Tu che additasti alle pupille spente… – Terza parte
Un profeta tra due secoli. Il Beato Don Pietro Bonilli (1841-1935) e lo sviluppo della sua Opera

Avvertenza: per ragioni di lunghezza, e in accordo con l'Autore, questo articolo è stato pubblicato privo delle note presenti nel testo originale.


Da Cannaiola a Spoleto

1897. Don Bonilli diventa Canonico

Il 28 marzo del 1897, Don Pietro Bonilli venne nominato Canonico penitenziere della cattedrale di Spoleto. Entrò quindi a far parte del Capitolo dei Canonici con obbligo di presenza. Nello stesso anno, sul piano nazionale e internazionale, avvennero fatti rilevanti: il 2 luglio, Guglielmo Marconi brevettava, a Londra, la radio; nei giorni 29-31 agosto si svolse il Primo Congresso Sionista a Basilea, organizzato da Teodoro Herzl (1860-1904); il 26 settembre, nasceva a Concesio Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI (Beato; morto nel 1978).

1898. Il passaggio da Cannaiola a Spoleto

Nel 1898 il piccolo istituto di assistenza di Cannaiola (orfane e sordomute), con l’interessamento del conte Paolo di Campello della Spina (nato a Spoleto; 1829-1917) e del sindaco di Spoleto, Dottor Domenico Arcangeli (nato nel 1861), e con il beneplacito dell’Arcivescovo Pagliari, poté trasferirsi a Spoleto nell’ex convento delle «Convertite», in Via delle Mura Ciclopiche. Il Bonilli vi collocò pure la tipografia Nazzarena, e la sua abitazione. Così, dopo 35 anni di presenza pastorale a Cannaiola, raggiunse la città. Era l’8 settembre del 1898.

L’eredità di Cannaiola

Il solco tracciato a Cannaiola rimase sempre fecondo (e si ampliò in Italia e poi all’estero) nelle sue linee-chiavi:

– vita spirituale: favorita da una contemplazione della Sacra Famiglia di Nazareth;

– vita sacramentale: intimità divina, impegni sacerdotali, linea offertoriale;

– sostegno al rinnovamento della vita del clero: la casa parrocchiale di Cannaiola fu sovente centro di incontro e confronto per i sacerdoti del posto;

– impegno di prossimità: conoscenza dei vissuti e delle realtà ambientali;

– opere assistenziali: contadini, soggetti fragili, disabili, orfani;

– pastorale vocazionale: concretezza operativa; presentazione delle esigenze delle anime; le domande provenienti da vissuti di sofferenza;

– comunicazione: buona stampa, uso di tipografie, attività epistolare.

Inizi del Novecento

Agli inizi del Novecento, l’Umbria aveva una popolazione (residente) di 675.352 abitanti su una superficie di 9.709 chilometri quadrati (compreso il circondario di Rieti, che all’epoca faceva ancora parte della Regione). Attraverso la lettura degli articoli pubblicati sul periodico «La Torre di Trevi» è possibile constatare che la «questione sociale» rimaneva un aspetto nodale insoluto. La notevole pressione demografica e la povertà diffusa furono all’origine del fenomeno migratorio che proprio nel primo quindicennio del XX secolo raggiunse il picco più alto. Preoccupante, rimase – inoltre – il basso livello di alfabetizzazione che, ancora nel 1911, coinvolgeva il 49% circa della popolazione regionale.

1900. La Casa Madre delle Suore

Nel 1900, le Suore della Sacra Famiglia ebbero la possibilità di trasferirsi in un edificio più grande. Si trattava dell’ex Casa Eroli (rinominata «Palazzo Buoncristiani») in Via Filitteria (con un secondo ingresso in Via Quinto Settano). In tale struttura (divenuta Casa Madre della Congregazione), il Bonilli visse in ambienti semplici, con una cappella vicina. Venne poi edificata una chiesa per la Comunità. Nello stesso anno cominciarono a uscire i primi numeri del periodico «Il Tabernacolo», con appendice «Il Consolatore delle Anime Purganti» (1900-1908).

