Il socialismo rivoluzionario e statalista
nella Francia dell’Ottocento
I caratteri peculiari del socialismo
transalpino e le sue velleitarie proposte per la soluzione
del problema sociale; con alcune considerazioni personali
Quando parliamo di socialismo e di comunismo, tendiamo di solito a pensare a un’ideologia codificata e monolitica, mentre invece le sue proposte e, soprattutto, il modo di realizzarle variano da Paese a Paese. Se, per esempio, uno dei punti fermi è il radicale rinnovamento della società, diversa è la visione di come attuarlo: per esempio, mentre in Inghilterra si è capito che ogni cambiamento positivo è possibile soltanto all’interno della dialettica parlamentare (e questo spiega anche perché il comunismo non ha mai attecchito in modo saldo sul suolo britannico), la Francia ha ereditato sotto l’influsso della Rivoluzione del 1789 l’idea – perlomeno nella coscienza popolare – che sia possibile risolvere qualsiasi problema con un’azione di sovvertimento violento. Influenzano il socialismo francese anche un certo indivudualismo che orienta alla formazione di innumerevoli fazioni o piccoli partiti, la predisposizione alla cospirazione attraverso la formazione di società segrete, e infine la prontezza al subbuglio, al fare la lotta per le strade, con una specie di fanatismo per le barricate – tutti caratteri di una società che tende a risolvere rapidamente i propri problemi.
Questi caratteri si ritrovano in alcuni eventi della storia francese dell’Ottocento. Il primo è la rivoluzione di luglio del 1830, che detronizza Carlo X, l’ultimo Re dei Borboni, e porta al potere Luigi Filippo, di tendenze liberali e di stile borghese; i primi 10 anni del suo governo sono segnati dallo scontro all’interno del Parlamento tra la teoria parlamentare (il Sovrano deve regnare ma non governare) e la teoria costituzionale (il Sovrano, pur rispettando le tendenze della maggioranza, deve avere una certa libertà di scelta dei Ministri e una certa influenza sull’indirizzo del Governo). Il secondo evento è la rivoluzione parigina del febbraio 1848 che rovescia Luigi Filippo e proclama una repubblica di tendenza socialista (crea «opifici nazionali» per dare lavoro ai disoccupati e introduce il suffragio universale); l’entrata del proletariato nella vita politica spaventa però la borghesia che si allea al mondo agricolo; una rivolta degli operai della capitale contro il Governo, guidata da agitatori socialisti, fallisce; nel dicembre del 1851 Luigi Napoleone, già Presidente della Repubblica, organizza un colpo di Stato e instaura il Secondo Impero. Il terzo evento è l’insurrezione detta «Comune di Parigi» tra il 18 marzo e il 28 maggio del 1871, in conseguenza della disastrosa sconfitta militare contro la Prussia, della caduta dell’Imperatore e della proclamazione della Terza Repubblica; ma la Comune, che detiene il potere in città, manca di un chiaro programma politico e il potere passa completamente nelle mani di Delescluze, comandante della Guardia Nazionale: nella settimana di scontri con le truppe regolari, sono uccise circa 20.000 persone, tra cui donne e bambini.
Dietro tutti questi movimenti politici vi è una linea di pensiero che affonda le sue radici nell’illuminismo radicalizzato che ha portato alla Rivoluzione Francese, e che tiene viva la pericolosa convinzione che tutti i problemi possano essere risolti attraverso azioni rivoluzionarie. Questa idea viene fatta propria dal «movimento socialista» di cui viene considerato fondatore François-Noël (Graccus) Babeuf (1760-1797); la sua opera principale è Conspiration des égaux del 1797, anche se il cosiddetto «babouvismo» (che dopo la restaurazione della Costituzione del 1793 a seguito di una nuova rivoluzione e l’abolizione della proprietà privata della terra vuole superare la semplice spartizione egualitaria per approdare a una vera comunione dei beni) è da attribuire al suo collaboratore Michel Buonarotti.
Ci sono numerosi intellettuali socialisti e comunisti che non si limitano a diffondere le proprie idee, ma tentano di metterle in pratica, con risultati del tutto fallimentari perché il rinnovo radicale di una società può essere concepito solo unito a un cambio totale dei modi di vita della popolazione (di un continente, se non del mondo intero), e non può essere fatto nel volgere di pochi anni.
