Generale Piera Gatteschi Fondelli
Comandante Generale del Servizio
Ausiliario Femminile (1944-1945)
Esercito della Repubblica Sociale Italiana
Esercito della Repubblica Sociale Italiana
Le due guerre mondiali del Novecento, e in modo particolare la seconda, hanno dato luogo a un fenomeno che in precedenza era stato assolutamente marginale, per non dire pressoché inesistente: la partecipazione femminile. Nel primo caso, ciò era avvenuto con l’impiego su larga scala delle donne nei servizi di pubblica utilità o nel momento produttivo, in sostituzione degli uomini mobilitati, se non anche scomparsi nel dramma della prima linea; e in qualche caso, con l’impiego diretto al fronte, come nel caso davvero esemplare – ma tuttora non molto noto – delle «portatrici» operanti nell’Alta Carnia, testimoniato dall’eroico sacrificio della Medaglia d’Oro al Valor Militare Maria Plozner Mentil (conferita a distanza di parecchi decenni).
Nella Seconda Guerra Mondiale il ruolo attivo delle donne divenne particolarmente significativo anche in Italia: da una parte, con la presenza nel movimento partigiano al livello prioritario di staffette, informatrici e addette ai servizi, ma senza escludere l’impegno militare; dall’altra, con l’istituzione del Servizio Ausiliario Femminile, attivo nello scorcio conclusivo della guerra con un organico che avrebbe raggiunto le 10.000 unità, comprensivo di quelle operanti al di fuori del SAF: in primo luogo, le Ausiliarie della Decima, agli ordini di Junio Valerio Borghese, per non dire di altre formazioni autonome, come quelle inquadrate nella Brigata «Norma Cossetto» di Trieste o nella Brigata «Aldo Resega» di Milano.
Il Corpo delle Ausiliarie ebbe un Comandante Generale nella persona di Piera Gatteschi Fondelli[1] che fu la sola donna investita del grado di Generale di Brigata, nel corso di tutta la storia d’Italia. La struttura di vertice si completava con la Vice Comandante Generale Colonnello Cesaria Pancheri e le Comandanti dei Servizi Sanitari (Colonnello Wanda Crapis), Logistici (Colonnello Paola Viganò) e Amministrativi (Colonnello Italia Cobolli Gigli). Ebbe un ruolo importante anche l’Ufficio Stampa e Propaganda (Maggiore Lucrezia Pollio). In buona sostanza si trattava di una struttura agile ma funzionale, all’insegna di una cooperazione che fu sempre attiva a tutti i livelli, sino a quelli esecutivi.
Sulle Ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana non si è scritto molto, sia per l’ostracismo ideologico che venne opposto al SAF e alle altre formazioni femminili a guerra finita, sia perché al momento della resa venne dato l’ordine di distruggere archivi e documenti nel tentativo, purtroppo non riuscito, di impedire – per quanto possibile – che la rabbia dei vincitori si scatenasse su quelle donne che avevano scelto l’impegno nel campo dell’onore[2]. Molte erano giovani ragazze ma non mancavano donne più mature, consapevoli del momento storico e della necessità di un impegno concreto al servizio di ideali facenti parte di una formazione etica, ancor prima che politica, che oggi non è facile riscoprire nelle sue matrici improntate all’idea di Patria, ai valori della famiglia e all’antico sentimento religioso.
La Comandante Generale, come emerge dalle sue memorie, ebbe un rapporto con le Ausiliarie che non è azzardato definire materno, imponendo una disciplina severa (fumo e trucco erano rigorosamente proibiti) e disponendo che le sue ragazze non fossero mai impegnate in prima linea, anche quando vennero aggregate a reparti combattenti come quelli della Divisione Alpina «Monterosa» o della Brigata Paracadutisti «Nembo». Scopo della direttiva era quello di tutelarne la sicurezza e prevenire il rischio di versare sangue fraterno in possibili scontri a fuoco. A guerra finita si sarebbe interrogata sulla congruità del proprio comportamento ma traendo conferma dalla sua coscienza patriottica, e impegnata eticamente, di avere agito per il meglio: non a caso, le Ausiliarie superstiti avrebbero sempre conservato atteggiamenti di affettuoso rispetto per la Comandante, in specie nelle occasioni d’incontro, talvolta fortuito e a più forte ragione gradito.
