Maiale di guerra
Arma letale
Nel corso dell’ultima guerra, per danneggiare o, meglio, per affondare le imbarcazioni nemiche, era stato inventato un mezzo con il quale, nel silenzio notturno, ci si poteva avvicinare e applicare, nel punto giusto, un esplosivo. Era il cosiddetto «siluro a lunga corsa» (SLC), che – non sono riuscito a sapere il perché – era pure denominato «maiale di guerra».
Il natante aveva la forma di un siluro ed era chiamato anche «sommergibile tascabile», essendo un nano nei confronti del sommergibile classico.
L’idea di un tale mezzo di attacco ai navigli nemici era venuta ai capitani della Regia Marina Italiana, Teseo Tesei ed Elios Toschi, facendo riferimento al dispositivo messo a punto durante la Prima Guerra Mondiale da Raffaele Rossetti, battezzato «mignatta», con il quale riuscì ad affondare la grande corazzata austriaca Viribus Unitis, il 1° novembre 1918, nel porto di Pola.
Il tenente del Genio Navale Teseo Tesei
Avuta la necessaria autorizzazione, nel 1935 furono assemblati due prototipi nel porto di La Spezia e sperimentati sotto l’attento esame del Direttore dell’Ispettorato Sommergibili, Mario Falangola, il quale rimase talmente entusiasta da caldeggiare l’immediata costruzione di altri due maiali.
Nel 1939, il gruppo prescelto di assalitori, fu trasferito con tutte le sue attrezzature a Bocca del Serchio, alla foce del fiume, che si trova fra Viareggio e Marina di Pisa in Toscana, dove si procedette all’addestramento per manovrare con precisione e sicurezza i nuovi mezzi e per utilizzarli al meglio delle loro capacità; nello stesso tempo, si apportarono loro i miglioramenti ritenuti opportuni.
I siluri erano lunghi 7,30 metri, funzionanti con un motore elettrico della potenza di 1,6 hp, alimentato da una batteria di accumulatori; la velocità massima era di 5,5 chilometri orari, mentre poteva avere un’autonomia di una trentina di chilometri alla velocità di crociera di 4,5 chilometri orari. La struttura constava di tre elementi: nella parte di coda si trovavano il motore, l’elica e i timoni di profondità e direzione, in quella centrale il gruppo di accumulatori e la sistemazione degli incursori a cavalcioni, e in quella frontale era alloggiato l’esplosivo di circa 300 chilogrammi di trinitrotoluene TNT, noto a tutti come tritolo, con tutti i dispositivi per lo scoppio; questa parte del siluro era staccabile, giacché era quella che veniva attaccata al naviglio nemico. La strumentazione a disposizione degli assaltatori consisteva in bussola magnetica luminosa, profondimetro, orologio, due amperometri, un voltmetro e una bolla d’aria per il controllo dell’assetto longitudinale.
Una foto d'epoca dell'SLC
L'SLC, o maiale, in navigazione subacquea
Considerato che la partenza doveva avvenire dal porto di Algesiras presso la Baia di Gibilterra, dove il gruppo si era trasferito, i siluri, smontati nei vari pezzi, erano nascosti entro grossi tubi sistemati sulla tolda di un sommergibile in emersione o di una nave, per non dar nell’occhio a potenziali osservatori.
I successi nell’uso dei maiali contro i navigli nemici furono tanti, alcuni si conclusero con successo, altri meno, ma quello che fece il maggiore scalpore e che destò, dal punto di vista della tattica militare, l’ammirazione di tutto il mondo, fu l’attacco finito con lieto fine (naturalmente per la nostra Marina e per la X Flottiglia Mas, alla quale i siluri appartenevano) nel porto di Alessandria d’Egitto: qui, il 19 dicembre 1941, avvenne l’affondamento delle unità britanniche da battaglia HMS Valiant e HMS Queen Elizabeth, oltreché il danneggiamento di un cacciatorpediniere e di una nave cisterna.
La tattica da seguire per effettuare l’attacco a sorpresa era la seguente. Avvicinarsi con il sommergibile, avente la funzione di trasportatore, il più vicino possibile al porto meta dell’azione, senza dare nell’occhio, togliere i SLC dai tubi, metterli insieme e controllarne il funzionamento, dopodiché metterli in acqua e affidarli agli incursori. I due, muniti di respiratori autonomi, si avvicinavano all’obiettivo in superficie, con mezza testa fuori dall’acqua, pronti a immergersi nel caso ci fosse l’avvistamento di qualche natante nemico. All’imboccatura del porto, di solito, era una rete di protezione, per impedire che mezzi nemici entrassero come ospiti inaspettati; in quel caso, se si fosse trovato un varco sotto la rete, non c’erano problemi di sorta, nel caso contrario, cesoie ben affilate li risolvevano. Superato l’ostacolo, procedevano verso il natante predestinato in superficie fino a una trentina di metri, dove si immergevano, per non essere avvistati da qualche marinaio di guardia. Giunti sotto la murata, erano divenuti invisibili dal ponte e potevano emergere per fissare con una cima il muso carico di esplosivo alle due alette di rollio, presenti sotto la carena del mezzo navale, per mezzo di tenaglie a vite. Dopo aver regolato la spoletta a orologeria affinché lo scoppio avvenisse dopo due ore e mezza, gli assaltatori potevano prendere il largo e raggiungere il mezzo trasportatore.
Quella volta, purtroppo, i nostri eroi furono catturati insieme con i loro tre siluri e gli Inglesi non ci pensarono due volte per servirsene, da «plagiari», per costruire delle copie, denominate Charlots, che la Royal Navy mise in attività a partire dal 1942. E anche i Giapponesi misero a punto dispositivi analoghi, che chiamarono Kaiten, e che, però, erano sostanzialmente diversi nella tattica dell’attacco, in quanto, essendo pilotati da incursori suicidi, l’esplosione era diretta come quella dei siluri normali.
Dopo l’8 settembre 1943, gli Italiani passarono da nemici degli Angloamericani ad alleati, per cui i nostri eroi furono liberati e inseriti nell’unità militare della Regia Marina del Regno del Sud «Mariassalto»; e nel 1944, nel porto di Taranto, furono decorati con la medaglia al valor militare – ironia della sorte – proprio dal Commodoro Sir Charles Morgan, al quale essi avevano affondata la HMS Valiant.