Claude Henry de Rouvroy, Comte de Saint-Simon (1760-1825) è il primo a vedere la chiave per l’organizzazione dell’economia e l’aggiustamento della società nell’ordinamento della società stessa anziché nello Stato: elabora un modello di società che prevede il trasferimento del potere a coloro che svolgono un’attività utile per la società e che lui chiama «industriali». La società che propugna, e che vede imminente, è organizzata secondo il modello di una grande fabbrica: il potere politico viene sostituito dalla direzione della produzione e dall’amministrazione delle cose; la politica diventa la scienza della produzione; i banchieri sono preposti alla funzione esecutiva; il miglioramento della situazione materiale e morale della «classe più numerosa e più povera» avviene attraverso l’offerta di un lavoro tramite lo Stato e l’Istruzione Pubblica. La realizzazione di tutte queste trasformazioni dovrebbe essere aiutata e sostenuta da una nuova morale scientifica e dalla religione secolare del «nuovo cristianesimo» visto non come dottrina di una Chiesa, ma come un sistema di «morale sociale» che eleva la fraternità a comandamento supremo. Il saint-simonismo fa inizialmente scuola in Francia ma poi, trasformandosi in una specie di teocrazia e in una setta mistica, perde rapidamente terreno, sostutito dal fourierismo.
François Marie Charles Fourier (1772-1837) è un propagandista dell’idea di cooperative volontarie di produttori. Rifiuta l’idea della rivoluzione e sogna una trasformazione pacifica della società. La sua critica del sistema economico si inserisce in una critica generale della civilizzazione: attacca anche l’ordinamento matrimoniale e familiare, difendendo la piena emancipazione della donna. Sogna la trasformazione della «industrie civiliste» presente, con il suo carattere anarchico, in una «industrie sociétaire» tramite l’azione di associazioni di circa 1.600-1.800 uomini che Fourier chiama «Falangi» e che devono unire produzione e consumo per eliminare al massimo il commercio, che lui considera un fenomeno parassitario: i lavoratori salariati devono diventare co-proprietari e così far scomparire il contrasto tra poveri e ricchi; a ciascuno deve essere garantito il diritto a un lavoro secondo le proprie inclinazioni come base per l’esistenza. I membri di una Falange non costituiscono solo una cooperativa di produttori e consumatori ma sono una vera e propria comunità di vita e per questo devono vivere in una grande casa comune, il «Falansterio», con annessi 400 ettari di terreno con giardino, orto, frutteto e allevamento del bestiame. Malgrado quello che può sembrare, la Falange di Fourier non è un’associazione comunista: i membri della Falange non sono uguali né secondo il loro guadagno né secondo il loro stato, ma vanno retribuiti secondo il contributo che dà ognuno all’opera comune (la divisione del reddito si fa secondo il seguente criterio: cinque dodicesimi al lavoro, quattro alla proprietà, tre all’ingegno); rimane inoltre il diritto alla proprietà privata; infine, secondo Fourier, questo sistema non deve essere introdotto per volontà dello Stato, ma deve essere basato esclusivamente sulla volontarietà. Si può notare come la visione di Fourier sia anti-storica, soprattutto per il rifiuto del commercio (che è sempre stato, in ogni epoca, commercio non solo di prodotti ma anche di idde e innovazioni, e fonte di progresso): una società senza commercio, o col commercio ridotto al minimo, richiama alla mente la società del primo feudalesimo o ancor più dell’età della pietra; oltretutto bisognerebbe presupporre che ogni Falansterio possa produrre o possieda tutto il necessario per sopravvivere (metalli, legna, grano...), cosa difficilmente ipotizzabile in un mondo come quello odierno con una grande varietà di climi e ambienti... e le critiche si potrebbero moltiplicare. Fourier tenta prima della morte di istituire un Falansterio nella realtà, senza riuscirci, così come fallisce nel 1859 il tentativo dell’industriale André Godin, mentre alcune colonie fourieriste si hanno in Texas (Stati Uniti d’America), con risultati assai modesti.
