Karel Weirich (1906-1981)
La normalità del bene
Avvertenza: per ragioni di lunghezza, e in accordo con l'Autore, questo articolo è stato pubblicato privo delle note presenti nel testo originale.
Nel rapporto tra la Santa Sede e il mondo ebraico, intercorso durante il periodo del Secondo Conflitto Mondiale, emerge – tra i tanti – un dato che nel più recente periodo ha trovato molteplici riscontri. Si tratta del cosiddetto lavoro di rete. L’approfondimento progressivo di tale realtà storica ha consentito di comprendere meglio sia il ruolo svolto da Pio XII (1939-1958), sia quello dei suoi più diretti collaboratori, sia quello manifestato da ogni espressione della vita ecclesiale del tempo (inclusa la madre dello scrivente).
1) Tutto ciò acquista rilevanza perché dimostra l’utilità di non approfondire solo ed esclusivamente un canale diretto tra il Pontefice del tempo ed esponenti della comunità ebraica, ma di estendere lo studio a una molteplicità di relazioni con persone che distribuivano i soccorsi ai perseguitati e che erano collegati, direttamente (per via gerarchica) o indirettamente (per via mediata) alla Santa Sede, e quindi a Pio XII.
2) Un esempio dell’importanza del lavoro di rete in periodo bellico è costituito dalla figura e dall’attività benefica di Karel Weirich. Questo dipendente vaticano, di famiglia cecoslovacca, operò a favore di quanti erano fuggiti da Praga e da altre zone del Paese occupate dai nazisti, soprattutto Ebrei. Nei suoi interventi interagì con molteplici interlocutori.
3) Seguendo le tracce dei diversi contatti da lui attivati (grazie anche alle carte dell’Archivio privato conservato a Treviso), è possibile ricostruire il progressivo inserimento di Weirich in quella più vasta dimensione operativa a rete che costituì nel suo insieme una vera e propria resistenza civile.
Per approfondire il ruolo svolto dalla Santa Sede (Pio XII) a Roma e in altri territori durante il Secondo Conflitto Mondiale (1939-1945), e per osservare l’interazione avvenuta tra il Vaticano e vari membri della comunità ebraica, è anche possibile seguire un percorso di ricerca il cui punto di partenza può essere costituito, ad esempio, da un singolo protagonista.
In questo studio, la figura che è stata focalizzata è quella di Karel Weirich (1906-1981). Seguendo i suoi movimenti nell’Urbe (e altrove) a difesa dei perseguitati (resistenza civile), documentati dalle carte custodite presso l’Archivio di Treviso dalla signora Helena Weirichova (nipote di Karel, nata nel 1939), emergono i contatti che ebbe con molteplici interlocutori (individuazione della rete), e si ritrovano i collegamenti che riconducono alla Santa Sede (iniziative umanitarie, all’interno delle quali si colloca pure il rapporto tra Pio XII e il mondo ebraico).
La figura di Weirich è interessante ma poco nota. Malgrado la sua opera umanitaria, non ricevette riconoscimenti. Non lo si trova, ad esempio, inserito nell’elenco dei «Giusti tra le Nazioni». L’Ambasciata della Repubblica Ceca a Roma non possiede alcuna documentazione su di lui. Il Rettore del Pontificio Collegio Nepomuceno di Roma mi scrive: «Io stesso non ho molte informazioni sul Signor Karel Weirich».
Anche il Responsabile dell’Archivio dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Dottor Andrea Torre, deve annotare: «Dalle ricerche condotte sui nostri database non emerge negli archivi degli Istituti storici della Resistenza presenza di documentazione inerente Karel Weirich». Solo a Padova, questa coraggiosa figura di laico cattolico è ricordata nel «Giardino dei Giusti del Mondo».
Karel nacque a Roma il 2 luglio del 1906. Era figlio di un noto scultore boemo (Ignatz, 1856-1916). La madre si chiamava Geltrude Schindler, nata a Berlino ma di origini boeme (deceduta a Roma nel 1948). Il ragazzo, che aveva un fratello di nome Marco (1905-1980), ebbe un’infanzia segnata da vari spostamenti.
Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale, la famiglia seguì il padre prima in Moravia, poi a Vienna. In questa città morì Ignatz (1° dicembre 1916). Dopo un periodo trascorso in Svizzera, la famiglia tornò a Roma. Abitava in un appartamento (in affitto) in Viale delle Medaglie d’Oro 200/a, terzo piano, interno 10.
Karel completò nell’Urbe gli studi liceali. Nel 1925 iniziò a lavorare come segretario e contabile presso la direzione nazionale della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo e, dal 1932, svolse analoga mansione negli uffici della direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie.
A Praga il giovane conobbe, nel 1931, una maestra: Maria Batkova. I due ebbero un’affettuosa amicizia ma non si arrivò a un impegno matrimoniale per vari motivi.
Risale poi, al 1932, l’inizio di una collaborazione di Karel con «L’Osservatore Romano». Pochi anni dopo, nel 1935, pur restando un impiegato vaticano, Karel divenne corrispondente di una delle maggiori agenzie di stampa cecoslovacche: la «Českolovenská tisková kancelář» (ČTK). Dopo il 1939 si sviluppò un’interazione tra Weirich e il Dottor Federico Alessandrini (1905-1983), che ricoprì un ruolo importante nell’attività dell’«Osservatore Romano». Alessandrini, inoltre, era amico di Monsignor Montini. Si erano conosciuti nella FUCI romana nell’autunno del 1924.
Nel 1938 vennero approvate in Italia le leggi razziali fasciste. Ebbero come supporto Il manifesto della razza.
«6. Esiste ormai una pura “razza italiana”. Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7. È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’Italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità. […]
9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani».
Agli Ebrei furono imposti molteplici divieti che li costrinsero a restare ai margini della società. Sempre nel 1938 l’ufficio demografico del Ministero dell’Interno si trasformò in direzione generale per la Demografia e la Razza.
Dopo gli accordi di Monaco del 29-30 settembre 1938, la regione dei Sudeti fu ceduta al Reich. L’Ungheria acquisì i territori della Slovacchia Meridionale. Il rimanente territorio slovacco e la Rutenia ricevettero uno statuto autonomo entro lo Stato Cecoslovacco. Nel marzo del 1939 la Cecoslovacchia cessò di esistere, quando Hitler occupò il resto della Boemia, mentre la Slovacchia, anche su pressione tedesca, proclamò la propria indipendenza. Durante la Seconda Guerra Mondiale i territori boemi formarono il Protettorato di Boemia e Moravia, governato direttamente dalla Germania. Il neonato Stato della Slovacchia divenne un alleato della Germania nazista. In tale contesto, il Nunzio Apostolico a Praga, Monsignor Saverio Ritter (1884-1951), fu confinato a Cesano Maderno fino al 1945. Nel frattempo, si cercò di non interrompere i collegamenti tra Praga e Roma. Un esponente della resistenza anti-nazista, Jaroslav Duda (1911-1944), trasmise a Karel Weirich diversi resoconti sulle vicende del Paese (oggi conservati nell’Archivio di Treviso). Le varie missive furono consegnate a mano da Antonín Mašín (deceduto nel 1992), impiegato presso la Compagnia Internazionale Wagons-Lits (che effettuava collegamenti ferroviari tra Praga e Roma). Si riporta una delle tante informative:
«Dal principio di febbraio continuano gli arresti in massa di cittadini cechi, come l’anno scorso in autunno prima della guerra in Polonia. Vengono arrestati specialmente gli ufficiali della riserva e naturalmente i legionari che hanno combattuto durante la Guerra Mondiale insieme agli Alleati per la libertà della patria. In Moravia sono stati arrestati 24 sacerdoti cattolici. Numerosi sono gli arresti presso i radio-amatori, perché la Gestapo ritiene che essi abbiano apparecchi di trasmissione segreti e gli accessori per poterli costruire».
Truppe naziste sfilano per Praga, 15 marzo 1939
Le informative ricevute da Praga venivano poi trasmesse da Karel al corrispondente della ČTK da Parigi (Dottor Jíra) e ad alcuni Cecoslovacchi presenti in Italia. Ebbe inizio da qui un’opera di resistenza al nazismo ove Weirich assunse progressivamente un ruolo significativo. Tale fatto è ricordato dal Domenicano Padre Jiří (Giorgio) Maria Veselý (nato in Moravia, 1908-2004):
«Intorno a Weirich si riunivano i cechi residenti in Italia, specialmente a Roma, organizzando la Resistenza accanto agli amici italiani. Per amicizia personale, Weirich riuscì ad ottenere dal consolato francese presso il Quirinale la possibilità di inviare i nostri profughi cecoslovacchi in Francia, aiutato in questo pure da Charles Roux, ambasciatore francese presso la Santa Sede, il cui cuoco era Jan Lejčko, cittadino cecoslovacco, che ci comunicava le informazioni provenienti da Jaroslav Douda, fuggito poi da Praga a Parigi via Roma (Weirich)».
Il Domenicano Padre Jiří Maria Vesely («Savonarola» in codice) rimane a tutt’oggi una figura importante nella Resistenza Cecoslovacca. Egli, fin dal 1941, conservò a Milano l’Archivio di tutta la documentazione clandestina. Nascose inoltre i documenti degli aiuti per l’espatrio degli Ebrei dati dai Salesiani Cecoslovacchi, tra i quali Padre Hrcmar, Krhut, Krutilek, e la contabilità dei fondi della Resistenza.
Karel Weirich negli anni della Seconda Guerra Mondiale
Il contributo di Karel Weirich alla lotta anti-nazista è pure attestato da una dichiarazione conservata nell’Archivio di Treviso:
«No. 3411/46
ATTESTATO
La legazione di Cecoslovacchia a Roma conferma con la presente che il Sig. Karel WEIRICH, nato il 2.VII.1906 a Roma, cittadino cecoslovacco, è stato, durante la guerra, capo della lotta illegale cecoslovacca in Italia.
Per questa sua attività egli è stato arrestato dalla Gestapo tedesca a Roma ed imprigionato in Italia e in Germania fino alla liberazione da parte dell’Esercito americano, il 2.V.1945.
Questo attestato viene rilasciato al Sig. Karel Weirich come documento per l’U.N.R.R.A.
Roma, 22 Maggio 1946.
Per il Ministro
(firma n.l.)».
Le relazioni sul precipitare degli eventi in Cecoslovacchia, preparate per la Segreteria di Stato Vaticana, furono trasmesse al Sostituto Monsignor Giovanni Battista Montini (1897-1978). Quest’ultimo le consegnò a Pio XII. Oltre a questa documentazione, l’Archivio di Treviso custodisce anche delle missive indirizzate a Montini. Una è del 29 ottobre 1940. In questa lettera Karel aggiorna il Sostituto sulle iniziative di sostegno ai profughi.
«Roma, 29 ottobre 1940.
Eccellenza Reverendissima,
Mi permetto rimettere a Vostra Eccellenza due Pro-Memoria, allegati alla presente, pregando vivamente la bontà di V.E. per la loro favorevole evasione.
Sono lieto di poter annunciare che il Sig. Wurm della Ditta Bata ha ottenuto il visto per il Brasile ed ha lasciato in questi giorni Roma. Di nuovo, Eccellenza, il più fervido ringraziamento.
In quanto alla domanda del sig. BROOKES, egli ne ha già presentata una direttamente il 9 settembre u. s., ma finora non ha saputo ancora nulla se è stata presa in considerazione.
Voglia gradire, Eccellenza, anche da parte della mamma, l’espressione della nostra profonda stima e della più viva gratitudine.
di Vostra Eccellenza obbligatissimo
(firma)».