1900. Decesso del Pagliari. Nominato Monsignor Serafini

Il 5 febbraio del 1900 morì Monsignor Pagliari. A sostituirlo fu nominato Monsignor Domenico Serafini, Cong. Subl. O.S.B. (1852-1918). Questo Presule, era stato in precedenza Procuratore Generale dell’Ordine Benedettino a Roma. Divenne, poi, nel 1896, Superiore Generale della Congregazione Benedettina Cassinese della Prima Osservanza. Fu Arcivescovo di Spoleto dal 16 aprile 1900 al 2 marzo 1912. Spettò al Serafini (25 maggio 1911) presiedere la cerimonia d’incoronazione dell’effige della Madonna della Stella, in occasione del 50° dell’apparizione mariana.

1903. Muore Leone XIII. Viene eletto Pio X

Alla morte di Leone XIII (20 luglio 1903) fu convocato il nuovo Conclave che elesse (4 agosto 1903) il Cardinale Giuseppe Melchiorre Sarto (Santo; 1835-1914). Questi assunse il nome di Pio X. Sarà questo Papa ad avviare la riforma del diritto canonico fino alla promulgazione (1917) del nuovo Codice, a far redigere il Catechismo che porta il suo nome (1905), a riformare la Curia Romana (Costituzione Apostolica Sapienti consilio del 29 giugno 1908).

Con il Motu proprio Tra le sollecitudini (22 novembre 1903), il Pontefice impose il canto gregoriano nella liturgia e dettò istruzioni circa l’uso della musica nelle cerimonie religiose. Creò, inoltre, il primo Cardinale Sudamericano della storia della Chiesa. L’11 dicembre 1905 elevò a questa dignità ecclesiastica il Vescovo Brasiliano Joaquim Arcoverde Cavalcanti (1850-1930). L’8 agosto 1910 Pio X emanò il decreto Quam singulari Christus amore con il quale ripristinò l’età della prima comunione e della prima confessione dei bambini all’età dell’uso della ragione (cioè intorno ai sette anni).

Sul versante politico, il Papa, l’11 giugno del 1905, promulgò l’Enciclica sull’Azione Cattolica dal titolo Il Fermo Proposito. Nel documento, un passaggio importante riguardò l’azione politica dei Cattolici. Si riporta il testo:

«Perché l’azione cattolica sia efficace sotto ogni rispetto, non basta che essa sia proporzionata ai bisogni sociali odierni; conviene ancora che si faccia valere con tutti quei mezzi pratici, che le mettono oggi in mano il progresso degli studi sociali ed economici, l’esperienza già fatta altrove, le condizioni del civile consorzio, la stessa vita pubblica degli Stati.

Altrimenti si corre rischio di andare tentoni lungo tempo in cerca di cose nuove e mal sicure, mentre le buone e certe si hanno in mano ed hanno fatto già ottima prova; ovvero di proporre istituzioni e metodi propri forse di altri tempi, ma oggi non intesi dal popolo, ovvero infine di arrestarsi a mezza via non servendosi, nella misura pur concessa, di quei diritti cittadini che le odierne costituzioni civili offrono a tutti e quindi anche ai cattolici.

E per fermarsi a quest’ultimo punto, certo è che l’odierno ordinamento degli Stati offre indistintamente a tutti la facoltà di influire sulla pubblica cosa, ed i cattolici, salvo gli obblighi imposti dalla legge di Dio e dalle prescrizioni della Chiesa, possono con sicura coscienza giovarsene, per mostrarsi idonei al pari, anzi meglio degli altri, di cooperare al benessere materiale civile del popolo ed acquistarsi così quell’autorità e quel rispetto che rendano loro possibile eziandio di difendere e promuovere i beni più alti, che sono quelli dell’anima.

Quei diritti civili sono parecchi e di vario genere, fino a quello di partecipare direttamente alla vita politica del paese rappresentando il popolo nelle aule legislative.

Ragioni gravissime Ci dissuadono, Venerabili Fratelli, dallo scostarsi da quella norma già decretata dal Nostro Antecessore di s. m. Pio IX e seguita poi dall’altro Nostro Antecessore di s. m. Leone XIII durante il diuturno suo Pontificato, secondo la quale rimane in genere vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislativo.

Sennonché altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità pel bene delle anime e dei supremi interessi delle vostre Chiese e ne facciate dimanda.

Ora la possibilità di questa benigna concessione Nostra induce il dovere nei cattolici tutti di prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica, quando vi fossero chiamati.

Onde importa assai, che quella stessa attività, già lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei Consigli provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenientemente e ad organizzarsi per la vita politica, come fu opportunamente raccomandato con la circolare del 3 dicembre 1904 alla Presidenza generale delle Opere economiche in Italia.

