti, ci furono circa 500 vittime. Erano tutti civili rifugiati sotto la protezione di uno Stato neutrale: il Vaticano.
Secondo più storici fu in queste ore che si vide la persona di Pacelli particolarmente provata. L’informazione che aveva ricevuto, infatti, faceva seguito a un numero incessante di tragedie dalle dimensioni sempre più estese.
Malgrado ciò, il Papa continuò a emanare direttive di natura assistenziale, come si evince dalle testimonianze dei suoi più diretti collaboratori. Ma i drammi che si verificarono proprio nella sua Diocesi – Roma – non erano cessati.
Nella città diveniva sempre più radicale il conflitto tra oppositori e occupanti. Partigiani comunisti (dei G.A.P.) il 22 marzo 1944 compirono un attentato a Via Rasella. Persero la vita 32 soldati tedeschi e alcuni civili italiani (un altro militare morì in seguito). Prima di tale azione, il delegato della Democrazia Cristiana Giuseppe Spataro[30], amico di Monsignor Giovanni Battista Montini[31] (futuro Paolo VI), si era sempre opposto ad azioni belliche dentro Roma per il rischio di ritorsioni. A causa di tale evento sanguinoso, il Comando Germanico, per ordine di Berlino, attuò il 23 marzo 1944 una rappresaglia presso le Cave Ardeatine.
Morirono 335 persone. Tra queste, emerge la figura di Don Pietro Pappagallo. Pur prigioniero, riuscì con una mano a dare un’ultima benedizione ai condannati.
È documentato il tentativo della Santa Sede di raggiungere i comandi tedeschi attraverso Padre Pancrazio Pfeiffer, ma il religioso non poté parlare con alcuni dirigenti militari[32] perché l’intera operazione si concluse nell’arco delle 24 ore, e perché erano stati chiusi gli uffici germanici.[33]
Via Rasella subito dopo l’attentato, in Roma (Italia)
La situazione a Roma precipitava. Pio XII, anche attraverso Suor Pascalina Lehnert[34], conosceva i drammi legati alla fame: dalla borsa nera alle manifestazioni popolari di protesta. Si arrivò pure a sparare su delle donne che presso i forni del tempo chiedevano pane per i propri figli.
La gente davanti a un forno, in Roma (Italia)
Il Papa era pure informato dai parroci dell’esistere di contro-testimonianze nell’Urbe: gente che lucrava sulle sofferenze dei perseguitati, delatori che denunciavano Ebrei nascosti (747 arresti), civili che collaboravano in azioni di spionaggio…
Ma il Pontefice poté anche ascoltare resoconti sull’eroismo di molti Cattolici (alcuni di questi dichiarati in seguito «Giusti tra le Nazioni»).
In più occasioni Pacelli, attraverso propri fiduciari, ebbe la possibilità di proteggere chi difendeva a Roma i perseguitati del tempo. In altri casi la sua voce rimase inascoltata.
Il 3 aprile del 1944, al Forte Bravetta, venne fucilato il religioso vincenziano Don Giuseppe Morosini, assistito spiritualmente da Monsignor Luigi Traglia[35]. Diversi soldati del plotone cercarono di non colpirlo. Per questo motivo fu ucciso alla fine con colpi di arma da fuoco esplosi a distanza ravvicinata.
Anche il rastrellamento del Quadraro, avvenuto il 17 aprile del 1944, costituì un dramma particolarmente doloroso. In queste ore, che segnarono la deportazione di circa 700 persone, emerse la figura del parroco, Don Gioacchino Rey.[36] Si offerse inutilmente come ostaggio al posto di alcuni abitanti del luogo. E accettò di essere oltraggiato e picchiato pur di consegnare aiuti di varia natura agli internati che dovevano essere deportati in Germania.
Nell’ora più buia per Roma, il Generale delle SS Karl Wolff[37], tramite intermediari, chiese un’udienza a Pio XII.
L’incontro avvenne il 10 maggio del 1944. L’esponente del III Reich tentò di presentarsi come uomo del dialogo, desideroso di pace. Pacelli, però, ne comprese il doppio gioco e si regolò nel modo più opportuno. In tale occasione chiese poi al suo interlocutore di liberare dal carcere di Via Tasso il giovane Giuliano Vassalli[38].
La sera del 3 giugno 1944 le formazioni tedesche cominciarono a lasciare Roma, mentre il 4 giugno le forze alleate entrarono nell’Urbe.
Le truppe alleate entrano a Roma (Italia)
Il previsto conflitto all’interno dell’Urbe era stato evitato grazie anche all’azione moderatrice di Pio XII.