Questa lettera è significativa. Attesta il sostegno di Weirich all’emigrazione ebraica. Karel era intervenuto presso la Segreteria di Stato Vaticana sollecitando un visto per il suo assistito. Si trattava di un certo signor Wurm che lavorava probabilmente nel calzaturificio Bata. Wurm, quasi sicuramente, aveva subito un arresto dalle autorità italiane, ma – ottenuto il visto – era stato rilasciato con il permesso di uscire dall’Italia. S’imbarcò per il Brasile nella seconda metà di ottobre.
La seconda lettera è datata 26 marzo 1944. «Con cuore franco», Karel evidenzia nella missiva il fatto che un gruppo di profughi cecoslovacchi non aveva ricevuto dei tagli di stoffa donati in quel periodo da Pio XII ai bisognosi.
«ROMA, 26 marzo 1944
CONFIDENZIALE
Eccellenza Reverendissima,
Incoraggiato da S.E. Monsignor Riberi, ho rimesso a nome dell’Opera di San Venceslao lo scorso 7 marzo alla Nunziatura Apostolica l’elenco di 30 cittadini cecoslovacchi profughi e bisognosi (uomini, donne e bambini) residenti fino a quel giorno a Roma, esclusi quindi quelli fuori di Roma, siano essi pur bisognosi, pregando che anch’essi possano partecipare alla distribuzione del dono di Sua Santità PIO XII, consistente in un taglio d’abito.
S.E. Monsignor Riberi mi ha anche in seguito fatto assicurare il suo personale interessamento per una benevola evasione della domanda presentata.
Se è vero quanto mi è stato ora riferito da terzi, anche persone non aventi diritto, in pieno contrasto alle disposizioni della Nunziatura Apostolica, avrebbero ritirato il dono, per cui la giacenza delle stoffe sarebbe ormai insufficiente a soddisfare tutte le domande presentate.
Essendo io tuttora in convalescenza, dopo una malattia di oltre due settimane, non ho potuto più parlare personalmente con S.E. Monsignor Riberi. Sono però seriamente preoccupato per i miei protetti, perché non ho sentito più nulla, quantunque S.E. mi avesse fatto dire di attendere la chiamata.
La preoccupazione è tanto più fondata, in quanto che mi è stato riferito, che ai Cecoslovacchi si sarebbe provveduto solo quando fosse terminata la distribuzione della stoffa agli altri, supposto naturalmente che ve ne resti qualche cosa.
Mi permetto ora, Eccellenza, di metterLe in rilievo che la posizione dei Cecoslovacchi è tra quella dei profughi la più difficile e dolorosa. Essi infatti non godono di nessuna protezione diplomatica e perciò non ricevono nessun sussidio od altro appoggio ufficiale, ma, uccelli liberi, dipendono esclusivamente dal buon cuore dei privati.
L’Opera di San Venceslao, iniziativa privata e non pubblica, sorta in Roma, con grandi difficoltà è riuscita a trovare i mezzi per venire incontro nel miglior modo possibile ai connazionali profughi e bisognosi. Le circostanze dei dolorosi avvenimenti del 1939 ci hanno privato del proprio rappresentante ufficiale anche nella Casa del Padre Comune, ma dovremmo forse essere perciò più lontani degli altri al Suo Augusto Cuore?
Mi duolerebbe assai il pensiero che i Cecoslovacchi sarebbero l’unica nazionalità esclusa dalla partecipazione al generoso dono del Santo Padre, tanto più che lascerebbe per l’avvenire un ricordo ben triste nelle tristezze dei tempi d’oggi.
Desideroso che venga nuovamente confermato l’universale interessamento del Santo Padre per i veri bisognosi, e perciò in ugual misura per i Cecoslovacchi, Le ho parlato, Eccellenza, con cuore franco.
So che V.E. ben comprende i sentimenti di devozione, che mi hanno spinto a chiedere l’autorevole interessamento di V.E. per una sollecita e benevola evasione della domanda presentata, e perciò confido in Lei e sin d’ora La ringrazio di tutto il cuore.
Insieme alla mamma – essa da due mesi sta al letto e soffre molto – La ricordo con devota simpatia e Le rinnovo i nostri sentimenti di più profonda devozione.
Con cordiale ossequio
di Vostra Eccellenza Reverendissima
(firma)».
Queste due lettere attestano che l’interazione Weirich-Montini non era superficiale. Al riguardo, è da ricordare che, negli anni del Secondo Conflitto Mondiale, Montini costituì un riferimento costante per chi difendeva persone in gravissima difficoltà. Dalla documentazione consultabile, e da quella desecretata, il dato che si ricava è drammatico: la Santa Sede affrontò un numero estremamente elevato di emergenze. Lo fece utilizzando la propria autorità morale (non sempre riconosciuta), il personale operante negli organismi pontifici o comunque accolto all’interno delle zone extra-territoriali, e un numero altissimo di volontari (specie religiosi e membri dell’Azione Cattolica).
In Cecoslovacchia, a causa dei provvedimenti razziali, molti Ebrei lasciarono il Paese per trovare rifugio all’estero. Diversi di loro raggiunsero l’Italia. Qui, la situazione non era comunque migliore. Il Governo aveva imposto una politica duramente discriminatoria nei confronti degli Ebrei (leggi razziali). Per non soccombere, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane istituì (1° dicembre 1939) la Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei (DELASEM). In tal modo, fino al 1943, migliaia di rifugiati ebrei furono aiutati a lasciare l’Italia e a raggiungere Paesi neutrali. Nello svolgimento dei suoi compiti, questo organismo sviluppò un’interazione con più interlocutori. Molto importanti furono i contatti con la Croce Rossa. Al riguardo, è conservata – ad esempio – la lettera di ringraziamento che la DELASEM trasmise al responsabile della legazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Italia, conte Hans Wolfgang de Salis (1887-1959), e al Dottor Arnaldo Luvini (nato nel 1908-data di morte non conosciuta), il 28 giugno del 1944.
«28 Giugno 1944
Ill/mo Sig. Conte Dr. Hans DE SALIS
presso il Comitato Internazionale
della Croce Rossa
Roma
Via Campania 55
Non ho il piacere di conoscerLa personalmente, ma molto di Lei ho inteso parlare dal Sig. Sorani il quale spesso si è intrattenuto con me per dirmi quanto grande sia stato l’appoggio suo personale e il contributo dato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa alla nostra Delegazione Assistenza Emigranti, durante il critico periodo, chiusosi il 4 giugno corr.
Desidero esprimerLe tutta la mia riconoscenza per la sua nobile opera altamente umanitaria e molto apprezzata. A nome mio personale, a nome di tutti gli ebrei da Lei così signorilmente assistiti porgo il ringraziamento più sentito e più entusiasta.
Vorrei poter fare qualcosa per dimostrare la nostra profonda gratitudine, ma non saprei trovare nulla di adeguato: d’altra parte le parole stesse sono inadatte a significarLe la nostra ammirazione.
Solo Dio, con la Sua infinita generosità, potrà elargirLe quelle benedizioni e quel bene che io invoco per Lei e per la Sua famiglia.
(firma n.i.)».
Con l’entrata in guerra dell’Italia accanto alla Germania nazista (giugno 1940), si acuì nel Paese l’oppressione anti-ebraica. Furono istituiti campi di internamento riservati ai profughi ebrei stranieri di sesso maschile, e agli Ebrei Italiani giudicati «pericolosi» perché antifascisti. Esplosero episodi di violenza anti-ebraica, specie a Trieste e a Ferrara. A seguito di questi eventi, Weirich, utilizzando la «copertura» vaticana, decise di fondare a Roma, con alcuni connazionali, l’Opera di San Venceslao (indicata talvolta come il «Fondo di San Venceslao»). Tale organismo ebbe per fine la gestione di un fondo destinato a opere di carità, al culto di San Venceslao, Re e Santo Patrono Nazionale Ceco, e al mantenimento dell’altare a lui dedicato presente nella Basilica di San Pietro.
In pratica, l’attività servì ad aiutare i profughi cecoslovacchi (ebrei). Furono distribuiti denaro, abiti, medicine e documenti falsi agli internati e ai clandestini (nascosti in parte in istituti religiosi). L’Opera ebbe un consiglio direttivo formato da:
Karel Weirich: per raggiungere gli obiettivi umanitari concordati utilizzò benefattori e operatori direttamente impegnati nelle operazioni di assistenza. Il suo appartamento (Viale delle Medaglie d’Oro 200/a) divenne la sede ufficiale dell’Opera;
Padre Josef Olšr S.I. (1913-1984): professore all’Istituto Orientale di Roma, Piazza Santa Maria Maggiore 7;
Viktor (Vittorio) Miller (1885-1960): già colonnello legionario, abitava a Roma in Via Gian Giacomo Porro 4.
L’opera di San Venceslao, per operare, ebbe necessità dell’apporto di diversi benefattori. Tra questi, se ne ricordano qui di seguito alcuni.
Alois Hanzlík: commerciante ceco residente a Milano, riusciva a far pervenire a Roma anche 900 lire al mese. Dopo l’8 settembre, divenne una figura-chiave della resistenza cecoslovacca in Italia, operando in Valsesia e nell’Ossola;
Jiří Maria Veselý: sacerdote domenicano, professore di filologia slava presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Fu anche storico, ricercatore, archeologo, predicatore;
Karel Veselý: ingegnere, direttore di uno zuccherificio a Ferrara;
Miroslav Štumpf: studente cecoslovacco amico di Karel Weirich;
Karel Špirek, Václav Bečvarovsky, Zdenka Kirschen: membri della Croce Rossa Cecoslovacca.
La Croce Rossa Cecoslovacca, durante il Secondo Conflitto Mondiale, ebbe una sede provvisoria a Londra. In questa città era ospitato il Governo Cecoslovacco in esilio.
Tale organismo fu a conoscenza dell’esistenza dell’Opera di San Venceslao attraverso il Dottor Jaromír Kopecký (1899-1977), delegato permanente della Cecoslovacchia presso la Società delle Nazioni (Ginevra). L’interazione Kopecký-Weirich ebbe inizio nel 1939.
Fino al 1942 il Presidente della Croce Rossa Cecoslovacca fu il Generale Jaroslav Znamenáček. Nel 1943 gli successe il Generale Slezák.
A Londra furono attivi anche dei Presidenti onorari: la Signora Hana Benešová (1885-1974) e la Dottoressa Alice Masaryková (1879-1966). La Croce Rossa Cecoslovacca inviò a intervalli a Karel oltre un milione di lire.
In modo graduale si costruì una rete di aiuti che ebbe a Roma la sua centrale operativa, e che riuscì a mantenere molteplici collegamenti con più interlocutori anche in altre zone italiane ed estere, malgrado i condizionamenti imposti dal regime del tempo (specie i controlli sulla corrispondenza e sulle comunicazioni telefoniche). Tra quanti a Roma dettero un apporto, oltre Weirich, Olšr e Miller, si possono ricordare:
Segreteria di Stato Vaticana: negli ambienti della Segreteria di Stato Ignatz Weirich, padre di Karel, era noto. Nel 1912 aveva ricevuto il Cavalierato dell’Ordine di San Silvestro Papa per le sue sculture con soggetto religioso. Era poi riuscito a trovare un lavoro a Karel presso gli organismi missionari della Chiesa.
Karel poté così interagire non solo all’interno del proprio ufficio, ma anche in Segreteria di Stato. Furono diverse le persone (incluso il fratello Marko) che gli facilitarono l’intesa con Monsignor Montini.
Pio XII ebbe i dati di Karel sulla Cecoslovacchia da Montini. Attraverso quest’ultimo, Karel poté conoscere Monsignor Riberi e varie persone degli uffici vaticani di assistenza e di informazione.
