Il Gobbo del Quarticciolo
Mito e realtà
Eroe o criminale? Studiosi e politici sono divisi e la ricostruzione degli eventi legati al personaggio è contraddittoria e legata alle dichiarazioni di esponenti politici molto di parte.
Le due tesi sono state dibattute e sul personaggio si ebbero anche delle produzioni cinematografiche di una certa importanza (film di Lizzani e di Lenzi) che resero il personaggio particolarmente noto. Appare comunque difficile pensare al personaggio come a un militante disinteressato della Resistenza dati i suoi precedenti penali e le altre azioni criminali commesse successivamente quando la nostra capitale venne liberata.
Il Gobbo del Quarticciolo (Giuseppe Albano), così chiamato per una deformazione alla schiena dovuta a una caduta incidentale da bambino, era originario della Calabria e a dieci anni con la famiglia si trasferì a Roma nel quartiere popolare del Quarticciolo. Poco istruito e indigente, negli anni immediatamente successivi entrò a far parte di una banda di ragazzi della zona dedita a piccoli furti.
La sua partecipazione alla vita politica e alla Resistenza potrebbe non essere una adesione per ragioni etiche, ricordiamo personaggi in qualche modo simili, in Sicilia nel dopoguerra il bandito Giuliano aveva aderito al movimento separatista, un gesto probabilmente dovuto a una specie di mania di grandezza. Comunque fra i numerosi fatti incerti sembra sia reale che già l’8 settembre il Gobbo prese parte agli scontri di Porta San Paolo contro i tedeschi, all’epoca era sedicenne.
Di lui e la sua banda (per alcuni la maggiore di Roma e provincia) si parla per assalti ai treni utilizzati dai tedeschi e ai forni che rifornivano la gente della città. Alcuni ritengono che abbia ucciso con il coltello 16 fascisti e 80 soldati tedeschi, fatto oggettivamente poco credibile. La mente della banda era un certo Franco Napoli, socialista calabrese legato al gruppo trotzkista Bandiera Rossa diretto da un ex fascista, organizzazione come sappiamo in forte contrasto con il Partito Comunista Italiano. A rendere ancora più complessa la situazione abbiamo che Napoli, arrestato in passato per un fallito attentato a Mussolini, in Calabria organizzò (senza dare attuazione) un assalto alle carceri tedesche di Via Tasso insieme a Sandro Pertini, suo amico.
L’uccisione di tre soldati tedeschi avvenuta durante un assalto con la sua banda e membri di Bandiera Rossa a un’osteria sulla Tuscolana fu tra le cause del rastrellamento del Quadraro, che il 17 aprile 1944 portò alla deportazione di ben 700 persone. Anche Albano fu arrestato, ma secondo atti giudiziari successivi il Gobbo non prese parte all’azione. Poco dopo si ritrovò libero, ma le opinioni su tale fatto sono molto discordanti, un’evasione, la sua liberazione da parte della folla quando i tedeschi si ritirarono, o una sua collaborazione con il nemico.
Su richiesta di Pietro Nenni, il nostro protagonista si infiltrò nel gruppo Unione Proletaria. Questo gruppo nonostante fosse diretto da un ex appartenente di Bandiera Rossa, Umberto Salvarezza, in realtà aveva aggregato molti ex fascisti, fatto non del tutto singolare all’epoca, anche se secondo alcuni il gruppo aveva finalità contrarie a quelle della Resistenza. Salvarezza, conosciuto nell’ambiente come «Il Guercio», è stato considerato un truffatore, filo fascista.
Dopo che Roma venne liberata, la banda del Gobbo continuò le sue azioni criminali e scontri con altre bande locali e durante un tentativo di furto venne ucciso un caporale britannico.
Sei mesi dopo la liberazione di Roma il Gobbo morì, ufficialmente in seguito a uno scontro con i carabinieri davanti alla sede di Unione Proletaria. Lo stesso Salvarezza dichiarò di aver allertato lui stesso i carabinieri, dopo aver scoperto che era un infiltrato e dopo essere stato minacciato da Albano.
I fatti contorti che interessavano Albano non furono gli unici di quel periodo. Il generale Cordero di Montezemolo capo delle formazioni combattenti clandestine venne fucilato durante la guerra dai tedeschi a seguito di una delazione. Il questore Pietro Caruso venne condannato a morte dalla Corte per le Sanzioni contro il Fascismo, sebbene avesse cercato di ridurre il numero delle vittime della rappresaglia tedesca alle Fosse Ardeatine, perché comunque fascista convinto e considerato collaboratore dei tedeschi. Il direttore delle carceri di Regina Coeli Donato Carretta sebbene vicino agli antifascisti venne linciato dalla folla, steso sui binari del tram ma l’autista si rifiutò di passargli sopra col mezzo, gettato nel Tevere e finito a colpi di remo, il suo corpo venne appeso e ci fu un tentativo di aggredire anche la moglie. Difficile pensare al triste evento come a una reazione spontanea, non essendo molto conosciuto. Probabilmente l’azione venne gestita da qualcuno legato al mondo del crimine. Il periodo dell’occupazione di Roma e il dopoguerra fu un periodo triste e confuso. Il gruppo diretto da Napoli venne successivamente processato per l’uccisione di un fascista di Lanuvio non considerato atto di guerra.