Le pagine più emozionanti dei ricordi di Piera Gatteschi Fondelli sono quelle riferite agli ultimi giorni di guerra e al periodo immediatamente successivo, quando la salvezza era affidata al caso, tanto più che qualche porta potenzialmente amichevole veniva chiusa in faccia senza alcun riguardo, neppure sul piano umano. Il destino non le fu avverso (se non nella triste perdita del marito appena rientrato dalla prigionia) pur avendola costretta a nascondersi lungamente, tanto che parecchi dei suoi amici, avendola creduta morta, manifestarono viva e lieta sorpresa quando le fu possibile emergere dalle catacombe.
Al contrario, la sorte di tante Ausiliarie fu tragica, sebbene avessero prestato servizio in attività sostanzialmente benemerite e asettiche come quelle infermieristiche, di ristorazione o di segreteria, conformi al Regolamento del SAF. Tra coloro che pagarono con la vita una scelta certamente coraggiosa, furono tante (verosimilmente una larga maggioranza) quelle che subirono violenza prima della morte, come accadde alle giovanissime Marilena Grill e Luciana Minardi, entrambe sedicenni (la norma secondo cui potevano essere inquadrate nel Servizio soltanto le ragazze che avevano compiuto il diciottesimo anno di età finì per essere accantonata a fronte dell’entusiasmo di quelle ragazze), o alla ventenne Jolanda Crivelli, vedova di un ufficiale caduto sul campo, fucilata a Cesena dopo essere stata denudata e oltraggiata sulla pubblica piazza.
Giovani ma eroiche, come le diciassettenni Marcella Batacchi e Jolanda Spitz, dichiaratesi orgogliosamente volontarie, massacrate di botte e violentate più volte prima della fucilazione liberatrice. Va da sé che l’elenco delle vittime di cotali efferatezze, anche limitatamente a quelle ricordate nel memoriale della Comandante, risulta molto lungo.
Qui, basta aggiungere che le Ausiliarie uccise dai partigiani caddero senza un pur minimo simulacro di giudizio, e ribadire che - non solo nei casi ora citati – furono oggetto di violenze indiscriminate prima dell’estremo sacrificio: come è stato sottolineato da Gianpaolo Pansa, non soltanto per soddisfare un immondo desiderio sessuale, quanto per esprimere il disprezzo del vincitore. Piera Gatteschi Fondelli sapeva bene quali fossero gli orientamenti avversari, ma nulla aveva potuto fare all’infuori del distruggere gli archivi del Corpo, esortare all’abbandono della divisa militare, e sciogliere le ragazze dal giuramento che avevano orgogliosamente prestato. Molte vittime non ebbero nemmeno l’onorata sepoltura che il nemico usava concedere ai caduti di parte avversa sin dai tempi di Omero, e finirono in fosse comuni: solo in qualche caso le spoglie mortali vennero recuperate in tempi successivi grazie alle pietose ricerche familiari[3].
Molte Ausiliarie (almeno 28) provenivano dalla Venezia Giulia, quasi a sottolineare la specifica passione patriottica sviluppata nelle zone del confine orientale, che si era diffusa anche tra le generazioni più giovani: fra quelle donne, l’Istriana Elvira Chersi che aveva perduto il marito e due fratelli infoibati dai partigiani in agro di Albona; la Triestina Lidia Fragiacomo, fucilata in Piemonte da elementi della Brigata «Garibaldi» assieme alla propria Capo nucleo e autrice di una commovente lettera «in articulo mortis»; la Dalmata Valentina Teodoro, i cui congiunti erano stati uccisi per annegamento nelle acque dell’Adriatico con la tradizionale pietra al collo; la Friulana Caterina Prizzon, violentata e uccisa a Buia nel novembre 1944 mentre si apprestava a rientrare in caserma, e la conterranea Angela Baroni ammazzata proditoriamente mentre trasportava le spoglie di Caterina al camposanto di Udine; l’altra Triestina Lea Luppi Romano, catturata nel maggio 1945, tradotta a Lubiana e scomparsa in carcere dopo due anni e mezzo di atroci sofferenze.