In Segreteria di Stato, inoltre, Karel fu seguito anche da Monsignor Luigi Valentini (1877-1964). La sorella di quest’ultimo abitava con la propria famiglia, in un appartamento di fronte a quello dei Weirich, al terzo piano dello stabile di Viale delle Medaglie d’Oro 200/a.
Su Monsignor Valentini ho trovato un dato interessante in uno studio di L. Luciani-G. Severino riguardante l’opera di Don Carozzi. A Padre 13, Monsignor Valentini è menzionato in stretto rapporto con Monsignor Montini nel contesto del salvataggio di Ebrei.
La famiglia di Monsignor Valentini, inoltre, conosceva bene Suor Pascalina Lehnert (1894-1983), la religiosa che dirigeva le suore che accudivano a Pio XII. I contatti di Monsignor Valentini con Montini e con Suor Pascalina furono decisivi per salvare Karel dopo l’arresto.
Personale delle Pontificie Opere Missionarie: Weirich, in quanto dipendente presso gli organismi pontifici preposti all’attività missionaria, poteva muoversi nei diversi uffici. Per tale motivo interagì con diversi interlocutori. Con certezza ebbe contatti diretti con Monsignor Giuseppe Zanetti (1888-1973), Bresciano, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie.
Padri Pallottini: nella casa religiosa situata in Via Pettinari 57 (Roma), il Padre Anton Weber (1910-1998), procuratore generale dei Pallottini, si occupava di proteggere i perseguitati del tempo. Attraverso l’Opera di San Raffaele interveniva a favore anche degli Ebrei di Slovacchia e Croazia; aveva un contatto diretto con la Segreteria di Stato Vaticana e, in talune occasioni, con Pio XII.
Suor Maria Alkantara (1880-1956): Antonia Bohumila Balabánová, divenuta poi Suor Maria Alkantara, faceva parte delle Suore Francescane Insegnanti (dette di Praga). Era nata in Boemia. Arrivò a Roma l’11 novembre del 1929. Nel 1928 il Vicariato di Roma aveva affidato alla Congregazione un fabbricato posizionato a Via delle Mantellate 22 (vicino al carcere di Regina Coeli). In questa struttura fu aperta una casa di accoglienza per pellegrini cecoslovacchi. Suor Alkantara fu direttrice del centro e superiora di comunità fino al 7 febbraio del 1948. Morì a Roma ed è sepolta al Verano. Sicuramente presso la casa diretta dalla succitata Suora, Weirich tentò di nascondere sotto falso nome alcuni suoi protetti, cercando di procurare loro un documento falso. Ciò lo si ricava da un appunto annotato su un cartoncino: «Borghi Maria Pia, fu Luigi fu Anna Rampini, 10/4/1908, vedova, coniuge fu Carlo Carletti, via Mantellate 22». Unite al cartoncino con un fermaglio ci sono tre foto formato tessera della donna.
Padre Artur Słomka sdb (1906-1991): Salesiano Polacco, segretario del Cardinale August Hlond (1881-1948). Dall’Ambasciata Polacca presso la Santa Sede ritirava per Weirich (1942) le notizie provenienti da Parigi (Dottor Jíra). Quest’ultime, per arrivare a Roma, passavano attraverso la Svizzera (Dottor Kopechý).
Jiří Kubík: fuggito da Praga a Roma per evitare la cattura da parte dei nazisti, sostenne Weirich nei collegamenti con i connazionali.
Božena Vosméková-Alessandri: ex impiegata della disciolta Legazione Cecoslovacca a Roma. In seguito, si attivò molto per salvare il dirigente della resistenza cecoslovacca nel Nord, Padre Jiří Maria Veselý OP.
Marie Bartlová: aveva già lavorato per la causa cecoslovacca a Budapest, Belgrado e Lubiana. Da Milano raggiunse Roma con una presentazione di Alois Hanzlík.
Dottoressa Kalanová: amica di Marie Bartlová. Come quest’ultima, proveniva da Milano e operò a Roma.
Dottor Leone Nelken: era il titolare della farmacia Budin, situata in Via XX Settembre 47, Roma. Vendeva medicinali a Weirich a prezzi di favore.
Comm. Leonard Kociemski (1882-1975): pubblicista, trascorse diversi anni in Italia lavorando per l’ufficio stampa della Legazione Polacca a Roma. Tradusse dal polacco i testi di alcuni autori russi. Negli anni del Secondo Conflitto Mondiale fu il responsabile della Delegazione in Italia della Croce Rossa Polacca. La sede dell’organismo si trovava a Roma, in Via Cassiodoro 15. Grazie a lui, Weirich poté ottenere medicinali a prezzo minimo.
Tipografi: alcuni tipografi di Roma (e in altre parti) accettarono di fabbricare documenti falsi (per esempio, tessere annonarie) per i perseguitati del tempo. Nell’Archivio di Weirich sono state trovate carte di identità non autentiche. Al riguardo, Veselý specifica che «occorreva “preparare” documenti personali falsi, oppure intestati a nomi falsi, anzitutto per i nostri profughi. Intermediari fedeli in questa “produzione” erano per noi dei sacerdoti cattolici italiani, che avevano stamperie disposte a farlo».
I dati in precedenza riportati esigono un ulteriore approfondimento. Tale analisi è importante perché aiuta da una parte a comprendere l’attività dell’Opera di San Venceslao, e perché consente, dall’altra, di intravedere la più vasta rete di aiuti presente a Roma.
L’attività dei Cecoslovacchi nell’Urbe fu seguita con attenzione da Monsignor Montini che, per gli interventi di merito, interessò più persone, specie l’Arcivescovo Antonio Riberi (1897-1967). Quest’ultimo era stato assegnato dalla Santa Sede a Mombasa (Kenya) con il ruolo di delegato apostolico per le Missioni Africane dipendenti dalla Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede. Nel 1942 Pio XII lo richiamò a Roma per coordinare l’assistenza pontificia ai prigionieri di guerra (americani, inglesi…) e ai soldati feriti. In realtà, Riberi si occupò anche del sostegno ai perseguitati di quell’ora. Ad esempio, in una missiva di Weirich a Riberi è chiesto un intervento per far distribuire anche ai profughi cecoslovacchi il dono di un taglio d’abito fatto da Pio XII.
«Roma, 7 marzo 1944
A Sua Eccellenza Rev.ma
Monsignor Riberi
Vescovo Titolare =
Nunziatura Apostolica
ROMA
Eccellenza Reverendissima,
La ringrazio di nuovo dell’affabile accoglienza fattami la scorsa domenica e della Sua benevola comprensione anche per le necessità di quanti stanno a cuore all’Opera di San Venceslao.
Come d’intesa mi pregio rimetterLe l’elenco delle persone per le quali l’Opera implora la partecipazione alla distribuzione del dono di un taglio d’abito fatto dal Santo Padre Pio XII f.r. [felicemente regnante, Nota dell’Autore].
Ieri mattina mi sono messo a letto con febbri reumatiche e perciò, stando a letto, non posso includere nell’elenco due persone, delle quali non ho proprio presente il nome preciso. Lo farò, non appena fatto l’opportuno controllo. Sarà utile fare una verifica se qualcheduno forse ha già ritirato il dono. La Sig.ra Steiner (N° 19) sarebbe la protestante, della quale abbiamo parlato insieme.
Prego Vostra Eccellenza di comunicarmi a mezzo del latore della presente quando gli interessati possono venire per ricevere il dono. Essi in ogni modo si presenteranno con un documento comprovante la loro identità come da elenco ed a nome dell’Opera di San Venceslao.
Con rinnovati ringraziamenti e distinti ossequi
di Vostra Eccellenza Reverendissima
dev.mo
Carlo Weirich
OPERA DI SAN VENCESLAO».
In una lettera del conte de Salis (CICR) del 9 marzo 1944, protocollo MPT, avente per oggetto «Soccorso agli ebrei in Italia», indirizzata a Jean Schwarzenberg (1903-1978, segretario generale del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Ginevra), ho trovato scritto quanto segue:
«Come vi abbiamo fatto sapere, siamo in relazione con il signor Sorani e con il signor Dante Almansi. Fino a novembre, il denaro arrivava regolarmente da Genova. Alla fine del mese, una certa somma sarebbe dovuta giungere a Roma per mezzo di Raffaele Cantoni, ma egli fu arrestato. Ho pregato il nostro corrispondente da Genova [Leo Biaggi] di informare le persone in causa, per futuri invii, di servirsi di un intermediario o di passare per monsignor Riberi».
Nell’elenco in precedenza riportato figura la farmacia Budin. Al riguardo è stata ritrovata nell’Archivio di Weirich la seguente dichiarazione:
«ROMA, 28 gennaio 1950.
I sottoscritti:
Comm. Vittorio Miller, Via Gian Giacomo Porro, 4 ROMA = Telef. 872.774
Carlo Weirich, Viale Medaglie d’oro, 200 = Telef. 30.548 = ROMA
Quali ex=dirigenti dell’Opera di San Venceslao durante la guerra 1940=1944,
dichiarano con la presente
che la Farmacia Budin = Dottor Leone Nelken =
via XX Settembre, 47 in ROMA
ha loro venduto nel suddetto periodo sempre A PREZZI DI FAVORE tutti i prodotti medicinali, dei quali abbisognavano per i profughi ed internati cecoslovacchi in Italia. Tale generoso contributo della Farmacia Budin, di cui conservano sempre grato ricordo, ha reso loro possibile di estendere sensibilmente l’assistenza sanitaria della suddetta Opera di carità.
In fede
Padre l’OPERA DI SAN VENCESLAO IN ROMA
(firma)».
I contatti tra Weirich e il responsabile della delegazione della Croce Rossa Polacca a Roma, comm. Leonardo Kociemski (date non trovate), furono molto stretti. Lo attestano anche alcune lettere. Nella prima è Weirich a scrivere a Kociemski. Il documento è importante. Da notare il riferimento al Padre Callisto Lopinot ofm.cap.
«Roma, 17/I/1943
Carissimo Kociemski,
è stato oggi a trovarmi Padre Callisto di Ferramonti, che mi ha portato altre tre ricette. Mi permetterò di passare da Lei martedì nel pomeriggio o la sera in modo che gli possa consegnare prima della partenza quelle medicine, che Le sarà possibile intanto d’avere. Vive grazie!
Con ogni cordialità a Lei e distinto ossequio alla gentile Sua Signora
Suo devotissimo
Carlo Weirich
Allego pure la lettera a nome del “Svatováclavský fond”».
Nella seconda missiva è Kociemski a scrivere a Weirich. Questo scritto è significativo perché contiene riferimenti anche alla situazione della Polonia.
«POLSKI CZERWONY KRZYZ
Croce Rossa Polacca
Delegacja we Wloszech
Delegazione in Italia
Nr. Prot. 176/V.43.
Roma, 18 gennaio 1943.
via Cassiodoro 15.
ON. Consiglio Direttivo del
”SVATOVACLAVSKY FOND V RIME”
per tramite del sig.
CARLO WEIRICH
ROMA
In risposta alla cortese lettera in merito alle facilitazioni procurate dalla CROCE ROSSA POLACCA, Delegazione in Italia al SVATOVACLAVSKY FOND V RIME per l’acquisto dei medicinali occorrenti agli ammalati bisognosi, porgo cortese ringraziamento per le espressioni gentili dirette alla Istituzione che ho l’alto onore di dirigere. La Delegazione in Italia della Croce Rossa Polacca è lietissima di poter contribuire in qualche modo all’alta opera di bene e di umana carità compiuta dal SVATOVACLAVSKY FOND V RIME a favore di coloro che soffrono. La sofferenza non è mai tanto compresa come quando può essere compresa da coloro che soffrono alla stessa maniera e che sono animati dalle medesime speranze e dalle similari certezze.
