Gli Alleati e le persecuzioni ebraiche
La questione della Shoah. La ricerca storica. I dati acquisiti. L’urgenza di un intervento. La scelta di non intervenire

Tra il 1940 e il 1941 cominciò a essere trasmessa ai centri di «intelligence» anglo-americani una serie progressiva di dati che riguardavano le persecuzioni anti ebraiche. Già in precedenza era nota l’ostilità di Hitler verso gli Ebrei ma tale fatto non aveva trovato particolare attenzione presso i vertici politici del tempo. Era stato poco considerato. Da una parte, fino all’entrata in guerra, organismi statunitensi avevano continuato a gestire affari con istituzioni tedesche: per esempio l’International Business Machines Corporation – IBM; la Coca Cola[1], Standard Oil, Chase Bank (controllata da J. P. Morgan), e altri.

C’era stata anche una fase politica «morbida» (di «appeasement») di Londra e di altre capitali per non ostacolare Berlino in talune acquisizioni di territori (1930). Infine, non era mancato un periodo ove più Ebrei avevano avuto la possibilità di emigrare (1933-1940). In tempi successivi, però, il disegno aggressivo e totalizzante del Führer aveva rivelato in modo inequivocabile il proprio volto. Con l’inizio del Secondo Conflitto Mondiale (1939), infine, le molte esitazioni di Paesi Europei cedettero il passo a una politica di resistenza alle mire espansionistiche e belliche di Berlino. Nel 1941 gli Stati Uniti si inserirono nel conflitto contro la Germania.

Chiusura di un negozio di Ebrei

Chiusura di un negozio di Ebrei in Germania

Alcune segnalazioni sulle persecuzioni anti ebraiche

In tale contesto, il Governo Polacco in esilio a Londra[2] riuscì a trasmettere agli Alleati diverse informative sulle persecuzioni che stavano colpendo gli Ebrei. Esistevano infatti dei contatti clandestini con i Polacchi rimasti nel loro Paese occupato dalla Wehrmacht.

Tra il 1942 e il 1943 le notizie divennero più circostanziate. Nell’agosto del 1942 Gerhart Riegner[3], direttore dell’ufficio in Svizzera del «World Jewish Congress», ebbe varie notizie dall’addetto stampa Benjamin Sagalowitz.[4]

Sagalowitz era in contatto con un uomo d’affari ebreo che aveva ottenuto aggiornamenti da Eduard Schulte[5], un imprenditore tedesco legato a Fritz Bracht[6], il «Gauleiter» dell’Alta Slesia. Questi, aveva visitato Auschwitz ed era al corrente di quanto accadeva nei lager.

Utilizzando i dati forniti da Schulte, Riegner trasmise un telegramma da Ginevra a importanti personalità ebraiche americane. Scrisse riguardo ad «allarmanti notizie» che provenivano dal quartier generale di Hitler. Informò su uno «sterminio in un colpo solo» di 3,5-4 milioni di Ebrei nei Paesi controllati dalla Germania. Specificò le modalità naziste di esecuzione degli eccidi. Fece riferimento all’«acido prussico».

Il cablogramma di Riegner fu fermato a Washington. Comunque, dalla sede britannica di Londra del «World Jewish Congress» venne trasmesso anche a Stephen Wise[7], il rappresentante del congresso ebraico negli USA.

In tale contesto si verificò un fatto. Il Sottosegretario di Stato Sumner Welles[8] riuscì a bloccarne la divulgazione pubblica da parte di Wise, in attesa di conferme da fonti indipendenti.

Pur in presenza di continui ostacoli, il massacro di 11.000 Ebrei Polacchi, eliminati con l’acido prussico, fu comunque reso noto. Ciò avvenne attraverso il giornale clandestino «J’accuse» (numero 2, ottobre 1942). Questa informativa non dovette sembrare inverosimile neanche ai Governi alleati del III Reich. Lo dimostra il fatto che Charles Antoine Rochat[9], capo di gabinetto di Pierre Laval[10], Primo Ministro del Governo collaborazionista di Vichy, chiese a Robert Kiefe[11] maggiori dettagli in merito.[12]


Le notizie si dimostrano autentiche

La notizia della soppressione sistematica degli Ebrei divenne diffusa. Era quindi urgentissimo ideare dei piani militari capaci di rallentare e poi di fermare la Shoah. Esisteva una convinzione: qualsiasi altra azione rimaneva inutile. Anche delle condanne ufficiali sul piano morale non sarebbero state in grado di modificare le direttive di Berlino. Agli Ebrei, in pratica, non servivano in quel momento frasi di compassione, o generiche espressioni di solidarietà, ma concrete azioni a loro favore.

Malgrado dati informativi, testimonianze e registrazioni di «intelligence», i vertici delle forze alleate comunque non si mossero. Gli obiettivi prioritari, concordati in varie Conferenze, non prevedevano l’aiuto agli Ebrei. Anche l’opinione pubblica di più Stati, pur con le dovute eccezioni[13], non si rivelò particolarmente sensibile alle tragedie ebraiche in corso.


Alcune testimonianze

Con il trascorrere del tempo, gli storici hanno voluto studiare i motivi di una dinamica ove la Shoah rimaneva un qualcosa di «lontano», di «poco avvertito», di «scarsamente coinvolgente». In taluni testi sono indicate delle diffuse perplessità. I fatti acquisiti erano considerati un qualcosa di «enorme». Si pensava a un messaggio ampliato per logiche di parte. Lo storico inglese Hugh Trevor Roper[14], che lavorò nell’«intelligence» britannica, ha scritto al riguardo: «Ricordo bene il momento in cui per la prima volta vidi la prova – un frammento di prova – circa lo sterminio degli Ebrei. Una prova esplicita, fattuale, documentata. Ma era possibile prestarvi fede? Tra l’arrivo di una prova e il credere nelle sue conclusioni esiste un divario psicologico; e in tempo di guerra quando ogni cosa è incerta – quando l’ostilità fa nascere la passione e la passione è sfruttata dalla propaganda – è prudente sospendere il giudizio. Ricordo che io stesso sospesi il mio giudizio e solo gradualmente, molti mesi dopo, trassi da quella terribile prova la conclusione che ne discendeva».[15]

Su questo argomento esiste pure la testimonianza di Arthur Koestler.[16] Era un intellettuale di origine ungherese. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale lavorò a Londra per il Ministero dell’Informazione. Ecco le sue affermazioni: «Da tre anni tenevo conferenze alle truppe [alleate] e il loro atteggiamento era sempre lo stesso. Non credevano ai campi di concentramento, non credevano ai bambini affamati in Grecia, alle fucilazioni di massa di ostaggi in Francia, alle fosse comuni in Polonia; non avevano mai sentito parlare di Lidice[17], di Treblinka o di Belzec: potevi convincerli per un’ora, dopo di che si scuotevano, la loro autodifesa mentale cominciava ad agire e in una settimana l’incredulità tornava a prevalere come un riflesso temporaneamente attenuato da uno shock».[18]


L’evidente debolezza di talune linee politiche

Le perplessità, le incertezze, presenti nei Paesi in guerra contro la Germania appaiono comunque deboli davanti a più riscontri degli storici. Le forze anglo-americane (e le formazioni alleate a queste) conoscevano in modo non generico l’acuirsi dell’Olocausto dal 1942. Non possono, inoltre, essere dimenticate le testimonianze di chi era riuscito a fuggire dalla Germania, e le istanze documentate di diverse associazioni ebraiche (almeno 30). Queste, tra le quali il Congresso Mondiale Ebraico, fecero pressioni sui Governi Occidentali per chiedere aiuto. Dagli incartamenti studiati, oggi consultabili, risulta che, al di là di frasi di circostanza, non fu possibile ottenere concreti sostegni.

