Aurelio Morandi
L’ultimo caduto dell’Aviazione Nazionale
Repubblicana
Nel cielo di Cassina Rizzardi (Como) il 19 aprile 1945 venne combattuta l’ultima battaglia aerea della Repubblica Sociale Italiana, ingaggiata da tre velivoli Messerschmitt G-10 di stanza a Lonate Pozzolo col Gruppo Caccia «Asso di Bastoni» contro altrettanti bombardieri B-24, decollati dal campo di Rosignano in una missione organizzata dagli Alleati per approvvigionare di armi e viveri le formazioni partigiane della Valtellina, ed intercettati dalla contraerea repubblicana con immediata notizia alle forze combattenti circa l’incursione in atto.
Agli ordini del tenente Aurelio Morandi, già decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare e con una Croce di Guerra per altrettante azioni dell’Arma Azzurra tra cui l’abbattimento di un P-38 statunitense nel cielo di Reggio Emilia, la squadriglia italiana entrò in rapido contatto con quella avversaria. Morandi riuscì a danneggiare in modo irreparabile l’aereo del Capitano William Sutton, ma questi, prima di salvarsi col paracadute assieme ai due componenti dell’equipaggio, il tenente Brinner e il sergente Mark, fece in tempo a colpire il caccia italiano, abbattendolo in un diluvio di fuoco ed uccidendo sul colpo Aurelio Morandi, le cui spoglie mortali vennero immediatamente recuperate, mentre i tre aviatori Alleati furono fatti prigionieri.
I funerali del caduto si svolsero tre giorni dopo, in un’atmosfera di viva commozione, resa più vibrante dalla consapevolezza che il conflitto stava rapidamente volgendo alla fine, con esito infausto per le armi italiane. Vale la pena di ricordare che non fu una celebrazione qualsiasi: infatti, i tre prigionieri, che nel giro di breve tempo avrebbero riconquistato la libertà, chiesero ed ottennero di partecipare per rendere omaggio al valore del caduto. La guerra era stata combattuta all’ultimo sangue, ma i combattenti dell’Aeronautica rimasero fedeli ai vecchi canoni di cavalleresco rispetto per l’avversario: a più forte ragione, quando le sorti erano già decise, come nel caso di specie, anche se il confronto continuava nel segno dell’Onore.
Morandi aveva appena compiuto 24 anni, essendo nato ad Orzinuovi (Brescia) nel 1921, ma non era stato nemmeno sfiorato dal dubbio quando aveva deciso di rispondere all’appello dell’Aviazione Nazionale Repubblicana, che avrebbe avuto proprio in lui l’ultimo caduto della guerra, scomparso sul campo in un impeto eroico di fedeltà ai valori della Patria, ed appunto, dell’Onore, nello spirito imperituro di Francesco Baracca, l’indimenticabile Asso della Grande Guerra.
Ultimo – sia chiaro – di una lunga serie: i caduti dell’Arma Azzurra Repubblicana furono 3.088, con circa 30.000 ore di volo e quasi 700 aerei perduti, ma nello stesso tempo, con almeno 413 vittorie, tanto più apprezzabili, stanti le condizioni di inferiorità in cui si svolsero generalmente i combattimenti.
L’informazione storica non sarebbe completa qualora si omettesse di precisare che l’elenco dei caduti, purtroppo, non termina con quell’ormai lontano 19 aprile che vide l’estremo sacrificio del tenente Morandi. Infatti, non mancarono coloro che vennero «abbattuti» a guerra finita dal piombo partigiano, in sprezzo della loro condizione di prigionieri: primo fra tutti, il pluridecorato Adriano Visconti (tre Medaglie d’Argento al Valore e due di Bronzo) che il 29 aprile venne ucciso in una caserma milanese dove era stato momentaneamente recluso, con un colpo di mitraglia alla schiena, in esecuzione di una surreale sentenza «popolare». Ecco un caduto, come parecchi altri, che non figura fra quelli nobilmente scomparsi in combattimento, ma che non per questo è meno degno di essere ricordato (ed onorato nel Campo 10 del Cimitero milanese di Musocco dove attualmente riposa).
In ogni caso, la storia di Aurelio Morandi ha un significato emblematico. Ad oltre 70 anni dai fatti, l’esame oggettivo dell’accaduto dimostra che l’Aeronautica Repubblicana, nell’ultima settimana di guerra, era ben lungi dall’avere gettato le armi: anzi, la contraerea funzionava e le poche forze ancora disponibili non erano affatto aliene dal confronto sul campo. Per il resto, è inutile fare commenti sulla differenza abissale tra le motivazioni di uomini come Morandi, e come lo stesso Visconti, e quelle di chi si faceva un dovere, se non addirittura un vanto, di sparare alle spalle degli Eroi.
Non sembri, quest’ultima, una definizione avventata, perché trova conferma nei riconoscimenti degli avversari: fra gli altri, quello del Capitano Sutton e del suo equipaggio, di cui si diceva, e prima ancora, il ricordo di Adriano Visconti posto nel Memorial Lincoln di Washington, a conferma della straordinaria ed obiettiva ammirazione del vecchio nemico per il valore italiano. In tutta sintesi, gli Alleati hanno riconosciuto lealmente le ragioni dei combattenti repubblicani, mentre i partigiani di casa nostra, dopo averli uccisi alla maniera di Maramaldo, hanno imposto l’iniqua revoca delle Medaglie al Valore conferite dalla Repubblica Sociale Italiana, passando alla storia, oltre che per tanti delitti, per questo singolare esempio di insipienza politica e di miseria etica.
Lazzati Giulio, Ali nella tragedia: gli Aviatori italiani dopo l’8 settembre, Edizioni Mursia, Milano 1997
Lembo Daniele, Aviazione Nazionale Repubblicana, in «Aerei nella storia» numero 75, Delta Editrice. Parma, dicembre 2010-gennaio 2011
Pagliano Franco, Aviatori italiani (1940-1945), Edizioni Mursia, Milano 2004.