Il sottoscritto è profondamente grato ed è riconoscente per gli auguri fraterni diretti alla Croce Rossa Polacca ed in particolare alla Polonia e li ricambia fraternamente al SVATOVACLAVSKY FOND V RIME, ai componenti del suo Consiglio Direttivo ed alla Vostra nobilissima Patria per la cui ricostruzione formula un fervido voto di cuore anche a nome dei suoi collaboratori.
La Delegazione in Italia della Croce Rossa polacca resta sempre a disposizione della Vostra Istituzione nei limiti delle sue purtroppo scarse possibilità, memore del fatto che le due nostre Nazioni quando furono affiancate nella storia potevano essere sicure del loro presente e del futuro, contro ogni ostacolo ed ogni pericolo.
A Lei personalmente, Caro Weirich, vada la mia cordiale stima e l’espressione di quell’amicizia che nei giorni lieti e in quelli tristi era ed è sempre immutabile ed immutata.
Con vivissimi saluti per i componenti del Consiglio Direttivo del SVATOVACLAVSKY FOND V RIME.
(firma)
/Leonardo Kociemski/
Delegato in Italia della
Croce Rossa Polacca.
(timbro Croce Rossa Polacca)».
Per favorire coloro che non erano internati, Weirich, con l’Opera di San Venceslao, riuscì a mettersi in contatto con alcuni tipografi disposti a fabbricare, a proprio rischio e pericolo, documenti falsi. Tale attività, in quel momento, costituiva un reato gravissimo. Chi veniva sorpreso in tale lavoro, era sottoposto a interrogatori-tortura e a durissime pene detentive. Malgrado i controlli dei nazifascisti e la presenza a Roma di un numero significativo di delatori, fu possibile organizzare delle piccole tipografie clandestine a sostegno di Ebrei, di ricercati in generale, e di nuclei politici impegnati nella Resistenza. Le suddette strutture interagivano, quindi, con più interlocutori. Tra questi, anche:
– con il sacerdote Pierre-Marie Benoît O.F.M.Cap. (nato Pierre Péteul; 1895-1990; convento dei Padri Cappuccini, Via Sicilia);
Il Reverendo Padre Pierre-Marie Benoît O.F.M.Cap.
– con Monsignor Pietro Barbieri (1893-1963; convento dei Padri Maristi, Via Cernaia 14);
– con il sacerdote Padre Anton Weber (convento dei Padri Pallottini, Via dei Pettinari).
In alcuni fascicoli di documenti, conservati nell’Archivio di Treviso, sono state trovate alcune carte d’identità false, prodotte dopo l’8 settembre del 1943. Avrebbero dovuto essere consegnate alle persone di religione ebraica che Weirich proteggeva, e numerose altre fotografie destinate a questo scopo.
Weirich, essendo corrispondente da Roma della ČTK, ricevette due solleciti dall’agenzia: non aveva ancora firmato il giuramento di fedeltà al Führer e al III Reich. Karel non giurò. E fu licenziato nel novembre del 1941. Continuò a lavorare come dipendente delle Pontificie Opere Missionarie, utilizzando tale ruolo per estendere i propri contatti con fine umanitario. In tale contesto è importante ricordare che proprio attraverso l’interazione con molteplici interlocutori, gli fu possibile acquisire diversi elenchi di Cecoslovacchi che si trovavano in Italia e che erano in difficoltà. Una parte di loro era internata in campi di concentramento (Guglielmo Engel, Josef Grünstein, Max Morgenstern, Eugenio Reismann…). Esistevano pure internati liberi (Karel Kornfeld, Francesco Kohn, Paolo Walter, Arthur Klein…).
Le liste di Weirich provenivano da segnalazioni fornite dai Cecoslovacchi rimasti a Praga o attivi in Italia nella Resistenza, da quanti operavano d’intesa con il Nunzio Apostolico in Italia (Francesco Borgoncini-Duca; 1884-1954), dalla DELASEM (specie Sorani), da singoli Cecoslovacchi presenti in Italia che scrivevano a Karel. Al riguardo, è importante sottolineare un punto. I drammi di quell’ora storica sconsigliavano di specificare la religione di appartenenza. Si evitava di indicare chi era Ebreo. A chi studia queste carte, però, è noto un fatto: dietro l’annotazione «impossibilitato a lavorare» si celava (tranne i casi di gravi malattie) un Ebreo. I Cecoslovacchi «ariani» potevano infatti esercitare senza problemi una professione, poiché erano considerati cittadini di Stati alleati. In tale contesto l’Archivio di Treviso fornisce dati interessanti. Vi si trova, ad esempio:
– un elenco «dei internati di ex cittadinanza cecoslovacca nel giorno 31 Gennaio 1943/XXI». Si tratta di 379 persone;
– un elenco di profughi ex Cecoslovacchi in Italia assistiti dalla Delegazione Assistenza Emigranti, Genova (31 gennaio 1943). Questo documento è importante perché attesta l’operato a favore degli Ebrei. Al riguardo, è da ricordare che nel trascrivere elenchi di persone, si evitava di specificare l’appartenenza alla religione ebraica. In tal modo, in caso di perquisizioni effettuate da nazifascisti, non erano forniti elementi che avrebbero condotto ad arresti e deportazioni;
– una distinta di 47 vaglia postali in favore di una parte dei protetti da Weirich (24 luglio 1943);
– una distinta di 56 vaglia postali (30 agosto 1943);
– una lista di assistiti di cui Weirich non aveva più notizie, e notifica di un versamento fatto in favore di Ignazio Kubaš (17 dicembre 1943).
Sulla base delle liste che riceveva, Weirich si metteva in contatto con singole persone o con gruppi e chiedeva loro di trasmettere i dati identificativi, le storie personali, le esigenze immediate. Derivò da qui un lavoro continuo e non facile. In particolare, un impegno si realizzò verso gli internati di Ferramonti. L’area, ove furono custoditi Ebrei, apolidi, stranieri nemici e Slavi, si trovava nell’ambito del Comune di Tarsia, in provincia di Cosenza. In questo luogo fu ristretto un alto numero di Ebrei Cecoslovacchi. Il motivo è legato a un episodio avvenuto alla fine del 1939. Il dirigente locale dell’organizzazione sionistica cecoslovacca («Betar»), Alexander Citron, cercò di organizzare – attraverso un percorso navale – un trasporto illegale di oltre 520 Ebrei. Si trattava di profughi in fuga dalla Slovacchia, dalla Boemia, dalla Germania, dall’Austria, dall’Ungheria, dalla Polonia… La rotta (Bratislava-Palestina) doveva seguire il Danubio, il Mar Nero e il Mediterraneo. Purtroppo, l’imbarcazione utilizzata (Pentcho), in pessime condizioni, dovette affrontare diverse vicissitudini, specie quando si fermò, priva di soccorsi, tra la Bulgaria e la Romania.
Il vapore fluviale con grandi ruote a mulino Pentcho
Grazie anche alla mediazione del Vescovo Bulgaro di Ruschuk (città portuaria), fu possibile riprendere la rotta. Alla fine, però, il battello naufragò nelle vicinanze di Rodi (un’area posta, in quel momento, sotto la giurisdizione italiana). I naufraghi furono condotti a Rodi e da qui nel campo di Ferramonti. Una volta avvisato, Weirich si attivò a favore degli Ebrei Slovacchi. In quest’opera fu sostenuto dal cappellano del campo, il Frate Cappuccino Callisto Lopinot (1876-1966).
La presenza di Lopinot a Ferramonti era legata a un fatto. Alcuni internati avevano chiesto al Nunzio Apostolico in Italia (in visita nel maggio 1941) la presenza di un prete. Borgoncini Duca nominò Lopinot. Originario dell’Alsazia, questo religioso proveniva da attività missionarie. Era stato prefetto apostolico nelle Isole Caroline. Parlava quattro lingue. Svolgeva pure compiti di consultore della Sacra Congregazione De Propaganda Fide. Operò nel campo di concentramento dall’11 luglio 1941 al 31 ottobre 1944.
Fu una presenza significativa. Lopinot aiutò Cattolici ed Ebrei. Grazie anche al suo interessamento, arrivarono a Ferramonti pacchi-dono provenienti da diversi mittenti, e da associazioni religiose. Fu sostenuto dalla DELASEM, dalla «Mensa dei bambini» di Milano (diretta da Israel Kalk; 1904-1980), dalla Santa Sede, dal primo direttore del campo (Paolo Salvatore; 1899-1980), dal maresciallo Gaetano Marrari (1891-1987), e dall’Opera di San Venceslao.
Il Campo di internamento di Ferramonti, plastico
Da alcune lettere, ritrovate nell’Archivio di Treviso, si deduce che all’inizio del 1942 Weirich venne in contatto con Padre Lopinot. Karel, in quel momento, lavorava (mezza giornata) nelle Pontificie Opere Missionarie, e manteneva contatti con diversi uffici vaticani. Quasi sicuramente fu in questi ambienti che conobbe il Frate Cappuccino (presente periodicamente per ottenere aiuti). È interessante sottolineare anche il fatto che il Padre Lopinot annotò nel suo diario le notevoli donazioni economiche di Weirich che arrivarono a un totale di oltre 280.000 lire. Al riguardo, nell’Archivio di Treviso sono state ritrovate più lettere di Weirich a Lopinot.
«15 ottobre 1942
Reverendissimo Padre
Padre Callisto Lopinot, O.F.M. Cap.
ROMA
Reverendissimo Padre,
La ringrazio nuovamente della Sua gentile visita. Ho subito informato i compatrioti per la raccolta d’indumenti e prima della Sua partenza Le porterò la roba.
Ho parlato anche con Monsignor Zanetti, Direttore Nazionale dell’Opera Apostolica, il quale mi ha consegnato della biancheria come da unita distinta, alle condizioni che si tratta di scopi MISSIONARI, essendo tale il compito dell’Opera. Credo dunque di adempiere anche la volontà degli offerenti, destinandola agli ebrei e convertiti, non è vero?
Quando verrò a trovarLa, La prego di restituirmi la copia da Lei firmata per regolarità d’ufficio.
Con ogni profondo ossequio, anche da parte della Mamma,
Suo devotissimo
C Weirich».
Da Ferramonti erano arrivate richieste di indumenti. Weirich aveva mobilitati i compatrioti presenti a Roma. Vennero preparati dei pacchi dono.
«ROMA, 17 ottobre 1942
Rev.mo Padre Callisto Lopinot, O.F.M. Cap.
Consultore della S.C. De Propaganda Fide
Padret. [pro tempore, Nota dell’Autore] Cappellano del Campo di Concentramento di
FERRAMONTI TARSIA (Cosenza)
INDUMENTI DESTINATI AI CITTADINI CECOSLOVACCHI INTERNATI
(SIGLA ČSR)
PACCO = 1 =
1 soprabito di lana
1 vestito da uomo completo (pantaloni, gilet e giacca)
PACCO = 2 =
2 paia di scarpe basse
PACCO = 3 =
5 camicie da uomo
2 " " donna
5 paia di pedalini
7 " " calze da signora
2 cravatte
C Weirich
Ho ricevuto quanto sopra
ROMA, 17 ottobre 1942
Padre Callisto Lopinot».
Si riporta il testo di un’altra lettera di Weirich a Lopinot con elenchi di indumenti.
«ROMA, 20 ottobre 1942
Rev.mo Padre Callisto Lopinot, O.F.M. Cap.
