Karl Marx, il rivoluzionario mistico
Il filosofo del socialismo scientifico
aveva una predisposizione per il mondo messianico
Quando si parla di Karl Marx lo si associa facilmente al materialismo, al progressismo, al pensiero di Hegel. Marx, uomo colto e intelligente, aveva una notevole abilità nel gestire l’esposizione delle idee ma al di là di alcuni elementi di facciata il suo modo di pensare appare come un regresso rispetto al mondo moderno, una nostalgia verso un mitico mondo antico egualitario, un ritorno all’utopismo con i suoi legami al mondo religioso radicale. Il suo pensiero è volto a realizzare un mondo paradisiaco, che come per altri pensatori utopistici e mistici si poteva organizzare solo attraverso una tirannia, la rinuncia alla propria personalità e ai propri diritti.
Marx si riteneva in diversi scritti un uomo realista attento al concreto, riteneva astratti molti dei socialisti della sua epoca, ma nelle sue opere ritroviamo la stessa aspirazione al mondo messianico degli altri pensatori. Le conseguenze del pensiero di Marx sono sotto gli occhi di tutti, non solo regimi totalitari responsabili di crimini contro l’umanità nel loro sogno di creare l’«uomo nuovo», ma anche la realizzazione di partiti molto particolari. Al di là delle affermazioni pletoriche di alcuni grandi intellettuali degli anni Settanta sulla democrazia più avanzata e il progressismo, è difficile nascondere che i partiti comunisti fossero sostanzialmente qualcosa di simile a una caserma o una Chiesa, con i suoi dogmi e la sua rigida gerarchia, dove i dirigenti erano cooptati dall’alto.
Vediamo i principali aspetti del pensiero filosofico, politico ed economico del pensatore tedesco. Il materialismo storico da lui teorizzato ha avuto fortuna presso i filosofi ma non con gli storici. Diversamente dai filosofi hegeliani, per Marx le condizioni di vita materiali determinano il cambiamento del modo di pensare, ma come cambiano le condizioni di vita? Questo rimane un mistero, l’alternarsi di situazioni climatiche positive o negative determina un cambiamento per chi lavora la terra o svolge altre attività legate alla natura, ma ovviamente non in maniera determinante. La «struttura economica», termine molto amato dal filosofo, difficilmente cambia da sola. È più logico pensare, come gli idealisti, che sia l’evoluzione delle idee alla base del cambiamento delle società. Solo con l’esperienza o lo scambio di opinioni si possono innovare i modi di lavorare ovvero creare nuove attività. I cambiamenti economici nel corso della storia si sono avuti con i cambiamenti di istituzioni politiche e di modi di pensare. Gli ideali umanistici rivalutarono la società e lo stato diversamente dai pensatori medievali incentrati sulle questioni religiose. Contemporaneamente la formazione delle monarchie assolute ha consentito maggiore sicurezza fra gli esseri umani rispetto al periodo feudale. Ciò ha consentito ai signori di abbandonare i castelli isolati e vivere più comodamente in palazzi cittadini o in ville dove potevano partecipare meglio alla vita comune, gli agricoltori hanno potuto abbandonare i loro villaggi arroccati e lavorare terre migliori, le vie di comunicazione sono diventate più sicure e ciò ha consentito lo scambio commerciale e l’attività bancaria. I contadini non necessitando più della protezione degli eserciti privati dei signori hanno potuto avanzare delle maggiori richieste e affrancarsi dalla servitù della gleba. La grande rivoluzione ideale liberale di fine Settecento e inizio Ottocento ha preceduto la Rivoluzione Industriale che sul nostro continente si è affermata intorno al 1830-1840, tale rivoluzione ha consentito maggiore libertà di scambio, maggiore spirito di innovazione e maggiori libertà sull’uso di nuove tecnologie (precedentemente frenate dal sistema corporativo), nonché la piena libertà dei contadini di lasciare il servizio presso il signore per cercare nuovi impieghi.
Per Marx tutta la storia procede sulla base del conflitto sociale tra sfruttatori e sfruttati (ovvero oppressori e oppressi), in particolare nel rapporto fra datori di lavoro e salariati (questi ultimi oggetto della cosiddetta alienazione, l’estraniazione dal proprio lavoro). Una visione forzata e pessimista, non solo datori di lavoro e lavoratori potrebbero basare i loro rapporti su basi contrattuali eque, ma hanno anche oggettivamente una particolare esigenza che la controparte si trovi in una buona situazione. Se gli imprenditori non fanno profitti le aziende chiudono e i lavoratori si trovano senza occupazione, se i lavoratori dispongono di poco denaro, come intuì il capitalista Henry Ford, i consumi crollano e le aziende vedono drasticamente ridotte le loro vendite.