Romani che si recano a San Pietro per applaudire Pio XII subito dopo l’entrata degli Alleati a Roma (Italia)
Malgrado ciò, il 12 agosto del 1944 l’organo delle SS in lingua italiana, «L’avanguardia», non risparmiò pesanti offese al Vaticano e al clero, chiedendo il perché dell’«interesse della Chiesa per Ebrei e comunisti nemici dell’umanità».[39]
Le più recenti ricerche[40], pubblicate anche nel volume Inter Arma Caritas[41], lo studio delle carte dell’Archivio Segreto Vaticano da parte degli storici gesuiti Paolo Molinari e Peter Gumpel, e le indagini compiute dal sottoscritto con riferimento allo spionaggio nazista in Vaticano e al rapporto tra Pio XII e i parroci romani nel 1943-1944, non solo hanno confermato l’opera umanitaria di Pacelli (unica autorità a non fuggire da Roma), e la presenza di reti di solidarietà attive nell’Urbe, ma hanno pure fornito ulteriori dati:
1) l’isolamento di fatto che dovette subire il Papa da parte delle Nazioni tra loro in conflitto (al di là delle apparenze);
2) le continue rappresaglie che rovinarono le azioni di pace di Pio XII. Si pensi, ad esempio, a quelle avvenute in Germania (dal 1938 in poi), in Polonia (dal 1939 in poi), in Olanda (1942), e nella stessa Italia (specie nel periodo 1943-1945);
3) il blocco nazista su ogni trasporto umanitario vaticano a favore di internati (la stessa Croce Rossa Tedesca era stata nazionalizzata; alcuni autisti di convogli umanitari vaticani furono uccisi a causa di bombardamenti[42]).
In tale contesto, si rimane dell’avviso che presso il Museo della Liberazione di Roma dovrebbero essere ricollocate al loro posto due lapidi.
La prima, reca incisa sul marmo una mozione di ringraziamento a Pio XII. Fu approvata nel marzo 1946 dal 3° Congresso dei Delegati delle Comunità Israelitiche Italiane. La seconda, riporta l’elenco delle istituzioni cattoliche che protessero Ebrei.
Unitamente a ciò, con l’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano (periodo pacelliano) si ritiene utile sottolineare il fatto che i ricercatori dovranno tener conto di due aspetti:
1) nelle ore più tragiche per il Papa (rischio di un possibile trasferimento coatto) si vollero distruggere a scopo prudenziale molte carte che recavano i nominativi degli Ebrei beneficati (con relativi indirizzi);[43]
2) nei documenti ufficiali emerge un linguaggio protocollare che può ingannare. Si pensi, ad esempio, al fatto che per legge era proibito usare il termine «ebreo». Per tale motivo in più missive si trova l’espressione «non ariano». Quando, poi, la persecuzione arrivò a livelli altissimi, si utilizzarono le parole «profugo», «rifugiato», «sfollato».
In definitiva, ogni analisi storica deve rimanere ponderata, specie se ci si trova in presenza di continui fatti sgradevoli.
Un esempio riguarda l’uso di selezionatrici, tabulatrici e stampanti dell’americana IBM a sostegno del III Reich, con applicazione nei centri direttivi della Shoah e nei campi di sterminio. Solo l’entrata in guerra degli USA (1941) fermerà in parte tale sinergia.[44]
Non si può inoltre dimenticare il fatto che, pur conoscendo l’ubicazione dei campi di sterminio, gli Alleati non vollero bombardare le linee di comunicazione per impedire ai convogli stipati di Ebrei di arrivarcisi.[45]
A questo punto, guardando a un Pontefice – Pio XII – che visse in mezzo a tragedie colossali, dalla Shoah allo scoppio di due bombe atomiche (migliaia le persone colpite), dai milioni di morti civili (oltre a quelli militari) agli eccidi più tremendi che si estesero pure al Giappone e che si ripeterono anche nel periodo successivo al conflitto, non si può che esprimere verso Papa Pacelli una duplice posizione. Di rispetto. Prima di tutto. E di oggettiva comprensione.
P. L. Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013
G. Lajolo, Una Chiesa tra sfide e speranza, Marcianum Press, Venezia 2015
A. Majanlahti – A. O. Guerrazzi, Roma occupata 1943-1944, Il Saggiatore, Milano 2010
M. L. Napolitano, Pio XII tra guerra e pace. Profezia e diplomazia di un Papa (1939-1945), Città Nuova Editrice, Roma 2002
A. Riccardi, L’inverno più lungo. 1943-1944: Pio XII, gli Ebrei e i nazisti a Roma, Laterza, Bari-Roma 2008.
Professor Padre Peter Gumpel S. I. (storico). Dottor Carlo Galeazzi (studioso del periodo «Roma Città Aperta»).
1 Winston Churchill (1874-1965). Primo Ministro Inglese.
2 Si svolse tra l’estate e l’autunno del 1940.
3 Padre Raffaele Melis (1886-1943), presbitero, membro della congregazione degli Oblati di Maria Vergine.
4 In totale furono 51 i bombardamenti su Roma. L’ultima incursione, il 3 maggio 1944, colpì i quartieri della Magliana e del Quadraro.
5 La Commissione si occupò di fornire sussidi nelle aree più diverse, di salvaguardare dalle offese belliche numerose città e località, d’intervenire per l’incolumità delle popolazioni civili colpite dalla guerra, di seguire detenuti politici, reduci e condannati a morte, di studiare questioni organizzative e sociali determinate dalle necessità del momento, di partecipare alle fasi di ricostruzione del dopoguerra. Una particolare premura venne rivolta verso i prigionieri trattenuti nei campi in attesa di liberazione.