Consultore della S.C. De Propaganda Fide
Cappellano del Campo di Concentramento di
(Cosenza) FERRAMONTI TARSIA
INDUMENTI DA DISTRIBUIRE AI CECOSLOVACCHI INTERNATI
(SIGLA ČSR)
PACCO 4 =
un paio di ciavatte
un paio di scarpe estive da uomo
un paio di scarpe da donna
PACCO 5 =
7 camicie da uomo
7 colletti
1 paio di mutande calde da uomo
3 paia di mutande da donna (mutande, mutandine, mutande di lana)
3 paia di pedalini
6 paia di calze
3 fazzolletti
1 fazzollettone
1 giacca di pigiama
1 veste e giacca da donna di lana
1 sciallo grande di lana
1 coperta di flanella
C Weirich
Ricevo quanto sopra
ROMA, 20 ottobre 1942
Padre Callisto Lopinot».
Risale, invece, al 1943 un versamento di lire 40.000 a favore dei Cecoslovacchi internati a Ferramonti e al sanatorio di Cosenza. Nella missiva, alla fine, Weirich ringrazia Padre Lopinot per l’interessamento dimostrato verso i succitati assistiti.
«ROMA, 12 aprile 1943
Reverendissimo Padre
Padre Callisto Lopinot, O.F.M. Cap.
Cappellano di
FERRAMONTI-TARSIA (Cosenza)
Reverendissimo e Carissimo Padre,
È con la più grande gioia che a nome della Opera di San Venceslao Le consegno oggi la somma di lire 40.000= (quarantamila) da fare distribuire ai compatrioti cecoslovacchi internati a Ferramonti=Tarsia ed al Sanatorio di Cosenza, come da istruzioni da me già date al Sig. Benyei con lettera del 9 marzo u.s.
Consegnando il piccolo dono di lire 100 (cento) a persona, prego di voler esprimere ad ognuno, a nome dell’Opera, il più cordiale saluto ed augurio di ogni bene, auspice lo stesso nostro Santo Patrono Nazionale. Non si miri alla modestia dell’importo, ben sapendo noi che d’altro avrebbero bisogno, ma nel piccolo aiuto voglia ognuno sentire un segno caloroso di solidarietà per le proprie sofferenze. Posso assicurare che l’Opera, nei limiti delle sue possibilità, si è sempre interessato e continuerà ad interessarsi cordialmente dei bisogni dei compatrioti.
A Lei, Padre, esprimo anche a nome dell’Opera, i più cordiali ringraziamenti per il Suo fraterno interessamento a favore dei nostri compatrioti, come pure per l’aiuto, che ci dà, a compiere la nostra piccola missione.
Mi creda, Reverendissimo Padre,
Suo devotissimo
Carlo Weirich».
Si continuò a raccogliere offerte per gli internati cecoslovacchi di Ferramonti. Lo attesta la seguente lettera.
«ROMA, 14 agosto 1943
Rev.mo Padre
Padre Callisto Lopinot, O.F.M. Capp.
FERRAMONTI=TARSIA (Cosenza)
Reverendissimo e Carissimo Padre,
Dal Rev.mo Padre Arcangelo da Vico ho saputo che Lei si trova tuttora con gli internati a Ferramonti=Tarsia. Non avendo più avuto notizie, temo perciò che delle lettere siano andate perdute.
Grazie alla bontà del Rev.mo Padre Arcangelo, mi è possibile rendere partecipi Lei ed i nostri cari internati di una nuova gioia.
San Venceslao davvero ci protegge e ci aiuta in modo straordinario. Si avvicina la stagione fredda e perciò è ora di pensare al vestiario dei bisognosi. I benefattori questa volta sono stati particolarmente generosi ed hanno così dimostrato di aver pienamente compreso la necessità di procurare ai compatrioti qualche panno caldo, perché non soffrano troppo del freddo. L’impresa non è stata facile, ma, come ripeto, il Patrono nazionale ci ha aiutato. La raccolta permette quindi all’Opera di destinare ad ogni persona adulta la somma di lire 500= ed ai bambini lire 250= per acquisto di vestiario. Mi auguro che l’importo sia sufficiente almeno per quel più necessario.
Il conto, che abbiamo fatto è il seguente, basandoci sull’ultimo elenco:
373 adulto a L. 500,= L. 186.500,=
25 bambini a L. 250,= L. 6.250,=
L. 192.750,=
Inviamo pure le solite quote mensili per
Gli ammalati per luglio=agosto=settembre
(per cui per ora non riceveranno altro)
Come da allegati: L. 1.200= x 3L. 3.600,=
L. 196.350,=
Arrotondamento L. 150,=
Totale L. 196.500,=
(centonovantaseimila=cinquecento), importo che Lei riceverà insieme alla lettera. Voglia, caro Padre, essere così buono ed insieme al nostro Comitato Cecoslovacco provvedere alla distribuzione del denaro o, se si crederà meglio, interessarsi direttamente per l’acquisto del vestiario. Iddio La ricompensi del Suo ben noto, ed instancabile aiuto.
La cassa ormai è vuota e non so perciò quando potrò di nuovo inviare qualche cosa. Ma speriamo nella Divina Provvidenza, che non ci ha mai abbandonato. L’Opera, per ovvie ragioni, desidera che il Comitato non ringrazi direttamente di questo dono. Se ha da comunicarmi qualche cosa in merito, lo faccia Lei.
Mi è rincresciuto molto che, dopo il mio ritorno a Roma, non ho avuto più il piacere di salutarLa. Colgo quindi quest’occasione per pregarLa di voler esprimere al Comitato i miei più cordiali ringraziamenti per il così gentile e così ben riuscito omaggio, che veramente, per il delicato pensiero, mi ha molto commosso. Conoscendo ora un po’ più da vicino il loro ambiente, mi sento anche più vicino a loro. Io non sono però che un modesto istrumento e perciò non merito tanta attenzione. Il volume è stato molto ammirato anche dai membri dell’Opera di San Venceslao, alla quale ho messo a disposizione il bell’omaggio.
Dunque agli ideatori ed esecutori del graditissimo dono il mio più sentito ringraziamento, e l’assicurazione che anche in avvenire tutto quel che è possibile farò per lenire le sofferenze dei compatrioti.
Dalla Croce Rossa di Ginevra ho avuto poi la comunicazione che l’invio dei pacchi di viveri sarà continuato.
Purtroppo non posso fare uso della bontà del Padre Arcangelo per la roba da Lei desiderata dall’Opera Apostolica per l’Altare, perché attualmente Monsignor Zanetti è in ferie e lui solo può distribuire gli oggetti. Dopo il mio ritorno a Roma non l’ho più visto, perché era assente per un convegno e poi per le vacanze. Ritornerà alla fine di agosto.
Credo che questo sia tutto.
Nuovamente, caro Padre, La ringrazio di tutto il bene che fa per i nostri compatrioti e per il Suo valido aiuto nell’esplicare l’attività della nostra Opera.
La mamma pure La ricorda sempre e La saluta molto cordialmente.
Mi saluti gli amici tutti. Lei stia sempre bene e non trascuri, nel suo zelo, la propria salute!
Con i migliori auguri a Lei ed amici
Suo
OPERA DI SAN VENCESLAO
ROMA
C Weirich
P.S. Ho dimenticato a dirLe che, come da desiderio dei benefattori, la suddetta distribuzione è destinata esclusivamente ai cittadini cecoslovacchi propriamente detti, ne sono quindi esclusi gli apolidi, anche se sono vissuti a lungo nella Repubblica.
Il Padre Lopinot, nella sua azione caritativa, non costituì solo un referente-chiave per coloro che aiutavano gli internati di Ferramonti e del sanatorio di Cosenza, ma rappresentò anche il canale di collegamento tra chi versava in condizioni critiche e la Santa Sede. Ne è prova una lettera che questo Frate Cappuccino scrisse da Roma a Monsignor Montini (stretto collaboratore di Pio XII) il 28 giugno del 1944.
«Mi permetto di esporre a V. Eccellenza Rev.ma quanto segue: Al ex-Campo di Concentramento di Ferramonti-Tarsia (Cosenza) ci sono adesso ancora 500 ex-internati. Dal giorno che furono liberati (1 settembre 1943) sono spesso visitati dai soldati delle Unità Palestinensi anche tutti ebrei che si trovano nelle vicinanze di Salerno.
Questi amici vengono cogli automobili militari e portano regolarmente gran numero di doni fra i quali molti vestiti.
Disgraziatamente questi doni sono distribuiti dal nostro ufficio palestinense unicamente fra gli ebrei con esclusione di tutti i cattolici cioè di quei di razza ebraica e di quei di razza ariana.
I nostri cattolici che sono bisognosi come gli ebrei, risentono questa esclusione e ne soffrono. Essi aspettano un aiuto dalle Autorità ecclesiastiche.
Per questo chiederei una certa quantità di panno:
1. per i cattolici;
2. anche per alcuni ebrei per dimostrare che la carità si estende anche su quei che non la meritano, e per rimanere fedele al mio principio: carità per tutti senza distinzione di razza e di religione.
In pratica domanderei, se è possibile, panno:
per vestito (pantalone e giacca) per 100 uomini;
per vestito di 30 donne;
per vestito di 30 bambini.
Il S. Padre ha aiutato tante volte gli internati del Campo, per questo oso sperare che si degni di accordare anche questa domanda molto urgente».
Weirich (e l’Opera di San Venceslao) non intervenne a favore degli internati di Ferramonti solo attraverso Lopinot ma ebbe contatti diretti con singole persone. Ne è prova una lettera di Karel a Fëdor Benyei.
«ROMA, 7 maggio 1943
Sig. Fedor Benyei
Camerata 21
FERRAMONTI-TARSIA (Cosenza)
Egregio Signor Benyei,
se non avessi la coscienza… tranquilla, con un forte rossore Vi ringrazierei oggi delle Sue gentilissime lettere del 18/3, 20/3, 10/4 e 26/4. Vorrete cortesemente perdonarmi il lungo silenzio, ma credetemi devo limitare la corrispondenza solo al più necessario, perché diversamente non riesco a seguire le mie faccende. Ecco le risposte:
V/s del 18/3: Se conoscete altri compatrioti bisognosi, l’Opera sarà ben grata di conoscere il loro indirizzo, per dare almeno un piccolo segno di vita a conforto. Ho ormai raccolti diversi libri, ma, con disappunto, mi si dice oggi alla posta che nella Bass’Italia si possono ormai spedire solamente medicine e nient’altro. Mi rincresce veramente molto, perché posso ben immaginarmi quanto li avreste graditi. In ogni modo ad occasione data Ve li mando.
V/s del 20/3: Contemporaneamente ho provveduto per un altro aiuto straordinario agli ammalati di Ferramonti. Se vi sono altri casi, tenetemene informato. L’Opera in ogni modo s’interesserà particolarmente di questi e provvederà ad altri aiuti. Inoltre l’Opera vorrebbe sapere se vi fosse il caso di un aiuto particolare ai bambini. Desidera perciò conoscere il numero e possibilmente anche i nomi.
In quanto ai pacchi, sono anche io al corrente che la Croce Rossa sta trattando la questione. Ho avuto già l’occasione d’intervenire e mi sono state fatte presenti le varie difficoltà da superare prima di averne il permesso. In ogni modo Vi assicuro che seguirò la pratica di tutto il cuore, sollecitando nuovamente.
V/s del 10/4: Accludo due distinte in doppia copia delle medicine che spedisco contemporaneamente con pacco espresso. Come vedete, anche questa volta, sebbene abbia cercato in molte farmacie, non sono riuscito a trovarle tutte o nel quantitativo richiesto. Mi rincresce molto, ma cercare più di quanto ho già fatto, non è possibile. È un vero guaio poi che ci mette tanto tempo per arrivare. Speriamo che intanto sia arrivato il pacco del 19 marzo. Vorrete inoltre cortesemente accertare se pure alla Sig. Brenner non è ancora arrivato il pacco del 3 marzo, perché lei non mi ha fatto più sapere nulla. M’interesserò per le note come per la biancheria per la sig.na Zuka Kohn ma questo ultimo è difficilissimo, perché con i punti nessuno ormai può rinunciare a quel che tiene ancora.