Nello stesso tempo dovranno inculcarsi e seguirsi in pratica gli altri principi che regolano la coscienza di ogni vero cattolico.

Deve egli ricordarsi sopra ogni cosa di essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolico, accedendo agli offici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante proposito di promuovere a tutto potere il bene sociale ed economico della Patria e particolarmente del popolo, secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e di difendere insieme gli interessi della Chiesa, che sono quelli della Religione e della giustizia».

1904. Approvazione Istituto Suore della Sacra Famiglia

Nel frattempo, a Spoleto, Monsignor Serafini espresse la propria stima per l’Istituto delle Suore della Sacra Famiglia e per il suo fondatore concedendo l’approvazione per un quinquennio con un decreto del 16 gennaio 1904, al quale aggiunse di suo pugno «et maximopere laudamus».

1905. Bonilli è direttore del Seminario

Nel 1905 l’Arcivescovo di Spoleto assegnò la direzione del Seminario al Bonilli. Quest’ultimo mantenne l’impegno per cinque anni (1905-1909). Si ritirò, in ultimo, per meglio seguire le fondazioni «in progress».

1907(dicembre). Ricostituzione della Società dei Missionari

L’Arcivescovo Serafini, su richiesta dei Missionari ancora in vita (Bonilli, Leonardi, Luca Mariani, Pietro Soloni), accettò di ricostituire la Società dei Missionari della Sacra Famiglia, approvando gli statuti, riveduti dal Bonilli. Un decreto arcivescovile (8 dicembre 1907) approvò così, in modo definitivo, la Società dei Missionari della Sacra Famiglia. Il Bonilli diresse quest’Organismo dal 1907 al 1921. Il 7 aprile del 1908, alla presenza dell’Ordinario, vennero consegnati i crocifissi a Don Alessio Ascalesi (1872-1952), Don Raffaele Tagliamonte, Don Luigi Fausti (futuro biografo del Bonilli, muore nel 1943), Don Giovanni Capobianco (1935-1965), Don Marco Degani, Don Carlo Falcinelli, Don Domenico Ettorre (muore nel 1943).

1912. Elezione di Suor Maria Nisti

Nel Primo Capitolo Generale delle Suore della Sacra Famiglia (1912), in seguito al decreto di lode ottenuto l’anno precedente da Pio X, fu eletta Superiore Generale Suor Maria Nisti (1874-1970). Le situazioni più importanti dell’Istituto furono, comunque, seguite dal fondatore. Il Bonilli, dalle sue modeste stanze, provvedeva a istruire le orfane, a formare le novizie, a regolare l’apostolato delle Religiose. Con le aspiranti alla vita consacrata fu esigente perché il loro impegno non era facile, e occorreva affrontare molte difficoltà. Diede impulso alla pratica dell’Ora Santa nella chiesa di San Filippo, e introdusse nella cappella dell’Istituto l’ora di adorazione in tutti i venerdì dell’anno in riparazione dei peccati commessi dagli uomini e per la conversione dei peccatori. Il 21 giugno del 1913 Don Bonilli emanò e consegnò le prime Costituzioni del Pio Istituto delle Suore della Sacra Famiglia fondato a Spoleto.

1912. Monsignor Serafini lascia Spoleto. Nomina di Monsignor Pietro Pacifici

Nel marzo del 1912, Monsignor Serafini lasciò la sede arcivescovile di Spoleto. Venne sostituito da Monsignor Pietro Pacifici (morto nel 1934). Quest’ultimo, che faceva parte dei Chierici Regolari di Somasca, operò dal 28 agosto 1912 fino all’anno del suo decesso. Durante il periodo del suo mandato fu istituito un processo canonico (28 settembre 1914) per verificare l’evento mariano straordinario che coinvolse il piccolo Righetto Cionchi, in località Fratta (Montefalco). Venne convocato anche il veggente.

1914. Elezione di Benedetto XV. Scoppio della Prima Guerra Mondiale

Dopo la morte di Pio X (20 agosto 1914), il Conclave elesse (3 settembre 1914) il Cardinale Giacomo della Chiesa (1854-1922). Assunse il nome di Benedetto XV. Poche settimane prima era scoppiata la Prima Guerra Mondiale (1914-1918). Nel 1915 entrò nel conflitto anche l’Italia, a fianco di Francia, Regno Unito, Russia.