Governo Polacco in esilio a Londra

Governo Polacco in esilio a Londra (Seconda Guerra Mondiale)

Le cause che si è preferito nascondere

Si è generalmente dell’avviso che il fatto che diversi Governi non mostrarono interesse verso la causa ebraica può essere ricondotto a più cause.

1. Un elemento che gravò in modo non debole fu la non osmosi di più persone con i nuclei ebraici. In questo caso non si deve parlare di antisemitismo perché l’espressione è scorretta. Tale termine, ideato nel 1879, è inesatto perché indica in modo generico avversione verso tutti i popoli semiti. Al contrario, l’espressione da preferire è antiebraismo. Il termine deve poi essere declinato secondo più gradi di intensità: da posizioni di generica insofferenza, fino alla netta presa di distanza (riferimento al clima di sospetto verso presunte manovre politico-economiche ebraiche), fino a giungere a un antiebraismo intollerante: oppressione, reclusione, sterminio.

2. In tal senso, sembrerebbe prevalere nel mondo degli storici l’impressione che la vera ostilità verso gli Ebrei (specie nell’Ottocento-Novecento) fu di natura soprattutto politica. In pratica si attaccavano delle comunità dotate di auto organizzazione, propri riti, regole socio-amministrative, auto-finanziamento. Le motivazioni religiose, o altri fattori a queste collegati, sarebbero piuttosto da considerare elementi esterni, ove la «differenza» non sempre ha condotto a una netta separazione. Ad esempio, prima delle leggi razziali italiane (dal 1938 in poi), un numero significativo di Ebrei era inserito nella Pubblica Amministrazione con ruoli apicali.

3. Pure la logica bellica viene oggi considerata una causa che influì sul disinteresse verso gli appelli ebraici. Per gli alti comandi militari del tempo, il Secondo Conflitto Mondiale aveva delle priorità strategiche che non potevano tener conto anche della Shoah. Sconfiggere le divisioni tedesche implicava uno spiegamento di forze tale da non consentire un impiego di risorse belliche in altra direzione. Gli Alleati, si ricordava al riguardo, furono impegnati lungo più fronti: dall’Atlantico al Nord Africa, fino alla Francia, all’Italia, alla Germania (senza dimenticare le operazioni in Giappone). Da tale linea derivarono conseguenze sfavorevoli agli Ebrei. Uno degli esempi che si cita al riguardo fu il fatto che gli Ebrei Romani non furono avvertiti dell’imminente razzia (avvenuta poi il 16 ottobre del 1943). Gli Alleati leggevano da tempo i messaggi tedeschi grazie a un sistema di de-crittografia, ma non si volle divulgare la notizia dell’imminente arresto (e deportazione) della popolazione ebraica per non far conoscere al nemico l’azione di «intelligence» in corso.

4. In taluni scritti si nota, poi, anche un ulteriore dato: nell’amministrazione alleata esisteva una certa confusione burocratica. Negli uffici dei comandi alleati esistevano informazioni, ma erano riservate a pochi. Si fa l’esempio, al riguardo, del «Royal Information Service» della RAF inglese, che possedeva immagini ad alta risoluzione scattate dai voli di ricognizione. Questi avevano indicato l’ubicazione dei lager, la distribuzione degli edifici, la posizione dei forni crematori, il sistema ferroviario di raccordo. Tale notizia, però, non venne divulgata in modo diffuso, come risulta anche da una lettura della stampa del tempo.

Foto del lager di Auschwitz

Una delle molte foto del lager di sterminio di Auschwitz

Possibili azioni militari a favore degli Ebrei

Secondo un generale orientamento di pensiero degli storici, esiste una realtà che si è cercato di occultare in più occasioni. In pratica, non ci fu una volontà – tra i vertici alleati – mirata a individuare azioni capaci di aiutare in qualche modo gli Ebrei. Dietro le comunicazioni ufficiali (impossibilità di aggiungere altre operazioni a quelle già in corso; i bombardamenti a bassa quota non realizzabili), si nascose disinteresse e la convinzione che gli Ebrei erano ormai da lasciare al proprio destino.

Tale tesi è provata anche da un fatto. Gli aerei alleati dimostrarono in più occasioni, in presenza di direttive precise, di saper operare anche con azioni di tipo mirato. Si cita al riguardo un esempio: l’Operazione «Gerico». Il 18 febbraio del 1944, tre squadroni di cacciabombardieri Mosquito bombardarono un carcere, ad Amiens (Francia). Il loro compito fu quello di distruggere parti difensive della struttura, e di favorire la fuga di prigionieri politici e di partigiani. Ciò costituì un caso di attacco di precisione. Alle ore 12,01 furono colpite le mura esterne. Ciò offrì ai prigionieri una via d’uscita dalla prigione. Scapparono circa 258 reclusi, inclusi 79 membri della Resistenza. Tuttavia, 155 dei fuggitivi furono ripresi. 102 prigionieri vennero inoltre uccisi nel raid dalle bombe.[19]

A questo episodio si possono anche aggiungere le dichiarazioni di piloti USA che operarono nell’Est Europa. Secondo tali testimonianze i piloti sorvolavano di frequente Auschwitz perché l’area costituiva un punto d’incontro per le operazioni dell’aviazione.[20] Sulla base delle carte geografiche, delle informazioni di «intelligence», e della quasi inesistente contraerea nemica, era possibile, in definitiva, distruggere le linee e i raccordi ferroviari, i sistemi di comunicazione, i centri di controllo, le abitazioni dei carcerieri, e i forni crematori (individuabili dai lunghi camini).


Figure contrarie a operazioni pro-Ebrei

Sul piano storico sono diverse le figure militari che rimangono responsabili di un orientamento mirato a bloccare azioni a favore degli Ebrei. Tra queste, si può ricordare l’avvocato John McCloy.[21] Questo politico, durante la Seconda Guerra Mondiale, ricoprì il ruolo di «Assistant Secretary of War». I suoi interventi risultarono molto influenti anche in materia di priorità militari.


Le azioni a favore degli Ebrei: Pehle, Paul, DuBois

Nel contesto delineato rimangono significativi più confronti tra posizioni diverse. Si colloca qui la figura di John William Pehle[22]. Era un avvocato del Dipartimento del Tesoro USA. Insieme a due colleghi – Randolph Paul[23] e Josiah DuBois[24] – aveva provato delusione per assenza di risultati a fine Conferenza delle Bermuda (primavera 1943). Esisteva il sospetto che il Dipartimento di Stato Americano avesse volutamente rallentato il rilascio di autorizzazioni per finanziare aiuti agli Ebrei in Francia e in Romania.

Per tale motivo Pehle e colleghi prepararono un documento: il Report to the Secretary on the Acquiescence of This Government in the Murder of the Jews.[25] Tale atto (18 pagine), datato 13 gennaio 1944, faceva riferimento a un presunto insabbiamento per quanto riguardava l’Olocausto da parte del Dipartimento di Stato. Le informazioni trasmesse erano quindi molto gravi. Si attendeva una risposta.