L’idea di una lotta di classe dura e violenta come quella espressa da Marx, presuppone l’idea di un egoismo profondo da parte degli esseri umani che non concepiscono altro che il loro interesse materiale, qualcosa di simile alla concezione del filosofo Hobbes «homo homini lupus», teoria che non regge, se gli uomini fossero interessati esclusivamente al loro tornaconto e pronti a qualsiasi efferatezza per tal fine, la specie umana si sarebbe già autodistrutta. I liberali pensavano effettivamente a una competizione (o un sano egoismo) fra gli uomini, produttori e consumatori, ma in qualche modo mitigata. Tutti avevano interesse a una comune sicurezza e legalità, il capitalismo si regge sulla fiducia e l’onestà, diversamente il credito e le finanze cesserebbero di esistere. I critici del capitalismo trovano molta difficoltà a spiegare perché uomini che posseggono più soldi di quelli che possono spendere continuino le loro attività anziché darsi a una vita sfrenata di spese folli. La durezza del pensiero di Marx si nota anche nella sua opera Ideologia tedesca, in essa scrive: «Ogni idea, ogni teoria, è uno strumento che la classe dominante si è creato per motivare razionalmente il proprio predominio». Una conclusione che appare riduttiva e pessimistica, nell’Ottocento tutta la attività politica era gestita esclusivamente da uomini appartenenti all’alta classe borghese, questi con la diffusione dell’istruzione allargarono progressivamente il diritto di voto fino a estenderlo a tutta la società, si crearono partiti di massa e il ruolo di questa élite venne rapidamente e drasticamente ridimensionato. Gli uomini sono esseri complessi, considerarli interessati esclusivamente al loro interesse materiale, anche alla luce delle scoperte della moderna psicologia, risulta molto limitativo.
Per Marx la lotta di classe si conclude con l’inevitabile vittoria del proletariato, questi una volta ottenuto il controllo dello stato dà vita a una dittatura «rivoluzionaria» del proletariato. I proletari erano ai tempi di Marx semianalfabeti e facilmente manipolabili, sostenere economicamente le classi più deboli è un conto, pensare che chi è carente negli studi possa avere compiti di responsabilità è tutt’altra cosa. Tale dittatura comportava implicitamente l’esistenza di una enorme burocrazia, dato che non solo la politica ma anche tutta l’economia sarebbe stata gestita dall’alto. Difficile pensare che tale burocrazia (considerando che Marx riteneva libertà e diritti solo una illusione borghese), disponendo di tutte le leve del comando, non adoperasse i suoi poteri per i propri interessi. La realtà dei regimi comunisti del Novecento lo conferma. In maniera abbastanza singolare, Marx riteneva che dopo la dittatura, dove certamente gli uomini non si erano abituati a gestirsi da soli e a esprimersi liberamente, si passava a una situazione totalmente diversa, una società senza stato e senza classi. Gli uomini sarebbero diventati così buoni da non necessitare più di un corpo di polizia per la repressione del crimine, né di giudici o di organizzatori che distribuiscono i beni e i servizi a ciascuno secondo le sue necessità? Sembrerebbe che il filosofo del socialismo scientifico abbia previsto un mondo paradisiaco. Una società senza classi, significa non soltanto che gli uomini abbiano abolito le differenze di classe, ma addirittura che non esistano più ruoli sociali che li caratterizzino e in diversi passi Marx rafforza tale concetto scrivendo contro la «divisione del lavoro». Come ha scritto nell’Ideologia tedesca, «fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio a pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, e così, come mi viene voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico». Gli uomini fanno di tutto, sono al tempo stesso ingegneri, medici, contadini e magari uomini di spettacolo. La personalità dell’individuo dove fa a finire? C’è chi si sente portato per un determinato tipo di studi, chi per un altro, chi preferisce il semplice lavoro manuale. Inutile dire che si porrebbe anche un pesante problema economico, se invece di specializzarsi in un settore e di scambiarsi beni e servizi, tutti fanno tutto, la produzione per quantità e qualità crolla.
Nel pensiero di Marx è molto ricorrente l’idea di «alienazione», lavorare per un’altra persona, in genere definita capitalista (ma in realtà i lavoratori operano per l’imprenditore e non hanno in genere alcun rapporto con i capitalisti), costituisce una delle forme principali di alienazione. Difficile capire perché un lavoro salariato che nasce da un libero contratto fra le parti costituisca qualcosa di particolarmente alienante, anche se le parti sono costrette a farsi reciproche concessioni. Più in generale l’alienazione, l’essere condizionati dagli altri, è una situazione tipica dell’essere umano, che per sua natura condiziona ed è condizionato dalle persone con cui ha rapporti. L’unico modo di sfuggire a tale situazione sarebbe quella di vivere totalmente isolati dal resto dell’umanità, ma è difficile pensare che questa sia una condizione ideale e piacevole. Marx vedeva dappertutto l’alienazione, ma vivere nella dittatura da lui proposta non sarebbe stato alienante? Chi sentiva la necessità di realizzare le proprie aspirazioni personali, difficilmente avrebbe potuto trovare interessante una simile situazione.
