Una vicenda incresciosa
La storiografia e le sue pecche
Oggi mi sono recata a Livorno e girando per le sue vie non potevo fare a meno di pensare a come potesse presentarsi questa città nel lontano 1848, coi suoi palazzi e vicoli. In quel periodo a Livorno era Console Onorario Statunitense Joseph Agamennon Binda. Il nome non deve trarre in inganno: anche se nome inglese, in realtà l’avvocato ed ex spia murattiana si chiamava Giuseppe Binda ed era nato a Lucca a fine Settecento. Divenuto cittadino americano intorno al 1830, sposando la figlia del Generale Sumter a New York, era a tutti gli effetti un Americano. Che dette il suo decisivo apporto alla causa del suo Paese di adozione, gli Stati Uniti, e, contemporaneamente, al proprio Paese di origine, l’Italia, in quel momento decisivo. Grazie all’incarico che gli fu dato dal Governo degli Stati Uniti.
La storiografia ufficiale lo vuole prono agli interessi statunitensi, volto esclusivamente a sostenere la causa degli Asburgo-Lorena che in quel periodo ancora governano la Toscana, e non partecipe di una possibilità unitaria per il nostro Paese. La sua amicizia con Alexander Walewski, figlio naturale di Napoleone Bonaparte, e marito della contessa Ricci di Firenze, motivo di adozione della causa federale con al centro la Toscana Asburgica.
Ma non è affatto così.
Alcuni documenti rintracciati smentiscono questa versione dei fatti. In particolare una pubblicazione sulle vicende del Generale Avezzana, proprio nel 1848.
Il Generale da Genova raggiunse Livorno e qui si spostò da un fregantino inglese a una nave della marina statunitense per poi raggiungere Civitavecchia, e da lì Roma.
Ad attenderlo Giuseppe Mazzini, che ne avrebbe fatto il suo Ministro della Guerra durante la seconda Repubblica Romana.
Joseph Agamennon Binda aveva il controllo della situazione a Livorno. Quale ex spia bene introdotta nelle vicende italiane mai avrebbe chiuso un occhio di fronte a tale passaggio da una imbarcazione a un’altra di un passeggero scomodo come il Generale Avezzana se non avesse perorato la causa. E sostenere che egli non fosse riuscito a intercettarlo è cosa alquanto dubbia. Non solo per le indubbie qualità, anche di spia, dell’avvocato lucchese.
Joseph Agamennon Binda era amico di famiglia in Lucca di un particolare personaggio: il mio quadrisavolo Cesare Pierotti. Nato nel 1806 e deceduto nel 1901, nel 1848 faceva parte degli Amici del Popolo di Domenico Guerrazzi.
In Livorno campeggia la statua dell’illustre concittadino Guerrazzi che sicuramente conobbe e frequentò il Binda. Cesare a Firenze in quel 1848 commise un grave delitto: ferì a morte, uccidendolo, un suo commilitone per cause da definire. Probabilmente un grave diverbio visto che Cesare era sì appartenente agli Amici del Popolo ma di estrazione familiare cattolico liberale (come Joseph Agamennon Binda).
Molto verosimilmente non collimavano affatto la visione di taluni Amici del Popolo con quella di uomini votati alla causa mazziniana e insurrezionale come certamente lo erano tali personaggi ma inclini, allo stesso tempo, al moderatismo. Molte componenti mazziniane erano provenienti dalle fila cattolico liberali. Oltretutto l’estrazione nobiliare di Cesare (e del Binda) mal collimava con la presenza tra le file degli Amici del Popolo di molti personaggi di estrazione popolare. Acredine a non finire, c’è da giurarci.
Al delitto intercorso in Firenze non seguì stranamente neppure un processo. Quando Leopoldo II di Asburgo-Lorena riprese il potere, mai fece un alcunché all’ex Amico del Popolo Cesare perché, come si legge in una pubblicazione presente alla biblioteca statale di Pistoia dal titolo La stampa clandestina nel 1848 in Toscana il Sovrano Asburgico del Granducato non ritenne opportuno processarlo, né tanto meno condannarlo per opportunità politica. Non saprei riferire cosa realmente accadde nella vita di quest’uomo, deceduto poi alla veneranda età di 94 anni. Certo è che nel 1860 da una lettera rintracciata implorava Tommaso Corsi, anche lui appartenente a frange rivoluzionare del 1848, di aiutarlo perché se non lo avesse fatto si sarebbe trovato in difficoltà. Quella lettera, presente alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, è spedita da Cremona. Il nostro nel 1901 è deceduto a Lucca. Troviamo oltretutto al riguardo una pubblicazione falsata, del 1918, del Senatore Ferdinando Martini. Egli nel libro Cittadini Lucchesi illustri edito a Lucca presso la tipografia Baroni, cita l’episodio definendo tale Cesare un popolano. Si voleva indubbiamente ancora all’epoca insabbiare il caso.
Questo per svelare che Joseph Agamennon Binda a Livorno nel 1848 non solo sosteneva il Generale Avezzana e con lui la causa mazziniana ma aveva contatti certi con gli Amici del Popolo di Guerrazzi, essendo Cesare un Amico del Popolo a tutti gli effetti; ed essendo la famiglia di Cesare, come ho potuto provare in pubblicazioni precedenti presenti sul sito www.storico.org, vicinissima alla famiglia del Console Livornese.