Louis Auguste Blanqui (1795-1881) passa più di 40 anni in prigione per aver partecipato a varie cospirazioni; Marx nel 1850 lo considererà un simbolo vivente del comunismo. La sua teoria sul comunismo, che ha molti punti in comune con la teoria rivoluzionaria di Lenin ma anche una fondamentale differenza, è in realtà abbastanza vaga e incentrata sull’idea che la rivoluzione debba essere preparata da un piccolo gruppo ben organizzato e disciplinato di cospiratori, una sorta di élite di rivoluzionari, mentre i marxisti sono per la dittatura di massa del proletariato (mai avvenuta in concreto).
Pierre-Joseph Proudhon (1809-1893), di umile famiglia e con una personalità complessa e incredibilmente contraddittoria, è il più significativo tra i primi socialisti francesi: conosce Marx, Blanc, Bakunin e altri esponenti delle varie correnti rivoluzionarie, ma i pensatori che più lo influenzano sono Rousseau e Smith, e lui si dichiara anticomunista. Non lotta contro la proprietà privata in quanto tale, ma contro la proprietà privilegiata acquisita senza lavoro personale, che va sostituita con la proprietà acquisita mediante il proprio lavoro e legittimata dall’utilità sociale: nella proprietà individuale, Proudhon vede lo stimolo per il lavoro, il fondamento della famiglia e della libertà del lavoratore; accanto alla tesi: «La proprietà è un furto», sostiene anche la tesi: «La proprietà è libertà». Partendo dalla teoria per la quale l’unica fonte di valore è il lavoro, per la soluzione del problema sociale propugna un sistema economico basato sullo scambio libero e diretto dei prodotti con altri prodotti cosicché, col tempo, il denaro diverrebbe superfluo, capitale e lavoro si unirebbero e borghesia e proletariato si fonderebbero in un’unica classe media. Nella società del futuro, composta unicamente di lavoratori, lo Stato è destinato a scomparire e il potere politico a essere sostituito dall’«amministrazione delle cose». È contrario alle teorie comuniste sulla comunanza dei beni dato che, in una tale situazione, lo sfruttamento non scomparirebbe ma verrebbe semplicemente invertito, portando allo sfruttamento del debole sul forte, con un risultato ancora peggiore. Si tratta di una dottrina che esprime sostanzialmente gli interessi e le aspirazioni degli artigiani, dei piccoli imprenditori e dei contadini di un Paese dall’industria non molto progredita; impostando il suo pensiero più sul piano etico che su quello rigorosamente economico, le sue categorie economiche, sociali e politiche rusultano per lo più astratte. L’idea, poi, di sostituire il denaro con lo scambio di prodotti con altri prodotti (chiamiamolo col nome corretto: baratto) riporterebbe la società all’età della pietra e non abolirebbe disuguaglianze e ingiustizie, perché chi stabilirebbe il valore di due prodotti tra loro differenti (qualche esempio, magari anche banale, tratto dalla vita quotidiana: quanto grano varrebbe un trattore? O quante uova dovrei scambiare per una gallina?)? Anche in questo caso, comunque, dovremmo ipotizzare un cambiamento radicale della società impossibile in pochi anni o pochi decenni e che porterebbe a una progressiva involuzione della vita. Per le sue idee di una convivenza sociale che non riconosce alcun potere al di sopra della forza collettiva dei lavoratori, Proudhon, con Bakunin, è divenuto il principale teorico dell’anarchismo nel Novecento.
Jean Joseph Charles Louis Blanc (1813-1882) è un convinto assertore della via democratica e contrario a una trasformazione rivoluzionaria della società; vede nella libera concorrenza la radice della questione sociale che intende risolvere gradualmente nello spirito di solidarietà cristiana tramite l’istituzione di opifici sociali («ateliers sociaux»), cioè di imprese di produzione raggruppanti operai e produttori dello stesso genere di merci, con salario uguale per tutti e finanziate dallo Stato per poter soffocare le imprese capitalistiche private e assorbire col tempo l’intero sistema produttivo. Si tratta della prima teorizzazione dello Stato dei lavoratori, lo Stato operaio. Ma quando Blanc, come Presidente della Commissione del Lussemburgo incaricata di trovare una soluzione ai problemi sociali e soprattutto alla disoccupazione, tenta di mettere in pratica il proprio progetto (1848), non va oltre la creazione di «ateliers nationaux», semplici ed effimere macchine di pubblica assistenza alle quali non è possibile né è consentito entrare in concorrenza con le imprese private.
