Dono Aloisio Paoletti
Carabiniere, poeta e martire (1919-1944)
La tragedia della guerra ha creato tanti Martiri, il cui sacrificio è reso più amaro dal triste velo di oblio che in tanti casi finisce per essere steso su drammatiche pagine di storia personale, quando avrebbero diritto, invece, ad essere ricordate anche nella storiografia impegnata. Il caso di Dono Aloisio Lino Paoletti, caduto in agro di Pinguente d’Istria (Pola) nel gennaio 1944 per mano dei partigiani di Tito, si inserisce in questa ottica, anche se il suo Friuli (era nato a Scodovacca di Cervignano nel giugno 1919) non ha mancato di ricordare il Martire con alcune iniziative di significativo spessore culturale, ultima delle quali il convegno tenutosi nella città natale, ad iniziativa del Comune e dell’Associazione Nazionale Carabinieri, nell’ottobre 2015.
Foto d'epoca di Dono Aloisio Paoletti
Conseguita la maturità classica a Gorizia (luglio 1938), Paoletti si era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, appena costituita presso l’Università di Trieste, dove ottenne la laurea nel giugno 1942; nel frattempo, allo scoppio della guerra con la Jugoslavia era stato chiamato ad operare nella zona di Fiume con il grado di Sottotenente del XXIII Reggimento di Fanteria, ed alla fine delle rapide operazioni militari (aprile 1941), aveva deciso di partecipare al corso Allievi Ufficiali Carabinieri aperto nella città liburnica, dove conseguì il grado di Tenente, per essere destinato subito a Pinguente, in una zona resa particolarmente «calda» dalla presenza delle prime bande partigiane, e per incontrare un destino davvero tragico più tardi, quando cadde assieme al Brigadiere Giacomo Casari ed al Vice Brigadiere Sebastiano D’Agostini in un agguato proditorio, teso in frazione Castel San Quirico alla pattuglia che operava ai suoi ordini.
Quella di Dono Paoletti fu una perdita per molti aspetti emblematica: il giovane Tenente dei Carabinieri aveva deciso di proseguire gli studi per ottenere anche la laurea in Scienze Politiche, che gli sarebbe stata conferita «honoris causa» nel novembre 1953, e soprattutto, aveva manifestato elevate doti di poeta e scrittore, tanto più singolari in un ufficiale dell’Arma, come gli struggenti, toccanti versi dedicati ai Caduti: «Pensavo ai compagni che ho lasciato / lassù, nel bosco, soli con la morte / e con la giovinezza insanguinata. / Guardano il cielo libero, fra i rami / degli abeti, fra il brivido d’argento / delle betulle. Son rimasti soli / a non capire, a chiedere: Perché?» (Cividale del Friuli, 4 novembre 1943).
Conviene aggiungere che l’opera letteraria di Dono Paoletti, oggetto di pubblicazione sin dalla breve epoca in cui visse e scrisse, ebbe importanti apprezzamenti anche da parte della critica, come attestano i giudizi che ne diedero, fra gli altri, Silvio Benco e Ferdinando Pasini, per non dire di Ettore Cozzani, Guido Manacorda e Bruno Coceani[1].
Qui, al di là della naturale «pietas» per una vicenda che è congruo rammentare a futura memoria, preme sottolineare soprattutto l’ottusa crudeltà della guerra, che colpisce nel mucchio e che talvolta sembra preferire i migliori, dai tempi di Omero a quelli contemporanei. È quanto accadde con particolare e talvolta efferata violenza nelle zone del confine orientale italiano fra il 1943 ed il 1947, protraendosi ben oltre la fine del conflitto, in spregio del diritto internazionale e, prima ancora, dell’ordine civile e del buon senso: ciò, in ossequio al disegno di pulizia etnica e politica ordito dal Maresciallo Tito, che pure era stato definito da Winston Churchill come un «guerrigliero» di straordinaria «virtù» tanto da vantarsi di esserne stato «il più antico sostenitore»[2]: un giudizio molto significativo, con particolare riguardo alle conseguenze non certo commendevoli che siffatta preferenza avrebbe indotto nella storia d’Italia ed in quella dell’Europa.
1 La prima opera poetica di Dono Paoletti venne raccolta nel volume Qualcosa: liriche, Edizioni della Camerata Artistica Triestina, Trieste 1943; e dopo la morte, nella silloge La mia voce: liriche postume, Edizione Cozzi, Trieste 1944. Inoltre, presso la Biblioteca Statale Isontina di Gorizia è disponibile il «Fondo Paoletti» costituito da nove quaderni dattiloscritti dall’Autore con correzioni autografe, da alcuni manoscritti del poeta, e da vari contributi della critica letteraria. In tempi più recenti, un apporto significativo alla memoria di questa singolare figura di uomo d’arme e di poesia è stato quello di Carmen Musian, Dono Paoletti: un poeta, in Scodovacca: la sua storia e la sua gente, Cervignano 2005, pagine 225-228.
2 Confronta Winston Churchill, La missione della Gran Bretagna, discorso alla Camera dei Comuni del 18 gennaio 1945 (tradotto anche in italiano a cura della propaganda d’epoca): si tratta di un ampio «excursus» su quello che, a giudizio del Primo Ministro di Sua Maestà, avrebbe dovuto essere il nuovo ordine europeo a guerra finita. Per quanto riguarda Tito, è da sottolineare come la sua indubbia abilità nel farsi riconoscere quale unico rappresentante della Jugoslavia ufficiale fosse stata avallata, nell’ambito degli Alleati Occidentali, soprattutto da Churchill (basti dire che il figlio Randolph fu destinato alla nota missione presso il Quartier Generale del Maresciallo svoltasi nel secondo semestre del 1944). Più tardi, Sir Winston avrebbe compreso l’errore, ma ormai i giochi erano fatti.