Con una lettera del 4 luglio 1944, McCloy rispose a Pehle (e colleghi) in questi termini: «Il Dipartimento della Guerra è dell’opinione che l’operazione aerea suggerita sia impraticabile. Potrebbe essere eseguita solo deviando un considerevole supporto aereo essenziale per il successo delle nostre forze ora impegnate in operazioni decisive e sarebbe in ogni caso di tale dubbia efficacia da non costituire un progetto concreto».[26]

A tale fatto si può solo aggiungere che McCloy, comunque, non aveva una diretta autorità sulle forze aeree, e non era in grado di fermare le scelte di obiettivi bellici. Inoltre, il Generale Henry Harley Arnold[27], comandante dell’aeronautica militare, rimaneva un soggetto duramente ostile a ingerenze di civili nei piani di guerra.


Hans Morgenthau

Accanto a John Pehle, è da citare – sul piano storico – anche la figura di Hans Morgenthau[28]. Si trattava dell’unico Ebreo presente nel Gabinetto di Roosevelt. Era il Segretario del Dipartimento del Tesoro USA. Pur mostrando una certa preoccupazione per le criticità che avevano colpito gli Ebrei Tedeschi, non fu coinvolto all’inizio in modo attivo nella vicenda. Nel 1938, però, si rese conto che il sistema delle quote di immigrazione degli Stati Uniti era insufficiente per accogliere i perseguitati del tempo. Propose così a Roosevelt di utilizzare i territori della Guyana Britannica e Francese per accogliere i nuovi flussi. Il Presidente non fu favorevole. Morgenthau presentò così altri piani.

Nel 1943, Morgenthau venne coinvolto nel dibattito sul salvataggio degli Ebrei. Fu lui il destinatario del Rapporto, già ricordato, a firma di Pehle, Paul e DuBois. Tre giorni dopo, Morgenthau, Pehle e Paul incontrarono il Presidente Roosevelt. Questi, alla fine, emise un ordine esecutivo che istituì il «War Refugee Board».

Morgenthau

Hans Morgenthau

La posizione di Roosevelt

Sul comportamento del Presidente USA Franklin Delano Roosevelt[29] verso gli Ebrei perseguitati esistono più valutazioni. C’è chi afferma che egli respinse le proposte di Pehle. Esiste inoltre un fatto. McCloy, per giustificare le sue scelte (no a bombardamenti su Auschwitz), disse che era stato proprio il Presidente a suggerire il non intervento. Tale affermazione, però, è stata ritenuta da più analisti un modo per scaricare delle responsabilità personali. Esistono comunque delle evidenze che qui di seguito si riportano.

1. Un corriere della Resistenza Polacca, Jan Karski[30], a fine estate 1942 incontrò alcuni capi ebraici nel ghetto di Varsavia e in quello di transito di Izbica. Questi, gli consegnarono rapporti sulle uccisioni di massa avvenute nel campo di sterminio di Belzec.[31] In seguito, Karski trasmise le informazioni ai leader alleati, incluso Roosevelt. Questi incontrò poi il corriere (luglio 1943). Malgrado ciò, le autorità USA non dettero inizio ad azioni significative in soccorso dei profughi.

2. Roosevelt ricevette anche una richiesta ufficiale (J. Pehle e colleghi) di intervento a favore degli Ebrei. Però, non rispose. Quando gli venne recapitato il documento non si trovava alla Casa Bianca.

3. Il Presidente USA istituì poi (1944) il «War Refugee Board»[32] («Comitato per i Rifugiati»). Il primo direttore fu John Pehle. A quel punto, però, quattro quinti degli Ebrei vittime dell’Olocausto erano già stati eliminati.

4. Dai documenti oggi desecretati non risulta alcun ordine di bombardare i lager nazisti di sterminio. Esisteva al riguardo un divieto. Rigido. Si arrivò al punto che certe affermazioni di non possibilità all’azione bellica vennero esternate proprio nei giorni in cui erano partite, dalla base pugliese («Foggia Airfield Complex»), operazioni di bombardamento di zone ben oltre Auschwitz.


La posizione di Churchill

Una situazione non dissimile da quella USA si verificò pure in Inghilterra. Il Primo Ministro Winston Churchill[33], una volta informato, aveva dato l’ordine di colpire le linee ferroviarie. A trasmetterlo fu Anthony Eden[34], membro dell’esecutivo per la politica di guerra. Ma i vertici militari si opposero.[35] Al riguardo rimane significativo un fatto. Nell’estate del 1944, l’aviazione inglese aveva fotografato il campo di Auschwitz dall’alto. L’impresa era stata resa possibile grazie all’installazione nell’Italia Meridionale liberata di basi aeree. Le foto miravano però non a individuare gli obiettivi di Auschwitz da colpire, ma a preparare il terreno al bombardamento degli stabilimenti della Farben, l’industria chimica molto importante per le sorti della guerra, che aveva stabilito i suoi moderni impianti presso Auschwitz, a Buna, utilizzando come manodopera i prigionieri del lager (tra loro Primo Levi ed Elie Wiesel). Le bombe colpirono cinque volte la fabbrica, e in un caso raggiunsero per errore anche Auschwitz, ma non recarono danno alla linea ferroviaria.[36]


La situazione nel secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra le vicende ebraiche continuarono a essere segnate da criticità. Per molti sopravvissuti, depauperati di ogni bene, non esisteva più un luogo ove far ritorno. Inoltre, in taluni casi, i sentimenti anti ebraici non erano cessati. Si ricorda al riguardo il «pogrom» («sommossa sanguinosa») avvenuto nel luglio del 1946 nella cittadina di Kielce (Polonia). In questa località più di 40 Ebrei sfuggiti all’Olocausto vennero eliminati da elementi della popolazione locale, e 80 feriti.[37]

Il difficile contesto socio-politico, riscontrabile in più aree dell’Occidente, costituì un motivo che fece aumentare il flusso ebraico in direzione della Palestina. Quest’ultimo territorio era governato dagli Inglesi sulla base di un mandato internazionale.[38] Londra pose limiti all’immigrazione (attuando respingimenti). Ebbe così inizio una sanguinosa guerriglia tra organizzazioni ebraiche e forze britanniche. A questo conflitto si aggiunse il confronto armato con la popolazione araba. L’azione contro militari inglesi da parte di gruppi armati ebraici si concretizzò anche in episodi di particolare violenza come l’attentato al King David Hotel di Gerusalemme (22 luglio 1946), e l’uccisione di due soldati inglesi catturati, quale rappresaglia per l’impiccagione di alcuni militanti sionisti da parte britannica. L’eliminazione dei due militari provocò nel Regno Unito delle violente manifestazioni contro la comunità ebraica inglese.