Delle sue migliaia di Ausiliarie, la Comandante Generale avrebbe conservato un coinvolgente ricordo per tutta la vita, non senza il permanente dolore per quelle che erano state iniquamente sottratte alla famiglia, agli affetti e alle speranze della giovinezza. Non a caso il suo volume di ricordi, a parte quelli riservati ai maggiori protagonisti dell’epoca, è dedicato soprattutto alle «sue» ragazze, e in particolare a quelle che furono vittime incolpevoli della guerra civile e delle peggiori perversioni. Molte di loro, a cominciare dalla Comandante, pagarono duramente l’illusione secondo cui quella guerra si sarebbe dovuta combattere nel segno dell’onore e della lealtà, arruolandosi nel Servizio Ausiliario – in diversi casi – contro il parere dei genitori e degli amici, nel solo intento di servire la Bandiera della Patria.
Sin dalle prime fasi organizzative Piera Gatteschi Fondelli aveva dato particolare importanza alla statuizione di ogni aspetto formale anche per quanto riguarda la divisa e le dotazioni delle Ausiliarie, cosa che ne suffragava lo «status» con pari dignità a quello dei combattenti inquadrati nell’Esercito Nazionale Repubblicano, nella Guardia Nazionale Repubblicana e nelle altre formazioni della Repubblica Sociale Italiana. Non si trattava di un aspetto secondario perché conferiva al SAF un riconoscimento di fondamentale importanza nell’ambito della legge di guerra: non a caso, la critica storica ha evidenziato, tra i fattori determinanti ai fini di una piena legittimazione giuridica della Repubblica, anche la presenza del Servizio Ausiliario Femminile[4]. È inutile aggiungere che le «donne in divisa» avrebbero dovuto fruire, in caso di cattura e di prigionia, dei diritti rivenienti dalla loro condizione militare: cosa che non avvenne minimamente, nell’ambito di un «redde rationem» senza alcuna pietà.
Diversamente dai ricordi storici, il testamento morale di Piera Gatteschi Fondelli, scritto il 28 aprile 1981 nell’anniversario di Piazzale Loreto, è molto breve[5]. Convinta di «avere agito sempre rettamente», ammette di essere stata «troppo severa nel giudicare gli uomini» ma afferma di avere cercato «sempre di fare il bene disinteressatamente» e di essersi dedicata alla Patria, e con essa, a una «concezione di vita fatta di giustizia sociale e di onestà» nei confronti di tutto il popolo, chiamando Dio a «Giudice supremo». Poche parole senza retorica, ma di perenne fedeltà a valori che è congruo definire «non negoziabili».
1 Piera Gatteschi Fondelli (Greve in Chianti 1902-Roma 1985) dopo aver perso il padre Pietro ancor prima della nascita, si trasferì a Roma con la madre quando aveva 12 anni, compiendo gli studi nella capitale e acquistando forte consapevolezza dei valori nazionali, culminata nell’impegno maturato nel quartiere di San Lorenzo quando le spoglie di Enrico Toti vennero oltraggiate dai «rossi» sempre pronti a coprire gli ex combattenti con ogni sorta di insulti. Fu tra i fondatori del Fascio di Roma insieme a Giuseppe Bottai e nel 1922 fece parte del gruppo di 20 donne intervenute alla Marcia su Roma come «Squadra d’onore al gagliardetto». Divenne esponente di punta del Movimento Femminile Fascista con posizioni di rilievo quale Ispettrice della Croce Rossa, dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia e delle colonie estive per bambini. Nel 1936 contrasse matrimonio con l’Ingegner Mario Gatteschi che seguì in Etiopia dove il coniuge era impegnato nella direzione dei lavori per la realizzazione di grandi infrastrutture, rientrando in Italia nel 1939 e assumendo l’incarico di Capo dei Fasci Femminili di Roma, con 150.000 iscritte, e l’anno successivo, quello di Ispettrice Nazionale. Alla caduta di Benito Mussolini, mentre il marito era già stato fatto prigioniero dagli Alleati, trovò rifugio in Casentino presso i suoceri, che avrebbe lasciato in settembre per trasferirsi a Brescia