L’eccidio di Codevigo
Un esempio sulle stragi partigiane in
Italia nei giorni immediatamente successivi alla Seconda
Guerra Mondiale
Si potrebbe pensare – molti testi di storia, anche firmati da storici di prestigio, lo lasciano supporre – che il periodo peggiore della Seconda Guerra Mondiale sul fronte italiano sia quello tra l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la fine ufficiale delle ostilità (25 aprile: proclamazione dell’insurrezione generale nel Nord Italia, i partigiani dichiarano di assumere i pieni poteri civili e militari; 28 aprile: fucilazione di Mussolini; 29 aprile: le truppe tedesche in Italia accettano la resa incondizionata; 2 maggio: resa di tutte le truppe tedesche sul suolo italiano). In realtà, nelle settimane successive al 25 aprile si assistette a una vera e propria «macelleria messicana» di fascisti, presunti fascisti, collaborazionisti col fascismo e gente che col regime fascista non aveva e non aveva mai avuto nulla a che fare: esecuzioni sommarie, torture, vendette personali che portarono alla morte – secondo le stime più attendibili – circa 48.000 persone, un numero superiore a tutti i Tedeschi e fascisti uccisi sul nostro territorio dai partigiani in tempo di guerra!
Ciò che accadde a Codevigo e dintorni, tra il 28 aprile e la fine di giugno del 1945, è uno degli episodi più gravi tra quelli avvenuti nell’Italia Nord-Orientale dopo la fine della guerra: l’assassinio, a sfondo politico-ideologico ma anche per vendette di natura personale, di 136 persone tra militi della Guardia Nazionale Repubblicana, soldati delle Brigate Nere e una mezza dozzina di civili; tra loro anche alcune donne, una ragazza diciannovenne e due ragazzi appena diciottenni.
Per 65 anni, sui fatti non si è mai voluta fare una luce completa. Ci sono state ricostruzioni, all’inizio opera della Destra, di parte, come il libro di Gianfranco Stella, 1945. Ravennati contro, e un capitolo de I giorni di Caino, scritto da Antonio Serena. Poi sono arrivate le prime ammissioni da parte delle organizzazioni di Sinistra (ANPI, il quotidiano «La Repubblica»...) oltre a opere ben documentate, tra le quali merita una particolare sottolineatura il libro Codevigo nella storia e nella coscienza storica: 1866-1966, di Lino Scalco. Incrociando tutte le fonti, si può tracciare un quadro sommario abbastanza sicuro e condiviso su quanto accadde in quel lembo di terra ai limiti della laguna, afoso d’estate e nebbioso d’inverno, lungo la strada provinciale tra Padova e Chioggia.
Fine di aprile del 1945. L’8a Armata Britannica attraversa il Po e marcia verso il Nord. Aggregati agli Inglesi, nella zona che interessa il nostro studio, ci sono:
1) il Gruppo di Combattimento del Regio Esercito «Cremona» a Piove di Sacco e a Codevigo (la distanza fra i due paesi è di circa 6 chilometri). Si è costituito nel gennaio del 1945 ed è entrato in combattimento il 2 marzo;
2) la 28ª Brigata Garibaldina «Mario Gordini» a Codevigo alle dipendenze tattiche del Comando del «Cremona». È formata da comunisti, socialisti, repubblicani, azionisti, cattolici, indipendenti, con una significativa presenza di partigiane; la comanda Arrigo Boldrini detto «Bulow», capo dalle indiscutibili capacità organizzative (Arrigo Boldrini sarà in seguito Segretario Nazionale dell’ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, e poi presidente onorario. Più volte deputato e senatore della Repubblica nelle file del Partito Comunista Italiano, nel 1989 aderirà al Partito dei Democratici di Sinistra). La presenza dei partigiani, inquadrati come militari in un reparto regolare, dà l’idea di quanto sia confusa la situazione organizzativa del Regio Esercito nel 1945. Sia gli effettivi del «Cremona» sia i partigiani della 28a sono tutti originari del Ravennate;
3) la Brigata del Popolo «Guido Negri» a Piove di Sacco con presenze a Codevigo e nella vicina Correzzola;
4) la Brigata del Popolo «Brunello Rutoli» con presenze a Codevigo e Correzzola;
5) la Brigata Garibaldina «Clodia» tra Chioggia e Piove di Sacco;
6) la Brigata Garibaldina «Antonio Gramsci» a Boion (paese a circa 9 chilometri a Nord di Codevigo);
7) la Brigata «Guido Conti» a Cavarzere.