6 La ricerca dei prigionieri e dei dispersi rimase attiva fino al 1947.
7 D. Alvarez – R. A. Graham, Spie naziste contro il Vaticano 1939-1945, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pagina 198. Confronta anche: C. M. Fiorentino, All’ombra di Pietro. La Chiesa Cattolica e lo spionaggio fascista in Vaticano, Le Lettere, Grassina (Firenze) 1999.
8 Ad esempio: Don Paolo Pecoraro, Don Pirro Scavizzi, Monsignor Hugh O’Flaherty, Padre Gilla Gremigni m.s.c. (decano dei parroci e assistente dell’Azione Cattolica), e altri.
9 Rodolfo Graziani (1882-1955).
10 Herbert Kappler (1907-1978).
11 A. M. Casavola, 7 ottobre 1943. La deportazione dei Carabinieri romani nei Lager nazisti, Studium, Roma 2008.
12 Theodor Dannecker (1913-1945).
13 P. L. Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013.
14 Carlo Pacelli (1903-1970).
15 Padre Pancrazio Pfeiffer (1872-1945). Superiore generale della Società del Divin Salvatore.
16 Rainer Stahel (1892-1955).
17 Heinrich Himmler (1900-1945).
18 Albert Kesserling (1885-1960).
19 Nikolaus Kunkel (1920-2005).
20 Albrecht von Kessel (1902-1976).
21 Ernst Heinrich von Weizsäcker (1882-1951).
22 Confronta anche: http://www.papapioxii.it/wp-content/uploads/2017/03/2.4.pdf.
23 Confronta anche: http://www.papapioxii.it/wp-content/uploads/2017/03/2.5.pdf.
24 Gennaro Lucignano (1903-1964).
25 P. L. Guiducci, Tutti gli Ebrei del maresciallo Lucignano, in: «Avvenire», 15 maggio 2019.
26 R. Vommaro, La resistenza dei Cattolici a Roma (1943-1944), Odradek, Roma 2009.
27 Cardinale Nicola Canali (1874-1961). Fu presidente del Governatorato della Città del Vaticano dal 20 marzo 1939 al 3 agosto 1961.
28 Pietro Koch (1918-1945) fu a capo di un reparto speciale di Polizia della Repubblica Sociale Italiana (la Banda Koch) che operò a Roma e a Milano. Koch morì fucilato a motivo dei suoi crimini.
29 Nuovi documenti: Pio XII contro le «marocchinate» in Ciociaria. Il Dottor Carlo Mafera intervista il Professor Pier Luigi Guiducci, in: «Storia in rete», 18 giugno 2014.
30 Giuseppe Spataro (1897-1979).
31 Giovanni Battista Montini. Nato nel 1897. Inizio Pontificato: 1963. Morto nel 1978. Proclamato Santo nel 2018.
32 Confronta anche la testimonianza di fratel Cassio, dei Religiosi Salvatoriani, allora portinaio della Casa Generalizia, in: «Giornale d’Italia», 31 ottobre-1° novembre 1973, pagina 11.
33 Sulla chiusura degli uffici di Via Tasso si ha anche la testimonianza di Elena Hoehn e Lina Frignani (moglie del tenente colonnello Giovanni Frignani, morto alle Cave Ardeatine).
34 Pascalina Lehnert (1894-1983). Distribuiva generi di prima necessità a quanti chiedevano sostegno. Incarico ricevuto da Pio XII.
35 Monsignor Luigi Traglia (1895-1977). Nel 1944 era Vescovo. Vice-Gerente di Roma. Fu poi creato Cardinale.
36 Don Gioacchino Rey (1888-1944).
37 Karl Wolff (1900-1984).
38 Professor Giuliano Vassalli (1915-2009).
39 G. C. Bottini, Io, Ebreo salvato da Pio XII, in: «Terrasanta.net», 27 marzo 2012 (ricordo di Michael Tagliacozzo).
40 Confronta ad esempio: G. Loparco, Gli Ebrei negli istituti religiosi a Roma (1943-1944): dall’arrivo alla partenza, in: «Vita e Pensiero», volume 58, numero 1 (gennaio-giugno 2004), pagine 107-210.
41 Pubblicazione successiva agli 11 volumi di Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale.
42 A. Nogara, «Quella notte del 1944». Un’inedita testimonianza sul piano nazista per sequestrare Pio XII, in: «L’Osservatore Romano», 6 luglio 2016.
43 Positio sulla fama di santità, sulla vita e sulle virtù di Pio XII, secondo volume della vita documentata. Deposizione di Giulio Andreotti, 13 giugno 1981, presso la Corte di Appello di Roma, sezione III. Volume stampato nel 2004, pagina 1.062. Confronta anche: A. Nogara, «Quella notte del 1944». Un’inedita testimonianza sul piano nazista per sequestrare Pio XII, in: «L’Osservatore Romano», 6 luglio 2016.
44 E. Black, L’IBM e l’olocausto. I rapporti fra il Terzo Reich e una grande azienda americana, Rizzoli, Milano 2001.
45 A. Ferri, Bombardate Auschwitz. Una speranza negata, Il Saggiatore, Milano 2015.