Nel frattempo l’Organizzazione delle Nazioni Unite cercava di elaborare un piano di partizione del territorio in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo (1947). Tale proposta fu respinta dalla parte araba. Alla fine Londra decise di abbandonare il mandato (1948) in una situazione di caos e di violenza, mentre i leader della comunità ebraica davano origine allo Stato di Israele.[39]


La «ristesura» della storia a danno di Pio XII

Terminato il Secondo Conflitto Mondiale, si verificarono molteplici cambiamenti. In Europa, una «cortina di ferro» (1946) divise l’Occidente dall’Oriente. La Russia, prima alleata dei Tedeschi (Patto Molotov-Ribbentrop; 23 agosto 1939), poi Nazione che combatté il III Reich con gli Alleati (1941-1945), si scontrò con gli USA in quella che è stata definita una «guerra fredda» (1947). Si realizzarono nuove alleanze. In particolare, il neo Stato di Israele ebbe (ed ha) come potente alleato gli USA. Nel Medio Oriente si verificò un ridisegno delle forze politiche in campo. Ebbe inizio (1948) un conflitto arabo-israeliano i cui esiti non risolsero le criticità dell’area. Proprio in questo periodo, il nuovo assetto internazionale spinse più Stati a ripresentare la recente storia in un modo «politicamente» più «corretto», attento cioè agli attuali «equilibri». Si verificarono quindi dei mutamenti.

1. Si preferì non accendere troppi riflettori sulle responsabilità anglo-americane in materia di Shoah. Anche con riferimento alla Svizzera, al Canada e a Paesi Latino-Americani si evitò di ricordare i respingimenti di Ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste. Solo in tempi recenti ci sono state delle ammissioni ufficiali collegate a scuse (la Svizzera nel 1995 e nel 1999; il Canada nel 2018).

2. I servizi occidentali di «intelligence» non resero di pubblico dominio le registrazioni che possedevano sulla Shoah. In Italia si nascosero fascicoli sui crimini nazisti (ritrovati nel 1994). E si arrivò a relegare nell’oblio la vicenda della deportazione in Germania di 2.500 Carabinieri (7 ottobre 1943).[40]

3. Documenti «top secret» sull’Olocausto e sui crimini di guerra sono stati resi pubblici dalla «Commissione crimini di guerra» delle Nazioni Unite solo il 21 aprile 2017 (apertura degli archivi). La documentazione e la digitalizzazione è stata affidata alla «Wiener Library for the Study of the Holocaust and Genocide» di Londra per la consultazione pubblica.

4. Lo storico Luca Tadolini[41], direttore del Centro Studi Italia, ha poi evidenziato un fatto. Malgrado le leggi razziali fossero in vigore dal 1938, ed era quindi nota la politica antiebraica del regime, non esiste una sola azione delle formazioni partigiane reggiane e modenesi per impedire il prelevamento, la detenzione in campo di concentramento nel vicino campo di Fossoli, in provincia di Modena. Tadolini fa notare che il campo di raccolta di Fossoli, da cui migliaia di Ebrei vennero deportati in Germania, nonostante fosse circondato da 1.800 partigiani non venne mai fatto oggetto di alcun attacco, e questo nonostante gappisti[42] e sappisti avessero l’appoggio delle forze angloamericane. Gli aiuti a favore di Ebrei, in pratica, furono realizzati da molti individui singoli, e da sacerdoti: ma erano azioni dettate dalla coscienza e non dal Comitato di Liberazione Nazionale, o da una strategia delle Brigate Garibaldi (organizzate dal Partito Comunista Italiano).[43] Tale situazione si verificò anche in altre zone dell’Italia.


Le decisioni di taluni esponenti del mondo ebraico

Alcuni esponenti del mondo ebraico, però, mentre da una parte cominciarono a sviluppare un progetto di «memoria» della Shoah («Giornate», Musei, cerimonie varie, «marce», proclamazione dei «Giusti», visite ai campi di sterminio, pubblicazioni), dall’altra intesero attenuare il più possibile le attenzioni generali verso i comportamenti omissivi di più Paesi e di più nuclei di resistenti nei confronti degli Ebrei. Si preferì piuttosto porre al centro di una vasta polemica un Papa: Pio XII (Eugenio Pacelli).[44] Verso questo Pontefice furono indirizzate accuse, anche dure, di vicinanza al nazismo e di silenzio sulla Shoah.

Tale fatto fu ampliato dai media. Diversi storici, però, si chiesero il motivo dell’acredine. Da più documenti, infatti, risultava – al contrario di vari Governi e di organismi internazionali – non una passività ma piuttosto un’azione a raggio per mobilitare tutte le forze cattoliche.


Le evidenze risultanti dalla ricerca storica

Proprio chi scrive, attraverso il libro Il Terzo Reich contro Pio XII[45], ha dimostrato che non solo non esisteva «vicinanza» tra Pio XII e Berlino, ma che addirittura lo spionaggio nazista informava sul fatto che Papa Pacelli era un nemico del III Reich.

Anche il tema dei «silenzi» viene oggi scolorito dai risultati di molteplici ricerche di cui si offre qui di seguito una sintesi.

1. La Santa Sede, attraverso gli esponenti di Chiese locali, era informata sui drammi in corso. Sulle iniziative anti ebraiche.

2. Per tale motivo furono impartite delle direttive vaticane per monitorare una situazione che volgeva al peggio, per mediare in qualche modo con i centri di comando del Reich, per favorire protezioni (ad esempio, nelle migrazioni).

3. Il Vaticano attivò soprattutto i cattolici più coraggiosi, quelli che criticavano la politica anti ebraica, che erano sposati con Ebrei, e che – d’intesa con esponenti di altri culti – operavano per vanificare gli imperativi categorici di Berlino.

4. Con il trascorrere del tempo, Pio XII si accorse presto di essere «isolato» (le diplomazie occidentali erano consapevoli della sua debolezza), e «circondato» (controlli a ogni livello).

5. Vasti territori europei erano ormai controllati dalla Wehrmacht (bloccate le comunicazioni e le iniziative di solidarietà).

6. I bombardamenti attuati da eserciti in lotta avevano distrutto più abitati, uccidendo (oltre ai feriti) la popolazione civile inerme. Le cronache riferivano di continui episodi di violenze sulle donne.

7. In Italia la Repubblica Sociale Italiana (1943-1945) era alleata dei Tedeschi. Combatteva al loro fianco per respingere gli Alleati che risalivano la Penisola dal Sud. Perfino Mussolini, il giorno precedente la razzia degli Ebrei Romani (16 ottobre 1943) aveva ricevuto in udienza personalità naziste direttamente coinvolte nell’imminente rastrellamento ebraico (il Generale Wolff[46] e il console Moellhausen[47]).[48]

8. A Roma, con la deportazione dei Carabinieri, era definitivamente crollata ogni possibile difesa degli Ebrei. La stessa Polizia era stata messa da parte (come avvenne il 16 ottobre 1943). I gruppi partigiani si muovevano con singole azioni (inclusa quella di Via Rasella, marzo 1944) ma non concordarono alcun tentativo di salvare Ebrei. I rappresentanti dei partiti politici si incontravano ma non decisero sulla questione ebraica. Ogni mezzo di comunicazione rimaneva sotto controllo. Gli accessi al Vaticano erano bloccati (verifica dei permessi). La censura era estesa e rigida. I blocchi stradali fermavano gli spostamenti privi di autorizzazione. Le vie ferroviarie utilizzate per le deportazioni degli Ebrei non erano state distrutte dagli Alleati. Rimaneva assente una resistenza ebraica armata.

9. I nunzi pontifici operavano in condizioni di evidente debolezza. A Berlino, il rappresentante del Papa vedeva rifiutate le richieste del Pontefice, e anche le udienze con il Führer erano bloccate (l’ultima si concluse con Hitler che gettò per terra un bicchiere quando sentì parlare dal nunzio Orsenigo[49] di Ebrei).