I militari del «Cremona» arrivano a Codevigo il 29 aprile, come liberatori ma nello stesso tempo come giustizieri. Eliminano subito la maestra del paese, Corinna Doardo, sospetta spia ai danni di evasi inglesi fucilati, e altri due o tre «neri» locali. Sono eliminazioni senza processo, in spregio alle leggi internazionali di guerra che non prevedono l’esecuzione sommaria dei prigionieri, oltretutto condite di sadismo: la maestra è seviziata in modo tale che il medico avrebbe in seguito accertato che solo un orecchio era rimasto intatto, dopodiché è fucilata e il suo cadavere nudo viene abbandonato nel cimitero. Mentre Lodovico Bubola, detto «Mario», un agricoltore figlio del podestà del paese, è prelevato a casa, torturato, si tenta di tagliarli il collo con del filo spinato fino a farlo svenire, gli viene tagliata la lingua e infilata nel taschino della giacca, gli sono tagliati i testicoli che gli vengono messi in bocca; è infine sepolto in un campo di erba medica. Il parroco di Codevigo, Don Umberto Zavattieri, annota tutto nel suo diario parrocchiale.
Non è che l’inizio: soldati del «Cremona» e partigiani della 28a Brigata apprendono che le formazioni repubblichine provenienti da Ravenna e provincia, dopo aver sostenuto una strenua resistenza, si sono arrese al Comitato di Liberazione Nazionale locale, a cui è demandata l’azione di polizia e di ordine pubblico, e sono rinchiuse nelle carceri. Si tratta di militari prigionieri e disarmati, del tutto inermi, che dovrebbero essere trattati come prigionieri di guerra. Ma non sarà così!
I partigiani hanno degli elenchi precisi trovati nelle sedi fasciste del Ravennate, con nomi e cognomi di tre gruppi di fascisti: la Guardia Nazionale Repubblicana e la brigata nera del presidio di Candiana, la Guardia Nazionale Repubblicana dei presidi di Bussolengo e Pescantina, nel Veronese. Tra di loro c’è chi ha vissuto seguendo un ideale e chi ha tradotto quest’ideale in soprusi e violenze; ci sono veri e propri squadristi ma anche studenti, impiegati, molti operai e braccianti agricoli colpevoli unicamente di aver aderito alla Repubblica Sociale Italiana.
I partigiani di Boldrini si presentano ai «compagni» che custodiscono i fascisti e se li fanno consegnare: promettono che li porteranno a Ravenna per processarli in modo regolare, li caricano sui camion e li portano via. Un primo rastrellamento tra Codevigo, Pontelongo, Correzzola e Piove porta alla cattura di 18 noti fascisti, tutti identificati (14 sono abitanti di Codevigo, denunciati dai partigiani locali); il blitz a Candiana, a Villa Albrizzi sede della Guardia Nazionale Repubblicana fa 27 prigionieri, tutti militari, con qualche donna e alcuni ufficiali (questi ultimi, secondo le disposizioni del tempo, sono passibili di pena di morte); con la trasferta a Bussolengo si aggiungono altri 24 prigionieri, tutti con nome e cognome; con quella a Pescantina, altri 8; altri rastrellamenti nel Padovano e prelievi dalle carceri danno 59 persone: in totale, 136. Tutti questi non arriveranno mai a Ravenna, non avranno mai un processo regolare: l’ultima fermata è Codevigo, dove i fascisti vengono uccisi «previo giudizio sommario» a piccoli gruppi, con raffiche di mitra nei campi, di notte sugli argini del Brenta e del Bacchiglione, dentro a qualche casa colonica; «come le zucche», scriverà Don Umberto. I corpi sono poi abbandonati, o buttati nei fiumi; la corrente si porta via molti cadaveri, almeno 30, mentre quelli rimasti sugli argini vengono caricati come immondezza su carrette agricole e gettati nei vari cimiteri della zona o in fosse comuni.
Si tratta di una vendetta scientifica: cercata, voluta, programmata, eseguita. La storiografia di Sinistra parla di «inconsulti e distinti atti di vendetta concretizzatisi in diffusi episodi giustizialisti perpetrati in più località» commessi «da soggetti di derivazioni plurime, di differenti e distinte origini e provenienze: non solo militari che agirono in autonomia e pertanto al di fuori e contro gli ordini dei Comandi del “Cremona”, della 28ª Brigata e presumibilmente di altri Comandi. Schegge impazzite, dunque, a caccia di fascisti, che operarono arbitrariamente, al momento, molto spesso nottetempo, dal 28 aprile fino verso fine giugno 1945 e che colpirono anche dei civili» (così Carlo Boldrini, Per i «fatti di Codevigo» ancora nuove provocazioni?, «Patria indipendente» del settembre 2013). Ma non è vero. «Le testimonianze raccolte in paese, tra i superstiti, non lasciano dubbi» scrive Roberto Bianchin su «La Repubblica» del 6 ottobre 1990. «I partigiani avrebbero agito senza motivo. A sangue freddo, con cattiveria. Per vendetta. E le condanne a morte sarebbero state pronunciate nel municipio del paese, presente Boldrini. Non solo. Secondo Giuseppe Fabris, Segretario per il Nordest della Federazione Italiana Volontari della Libertà, nessuno intervenne per impedire quella strage. Non intervenne Marino Munari, comandante della Brigata del Popolo “Brunello Rutoli”, non intervenne il Generale Clemente Primieri, comandante del Gruppo di Combattimento “Cremona”».