Il principale rappresentante del comunismo nella Francia ottocentesca è Etienne Cabet (1788-1856); è anche il primo a utilizzare sistematicamente il termine «comunismo», da lui considerato la strada per la creazione di una società nuova: nel Vero Cristianesimo secondo Gesù Cristo afferma il ruolo di Cristo come massimo esponente del comunismo, di se stesso come apostolo e dei propri seguaci come discepoli, tutti in grado di guidare gli uomini verso la redenzione sociale, cioè verso una nuova forma di comunità. Si dedica a un’intelligente e intensa opera di propaganda: fonda addirittura un giornale diretto ai lavoratori, «Le Populaire», che lo rende un personaggio di primo piano nelle vicende politiche e sociali del tempo ma che, per i suoi violenti attacchi al Governo di Luigi Filippo, lo costringe all’esilio in Inghilterra. Nell’isola entra in contatto con Owen, scrivendo sotto il suo influsso la sua opera più famosa, Voyage en Icarie (Il viaggio in Icaria): fatto circolare prima in edizione clandestina nel 1940, viene pubblicato due anni dopo e ottiene subito uno strepitoso successo. Si tratta di un romanzo utopico, ispirato all’Utopia di Tommaso Moro, in cui viene propugnata una «comunità dei beni e degli spiriti» da realizzarsi non con azioni di forza politica ma attraverso la pace sociale e la convinzione degli altri tramite l’esempio pratico. Il socialista tedesco Karl Grün definirà «vita da schiavi» quella descritta da Cabet: al centro di tutto c’è il lavoro in comune, si mangia in comune, si leggono gli stessi libri, si stampa un unico giornale che riporta solo i fatti senza le opinioni, dappertutto ci si sente osservati dal ritratto del fondatore (una sorta di «Grande Fratello» di ascendenza orwelliana?), l’educazione è identica per tutti, i libri considerati dannosi vengono bruciati, il matrimonio è obbligatorio. Molte idee paiono precorrere quelle naziste. Non è contemplata nessuna possibilità di perseguire aspirazioni personali, come se gli uomini non fossero altro che ingranaggi senza vita di un immenso macchinario. Oltre a una stagnazione del progresso, qui assistiamo anche allo spegnersi dell’intelligenza umana, perché impossibilitata a esprimersi in modo autonomo. Cabet cerca di attuare in modo pratico la sua repubblica comunista approntando il progetto di una comunità icariana e la fondazione di una prima colonia in Texas: pubblica il manifesto Allons en Icarie, l’opuscolo Réalisation de la communauté d’Icarie e annuncia di avere raccolto da 10.000 a 20.000 seguaci. È il 1847. Il 3 febbraio dell’anno successivo 69 seguaci, contro il parere dello stesso Cabet, s’imbarcano a Le Havre. Il sogno si trova presto a confrontarsi con una dura realtà: i terreni dove dovrebbe sorgere Icaria sono incolti, i lotti (di 320 ettari l’uno) staccati tra loro e per nulla vicini al Red River, come invece ha assicurato Cabet. Si trasferiscono allora a New Orleans, dove alla fine dell’anno vengono raggiunti da altri 400 seguaci e dallo stesso Cabet. Questi riesce a dar loro nuovo impulso acquistando dai Mormoni delle terre nell’Illinois e il podere Nauvoo, sulle rive del Mississippi. Ma la realtà continua a flagellare la comunità, ridotta a 260 persone a causa di malattie e defezioni; in seguito a divisioni interne sia per la difficile convivenza che per i disagi economici, nel 1856 si arriva a una scissiome: alcuni seguaci si trasferiscono a St. Louis e con loro lo stesso Cabet, che qui muore nel novembre dello stesso anno. La comunità vive una vita precaria fino al 1895, quando viene sciolta e il patrimonio diviso tra i 21 membri aventi diritto: l’idea di Cabet di fondare una grande metropoli ha condotto in realtà alla formazione di villaggi rurali sempre più esigui, sino a raggiungere le dimensioni di normali imprese private.
Questo è ciò che accade quando si sacrifica la conoscenza del passato e della psicologia umana alle illusioni dell’ideologia e al miraggio di una società di uguali che non è vero progresso, ma appiattimento in una vita priva di senso e senza uno scopo.