Ogni voce di denuncia, di condanna, subiva un soffocamento immediato (il fatto si aggravò quando le sorti della guerra divennero critiche per i Tedeschi). Inoltre, gli stessi nazisti avevano trasferito i reclusi oggetto di esperimenti, e i colpiti da malattie mentali e da deformazioni fisiche, nei lager di sterminio polacchi (continuando indisturbati in azioni disumane sul piano «scientifico»).

10. Infine, proprio dentro il Vaticano, operavano agenti dell’OVRA fascista e dei servizi segreti tedeschi.[50]

11. A motivo dei condizionamenti esistenti, delle rappresaglie, dei rastrellamenti, delle esecuzioni sommarie, e della stessa azione dei delatori (denunciare un Ebreo implicava una ricompensa in denaro), Pio XII affrontò una «scelta di prossimità» attraverso una rete di assistenza ai colpiti dalla guerra, ai perseguitati, ai ricercati politici, ai profughi e agli sfollati. Tale rete ebbe genesi e sviluppo con direttive della Santa Sede.


La «scelta di prossimità» di Pio XII

La scelta in questione si ritrova, ad esempio, in alcuni «passaggi» significativi. Si riportano qui di seguito degli estratti.

1. «Questo voto [di non darsi riposo, finché… divenga legione la schiera di coloro, che… anelano al servizio della persona e della sua comunanza nobilitata in Dio, Nota del Redattore] l’umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento».[51]

2. «Non vi meraviglierete, venerabili Fratelli e diletti Figli, se l’animo Nostro risponde con sollecitudine particolarmente premurosa e commossa alle preghiere di coloro che a Noi si rivolgono con occhio di implorazione ansiosa, travagliati come sono, per ragione della loro nazionalità o della loro stirpe, da maggiori sciagure e da più acuti e gravi dolori, e destinati talora, anche senza colpa, a costrizioni sterminatrici».[52]

3. «Ma guai a coloro che in questo tremendo momento non assurgono alla piena coscienza della loro responsabilità per la sorte dei popoli, che alimentano odi e conflitti fra le genti, che edificano la loro potenza sulla ingiustizia, che opprimono e straziano gl’inermi e gl’innocenti, ecco che l’ira di Dio verrà sopra di loro sino alla fine!».[53]

4. «Due cose però Noi possiamo e vogliamo compiere. La prima è, che Noi abbiamo fatto e faremo sempre quanto è nelle Nostre forze materiali e spirituali per alleviare le tristi conseguenze della guerra, per i prigionieri, per i feriti, per i dispersi, per i randagi, per i bisognosi, per tutti i sofferenti e i travagliati, di ogni lingua e nazione».[54]


La «scelta di prossimità» negli archivi vaticani (2020)

Dopo l’apertura degli archivi vaticani (2020), sono iniziate molteplici ricerche che hanno confermato un ruolo attivo e non passivo della Santa Sede (già individuato da Michael Hesemann, William Doino, Padre Peter Gumpel sj, Dimitri Cavalli, Ron Rychlak, Pier Luigi Guiducci e altri).

Johan Ickx[55] ha pubblicato le evidenze che emergono dai contenuti dei faldoni catalogati come «serie Ebrei». Negli incartamenti si trovano richieste di intervento e di aiuto. È documentata la risposta vaticana che percorse più strade.[56]

Anche lo storico tedesco Hubert Wolf[57] ha potuto consultare molte lettere inviate a Papa Pacelli da Ebrei. La Santa Sede intervenne con denaro, cibo o dando anche rifugio. Il Papa, in talune occasioni, ebbe anche la possibilità di dotare i fuggiaschi di un visto, o di inviare il denaro necessario per pagare il viaggio in nave negli Stati Uniti o in Sud America.

Le fonti studiate hanno dimostrato che Pio XII leggeva di persona molte di queste suppliche, e impartiva direttive di aiuto. Si ricorda, al riguardo, un episodio. Arrivarono in Vaticano richieste di Ebrei che dal Portogallo intendevano fuggire in Brasile. Il Pontefice intervenne di persona per far avere a questi perseguitati i visti necessari. L’allora nunzio in Portogallo accompagnò il gruppo di fuggitivi, inclusi dei bambini, al porto di Lisbona da dove quest’ultimi poterono raggiungere Rio de Janeiro.[58]

Malgrado queste evidenze, alcuni esponenti del mondo ebraico, continuano a tutt’oggi ad accusare Pio XII di «passività» con riferimento alla razzia degli Ebrei Romani, avvenuta il 16 ottobre del 1943. Singoli autori mantengono toni duri. Può essere allora utile evidenziare qui di seguito taluni dati.


La «scelta di prossimità» e la razzia degli Ebrei Romani

Il 16 ottobre del 1943, su ordine di Berlino, militari tedeschi, sostenuti da repubblichini e da pochi poliziotti, operarono un rastrellamento di Ebrei (più di 1.000) in diversi quartieri di Roma.[59] Ogni fase esecutiva fu diretta dal capitano delle SS Theodor Dannecker[60]. I perseguitati vennero confinati all’interno del Collegio Militare di Via della Lungara.

Pio XII, subito informato, seguì una linea ufficiale e un percorso ufficioso. Sul piano formale si registra il colloquio tra il Cardinale Maglione[61] e l’Ambasciatore Tedesco Ernst Von Weizsäcker[62] (in realtà il successivo resoconto scritto vaticano non documenta l’integrale interazione). In questo incontro, il rappresentante del Papa si controllò nei toni perché intorno al Vaticano (Agostiniani, Suore Maria Bambina, «San Gioacchino»…), e anche dentro quest’ultimo erano nascosti Ebrei. Il colloquio servì comunque a trasmettere – di fatto – una richiesta di aiuto a favore degli arrestati.

Il percorso ufficioso – tramite fiduciari della Santa Sede – raggiunse il Generale Rainer Stahel[63], comandante militare a Roma. Questi, riuscì a raggiungere per telefono Himmler[64] e a convincerlo a fermare la razzia. Bloccare l’operazione significò consentire a chi non era stato ancora preso di nascondersi (e di salvarsi).[65]

Nel frattempo il religioso salvatoriano, Padre Pancratius Pfeiffer[66] (amico di Stahel[67]), già attivato da Pio XII, proseguì nell’interazione con i vertici tedeschi. Si verificò così un fatto.

La mattina del 17 ottobre (erano quindi già trascorse molte ore, un intero pomeriggio e una notte) Dannecker, sulla base di un ordine che gli era pervenuto per telefono, ordinò di radunare gli Ebrei nel piazzale del Collegio.

Chiamò poi un Ebreo di Fiume, Arminio Wachsberger[68], che fungeva da interprete, e gli fece tradurre un ordine inaspettato: ci sarebbe stato un controllo di ogni persona così da verificare lo «status» dei singoli soggetti. Coloro che rimanevano sotto custodia sarebbero stati condotti a un campo di lavoro.