Marx oltre che di filosofia e di politica si è interessato molto di economia. Marx riteneva che nel capitalismo il lavoratore avrebbe dovuto accettare di lavorare per un salario tale da garantire la sola sussistenza, una visione della realtà molto forzata, dove non si capisce la ragione per la quale nelle normali relazioni fra esseri umani una parte dovrebbe essere totalmente soccombente. Da una parte Marx esprimeva apprezzamento per le grandi innovazioni introdotte dalla classe borghese liberale, dall’altra riteneva ineludibile in tale società il processo di impoverimento dei lavoratori dipendenti, anche se già ai tempi suoi i lavoratori vivevano meglio di quelli del passato e nei decenni successivi i lavoratori sperimentarono un benessere che non aveva lontanamente eguali con quello degli uomini che vivevano in società diverse. Fra le sue teorie economiche non appare convincente quella del plusvalore, tutto il prodotto finito di un’azienda lo si deve al lavoratore? Chi organizza e gestisce un’impresa, chi mette i capitali, chi studia nuovi prodotti o nuove tecniche di produzione e le esigenze dei consumatori, chi si occupa della parte amministrativa e giuridica, non conta niente? Marx suppone che esista una enorme massa di lavoratori dietro a una miriade di macchine che produce come un gigantesco esercito, in una situazione dove non risulta chiaro chi organizzi il tutto e se qualcuno si preoccupi di adattare i prodotti al variare delle esigenze del mercato. Accanto a essi abbiamo un ristretto gruppo di borghesi che semplicemente vivono una vita agiata senza fare nulla. Forse anche questo è un retaggio di quel mondo religioso radicale che da secoli esaltava il pauperismo e vedeva il peccato dappertutto. In realtà c’è chi svolge lavori manuali e chi lavori intellettuali, ciascuno nel rispetto reciproco ha un suo ruolo nella società, l’importante è realizzare un certo equilibrio economico che consenta al sistema economico nel suo complesso di funzionare al meglio.
Il filosofo tedesco riteneva che i beni dovessero essere valutati non secondo il valore di scambio che tiene conto della loro disponibilità più o meno ampia, ma del loro valore d’uso, cioè della loro utilità. Ma chi scambierebbe un chilo d’oro con un chilo di legna? Anche l’idea di valutare i beni a seconda della quantità di lavoro impiegata per produrli non appare realistica, difficile che l’acquirente possa conoscerla con certezza, andrebbe poi considerata la tecnologia adoperata dal produttore. Marx scrisse molto sulla crisi del capitalismo ma pochissimo sulla organizzazione dello stato comunista, nei suoi cenni a essa si afferma che tale organizzazione si fonda sul principio «a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilità», entrambe le affermazioni danno l’idea di un profondo utopismo, sia perché i bisogni potrebbero essere teoricamente infiniti o comunque tali da superare le disponibilità di beni e servizi di una società, sia perché risulterebbe estremamente difficile stabilire in maniera certa le «possibilità» di ciascuno.
Sempre nei suoi scritti di economia Marx come molti mistici esprimeva una forma di disprezzo verso il denaro. Nei Manoscritti economico-filosofici ha scritto: «Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, l’odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù… L’essenza umana dovrà essere ricondotta a un’assoluta povertà per comprendere e trarre da sé la sua ricchezza interna, intima». Non è facile capire le ragioni di queste sue considerazioni in un personaggio che si considerava progressista e attento al benessere dei lavoratori. La moneta di per sé non è certamente né un bene né un male, ma solo qualcosa che semplifica gli scambi fra gli esseri umani, diversamente nel baratto chi produce deve perdere una quantità incredibile di tempo (da sottrarre al lavoro) nel cercare la persona interessata al suo prodotto e che gli offra un prodotto interessante per lui.
Marx formulava realtà immaginifiche e si sentiva il grande maestro del nuovo mondo, tale atteggiamento lo si ritrovava anche nei suoi comportamenti personali, definiva «filistei» molti pensatori dell’epoca e molti degli stessi socialisti, criticava pesantemente anche le persone politicamente vicine, alla prima riunione dell’Internazionale nel 1864 prese a insulti personalmente Giuseppe Mazzini. Come gli altri utopisti e come i religiosi integralisti chi non sottostava alle sue direttive ideologiche doveva essere un appartenente alle forze del male.