Morte della Patria
Un paradosso politico nell’Italia del Novecento

Il cosiddetto «secolo breve» ha visto succedersi la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, assieme a tanti altri conflitti che l’hanno fatto diventare, se non altro per il tanto sangue versato da militari e da civili, un fattore di crisi e di dolore prioritario nella storia, di ferite non rimarginate, e di riflessioni sull’eterno divenire della specie umana costantemente allineato alla pervicace continuità dell’antico aforisma «homo homini lupus» rendendo permanente il triste lamento contro la guerra e le sue «orribili armi» che il poeta latino Albio Tibullo aveva pronunciato fin dal II secolo avanti Cristo.

Peraltro, nessuno aveva mai parlato di «Morte della Patria» fino all’apocalisse del 1939-1945. Ciò con particolare riguardo all’Italia, dove l’espressione fu coniata per la prima volta da Salvatore Satta nel suo motivato De profundis che in tempi relativamente brevi avrebbe trovato adesione nelle riflessioni di pensatori importanti quali Benedetto Croce e Gaetano Salvemini, e più tardi, in quelle di Renzo De Felice e di Ernesto Galli della Loggia, che ne hanno tratto veri e propri saggi storici, pienamente condivisi da una critica molto ampia, con la parziale eccezione di Francesco Perfetti, che pur condividendo l’ipotesi di base ha contestualmente proposto anche quella di «Resurrezione della Patria». Va da sé che questi Autori senza dubbio autorevoli hanno trovato parecchi adepti: fra i tanti, basti ricordare Clara Imperatore, che nel 2002 propose nuovamente il tema, in un importante convegno napoletano dell’ISSES (Istituto di Studi Storici Economici e Sociali).

Satta, sin dallo scorcio conclusivo del 1944, quando le sorti della guerra in Italia si stavano evolvendo nettamente a sfavore, con immensi lutti popolari e danni altrettanto enormi alle infrastrutture, alle abitazioni e alle attività produttive, aveva compreso molto bene che stavolta non sarebbe accaduto il miracolo successivo a Caporetto, perché il «più grandioso avvenimento che possa occorrere nella vita» non andava a concludersi con il poderoso riscatto nazionale nel «sole» di Vittorio Veneto tanto simile a quello napoleonico di Austerlitz, ma induceva un crollo totale delle coscienze e delle speranze, ancor prima di un disastro militare non privo di atti valorosi.

Dal canto suo, Renzo De Felice ha ravvisato nell’8 settembre, data dell’armistizio incondizionato con firma del Generale Castellano per conto del Governo Badoglio, il «simbolo del male italiano» che rimetteva in discussione, nonostante il Risorgimento e la Grande Guerra del 1915-1918, «il carattere di un intero popolo» mentre il crollo del fascismo trascinava anche quello dell’idea di Nazione, che nel secolo precedente era stata associata in larga prevalenza «ai concetti di libertà e indipendenza». Del resto, le decisioni di vertice erano state assunte dal Sovrano, Vittorio Emanuele III di Savoia, rendendo sostanzialmente subordinate quelle del Gran Consiglio Fascista.

Come ha rilevato lo stesso De Felice, la gestione collaterale dell’armistizio non avrebbe potuto essere peggiore, tanto che il Ministro degli Esteri Raffaele Guariglia fu lasciato improvvidamente a Roma durante le ore frenetiche della «fuga» di Pescara. Qui, il Re e gli altri Ministri sarebbero stati imbarcati da una piccola unità della Marina, il cacciatorpediniere Baionetta, per essere condotti a Brindisi sotto la protezione degli Alleati, senza dire che proprio Pietro Badoglio aveva dimenticato l’originale dell’armistizio, tanto da doverne chiedere copia al vecchio nemico! Bastano questi episodi per far comprendere quale clima di pressapochismo, per non dire peggio, avesse governato quei momenti convulsi.

Ernesto Galli della Loggia è andato ancora più a fondo nella sua perspicace analisi militare, politica e psicologica, mettendo in chiara luce l’equivoco fondamentale con cui l’Italia era entrata in guerra. A parte le commendevoli eccezioni testimoniate dalla storiografia e confermate, sia pure nelle circostanze infauste degli ultimi 16 mesi del conflitto, da tanti episodi eroici, gli «amici del giaguaro» erano già pronti a collocarsi dalla parte del nemico, talvolta in ossequio alla vecchia fedeltà nei confronti di Casa Savoia, talaltra per una vera e propria connivenza col nemico. D’altro canto, anche lo «spirito del popolo» non era diverso: alla maggioranza attendista si sarebbe unita dopo l’8 settembre una quota operativa partigiana inizialmente prossima al minimo, con meno di 2.000 uomini in armi, peraltro integrata potentemente dalle nuove leve soprattutto negli ultimi mesi di guerra, quando fu chiaro che le sorti dell’Asse italo-tedesca e dei suoi alleati erano ormai segnate.

Per quanto concerne Francesco Perfetti, il suo contributo giornalistico dell’8 settembre 2023, ricorrendo l’ottantennio dall’armistizio, propone quale considerazione prioritaria il fatto che la Nazione, perduto il suo «confortante punto di riferimento» del passato, venne totalmente meno di fronte al disastro militare e politico dell’Italia. Peraltro, secondo Perfetti non fu la fuga del Sovrano a causare la crisi, già implicita – invece – nel disorientamento e nella sfiducia di buona parte del Paese, per lo meno perplesso a fronte dell’alleanza antistorica con la Germania nazionalsocialista. Tuttavia, diversamente dagli altri storici, Perfetti afferma che l’Italia fu capace di risollevarsi, sia pure con ovvie vischiosità, e grazie al supporto dei vincitori, anche se il «rifiuto» di un’idea di Patria che non era la stessa del Risorgimento e della Grande Guerra ha continuato a sedimentare a lungo nella coscienza del popolo, dando luogo a «complessi di colpa» non ancora pienamente esorcizzati e superati. In effetti, tale contributo di Perfetti è largamente successivo agli altri, e proprio per questo si differenzia sensibilmente dal loro approccio e dalle loro conclusioni.

Nella sostanza delle cose, il tema è sempre aperto, il che non esclude la maturazione di nuove interpretazioni motivate da un serio revisionismo che secondo la pertinente lezione di Benedetto Croce costituisce il «sale della storia» e conferma il suo perenne divenire, indotto dall’esperienza, dalle mutate condizioni sociali ed economiche, dalla dialettica internazionale, e dalla stessa riflessione storiografica.

(maggio 2025)

Tag: Carlo Cesare Montani, Albio Tibullo, Salvatore Satta, Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Renzo De Felice, Ernesto Galli della Loggia, Francesco Perfetti, Clara Imperatore, Giuseppe Castellano, Pietro Badoglio, Vittorio Emanuele III di Savoia, Raffaele Guariglia, Italia, Caporetto, Vittorio Veneto, Austerlitz, Roma, Pescara, Brindisi, Germania nazionalsocialista, Novecento, De Profundis, Resurrezione della Patria, ISSES – Istituto di Studi Storici Economici e Sociali, Risorgimento, Grande Guerra, Casa Savoia, Asse italo-tedesca.