1917 (maggio). Fatima

Il 13 maggio del 1917 la Vergine Maria apparve a tre piccoli pastori: i fratelli Francisco e Giacinta Marto (9 e 7 anni) e la loro cugina Lucia dos Santos (10 anni). Quest’ultimi, badavano al pascolo in località Cova da Iria (Conca di Iria), vicino alla cittadina portoghese di Fatima. Seguirono altri cinque incontri. Le apparizioni furono accompagnate da rivelazioni su eventi futuri. In particolare: la fine della Prima Guerra Mondiale a breve; il pericolo di una seconda guerra ancora più devastante se gli uomini non si fossero convertiti; la minaccia proveniente dalla Russia, da affrontare con la Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria (il Papa con tutti i Vescovi). A conferma di una promessa, il 13 ottobre del 1917 si verificò un fenomeno, definito «miracolo del sole».


L’ultima salita

1919. I Cattolici possono iscriversi al Partito Popolare

Nel 1919, acquisiti i pareri di merito, Benedetto XV autorizzò i Cattolici a entrare nel Partito Popolare Italiano. Venne così revocato, in modo implicito, il «non expedit» di Pio IX (1868; norma che valeva solo per l’Italia). Il Partito Popolare era stato fondato il 18 gennaio del 1919 da Don Luigi Sturzo (1871-1959), Giovanni Bertini (1878-1949), Giovanni Longinotti (1876-1944), Angelo Mauri (1873-1936), Remo Vigorelli (1893-1977) e Giulio Rodinò (1875-1946).

1919. I problemi di salute del Bonilli

Fino al 1918 Don Bonilli poté contare su una salute che lo sostenne abbastanza bene. In seguito, cominciò ad affrontare i limiti di un’età avanzata (problemi alle gambe, alla testa, alla vista). Dovette, così, ridurre progressivamente i suoi impegni, e rimanere nelle proprie stanze. Aveva difficoltà a conversare a lungo. Malgrado ciò, la sua vita spirituale continuò ad avere dei riferimenti costanti: la recita del Rosario, la meditazione, la lettura delle vite dei Santi.

1921. Le Suore in Libia

Nel 1921, mentre a Livorno nasceva il Partito Comunista d’Italia (21 gennaio), in Germania Adolf Hitler (1889-1945) diventava il presidente del Partito Nazionalsocialista Tedesco (29 luglio), e in Italia veniva fondato il Partito Nazionale Fascista (7 novembre), il Bonilli poté fondare la prima Comunità di Suore della Sacra Famiglia in terra di missione a Derna, in Cirenaica (Libia; ospedale coloniale). Benedisse di persona le religiose in partenza. Contemporaneamente, la Società dei Missionari della Sacra Famiglia, guidata dal fondatore, concludeva il proprio impegno pastorale a Spoleto e nelle altre Chiese locali.

1922. Morte Benedetto XV. Eletto Pio XI

Dopo la morte di Benedetto XV (22 gennaio 1922), fu convocato il Conclave che elesse (6 febbraio 1922) il Cardinale Achille Ratti (1857-1939). Assunse il nome di Pio XI. Nel frattempo l’apostolato delle Suore della Sacra Famiglia tra le non vedenti e le sordomute si sviluppò. Il 16 dicembre 1922 venne inaugurato a Fano (Marche) l’Istituto Palazzi-Zavarise. Negli anni 1925 e 1928 la sede dell’Istituto Nazzareno, Casa Madre delle Suore della Sacra Famiglia, venne ingrandita con l’acquisto dell’attiguo Palazzo Belli.

1929. La cecità del Bonilli

Nel 1929 Don Pietro Bonilli dovette subire d’urgenza un’operazione di ernia. In seguito, perse la capacità visiva. Negli ultimi mesi del suo esodo terreno la più acuta sofferenza fu legata al non poter celebrare la Messa.

1932. Approvazione Pontificia dell’Istituto delle Suore

Grazie a un lascito testamentario, fu possibile trasferire l’Istituto Nazzareno per non vedenti e sordomute in Via Loreto Vittori. In questo periodo, si cercò anche di convincere il Bonilli a iniziare le pratiche necessarie per far ottenere alla propria Opera la qualifica di ente morale. Il fondatore preferì una linea di affidamento alla Provvidenza. Il 10 marzo del 1932, l’Istituto delle Suore della Sacra Famiglia ottenne dalla Santa Sede l’approvazione definitiva e quella «ad septennium» per le Regole. Per decreto di Pio XI l’Istituto divenne Congregazione Religiosa.