Peraltro Joseph Agamennon Binda era molto amato dai cittadini livornesi. A lui spesso si rivolgevano per avere sostegno e aiuti. Pur essendo egli rappresentante del Governo degli Stati Uniti, perorava e sosteneva le difficoltà della cittadinanza livornese che, visto il ruolo stesso del porto di Livorno, e le gravi vicissitudini del momento, si trovava gravata da difficoltà di ogni sorta.
In quel periodo un altro Livornese illustre, Leonetto Cipriani, Córso di famiglia ma nato a Livorno nel 1812, si trovava anche lui negli Stati Uniti, dove era divenuto il Boss di Belmont, ridente località sita vicino a San Francisco.
Solo qualche anno più tardi, nel 1854, il Cipriani vendette tutto a Belmont, precisamente al futuro fondatore della Bank of California, per ritornare in Patria, proprio a Livorno, e non lontano dalla città acquistare terreni che avrebbe intitolato alla California: ancora oggi a Livorno una località ha questo nome. Leonetto Cipriani ebbe anche lui vicende controverse nel corso del Risorgimento, almeno questo dichiara la storiografia ufficiale. Tuttavia quanto «wikipedia» scrive riguardo all’etimologia di Belmont a San Francisco, e cioè che si tratta di una italianizzazione di Bel Monte, è del tutto errato. Questi personaggi avevano rapporti serrati proprio con i Belmont a New York, i banchieri ebrei costola dei Rothschild, che avevano fondato in quegli anni Wall Street. Pensare che una semplice italianizzazione abbia dato il nome a quella località californiana costituisce quindi quasi certamente un falso storico. Così come falsate sono le vicende che vengono perpetuate continuamente da un’ufficialità dei fatti poco incline a togliere le pagliuzze per occhi più accorti.
Gli Stati Uniti sono gli Stati Uniti di Trump e di Musk, è vero. Ma attenzione, gli Stati Uniti sono da sempre gli Stati Uniti della finanza internazionale. Non lasciamoci ingannare dalle armi o dalle guerre. Può sembrare un paradosso, ma queste sono solo la conseguenza di speculazioni finanziarie. Di lungo termine. Gli Stati Uniti nel 1848 a Livorno già controllavano il Mediterraneo. Al pari e più della Gran Bretagna. Continuare a sostenere il contrario, cioè che la Gran Bretagna, padrona sì all’epoca dei mari, fosse il perno e l’ago della bilancia delle questioni mediterranee del momento è anche questo un falso storico. La Roma Papalina non temeva di più gli Stati Uniti della protestante Inghilterra. Entrambe avevano uno stesso spessore politico. Perché anche nel 1848 gli Stati Uniti erano già una potenza. Non la superpotenza che abbiamo conosciuto a partire dalla Guerra di Secessione, ma pur sempre una grande potenza. Minimizzare questo significa creare equivoci a non finire che finiscono per giustificare falsi storici facilmente dimostrabili.
Joseph Agamennon Binda era stato l’uomo di Gioacchino Murat; poi l’uomo di Lord Holland Fox, nipote del padre della Patria inglese in quanto fondatore del partito Whig.
Erede di una dinastia, quella dei Fox, che come ho pubblicato in precedenza sempre sul sito www.storico.org, aveva davvero antico retaggio in Gran Bretagna.
Ma soprattutto Joseph Agamennon Binda divenne l’uomo del Governo Americano. Sposando appunto la figlia del potentissimo Generale Sumter, quello di Fort Sumter per chi conosce un po’ di storia degli Stati Uniti. La storiografia ufficiale fa passare queste tre realtà del Binda, successive, come scollegate: falso.
Binda andò a servizio di Lord Holland perché Lord Holland perorò sempre la causa murattiana di cui Binda fu seguace e interprete supremo. E allo stesso tempo Binda finì a New York nel 1817 proprio perché le questioni del partito Wigh che Lord Holland rappresentava nel 1817 si giocavano a New York, non a Londra. Qui non casualmente conobbe e sposò la figlia del Generale Sumter: con tutto l’amore e la perseveranza matrimoniale, i matrimoni per questi personaggi erano sempre o quasi sempre combinati. Come combinate erano le vicende politiche di cui stiamo parlando. Il Governo degli Stati Uniti voleva sì che Joseph Agamennon Binda risolvesse le loro beghe commerciali, finanziarie e politiche a Livorno, e per questo lo incaricò del Consolato. Ma allo stesso tempo voleva controllare la piazza politica livornese. La storiografia ci dice che agli Stati Uniti faceva comodo avere a Firenze gli Asburgo-Lorena anziché i Savoia in quanto con i Savoia avrebbero potuto perdere la loro piazzaforte commerciale in Livorno a favore della Gran Bretagna, apparentemente molto più coinvolta nelle questioni risorgimentali italiane. Magari qualche riserva possiamo averla nel 1860, certamente non nel 1848, dove le forze in campo peroravano la stessa causa. E infatti il Generale Avezzana si spostò da un fregantino inglese proveniente da Genova a una nave americana presente a Livorno per raggiungere Civitavecchia. Dobbiamo immaginare che Joseph Agamennon Binda sostenesse da doppiogiochista entrambi i Governi, quello americano e quello inglese? In quel preciso momento il Binda interpretava in un’unica causa gli interessi di entrambi.
Collaborazione e perseveranza andarono a lungo di pari passo.