1941-1943: la Campagna di Ucraina
Una tragedia che si ripete ai nostri giorni

Donetz, Stalino, Izyum, Arbuzovka, Millerovo, Tangarog, Rostov e tante altre località che subirono l’«Operazione Barbarossa» sono ed erano in territorio ucraino, di oggi o di ieri, quando i confini erano diversi. In tutto questo territorio si parlava ucraino fino e oltre il fiume Don.

Si può ribattezzare così, «Campagna di Ucraina» quella che fino a ora è conosciuta come «Campagna di Russia», cominciata per l’Italia il 6 luglio 1941, dopo che Hitler aveva bombardato Minsk e Kyiiv, il mattino alle ore 4 del 22 giugno.

La distinzione tra Ucraina e Russia era anche allora profonda in Unione Sovietica ed era sentita nella popolazione del grande «Impero Rosso» per motivi storici e per i genocidi; nonostante ciò, l’Ucraina ne faceva parte.

La popolazione aveva subito già due Holodomor, nel 1921-1922 durante il «Terrore Rosso» di Lenin, e nel 1932-1933 da parte di Stalin contro i contadini ucraini che a milioni morirono di fame.

Di tutta l’Ucraina, la parte più colpita dal genocidio era stata dall’Oblast di Poltava, Sumi, del Donbas, Luhans’k , Zaporizhia, Kuban, fino al Volga, a Est.

In tutta questa area si svolse la maggior parte dell’invasione dell’Asse che mirò a occupare l’Ucraina come strategico punto di slancio, di rifornimento e logistico.

L’Italia vi iniziò a partecipare dal 6 luglio del 1941. Hitler aveva cominciato il 22 giugno, alle ore 4, l’Operazione Barbarossa, sorprendendo Stalin col quale aveva stipulato un patto più potente dell’acciaio.

Le 10 divisioni italiane, le unità del CSIR e dell’ ARMIR, alla volta della conquista del suolo sovietico seguirono l’esercito tedesco. Si era rotto così il patto tra Germania e Unione Sovietica, tra Hitler e Stalin, nato nel gennaio del 1939 per la quarta spartizione della Polonia, l’occupazione dei Paesi Baltici e della Finlandia.

In quei giorni Mussolini, Anfuso e Ciano furono i protagonisti assieme ad altri del sorprendente evento taciuto fino all’ultimo dall’alleato. Il sospetto esisteva ma la certezza, Mussolini e i suoi l’ebbero solo poche ore prima dell’invasione.

L’Italia poco dopo volle partecipare per non lasciare alla Germania il bottino intero. Si compì così la tragedia dal luglio del 1941 al 24 marzo del 1943, la più grande disfatta dell’esercito italiano.

In Italia già si immaginava, e in particolare dal Generale Carlo Favagrossa, il vantaggio del petrolio di Baku, capitale dell’Azerbaigian nel Caucaso e il carbone del Donez ucraino, come veniva chiamato da noi Donetsk nell’Oblast del Donbas.

Cavallero, capo di Stato Maggiore, aveva nominato il Maresciallo d’Italia Messe come responsabile della spedizione.

Il rovescio militare di Mussolini sul Don, tra il 26 e il 27 gennaio 1943, fu una delle principali cause della fine del fascismo.

Nell’intervento, non richiesto dall’alleato, le truppe italiane mal organizzate, senza nemmeno i Valenki sovietici o equivalenti che l’organizzazione militare e industriale italiana non volle tenere in considerazione per scaldare i piedi dei soldati, subirono e soffrirono, dopo l’iniziale vittoria, la disfatta militare. Nel settembre del 1941 le divisioni italiane erano nei pressi della piazzaforte di Dinipropetrovsk dove era il comandante Von Kleist che puntava a forzare con la sua divisione corazzata il Dnieper a Kremenciug, città fondata da Ebrei fuggiti dalla Spagna del XVI secolo, per puntare verso Poltava. La battaglia di Petrokovka passò per i reparti italiani come la prima operazione indipendente, cui Mussolini si complimentò con il Maresciallo d’Italia Messe.