V/s del 26/4. Ringraziate a nome dell’Opera dei gentili sentimenti di gratitudine da Voi così simpaticamente espressi tutti i compatrioti. Per quanto riguarda me, non sono che un modesto strumento e non faccio altro che il mio dovere. L’Opera Vi terrà presente anche in avvenire e mi auguro di tutto il cuore che possa in un avvenire non troppo lontano darVi qualche altra buona notizia. L’Opera vorrebbe poter fare molto di più e di tutto il cuore continuerò ad interessarmi a procurarVi altre consolazioni. Credo che sia rimasto un residuo della distribuzione. Siccome i pacchi oggi ci mettono tanto tempo e vi possono essere dei casi di malattie gravi, che abbisognano immediatamente delle cure, l’Opera ha deciso di lasciare tale rimanenza quale fondo per acquisto di medicine in casi di urgenza. Si tenga nota di ogni spesa e del nome del malato che ne beneficia, tanto per regolarità amministrativa. Ne ho scritto anche a Padre Callisto.
Per oggi chiudo.
Salutatemi tutti gli amici e siate tutti di buon animo.
Cordialmente
(firma)
P.S. L’amico Kopecký mi ha scritto che per il sig. Arnošt Pick è pronto al consolato del Venezuela a Madrid il visto d’entrata. Vi prego di avvertirlo, perché possa fare le pratiche in merito. È necessario che in base a ciò ottenga il visto di transito per la Spagna, perchè è necessaria la sua presenza per il rilascio del visto del Venezuela».
Con l’occupazione tedesca, dopo l’armistizio siglato dall’Italia l’8 settembre del 1943, e con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, si organizzarono anche nella penisola le deportazioni di Ebrei verso i lager di sterminio dell’Europa Centrale. Non mancarono, inoltre, eccidi «in loco». Per gli Ebrei del Centro-Nord la situazione diventò drammatica. I campi di transito di Fossoli (frazione di Carpi, provincia di Modena) e Gries (Bolzano) acquistarono un ruolo-chiave, così come la Risiera di San Sabba (Trieste) ove passarono Ebrei del Friuli e della Croazia. Dopo l’8 settembre 1943 l’Opera di San Venceslao continuò a essere considerata legale. Per le autorità fasciste, ufficialmente, aveva un carattere «ariano». Fu così possibile continuare in un’attività di assistenza che rimaneva però pericolosamente in bilico tra programmi legali (invio di aiuti agli Ebrei Cecoslovacchi nascosti o internati) e iniziative clandestine (reperimento e distribuzione di documenti falsi). Lo attesta la seguente lettera:
«L’Opera di San Venceslao, inviando il sussidio di lire 1000= per il sig. Gross Ignazio e altrettante per ognuna delle sue cinque conoscenti e connazionali, formula i migliori auguri di ogni bene. L’Opera non mancherà di tenerli presente anche in avvenire. Si prega di ritornare l’elenco allegato con le ricevute dell’importo e di comunicare la data precisa di nascita e di pertinenza, nonchè gli estremi dei documenti comprovanti la nazionalità, s’intende non appena le circostanze lo permettono. Saluti cordiali.
22/2/44».
Nei mesi dell’occupazione nazista a Roma, anche per impulso della madre di Weirich, si celebrò la messa solenne all’altare di San Venceslao, nella Basilica di San Pietro, in occasione della festa del Santo (28 settembre). Invece, il 28 ottobre (nascita della Repubblica Cecoslovacca, 1918) l’Eucaristia fu celebrata solo per pochi invitati nella cella di San Domenico, presso la Curia generalizia dei Frati Predicatori, dal Padre Thomas Edmundus Garde OP (1887-1960), di origine irlandese. In tale contesto è utile sottolineare che diversi Padri Domenicani operarono a favore dei perseguitati del tempo. Dalle ricerche finora effettuate risultano almeno otto persone nascoste a Roma.
Risalgono a questo periodo molti documenti che attestano l’intensificarsi di azioni a tutela della comunità ebraica. È conservata, ad esempio, una lettera che Lelio Vittorio Valobra (1900-1976; fu Presidente della DELASEM) scrisse al Nunzio Apostolico a Berna, Arcivescovo Filippo Bernardini (1884-1954) in data 23 marzo 1944:
«In conformità alle Sue raccomandazioni ci siamo astenuti di fare nomi nei nostri scritti ma, a chiarimento, desideriamo indicare che il Presidente nominato nella lettera a Monsignor Guidetti, e cioè la persona a cui vanno versati i fondi è S.E. il Dottor Dante Almansi, Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, ed il suo collaboratore è il signor Settimio Sorani, rappresentante della DELASEM per Roma. Per quanto mi risulta, entrambi sono in stretti rapporti con la Santa Sede… […] Mi permetto, infine, di unire una breve memoria che riguarda la possibilità di organizzare un’opera di salvataggio di ebrei in pericolo, con particolare riguardo a quelli che trovansi nascosti in conventi o parrocchie».
In questo periodo, drammatico per la comunità ebraica, diverse lettere di Valobra arrivarono ad Almansi attraverso la Segreteria di Stato Vaticana. Il referente fu Montini.
Agli inizi del marzo 1944, Weirich ricevette una convocazione a Villa Wolkonsky. In quel periodo, era la sede dell’Ambasciata Germanica. In uno degli uffici lavorava l’ufficiale nazista Herbert Kappler (1907-1978). Fu intimato a Karel di lasciare Roma. Il giovane, impiegato vaticano, riuscì «pro tempore» a restare nell’Urbe. Dovette, comunque, rinnovare il passaporto del Protettorato di Boemia e Moravia. A questo punto, gli venne tesa una trappola. Con riferimento a questa dinamica, Don Giorgio Alessandrini mi ha accennato all’azione di un delatore. Gli abitanti dello stabile di Viale delle Medaglie d’Oro 200/a (affittuari) erano probabilmente a conoscenza dell’identità della spia. Si trattava, forse, di un tale Calisti. Quest’ultimo abitava al 4° piano, interno 14. Aveva problemi economici. Tale individuo – subito dopo il 1945 – fu osteggiato dai vicini e costretto a cambiare casa appena cinque anni dopo. La vicenda non è descritta nel libro di Tronchin. Pur tuttavia, Helena Weirichova, in uno dei colloqui con lo scrivente, si è ricordata alla fine di una raccolta di firme che aveva l’obiettivo di contrastare un certo affittuario inviso alle famiglie dello stabile. Si voleva convincere il proprietario degli appartamenti a non rinnovargli il contratto di affitto. La signora Weirichova non seguì la vicenda. Le è rimasto in mente solo un dettaglio. Lo zio non volle firmare per non recare danno a nessuno.
Il 29 marzo si recò da Karel un individuo. Dichiarò di essere un «prigioniero di guerra inglese». Presentò il biglietto da Weirich convenuto con la Nunziatura Apostolica a Roma per i profughi cecoslovacchi (come già avvenuto in precedenti occasioni). Lo sconosciuto chiese aiuto. Gli venne dato l’indirizzo dell’incaricato della Legazione Svizzera per la difesa degli interessi di cittadini inglesi.
Il 1° aprile del 1944 tre agenti della GESTAPO, uno in borghese e due in divisa, suonarono all’appartamento di Karel. Quest’ultimo era a letto influenzato. Non fu aperto. I poliziotti suonarono allora all’appartamento che stava di fronte (interno 11). Vi abitava la famiglia De Rossi. Il nucleo era formato dal padre Attilio, dalla madre Margherita (il cui fratello era Monsignor Luigi Valentini), dalla zia Cornelia, e da tre figli: Giovanni Maria (2 anni), Giuseppe (4 anni) e Maria, detta Mariuccia (20 anni, soprannominata «Utta»). La famiglia De Rossi era in stretto rapporto di amicizia con i Weirich (aveva anche le chiavi della loro casa).
La zia Cornelia sentì suonare il campanello dell’appartamento e aprì. I tre agenti la obbligarono ad aprire la porta dei Weirich (sarebbe stata altrimenti forzata). La donna da una parte ubbidì, ma dall’altra riuscì a prendere dei documenti compromettenti e ad affidarli a Mariuccia. Quest’ultima, li portò a Monsignor Valentini, nella casa di Borgo Pio.
Altre carte rimasero celate sotto le assi di alcuni gradini di una scaletta di legno che collegava il soggiorno con una terrazza. La perquisizione non dette risultato. Solo una foto e un dattiloscritto di scarsa importanza furono requisiti. Malgrado ciò, facendo riferimento al «prigioniero inglese» (un agente provocatore), gli agenti arrestarono Karel Weirich.
Weirich fu segregato nel carcere di Regina Coeli. Rinchiuso in una cella del terzo braccio. Subì interrogatori. Dalla sua scheda matricolare, che ho ottenuto grazie alla Professoressa Glielmi del Museo Storico della Liberazione di Roma, si possono estrapolare dei dati. Il documento riporta nome e cognome del detenuto, la data di nascita (2 luglio 1906), la professione (funzionario del Vaticano). Vengono poi annotate le date di entrata nel reclusorio (1° aprile 1944) e di uscita (26 maggio 1944). Nel riquadro ove è specificato il motivo dell’arresto c’è scritto: «favoreggiamento del nemico». Infine un’annotazione: «trasferito nelle carceri di Verona».
Da questi dati, pur scarni, si possono trarre alcune
considerazioni. La prima: la GESTAPO doveva controllare
Weirich da tempo. Una seconda sottolineatura: durante gli
interrogatori Karel non fece nomi. Difese con il silenzio
Ebrei e altri perseguitati. Non tradì la rete della
resistenza. Il dato è facile da ricavare perché dopo l’arresto
del giovane non ci furono arresti nell’ambito della rete
costruita dall’Associazione di San Venceslao.
Nel frattempo, mentre Karel era in carcere, si mossero alcune persone a lui vicine per salvarlo. La signora Maria (Mariuccia) De Rossi aveva uno zio (fratello della madre) che lavorava in Vaticano. Si trattava di Monsignor Luigi Valentini, prelato della Segreteria di Stato Vaticana. Saputo dell’arresto di Karel, Valentini informò Monsignor Montini. Si cercò, così, di scongiurare il peggio per l’arrestato insistendo sul fine umanitario delle sue azioni. Il 18 aprile del 1944 un tribunale militare tedesco (Via Lucullo 6) condannò Karel a morte per «favoreggiamento del nemico». La notizia si diffuse tra i Cecoslovacchi. La Santa Sede (Pio XII seguì la vicenda) riuscì a far tramutare la condanna in 18 mesi di lavori forzati. Insieme a ciò, fu due volte comunicato al condannato che, a causa della sua attività clandestina, avrebbe subito un secondo processo «altrove». Il 26 maggio del 1944, una settimana prima della liberazione di Roma, Weirich venne deportato in Germania con l’ultimo trasporto di prigionieri. Per un mese fu recluso nella prigione di Stadelheim (Monaco di Baviera). Venne poi internato nella casa penale di Bernau am Chiemsee lavorando nella fabbrica «Bayerische Motoren Werke» (BMW) di Kolbermoor in Baviera. Tra i documenti conservati nell’Archivio di Treviso ci sono alcuni fogli relativi a Kolbermoor. Weirich riuscì a portarli a casa (si tratta di alcune liste di internati).