e mettersi a disposizione della Repubblica Sociale Italiana proponendo di dare alle donne «un ruolo più incisivo» nell’opera di difesa, e trovando il pieno avallo di Alessandro Pavolini, Segretario del Partito Fascista Repubblicano, e del Maresciallo Rodolfo Graziani. Di qui, la costituzione del Servizio Ausiliario Femminile (18 aprile 1944) con la nomina a Comandante Generale: tra i primi compiti, la predisposizione del Regolamento e l’organizzazione dei Corsi di formazione, che furono sei e vennero tenuti alternativamente a Venezia e Como con l’inquadramento di 6.000 Ausiliarie. Dopo lo scioglimento avvenuto a fine guerra (25 aprile 1945) visse per un anno in clandestinità, e soltanto nel 1947 ebbe la possibilità di ritrovare il marito reduce dalla prigionia, che sarebbe scomparso a breve, stroncato dai duri patimenti che aveva sofferto. Rimasta con la nipote Teresa Tirinnanzi che avrebbe trattato come figlia, ebbe un fugace ritorno in politica attiva alla fine degli anni Settanta; infine, con la collaborazione di un noto giornalista, nel 1984 diede nuova veste alle memorie scritte in prima stesura sin dal 1949 (confronta Luciano Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini: con il Memoriale inedito di Piera Gatteschi Fondelli ed il suo testamento spirituale, Casa Editrice Mursia, seconda edizione, Milano 1997, 144 pagine), preparandosi «con fermezza e coraggio» alla morte che sopraggiunse per crisi cardiaca durante il settembre dell’anno successivo, quando Mia Pavolini, una delle Ausiliarie più giovani, volle ricordarla con nobili parole quale «essenza di vita». Cinque giorni prima, consapevole delle proprie condizioni, aveva chiesto un foglio di carta per scrivere un ultimo pensiero rivolto alle sue ragazze per augurare loro «il bene più grande e l’affetto che è rimasto immutato in questi lunghi e travagliati anni».
2 L’indisponibilità degli archivi e la frequenza di esecuzioni sommarie a guerra finita, spesso non documentate, rendono impossibile stabilire con esattezza il numero delle Ausiliarie che caddero in quella stagione senza «pietas». Incrociando le fonti, si può comunque ipotizzare che siano state parecchie centinaia (una minoranza durante l’anno di guerra e il resto dopo la fine del conflitto). Al riguardo, la fonte più esaustiva è quella di Marco Pirina, Donne nella guerra civile italiana (1943-1945), Edizioni del Centro Studi e Ricerche Storiche «Silentes Loquimur», Pordenone 2008, pagine 13-127, che contiene l’elenco nominativo di oltre 400 Ausiliarie scomparse in quella fase plumbea della storia italiana, corredato da molte fotografie, con indicazione di età, reparti di appartenenza e luogo di morte. Tali nomi sono riportati, altresì, nel monumentale Albo Caduti e Dispersi della Repubblica Sociale Italiana a cura di Arturo Conti, Istituto Storico della Fondazione Repubblica Sociale Italiana, Terranuova Bracciolini 2005, 750 pagine (nell’ordine alfabetico generale). Una significativa documentazione storiografica e iconografica è disponibile anche nell’opera di Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia (1943-1945), Edizioni FPE, Milano 1966, volume terzo, pagine 1.421-1.440 (e altri riferimenti «passim»). Infine, per un inquadramento di sintesi, confronta Carlo Cesare Montani, Pagine eroiche nella storia del Servizio Ausiliario Femminile (1944-1945): nobile sentire e forte agire, in www.storico.org, gennaio 2016. Per quanto riguarda le vittime menzionate nominativamente nei ricordi della Comandante Generale, bisogna dire che è notevolmente inferiore; nondimeno, è d’uopo tenere conto di tutte quelle che non fu possibile identificare, e nemmeno recuperare, ma delle cui esecuzioni è rimasta traccia, e delle altre tante Ausiliarie che non fecero parte del Servizio Ausiliario Femminile essendo inquadrate nelle diverse formazioni repubblicane citate nel testo. Ciò, con particolare riguardo