Fu una decisione che colpisce ancor oggi per delle ragioni precise. Il Tenente Colonnello delle SS Herbert Kappler[69], infatti, quando pretese 50 chilogrammi di oro dalla Comunità Ebraica Romana aveva detto a Ugo Foà[70] e a Dante Almansi[71]: «Io non faccio distinzione fra Ebreo ed Ebreo. Iscritti alla Comunità o dissociati, battezzati o misti, tutti coloro nelle cui vene scorre una goccia di sangue ebraico sono per me uguali. Sono tutti nemici».[72]

Furono liberate 259 persone, inclusi i componenti di unioni o famiglie miste, compresi i «partner» ebrei. Inoltre, diversi arrestati riuscirono a camuffare la propria identità ebraica: la famiglia Dureghello (padre, madre e figlio), Angelo Dina, Enrico Mariani, Bianca e Piera Ravenna Levi e altri.

Diversi indizi indicano nel Padre Pancratius Pfeiffer l’uomo che intervenne direttamente per conto della Santa Sede per chiedere la liberazione delle persone di servizio nelle famiglie ebree, dei coniugi e figli di matrimoni misti. Alla fine della guerra, Padre Pancratius distrusse i verbali dei suoi incontri con Pio XII e con la Segreteria di Stato. Sono comunque scampati alla distruzione due appunti. In uno è scritto: «Emilio Segrè – Collegio Militare, la liberazione è chiesta da Monsignor Traglia vice gerente di Roma». In un altro foglietto c’è scritto: «Hauptsturmbannführer Danegger», «Collegio Militare».

Il 31 ottobre del 1943, il Ministro Plenipotenziario rappresentante del Regno Unito presso la Santa Sede, Francis D’Arcy Godolphin Osborne[73], trasmise un messaggio al suo Governo. Nel dispaccio si trova il riferimento alla retata del 16. Nel testo c’è questa frase: «L’intervento vaticano sembra dunque esser stato efficace nel salvare un certo numero di queste sfortunate persone. Ho chiesto di sapere se potessi io riferir questo e mi fu detto che avrei potuto ma solo per nostra conoscenza e non per darne pubblica ragione, poiché ogni pubblicazione d’informazioni condurrebbe probabilmente a nuove persecuzioni».[74]


Il ritrovamento dei diari di Goebbels

Al termine del Secondo Conflitto Mondiale è stato possibile agli Alleati requisire ogni materiale nazista anche di interesse storico. Tra i documenti ritrovati risultano i diari del Ministro della Propaganda del III Reich, Joseph Paul Goebbels.[75] Quest’ultimo fece fare copie dei diari, e le nascose a Potsdam (a Ovest di Berlino). I diari originali (scritti a mano) rimasero imballati e conservati nella nuova Cancelleria del Reich. Alcuni di questi sopravvissero e costituirono la base per la pubblicazione (dopo anni) di talune sezioni (riguardanti soprattutto il periodo bellico). Il materiale che stava a Potsdam fu scoperto dai Sovietici e inviato a Mosca. Qui, rimase nascosto fino a quando non venne scoperto da Elke Fröhlich[76] nel 1992. Da quel momento fu possibile pubblicare il testo integrale dei diari.[77]

In tale contesto, leggendo i diversi quaderni, si trovano anche dei riferimenti a Pio XII che qui di seguito si trascrivono.

«Ho avuto informazioni confidenziali, secondo le quali il Papa ha rivolto un appello ai Vescovi Spagnoli affinché si adoperino in ogni modo a far restare la Spagna fuori del conflitto. Egli sostiene la sua richiesta con considerazioni umanitarie. Con ciò, in verità, non fa che esprimere la sua ostilità verso l’Asse. È un’assurdità evidente che un potere spirituale ed ecclesiastico si immischi fino a questo punto in questioni politiche e militari. Dopo la guerra dovremo assicurarci, perlomeno per quanto riguarda il nostro Paese, che simili tentativi di interferenza siano resi impossibili».[78]

«Ho proposto al Führer che proibisca ai soldati tedeschi di recarsi a visitare il Papa. Questa sequela di visite è diventata veramente un pericolo pubblico. Il Papa, naturalmente, approfitta di ogni occasione per ricevere dei militari tedeschi e impressionarli con lo spettacolo della pompa del cerimoniale vaticano. Inoltre l’attuale Papa ha l’abilità che occorre per servirsi di queste cose ai fini evidenti della propaganda. Parla un ottimo tedesco e il suo portamento è tale da far colpo sulla candida mentalità dei militari, e soprattutto degli ufficiali. Ecco perché bisogna troncare questo male».[79]

«Tramite un informatore segreto ho saputo che il Papa intenderebbe entrare in trattative con noi. Vorrebbe mettersi in contatto con noi e sarebbe perfino pronto a mandare in incognito in Germania uno dei Cardinali che gli sono più vicini. Evidentemente ci crede così mal ridotti, in questo momento, da essere disposti a fargli concessioni fondamentali. Cosa, naturalmente, alla quale non c’è neanche da pensare».[80]


Qualche considerazione di sintesi

L’attuale periodo ha favorito diverse ricerche storiche perché è stato possibile accedere a documenti di più archivi. Tale indagine, nel suo complesso, ha confermato come nella fase precedente la Seconda Guerra Mondiale, e negli anni del conflitto, il flusso ebraico di fuga dalla cattura nazista (e dallo sterminio) non trovò un sostegno incisivo. Dai porti che non accettarono navi con Ebrei (Per esempio, la St. Louis, 1939), dai protettorati che respinsero imbarcazioni con Ebrei (per esempio, la vicenda dell’Exodus, 1947), dalle quote di accoglienza profughi mantenute inalterate (e non ampliate), dai politici che riuniti in convegno non trovarono soluzioni per la «questione ebraica» (per esempio, Évian, 6-15 luglio 1938), fino all’indifferenza mostrata in presenza di politiche mirate alla distruzione del popolo ebraico, tutto attesta forme diverse di non aiuto.

Non sono inoltre mancati autori ebrei che hanno pure evidenziato una mancata reazione ebraica in presenza di avversità sempre più lancinanti.[81]

In tale contesto, mentre da una parte Governi e organizzazioni umanitarie (per esempio, la Croce Rossa Internazionale) hanno accettato di percorrere itinerari di verità (ammissione di colpe[82]), dall’altra rimangono posizioni di singoli esponenti del mondo ebraico che si staccano anche da una linea sostenuta da vari Ebrei (per esempio, il Rabbino David Dalin[83], Gary L. Krupp e altri) per rinnovare polemiche verso Pio XII tacendo su tragiche omissioni di altri interlocutori.

Perché avviene questo?

1. Secondo alcuni autori il tema della Shoah deve rimanere al centro di ogni dibattito nel mondo ebraico perché è l’unico argomento possibile per mantenere unito un popolo in diaspora. Tale fatto, però, rischia di non aprirsi a nuovi orizzonti e soprattutto a progetti di vita. Ciò spiega, inoltre, una tendenza nelle nuove generazioni ebraiche ad andare «oltre» l’Olocausto, ad ampliare i temi socio-politici attuali assegnando alla «memoria» aree importanti ma non continuamente focalizzate.

2. Per altri studiosi il problema base in più Ebrei è psicologico. Si soffre per essere dei «sopravvissuti». Si avverte quasi una «colpa» personale. Un malessere insanabile. Non si riesce a prendere atto di una realtà di morte (Shoah), generata da logiche di dominio (sostenute da poteri forti), attraverso la costruzione di un nuovo Ebraismo aperto al dialogo con tutti.