Mentre Karel era internato nella casa penale di Bernau am Chiemsee, l’opera di assistenza a Roma fu proseguita dal Padre Olšr SJ e dal colonnello Miller. In tale contesto, il 28 settembre del 1944, Pio XII rivolse un discorso ai Cecoslovacchi residenti a Roma. Il Pontefice affermò tra l’altro:
«Possano le prossime deliberazioni portare a voi sicurezza esteriore e all’interno vera pace, una pace fondata sul principio, apertamente professato e lealmente praticato, della eguaglianza dei diritti per tutti… […] cessato il turbine della guerra, vi sia dato di stabilire e modellare con piena libertà ed indipendenza la vostra vita familiare, l’educazione dei vostri figli, i vostri ordinamenti sociali e le vostre pubbliche istituzioni secondo i principi, che i Nostri Predecessori e Noi stessi abbiamo potuto esporre al mondo e che affondano le loro radici nello spirito e nella dottrina di Cristo».
Il messaggio di sostegno del Papa ai Cecoslovacchi perseguitati dai nazisti risulta esplicito.
Karel e gli altri prigionieri furono liberati da militari USA il 2 maggio del 1945. Non poterono, però, lasciare il campo perché furono posti in quarantena, per motivi sanitari. Alla fine, Weirich raggiunse Praga. Accanto a lui c’era un amico boemo di fede ebraica. Il suo stato fisico era pietoso. Pesava 35 chili. Volle quindi riacquistare nuove energie prima di incontrare a Roma la madre. A Praga abitava il fratello Marco. Si presentò poi negli uffici dell’agenzia ČTK. Accettò nuovamente l’incarico di corrispondente da Roma. Fece infine ritorno in Italia. La madre, per mesi, non aveva avuto notizie del figlio. Seppe che era in vita solo quando la informarono da Praga. Nel frattempo, dopo la deportazione di Karel, Federico Alessandrini (dell’«Osservatore Romano»), ogni 15 giorni l’andava a trovare. Conduceva con sé due dei suoi diversi figli: Ludovico e Giorgio (nato nel 1935, divenuto poi sacerdote, mio carissimo amico). Grazie anche a questi incontri si rafforzò l’amicizia Weirich-Alessandrini. Alla fine, Karel rivide la madre. Per un breve periodo lavorò ancora in Vaticano.
Per Karel Weirich il 1948 fu un anno segnato da vari eventi: la morte della madre, un ritorno a Praga (l’ultimo) per rivedere i parenti, il licenziamento dalla ČTK (la Cecoslovacchia era passata sotto controllo comunista). Da quel momento, affrontò la vita quotidiana eseguendo piccoli lavori. Con riferimento a questo periodo esiste una testimonianza della nipote Helena:
«E allora, da quel momento, visse di tanti piccoli lavori… non so, era rappresentante di una fabbrica tedesca di carta, eccetera… Non posso dire che se la passasse proprio tanto bene, ma lui era una persona modesta, non ne faceva una tragedia!».
Nel 1962 la nipote Helena, che viveva con la propria famiglia a Praga, raggiunse lo zio a Roma. Nel 1963 risiedette stabilmente nell’Urbe per frequentare l’Accademia di Belle Arti.
«Poi, quando sono venuta io, nel 1962, a Roma a studiare, mi ricordo che lo zio lavorava tantissimo, anche di notte. Inoltre la sua governante slovacca, Marenka, era malata: lo zio era molto legato a lei e quindi la assisteva sempre… in quel periodo veramente faceva vita molto dura!».
Questa testimonianza è stata ripetuta allo scrivente in un’intervista del luglio 2014.
A metà degli anni ʼ60 Karel volle donare alla parrocchia di San Pio X alla Balduina un’opera originale del padre in gesso. Si trattava di una «Pietà». Don Giorgio Alessandrini ricorda ancora l’arrivo di questa scultura e il suo posizionamento in chiesa. Questa scultura era stata presentata in precedenza a Milano nel 1906. Fu esposta nei locali della Mostra Nazionale di Belle Arti.
Unitamente a questo lavoro, esiste a Roma di Ignatz Weirich anche un «Crocifisso» marmoreo. Fu richiesto dai Monaci Benedettini allora presenti in Via di Torre Rossa.
Durante quest’anno morì Marenka Kristofikova, l’anziana collaboratrice domestica slovacca. Karel l’aveva assistita con molta carità negli ultimi anni della sua vita. Nell’Archivio di Treviso si conserva una foto che ritrae i due, sereni e sorridenti. Sempre nel 1968 si sposò la nipote di Karel, Helena. La donna lasciò Roma per seguire il marito in varie tappe lavorative. A fine settimana, però, raggiungeva lo zio per assisterlo. Tale premura le consentì di assistere lo zio negli ultimi momenti della sua vita. Nel momento del terzo infarto, infatti, Helena si trovava in casa di Karel. Nel 1968 uscì pure il libro di Remigio Strinati, L’arte di Ignazio Weirich (1856-1916), Palombi, Roma 1968. Karel ne curò l’edizione. In copertina è riprodotta la testa in marmo di Marco Weirich (fratello di Karel).
Nell’intervista del luglio 2014, la signora Helena Weirichova si è ricordata del fatto che lo zio frequentava il centro religioso boemo «Velehrad». Tale luogo è ancora operativo. Si trova a Roma, in Via delle Fornaci 200. In un’informativa pubblicata nel 2004 da un periodico di Praga, ho trovato la notizia che Weirich fu il primo direttore (1969) della succitata struttura di accoglienza. Ho così contattato l’attuale responsabile, il Padre Salesiano Jaromir Zadrapa. Quest’ultimo mi ha poi messo in collegamento con uno dei fondatori del Centro: il Padre Professor Karel Skalický (nato nel 1934). Dalla Baviera, il succitato religioso mi ha scritto affermando di Weirich: «Lo tengo presente nella mia immaginazione molto chiaramente. Era una persona molto gentile ed amabile».
In tale contesto, dell’opera umanitaria svolta da Karel durante la Seconda Guerra Mondiale ci si dimenticò presto. Solo nell’Archivio di Treviso sono conservate alcune lettere di ringraziamento che risalgono ai drammi del conflitto.
«Vi ringraziamo tanto della Vostra gentilezza che ci avete mandato il Vostro vaglia di 24 VII».
«solo oggi si è presentata l’occasione di potervi ringraziare per le 1000 lire che mi avete inviato a mezzo del Sig. Coletti Osvaldo».
«soltanto oggi mi è possibile di ringraziarVi molto cordialmente per la seconda spedizione di Lire 100».
In questo periodo Karel, profondamente religioso, partecipò ad alcuni incontri della «Familia Christi». Quest’Opera fu fondata a Tivoli nel 1937 dalla professoressa Tommasina Alfieri (1910-2000), raccogliendo l’ispirazione e il sostegno del Servo di Dio Monsignor Giuseppe Canovai (1904-1942). Sull’interazione Weirich-Familia Christi si cercano dati.
Weirich parlò sempre poco dell’attività svolta durante la guerra. Per lui si era trattato di un dovere morale. Il 21 novembre del 1973 Weirich ebbe la gioia di essere ricevuto in udienza da Paolo VI (Papa Montini), sostenitore durante il Secondo Conflitto Mondiale dell’Opera di San Venceslao. Esiste una foto ove il Pontefice gli stringe la mano con affetto. All’udienza fu presente la nipote Helena che ricorda: «Come il Papa vide lo zio gli chiese subito “E Marco dove sta?”». Montini si ricordava perfettamente del fratello di Karel.
Il 3 giugno del 1975, Karel Weirich e il Padre Jiří Maria Veselý OP andarono a trovare nella sua abitazione romana, in Via Cristoforo Colombo 178, l’Onorevole Ferruccio Parri (1890-1981), divenuto Senatore a vita. Il Piemontese Parri, durante il Secondo Conflitto Mondiale, fu uno dei capi più noti della Resistenza nell’Italia Settentrionale. Conobbe vari esponenti cecoslovacchi. Interagì pure con Weirich e con Veselý. Dopo la guerra, divenne Presidente del Consiglio del Regno d’Italia (1945). Ora, in quel giugno del 1975, si ritrovarono a distanza di anni persone che, in un precedente tempo di lotte, usavano nomi in codice: «Maurizio» (Parri), «Savonarola» (Veselý) e «Václav Čech» o «Dvoràk» (Weirich). I tre ebbero la possibilità di ricordare le iniziative realizzate, i rischi affrontati, il convento domenicano di Santa Maria delle Grazie colpito dai bombardamenti, il contributo dei Cecoslovacchi nella Resistenza. A Parri venne offerta l’edizione italiana del libro di Veselý-Staudek sulla resistenza cecoslovacca in Italia (1975). Alla traduzione del testo (uscito a Praga nel dicembre del 1947) aveva collaborato anche Karel Weirich. Non ci furono altri incontri. Parri morì novantenne a Roma nel dicembre del 1981. Fu sepolto nel cimitero monumentale di Staglieno a Genova.
Il Padre Veselý terminò la sua vita terrena nell’agosto del 2004. Il funerale venne celebrato nella chiesa del monastero domenicano di Olomouc, in Moravia.
Karel affrontò gli ultimi anni della sua vita senza presenze continuative di famiglia. Una domestica lo aiutava. A fine settimana lo raggiungeva la nipote Helena. Poi la signora tornava dal marito che lavorava lontano da Roma. In casa restava il suo archivio. Delle foto ricordavano persone care. Alcune sculture paterne testimoniavano dei legami del cuore mai interrotti. Poi, arrivò l’ultima salita. Improvvisa. A causa di un terzo infarto, Karel morì il 1° novembre del 1981. La nipote, quel giorno, era presente. Prestò i primi soccorsi. Lo zio stava uscendo dal bagno. «Mi sento male. Chiama un medico…». Gli aiuti risultarono inutili. Karel entrò presto in agonia. Aveva 75 anni. Il giorno dopo accorse l’allora vice-parroco di San Pio X, Don Giorgio Alessandrini. Lo raggiunse poi sua sorella, Cecilia. Altri conoscenti fecero una visita in casa Weirich. Tra questi, il sacerdote boemo Padre Adalberto Vojtěch Hrubý SDB (1924-2010), del Centro «Velehrad». Il funerale venne celebrato nella chiesa di Santa Paola Romana. Erano presenti 15 sacerdoti boemi, famigliari e amici, alcuni membri di «Familia Christi» e un signore di fede ebraica. La salma fu poi tumulata nel cimitero romano di Prima Porta. Vi restò 10 anni. In seguito, fu trasportata presso il Cimitero Monumentale del Verano, accanto alle spoglie della madre. Grazie agli uffici cimiteriali del Comune di Roma ho potuto individuare l’ubicazione della sepoltura: tomba numero 10, zona Nuovo Reparto, sottozona Reparto Stranieri Esterno, riquadro 38.
Oggi, il tempo trascorso non aiuta a comprendere fino in fondo l’eroismo di un giovane romano dalle origini famigliari boeme. È difficile percepire in pieno la sua tensione ideale. Pur tuttavia, è giusto che gli anni non stendano su questa figura di laico cattolico i veli del silenzio e della dimenticanza. Che questo studio possa contribuire a rendere viva una sete di prossimità. E a fermare le cancellazioni dell’oblio.
In base alle carte originali conservate nell’Archivio di Treviso, presso la nipote di Weirich, la signora Helena Weirichova, sono diverse le evidenze che emergono.
1. I contatti tra Karel Weirich e la Segreteria di Stato Vaticana furono significativi. Sono documentati i contatti con l’allora Sostituto Monsignor Montini. Quest’ultimo informò Pio XII sulle vicende della Cecoslovacchia. Il Pontefice ricevette da Montini anche due relazioni preparate da Weirich sulle persecuzioni naziste in Cecoslovacchia. Fu la Santa Sede a intervenire a favore di Weirich dopo il suo arresto.
2. È confermato il collegamento tra Weirich, dipendenti vaticani e gli organismi di informazione e di assistenza cattolici operanti a Roma. Risulta l’interazione con associazioni e con strutture religiose.