Nel successivo duro inverno tra il ’42 e il marzo del 1943, dove la temperatura oltrepassò qualsiasi previsione, la popolazione ucraina si trovò gomito a gomito con soldati tedeschi e italiani in una sorta di convivenza e comprensione, che solo chi era stato chiamato alla leva senza particolare ardore poteva avere. Molte sono le testimonianze di solidarietà, nonostante gli abusi nel caos della guerra, tra i vari eserciti che occupavano la fertile terra ucraina. Nella periferia di Dikanka, vicino a Poltava, per esempio, avvenne un episodio: i soldati della Wehrmacht erano anche loro padri di famiglia, e una madre ucraina aveva sgridato per una circostanza la figlia mentre il soldato l’aveva riparata dietro di sé quando questo viveva nella casa. Segno che anche i soldati capivano e sentivano la popolazione vittima come loro stessi di un evento più grande. In un’altra occasione alcuni soldati tedeschi avvertirono il villaggio che doveva essere evacuato perché la notte sarebbero venute le «SS» per dargli fuoco. Gli abitanti si prepararono al primo buio della notte e coprirono gli zoccoli delle loro mucche con stracci ben legati per non far rumore nell’abbandonare il villaggio. Caricarono i loro oggetti personali e si rifugiarono dentro i profondi avvallamenti del fiume nel terreno boscoso dove nessun soldato sarebbe andato. Si salvarono, ma il villaggio fu distrutto dall’incendio. Di questi episodi fortunati ne capitarono in vario modo e furono quelli i momenti che resero meno dolorosa la ritirata, che per gli Italiani e i Rumeni fu quasi tutta a piedi. Eppure nella crudeltà dell’invasione, i Tedeschi si trovarono nel 1943 nella città di Vinnicia dove documentarono il genocidio di quasi 10.000 contadini uccisi, ammanettati e gettati in fosse comuni dai Sovietici o dai bolscevichi negli anni prima della guerra. La Campagna di Ucraina fu teatro di distruzione dove la popolazione, come a Leopoli, fu soggetta a tragedie sia da parte tedesca che sovietica. Gli Italiani nei primi momenti della Campagna ebbero ordine di avanzare su Stalino, Tangarog, Rostov con tempi di marcia superiori alle possibilità reali dell’organizzazione motorizzata. Le lunghe marce in Ucraina dal confine rumeno al bacino di Donetsk e i primi scontri confermarono che l’equipaggiamento era inferiore a quello tedesco. 1.300 chilometri non erano uno scherzo. Dopo i primi insuccessi tedeschi già nel 1941, la vita cominciò a essere più dura. Alla fine della Campagna, dopo che il CSIR e l’ARMIR si erano battuti e arrangiati a sopravvivere fin oltre i confini ucraini, nell’inverno 1942-1943 la temperatura superò i meno 50° quando i meno 30° erano già molti anche per l’Ucraina. La ritirata dopo Stalingrado per i Tedeschi era motorizzata, quella italiana, che ripercorse, era quasi sempre sulle proprie gambe.

Qui non è intenzione di ripercorrere tutta la storia dell’invasione dell’Ucraina dal 1941 al 1943, ma farne in breve sintesi una analogia di questa terra martoriata e colpita per secoli. Allora come oggi lo Stato di Kyiiv è occupato, allora come oggi le città sono distrutte e i civili uccisi. Come allora, ma oggi con ancor più violenza, gli stessi territori sono atrocemente colpiti. L’Holodomor prima, la guerra patriottica secondo l’Unione Sovietica poi, ridussero tutta quella zona che oggi è terreno di scontro, nella tragedia già vista e raccontata. Qui risiede uno dei tanti equivoci che confonde Mosca dall’Ucraina. Il pensiero ripercorre quella Storia che era solo parte della tragedia della libertà ucraina cui, ignari, gli Italiani parteciparono.


Fonti principali

G.S. Filatov, La campagna orientale di Mussolini

Storie di famiglia (parte ucraina).

(maggio 2025)

Tag: Enrico Martelloni, Seconda Guerra Mondiale, 1941-1943, Campagna di Ucraina, Operazione Barbarossa, territorio ucraino, fiume Don, Campagna di Russia, Hitler, Unione Sovietica, Holodomor, Terrore Rosso, Stalin, invasione dell’Asse, Ucraina, 6 luglio 1941, CSIR, ARMIR, Mussolini, Carlo Favagrossa, Cavallero, Messe, fascismo, Dnieper, battaglia di Petrokovka.