3. In tale contesto, non potendo «toccare» Nazioni che sostengono Israele (gli USA forniscono armi a Israele e protezione nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU), si preferisce trovare comunque un «centro di imputazione». La figura di Pio XII rimane facile da attaccare perché questo Pontefice operò in uno stato di debolezza. Inoltre, esiste in alcuni esponenti ebraici, un’ostilità politica verso la Santa Sede[84] legata allo «status» di Gerusalemme.

In particolare, la Santa Sede si è più volte espressa a favore di soluzioni che prevedano Gerusalemme come città internazionale sotto il controllo dell’ONU o di istituzioni legate a questa. Papa Pio XII fu tra i primi a trasmettere una simile proposta, fin dalla sua enciclica Redemptoris Nostri Cruciatus del 1949, e questa posizione fu poi ribadita durante i Pontificati di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.

4. Gli studi storici, comunque, non seguono polemiche. E non perseguono il fine di provocare confronti accessi. Essi si basano su documenti. Su riscontri. Su analisi dei contesti. Solo seguendo tale linea è possibile scoprire le tante «sconfitte» di Pio XII. Questo Papa non venne ascoltato quando si trattò di fermare la guerra. Non venne ascoltato quando invocò la cessazione di tanti orrori. Non venne ascoltato neanche quando chiese di non bombardare Roma. Per questo motivo ieri era debole la posizione di chi continuava a pensare a una città sicura perché protetta dal Pontefice. Perché vicina al Vaticano. Oggi rimane fragile la violenza verbale di chi scolora l’immagine dell’unica autorità che rimase nell’Urbe mentre tutti erano scappati.


Alcune indicazioni bibliografiche

H. L. Feingold, The Politics of Rescue: The Roosevelt Administration and the Holocaust, 1938-1945, Rutgers University Press, New Brunswick 1970

A. Ferri, Bombardate Auschwitz. Una speranza negata, Il Saggiatore, Milano 2015

D. Franceschi, Gli Stati Uniti e la Shoah. Politica dell’immigrazione, crisi dei rifugiati e opinione pubblica nell’America degli anni Trenta e Quaranta, in: «Storico.org», rivista di storia online, maggio 2018 (ampia bibliografia)

T. S. Hamerow, Perché l’Olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all’orrore nazista, Feltrinelli, Milano 2010 (2012)

D. Plesch, Human Rights after Hitler. The Lost History of Prosecuting Axis War Crimes, Georgetown University Press, Washington 2017

D. S. Wyman, The Abandonment of the Jews. America and the Holocaust, 1941-1945, Pantheon Books, New York 1984.


Note

1 Nel 1940, la filiale tedesca di Coca-Cola finì lo sciroppo e non riuscì a ottenere nulla dall’America a causa dell’embargo dovuto alla guerra. Così fu ideata una nuova bevanda: una soda al gusto di frutta chiamata Fanta.

2 Confronta anche: A. Vento, Storia dello Stato clandestino polacco (1939-1945), in: La Resistenza in Europa. Le radici di una coscienza comune, Skirà, Milano 2005.

3 Gerhart Moritz Riegner (1911-2001). Fu il Segretario Generale del Congresso Ebraico Mondiale dal 1965 al 1983.

4 Benjamin Sagalowitz (1901-1970). Socialista e sionista, fu tra l’altro noto come relatore ai processi secondari di Norimberga (1948-1949) e al processo Eichmann a Gerusalemme (1961-1962).

5 Eduard Schulte (1891-1966).

6 Fritz Bracht (1899-1945).

7 Stephen Samuel Wise (1874-1949).

8 Benjamin Sumner Welles (1892-1961).

9 Charles Antoine Rochat (1892-1975).

10 Pierre Laval (1883-1945).

11 Segretario del Concistoro Centrale degli Israeliti.

12 P. Assouline, Une éminence grise. Jean Jardin (1904-1976), Balland, Paris 1986.

13 Un esempio: la Danimarca occupata dai Tedeschi. A fine estate 1943, le autorità del III Reich imposero la legge marziale. La polizia segreta nazista aveva pianificato di approfittare della legge marziale per deportare tutti gli Ebrei Danesi. Il 28 settembre 1943, un uomo d’affari tedesco avvertì le autorità danesi dell’imminente operazione, fissata per la notte tra il 1° e il 2 di ottobre 1943. Grazie a ciò, e con l’aiuto dei vicini e amici non Ebrei, praticamente tutta la popolazione ebraica danese riuscì a nascondersi. Nei giorni successivi, la Resistenza organizzò una grande operazione di salvataggio per trasferire gli Ebrei nella neutrale Svezia.

14 Hugh Trevor Roper (1914-2003).

15 Testimonianza riportata da Antonio Varsori in: Alleati e Shoah: ambiguità e silenzi. Articolo pubblicato nel sito web: «il Bo Live» (https://ilbolive.unipd.it/). Università di Padova, Padova 28 gennaio 2021.

16 Arthur Koestler (nato Artúr Kösztler; 1905-1983).

17 Durante il Secondo Conflitto ondiale Lidice faceva parte del Protettorato di Boemia e Moravia del III Reich. Fu distrutta il 10 giugno del 1942, come rappresaglia da parte degli occupanti tedeschi, in seguito all’attentato delle forze partigiane ceche in cui era stato ucciso il Generale Reinhard Heydrich.

18 Testimonianza riportata da A. Varsori in: Alleati e Shoah: ambiguità e silenzi.

19 J. Fishman, And the Walls Came Tumbling Down, Souvenir Press, London 1982.

20 Su questo punto confronta le immagini pubblicate nel sito: https://ncap.org.uk/ (National Collection of Aerial Photography).

21 L’avvocato John Jay McCloy (1895-1989) fu un diplomatico e un banchiere. Divenne consigliere presidenziale.

22 John William Pehle (1909-1999).

23 Randolph Evernghim Paul (1890-1956).

24 Josiah Ellis DuBois Jr. (1912-1983).

25 Rapporto al Segretario sull’acquiescenza di questo Governo nell’omicidio degli Ebrei. In realtà vennero preparati due Rapporti (che arrivarono al Presidente Roosevelt). Uno era pubblico, l’altro rimaneva segreto.

26 M. R. Beschloss, The Conquerors: Roosevelt, Truman and the Destruction of Hitler’s Germany, 1941-1945, 2003. Simon and Schuster, pagina 66.

27 Henry Harley Arnold (detto «Hap»; 1886-1950). Rivelò un carattere irrequieto e nervoso. Impose il suo brusco stile di comando ai subordinati, ebbe il controllo completo della guerra aerea pianificata dagli USA.

28 Hans Joachim Morgenthau (1904-1980). Era nato in Germania in una famiglia ebraica.

29 Franklin Delano Roosevelt (1882-1945). Presidente USA dal 1933 al 1945.

30 Jan Kozielewski, più noto come Jan Karski (1914-2000). Militare polacco. Confronta anche: M. Rizzo-L. Bonaccorso, Jan Karski. L’uomo che scoprì l’Olocausto, Rizzoli Lizard, Milano 2014.

31 Situato nell’Est della Polonia occupata.

32 Il «War Refugee Board», fu istituito dal Presidente Franklin D. Roosevelt nel gennaio 1944. Si trattava di un’Agenzia degli Stati Uniti per aiutare le vittime dei nazisti.

33 Sir Winston Leonard Spencer Churchill (1874-1965).

34 Anthony Eden (1897-1977). All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, fu Ministro della Guerra nel Gabinetto Churchill, poi diresse (1939-1945) il Foreign Office.