3. Emerge in modo chiaro che la rete di soccorsi dell’Opera di San Venceslao si inserì in un tessuto relazionale solidale presente a Roma. In questa trama di contatti operarono singoli cittadini (titolari di farmacie, benefattori a vario titolo, tipografi), associazioni ebraiche (per esempio, la DELASEM), il Comitato Internazionale della Croce Rossa, Comitati nazionali della Croce Rossa, ambasciate.
4. Weirich e la sua Opera aiutarono, tra i molti, anche i Cecoslovacchi (molti Ebrei) internati nel campo di Ferramonti. Sono diversi i riscontri che attestano l’interazione con il Frate Cappuccino Padre Lovinot, cappellano del campo. Lovinot (in stretto collegamento con la Santa Sede e con il Nunzio Apostolico in Italia) fu anche operativo a Roma.
5. Sono conservate lettere di ringraziamento di perseguitati (specie Ebrei). La documentazione consente di ricostruire singole storie. Si possono estrarre dati su Ebrei presenti anche a Roma. Si individuano le difficoltà del momento. Si constata che più realtà difficili trovarono delle strade di soluzione.
AA.VV., I Giusti d’Italia. I non Ebrei che salvarono gli Ebrei 1943-1945, Yad Vashem. edizione italiana a cura di L. Picciotto (Fondazione CDEC, Milano), Mondadori, Milano 2006
Birman J., The Odyssey, Simon & Shuster, New York 1984 (la vicenda della nave Pentcho)
Capogreco C. S., I campi del Duce. L’internamento civile nell’Italia fascista 1940-1943, Einaudi, Torino 2004
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Gilbert M., I Giusti. Gli eroi sconosciuti dell’Olocausto, Città Nuova, Roma 2007
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Vommaro R., La Resistenza dei Cattolici a Roma (1943-1944), Odradek, Roma 2009.
1) FONTI ARCHIVISTICHE
H - Elenchi di ebrei stranieri internati o ex internati sussidiati presenti in archivi di singole province, comuni e centri di documentazione o forniti da studiosi
H1 Elenchi di ebrei stranieri internati in provincia dell’Aquila 1942 in: AS-AQ, Prefettura, Atti di Gabinetto, cat.XX, f.2, sf n.n.
H2 Elenchi di ebrei stranieri internati in provincia dell’Aquila 1942 in: AS-AQ, Questura, Cat. A8
H3 Documenti relativi alla presenza di ebrei stranieri internati in provincia di Frosinone, in AS-FR, serie III, Cat.1, b.2718,f.23
H4 Documenti relativi alla presenza di ebrei stranieri internati nel comune di San Donato Val Comino (FR) in ASCSD, B.35
H5 Documenti relativi alla presenza di ebrei stranieri internati nel comune di Sora (FR) in ASCS, POST 8, B. 29
H6 Elenchi di ex internati presenti a Bari in AS-BA,fondo E.C.A., b. 259, fasc. 44: «Rendiconto delle somme erogate per sussidi ad ex internati», a.1944
H7 Documenti relativi alla presenza di ebrei stranieri internati in provincia di Grosseto in:AS-GR, Fondo Questura, bb.226/526/528
H8 Documenti relativi alla presenza di ebrei stranieri internati in provincia di Grosseto in: AS-GR, Fondo Regia Prefettura, b.698
H9 ACDEC, Studi e ricerche di terzi. «Elenco di ebrei confinati ad Aprica» Fondo Scala, b.12
H10 Provincia di Ascoli Piceno – Internati prima della Liberazione, 14 settembre 1944 in: AS-AP, Fondo Questura, Div:Gabinetto, cat A/13 busta 2 fasc. 1
H11 Nominativi di ebrei stranieri internati in provincia di Modena, comunicazioni della Questura in: AS-MO, cat.E3 e ABG
H12 Nominativi di ebrei stranieri internati in provincia di Rieti in: AS-RI, Fondo Prefettura, Ufficio di Gabinetto, Fascicoli riservati ebrei, b.1 e
H13 Richieste di internati in:UCEI,AUCII,serie Delasem, b.45 D, f.45-D6 e b.45E,f.45-E7
H14 Elenchi di internati nel campo di Campagna (SA) da: Comitato Giovanni Palatucci
H15 Campi di internamento in provincia di Macerata in: AS-MC, A. Questura di Macerata, bb. 1, 2, 3, 4
H16 Quietanze per sussidio firmate dagli internati nel campo di Ferramonti al 31.10.1942 in: ASCS, Fondo Prefettura, serie gabinetto, B.32, f.14
H17 Elenchi di internati e deportati in provincia di Viterbo in AS-VT, Fondo prefettura, Archivio Gabinetto, b.101 ed Archivio Comunale di Viterbo b.62
H18 Relazione sulle spese effettuate per il trasporto degli internati (1941-1943) in ASVT, Fondo Questura b.529
H19 Ricerche internati evasi dai campi e dalle località in AS-VT, Fondo Questura, bb. 470, 407
H20 Nominativi di ebrei stranieri internati in provincia di Rieti (1944) in AS-RI, Fondo Questura, Corrispondenza non contemplata nelle precedenti categorie, b.62
H21 Elenchi internati cecoslovacchi, dall’Archivio trovato di Karel Weirich conservato presso l’Istituto storico della Resistenza di Treviso
H22 Liste di depositi bancari, custodia beni, certificati di nascita e di morte, atti giudiziari relativi agli internati a Ferramonti (1943) conservati nell’Archivio del comune di Tarsia messi a disposizione dal Professor Mario Rende
H23 Trasferimenti internati in AS-TE, Fondo prefettura b34
H24 Ricerche internati che si sono allontanati in AS-TE, Fondo Questura, cat.1, b.140
H25 Elenchi degli ebrei internati nel campo di Arbe fornito al CDEC dalla storica croata Melita Svob
H26 Elenco ebrei stranieri residenti in provincia di Como 1943 in AS-CO, Fondo Scasellati, b.2
H27 Elenchi e documenti ebrei internati a Picinisco (FR) 1941 e segg. In Archivio Comune di Picinisco, fasc.1
H28 Elenchi di internati a Saluzzo (CN) dall’Archivio storico di quel comune
H29 Rubrica ebrei stranieri registrati a Milano nel 1942 in ACDEC-Milano.
IL PUNTO SULLA RICERCA ARCHIVISTICA
Con riferimento alla ricerca archivistica svolta sulla figura e l’operato di Karel Weirich sono state evidenziate alcune criticità.
1. Nell’Archivio Weirich di Treviso non si trovano le lettere che la Santa Sede trasmise a Karel in risposta alle sue missive. L’ipotesi più accreditata è che furono distrutte al fine di non farle trovare in caso di perquisizione.
2. I resoconti inviati da Praga a Karel Weirich riguardano il periodo che inizia con l’invasione della Cecoslovacchia e che arriva al giugno del 1940. Non sono conservate le informative che si riferiscono a luglio-dicembre 1940.
Al termine di questo studio desidero esprimere profonda riconoscenza a quanti, in vario modo, mi hanno aiutato:
Signora Helena Weirichova, nipote di Karel Weirich e custode dell’Archivio dello zio, per aver accettato di rispondere in molteplici occasioni a varie domande sullo zio;
Dottore Miloslav Hirsch, dell’Ambasciata della Repubblica Ceca a Roma, per aver segnalato un importante riferimento riguardante la vita di Weirich in periodo postbellico;
Dottore Andreas Pieralli, giornalista, già Czech Italian Chamber of Commerce in Prague, European Retail Consulting, per aver favorito i collegamenti con la storica Ludviková;
Dottoressa Miroslava Ludviková, già Responsabile del Centro culturale ed educativo del Museo Ebraico di Praga, per la consulenza sulle vicende degli Ebrei che cercavano di raggiungere la Palestina con la motonave Pentcho e per il notevole materiale trasmesso;
Dottoressa Radka Neumannova, Direttrice del Centro Ceco di Milano, per aver ricostruito la situazione della Croce Rossa Cecoslovacca nel periodo 1943-1944;
Suor Nancy Celaschi, Segretaria Generale delle Suore Francescane Insegnanti (dette di Praga), per la consulenza (e i documenti) con riferimento all’azione del Suo Istituto a Roma a favore dei perseguitati nel 1943-1944;
Monsignor Petr Šikula, Rettore del Pontificio Collegio Nepomuceno, per le indicazioni fornite e l’accoglienza ricevuta;
Padre Jaromir Zadrapa sdb, Responsabile del Centro Religioso Boemo «Velehrad» di Roma, e Monsignor Karel Skalicky, già Professore e Direttore del Dipartimento di Teologia Sistematica presso la Facoltà Teologica della Boemia Meridionale, per le indicazioni fornitemi sull’attività di Karel Weirich nel dopoguerra;
Dottore Pierluigi Solieri, Direttore del quotidiano «Buongiorno Slovacchia», per la ricerca su Karel Weirich;
Signora Antonia Grassi in Di Felice, per aver ricordato (intervista rilasciata il 10 maggio 2015) il periodo in cui conobbe Karel Weirich. La signora abitava (e continua ad abitare) nello stesso condominio di Weirich (Viale delle Medaglie d’Oro 200/a, 4° piano, interno 14);
Dottore Alberto Tronchin, per la trasmissione da Treviso dei dati richiesti, e per la disponibilità a fornire dettagli e commenti di merito;
Don Giorgio Alessandrini, per aver ricostruito i rapporti intercorrenti tra la sua famiglia e quella dei Weirich;
Professore Giovanni Maria De Rossi, per aver descritto l’interazione tra la sua famiglia e quella dei Weirich;
Monsignor Luis Manuel Cuna Ramos, Responsabile dell’Archivio Storico di Propaganda Fide, per la ricerca effettuata su Karel Weirich;
Dottore Tommaso Galizia, Vice Direttore della Sezione Direzione Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie per l’Italia (Fondazione MISSIO, Organismo pastorale della C.E.I.), per aver cortesemente risposto a un quesito su Weirich;
Padre Gerardo Severino, Direttore del Museo Storico e Comandante del Centro Studi Storici e Beni Museali Quartier Generale Guardia di Finanza, per i dati informativi su Monsignor Valentini;
Professoressa Alessia Glielmi, Università degli Studi «Tor Vergata», Responsabile dell’Archivio del Museo Storico della Liberazione di Roma, per la ricerca effettuata in merito all’arresto di Karel Weirich;
Dottore Andrea Torre, Responsabile Archivio Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, per la ricerca effettuata su Karel Weirich, e per i dati forniti sull’organo di stampa delle SS italiane;
Dottoressa Lisa Tempesta, Membro dell’Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea della Marca Trevigiana, per la documentazione ricevuta;
Dottoressa Megan Lewis, «Reference Librarian» del United States Holocaust Memorial Museum di Washington DC, per aver risposto a un mio quesito;
Dottoressa Gisèle Lévy dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane per l’assistenza nello studio delle carte conservate presso l’Archivio dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane;
Dottore Fabrizio Bensi, responsabile dell’Archivio del Comitato Internazionale della Croce Rossa (Ginevra), per le ricerche effettuate su mia istanza;
Curia Generalizia dei Salesiani (Roma) per i dati su Padre Artur Słomka sdb;
Curia Generalizia dei Domenicani (Fra Franklin Buitrago e Fra Gaspar Sigaya) per le informazioni sull’Irlandese Padre Garde OP a Roma;
Padre Giovanni M. Cunningham OP, Rettore della basilica di San Clemente (Roma) per i dati biografici su Padre Garde OP;
Direzione degli Uffici Cimiteriali del Comune di Roma, per aver trasmesso l’ubicazione della sepoltura di Karel Weirich;
Dottoressa Laura Marra, per il sostegno ricevuto nelle fasi preparatorie del lavoro.