a quelle della Decima Flottiglia MAS, inquadrate sin dal marzo 1944 e comandate dalla studentessa universitaria Fede Arnaud Pocek (che si sarebbe salvata rocambolescamente, e tornata alla vita civile avrebbe avuto un ruolo di livello nell’industria cinematografica) con il supporto di Luciana Cera e Silvana Millefiorini: tali formazioni erano sorte quali supporti delle Forze Armate Repubblicane durante la controffensiva dell’Asse dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, dove quelle Ausiliarie ebbero il battesimo del fuoco per trovare successivo impiego sul fronte orientale. Tra le varie fonti una citazione d’obbligo compete anche a «Donne in Grigioverde» quale organo di stampa del Servizio Ausiliario Femminile che diede voce importante ai quadri e alle ragazze del Servizio stesso, con le loro esperienze e i loro ideali: la testata in parola uscì fino all’ultimo, tanto da poter pubblicare l’ultimo scritto di Alessandro Pavolini nel numero del 18 aprile 1945, dal significativo titolo di Cara Ausiliaria dove il Segretario del Partito Fascista Repubblicano concludeva il proprio intervento rendendo omaggio a un Corpo ricco «di una vitalità, di un impeto, di una linfa morale che offrono immagine, più ancora che del presente, dell’avvenire del popolo italiano» (lettera aperta riportata in: Luciano Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini: con il Memoriale inedito di Piera Gatteschi Fondelli ed il suo testamento spirituale, Casa Editrice Mursia, seconda edizione, Milano 1997, pagina 136).
3 Diverse Ausiliarie, tra cui la diciassettenne Elena Sommariva, caduta nelle convulse giornate di fine aprile 1945, hanno avuto adeguata sepoltura, assieme a un migliaio di commilitoni della Repubblica Sociale Italiana, nel Campo X del cimitero milanese di Musocco, affidato – in assenza altrui – alla sola manutenzione del volontariato in cui si distinsero, fra gli altri, le Ausiliarie Marisa Gambini e Velia Mirri.
4 In tal senso, confronta Daniele Trabucco, Considerazioni sulla natura giuridica della Repubblica Sociale Italiana, con un commento di Giorgio Vitali, in «Storia del Novecento», Edizione MARO, Pavia, numero 67, novembre 2006. Sulla piena legittimazione dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana «a tutti gli effetti» è da rammentare, fra l’altro, la sentenza del Tribunale Supremo Militare numero 747 in data 26 aprile 1954 (ancorché ignorata dalla prassi negazionista dei loro diritti assunta in chiave politica).
5 Confronta Luciano Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini: con il Memoriale inedito di Piera Gatteschi Fondelli ed il suo testamento spirituale, Casa Editrice Mursia, seconda edizione, Milano 1997, pagina 137. Non meno coinvolgenti e spesso commoventi sono le ultime lettere di alcune Ausiliarie condannate a morte (Ibidem, pagine 101-104). Nella fattispecie, si tratta di quelle scritte da Franca Barbier, Medaglia d’Oro al Valor Militare, caduta in Valle d’Aosta nel luglio 1944 e uccisa con un colpo alla nuca dopo che il plotone di esecuzione si era rifiutato di fare fuoco; Lidia Fragiacomo; Laura Giolo; Margherita Audisio; Adelina Conti Magnaldi, madre di tre bambini; Barbara Forlani; Angela Maria Tam, sorella di un cappellano e terziaria francescana. A proposito di decorazioni al Valore per le Ausiliarie che si erano meritoriamente distinte, si debbono ugualmente ricordare quelle proposte per Angelina Milazzo, caduta a Garbagnate nel gennaio 1945 durante un bombardamento alleato mentre faceva scudo col proprio corpo a una signora incinta; e per la studentessa universitaria Silvia Polettini, caduta a Rovigo a causa di analogo attacco aereo mentre stava operando per salvare le persone rimaste sotto le macerie. Come molti sanno e tutti dovrebbero sapere, quelle Medaglie, in quanto espressione della Repubblica Sociale Italiana, vennero revocate: ogni commento è superfluo.