35 U. Gentiloni Silveri, Bombardare Auschwitz, Mondadori, Milano 2020.

36 Su questa problematica confronta anche A. Foa, Bombe sui lager: obiettivo mancato, in: «Avvenire», martedì 20 gennaio 2015.

37 Il 4 luglio 1946 si era sparsa la voce che alcuni Ebrei avevano rapito un bambino per usarne il sangue. La popolazione della cittadina si riunì nei pressi degli edifici abitati da Ebrei e, nell’indifferenza delle forze dell’ordine, linciò i residenti; gli Ebrei presenti nei treni di passaggio nella locale stazione ferroviaria furono prelevati e uccisi. Confronta al riguardo: J. T. Gross, I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002.

38 Il mandato britannico della Palestina fu un’istituzione storica, basata sugli accordi Sykes-Picot (1916). Tale mandato permise al Regno Unito di governare su quel territorio tra il 1920 e il 1948, dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano nella Prima Guerra Mondiale.

39 I. Pappé, Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, Einaudi, Torino 2014.

40 A. M. Casavola, Carabinieri tra Resistenza e deportazioni. 7 ottobre 1943-4 agosto 1944, Studium, Roma 2021.

41 Luca Tadolini: presidente del Centro Studi Italia, e avvocato del Foro di Reggio Emilia.

42 G.A.P.: Gruppi di Azione Patriottica. S.A.P.: Squadre di Azione Patriottica.

43 A. Zambrano, I partigiani e il silenzio sulla Resistenza all’Olocausto, in: «La Nuova Bussola Quotidiana», 29 gennaio 2018 (https://lanuovabq.it/it).

44 Pio XII (nato Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli; 1876-1958; Venerabile). Il suo Pontificato durò dal 1939 alla sua morte.

45 P. L. Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013.

46 Karl Friedrich Otto Wolff (1900-1984). Generale delle Waffen-SS.

47 Eitel Friedrich Moellhausen (1913-1988). Diplomatico tedesco. Console generale a Roma.

48 Diario di Benito Mussolini, 15 ottobre 1943.

49 Monsignor Cesare Vincenzo Orsenigo (1873-1946).

50 Confronta anche: D. Alvarez, Spie in Vaticano. Spionaggio e complotti da Napoleone all’Olocausto, Newton Compton Editori, Roma 2003.

51 Radiomessaggio di Sua Santità Pio XII alla vigilia del Santo Natale; giovedì, 24 dicembre 1942.

52 Discorso di Sua Santità Pio XII al Sacro Collegio nel giorno del suo onomastico; mercoledì, 2 giugno 1943; confronta «La Civiltà Cattolica», 19 giugno 1943, pagina 331.

53 Radiomessaggio di Sua Santità Pio XII nel IV anniversario dell’inizio della Guerra Mondiale; mercoledì, 1° settembre 1943.

54 Radiomessaggio di Sua Santità Pio XII ai popoli del mondo intero; venerdì, 24 dicembre 1943.

55 Dottor Johan Ickx (nato nel 1962). Direttore dell’Archivio Storico della Congregazione per gli affari straordinari presso la Segreteria di Stato.

56 J. Ickx, Pio XII e gli Ebrei. L’archivista del Vaticano rivela finalmente il ruolo di Papa Pacelli durante la Seconda Guerra Mondiale, Rizzoli, Milano 2021.

57 Hubert Wolf (nato nel 1960). Sacerdote. Storico della Chiesa Cattolica. Ricercatore nell’Archivio Segreto del Vaticano – ora chiamato Archivio Apostolico.

58 Confronta anche F. Giansoldati, Nazismo, il dilemma sui silenzi di Pio XII ma spuntano altre carte di Ebrei che gli chiedevano aiuto, in: «Il Gazzettino», domenica 2 maggio 2021.

59 Il 24 settembre 1943, Heinrich Himmler (capo delle forze di sicurezza del III Reich) trasmise un telegramma segreto e strettamente riservato per il Tenente Colonnello delle SS Herbert Kappler: «Tutti gli Ebrei, senza distinzione di nazionalità, età, sesso e condizione, dovranno essere trasferiti in Germania e ivi liquidati. Il successo dell’impresa dovrà essere assicurato mediante azione di sorpresa».

60 Theodor Dannecker (1913-1945).

61 Cardinale Luigi Maglione (1877-1944).

62 Ernst Von Weizsäcker (1882-1951).

63 Generale Reiner Stahel (1892-1955). Cattolico. Definì la retata degli Ebrei Romani (16 ottobre 1943) una «schweinerei» («porcheria»).

64 Heinrich Luitpold Himmler (1900-1945). Reichsführer delle Schutzstaffel dal 1929, comandante della polizia dal 1936 e delle forze di sicurezza del Terzo Reich dal 1939.

65 A fine conflitto, Dieter Wisliceny (1911-1948), luogotenente di Adolf Eichmann (1906-1962; tra i maggiori responsabili operativi dello sterminio degli Ebrei), fu esplicito nell’affermare che: «Condizioni particolarmente speciali permisero agli Ebrei di Roma di porsi tempestivamente in salvo». Stahel pagò di persona per questo intervento. Due settimane dopo fu deposto dal suo incarico e per punizione fu inviato sul fronte orientale da dove non fece ritorno. La motivazione della sua rimozione fu che «era troppo mite con gli Italiani» e «troppo amichevole con il Vaticano».

66 P. Pancratius Pfeiffer (1872-1945).

67 Erano stati compagni di scuola. Stahel aveva anche consegnato a Pfeiffer un lasciapassare in casi di pericolo.

68 G. Rigano, L’interprete di Auschwitz. Arminio Wachsberger, un testimone d’eccezione della deportazione degli Ebrei di Roma, Guerini e associati, Milano 2015.

69 Herbert Kappler (1907-1978). Tenente Colonnello delle SS, comandante dell’SD e della GESTAPO a Roma.

70 Ugo Foà (1887-1953): Presidente della Comunità Israelitica di Roma.

71 Dante Almansi (1877-1949): Presidente delle Comunità Israelitiche Italiane.

72 Confronta anche: A. Gaspari, Gli Ebrei salvati da Pio XII, Art Editore, Roma 2001, pagina 35.

73 Lord Francis D’Arcy Godolphin Osborne (1884-1964).

74 Osborne a FO, 31 ottobre 1943, tel. 400, PRO: FO 371/37255, citato in: Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la période de la Seconde Guerre Mondiale, volume IX, nota 3 a pagina 506.

75 Paul Joseph Goebbels (1897-1945).

76 Elke Fröhlich (nata nel 1944). Storica tedesca.

77 Die Tagebücher von Joseph Goebbels, Deutsches Institut für Geschichte der nationalsozialistischen Zeit, München 1995-2008.

78 Tale annotazione è significativa perché attesta che Pio XII non fu un soggetto «passivo».

79 L’affermazione conferma una volontà mirata a isolare Pio XII.

80 Il fatto conferma il tentativo di Pio XII mirato ad attivare iniziative umanitarie.

81 Y. Hayim Yerushalmi, Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, Pratiche Editrice, Parma 1983 (poi Giuntina, Firenze 2011).

82 Croce Rossa Internazionale (dal 1995), Croce Rossa Olandese (2012).

83 David Gil Dalin (nato nel 1949). Rabbino e storico USA.

84 Pontificato di Paolo VI.

(luglio 2021)

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