La Magistratura di Padova tratta la vicenda in numerosi procedimenti dal 1945 al 1950 e poi nel 1961-1962 sulla base di indagini condotte dalla polizia alleata e dai Carabinieri. Vanno sotto processo anche quattro partigiani della 28ª Brigata, ma sono tutti assolti; i Comandi della 28ª e del «Cremona» non sono soggetti a procedimenti penali poiché si pretende che i fatti si siano svolti al di fuori e contro gli ordini da loro emanati e, incredibilmente, «a loro insaputa»; Boldrini sarebbe stato assente da Codevigo per nove giorni, nei quali si sarebbero consumati i massacri (che in realtà proseguirono per settimane): si sarebbe trattato di rastrellamenti di fascisti operati spontaneamente, autonome iniziative di gruppi, «cani sciolti» che andavano per conto loro e contro i quali i capi partigiani sostenevano di non poter essere intervenuti, se avessero potuto non avrebbero mai permesso che accadessero cose simili perché loro avevano «ben altra morale». Quanto queste risposte fossero false, lo dimostra semplicemente la ricostruzione dei fatti riportata più sopra. Nel 1990-1991 si è aperto un nuovo fascicolo processuale che viene archiviato perché «rispetto ai fatti i loro autori reali o presunti erano già stati oggetto di diversi procedimenti penali già definiti e non c’erano nuovi elementi».
Negli anni Sessanta alcuni parenti delle vittime iniziano la ricerca dei corpi. Ne sono trovati 114, ma non è stata possibile l’identificazione per tutti: 77 salme sono recuperate nel cimitero di Codevigo, 17 nel cimitero di Santa Margherita, 12 nel cimitero di Brenta d’Abbà. Molti scomparsi non sono mai stati ritrovati.
Il 27 maggio 1962 è inaugurato un Ossario costruito nel cimitero di Codevigo, a cura dell’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della Repubblica Sociale Italiana e a spese sostenute quasi esclusivamente dalle famiglie dei caduti, in cui sono sepolti i resti di 114 corpi, tra cui 16 ignoti. Un’unica tomba su cui si può commemorare o deporre un fiore.
Antonio Serena, I giorni di Caino. Il dramma dei vinti ed i crimini ignorati dalla Storia Ufficiale, Panda, Padova, 1990 (ristampa Manzoni, Roma, 2 volumi, 2001)
Archivi di Stato. Carabinieri di Padova, rapporto del 21 settembre 1990
Carlo Boldrini, Codevigo: Aprile-Maggio 1945 / Dalla parte di Bulow, https://togetherourmemories.files.wordpress.com/2012/04/codevigo-aprile-maggio-19451.pdf
Carlo Boldrini, Per i «fatti di Codevigo» ancora nuove provocazioni?, «Patria indipendente», settembre 2013
«Corriere della Sera», 23 settembre 1990
Gianfranco Stella, 1945. Ravennati contro – La strage di Codevigo, Rimini, 1991
«Il Resto del Carlino-Ravenna», 12 settembre 1990
Le stragi partigiane. L’eccidio di Codevigo, «La Legione», numero 2, Aprile-Giugno 1997
Lino Scalco, Codevigo nella storia e nella coscienza storica: 1866-1966, Comune di Codevigo, 2012
Marco Petrelli, La strage di Codevigo: il «Cremona» disonorò il Regio Esercito trucidando 136 fascisti, 3 maggio 2017, https://www.barbadillo.it/65069-la-strage-di-codevigo-il-cremona-disonoro-il-regio-esercito-trucidando-136-fascisti/
Marco Rossi, Il conto aperto. L’epurazione e il caso di Codevigo: appunti contro il revisionismo, «Materiali di storia», numero 13/1999, Centro Studi Luccini
Roberto Bianchin, Padova, aperta un’inchiesta sull’eccidio di cento fascisti, «La Repubblica», 6 ottobre 1990
Sergio Bozza, 90 uomini in fila allineati sul mirino della «37», Greco & Greco.