1935. Don Pietro Bonilli è accolto nella Casa del Padre

Alle 7,30 del 5 gennaio 1935, il Bonilli lasciò la vita terrena per l’incontro con il Signore Gesù. In quel momento, l’Istituto delle Suore aveva già molte case in Italia e una all’estero. A cinque mesi dalla morte del fondatore, ebbe inizio un’opera di assistenza mirata ad accogliere le fanciulle segnate da sofferenza psichica. La sede operativa fu posizionata presso l’ex convento annesso al santuario della Madonna delle Lacrime a Trevi. Sul versante politico la situazione nazionale e internazionale faceva emergere nuove realtà conflittuali: il 15 settembre, con le leggi di Norimberga, gli Ebrei Tedeschi furono privati della cittadinanza; in ottobre, le truppe italiane di stanza in Eritrea, senza dichiarazione di guerra, varcarono il confine dell’Etiopia. Era l’inizio della guerra d’Etiopia.

1944. La Causa di beatificazione

La Causa di Beatificazione del Bonilli, aperta nel 1944 a Spoleto, si concluse a Roma con la firma di due decreti: sull’eroicità delle virtù, il 30 giugno 1986; sull’autenticità del miracolo, il 3 luglio 1987. Giovanni Paolo II lo proclamò Beato il 24 aprile del 1988. La sua tomba si trova nella chiesa parrocchiale di Cannaiola di Trevi (Perugia). Attualmente l’Istituto delle Suore della Sacra Famiglia è presente in Italia e in altre Nazioni. Il movimento laicale confluisce nell’Associazione dei Laici Bonilliani. E l’operato dei Missionari della Sacra Famiglia ha ripreso un suo progetto operativo grazie alla generosità di alcuni sacerdoti.


Alcune considerazioni di sintesi

Sarebbe antistorico avvicinarsi ai tempi del Bonilli e valutare con criteri attuali un periodo ormai lontano nel tempo. Per questo motivo, diventa – invece – importante cercare di focalizzare le coordinate storiche, e individuare le scelte del fondatore e i progetti realizzati.

1. Sul piano storico (le trasformazioni)

I mutamenti avvenuti nei decenni in cui visse il Bonilli furono radicali. Cancellarono precedenti sistemi di Governo. Mutarono i confini nazionali. Introdussero un’unica moneta, un medesimo sistema di pesi e misure (sistema metrico decimale), un solo corpus normativo (quello piemontese), tra cui la legge Casati, che istituì le scuole statali, accanto e in sostituzione di quelle gestite dalla Chiesa (che fino ad allora era responsabile delle attività didattiche). Funzionari piemontesi furono assegnati nei punti strategici del territorio nazionale. La leva militare divenne obbligatoria per sei anni. Si attivarono nuove politiche fiscali, lavorative, internazionali.

Queste trasformazioni, in più occasioni, vennero realizzate forzando i tempi, le situazioni locali. Le conseguenze di ciò si avvertirono presto. Se da una parte i centri apicali del tempo raggiunsero il risultato di costituire uno Stato di vaste dimensioni, gestito da un’unica Amministrazione e regolato da leggi comuni, dall’altra dovettero affrontare una realtà periferica profondamente diversa da regione a regione, troppo articolata per poter arrivare rapidamente a un comune modo di pensare, a un diffuso senso di appartenenza allo Stato, a un’estesa volontà di partecipare a programmi validi per ogni realtà territoriale del Paese.

Unificare realmente il Sud al Nord richiese di fatto una forzatura, che si tradusse in un nuovo confronto militare. Qui, il riferimento non è all’impresa dei Mille (1860), ma al lungo conflitto (1861-1864) che oppose l’esercito regolare italiano a bande di contadini ribelli che erano presenti soprattutto nell’entroterra campano, lucano e pugliese. Questi ultimi si organizzarono in gruppi eversivi non per il desiderio di un ritorno al passato, ma perché spinti dal disinteresse mostrato dalla nuova classe politica verso le loro condizioni di povertà.

C’è da aggiungere che tra le diverse forzature poste in essere dai Governi del tempo, ci fu anche una manovra mirata «a far cassa». L’economia del nascente Regno d’Italia, oltre alle pressioni fiscali, poté usufruire del forzato incameramento dell’asse ecclesiastico. In quest’ultima operazione, in particolare, emersero non solo criteri utilitaristici, ma pure logiche apertamente in contrasto con principi di giustizia e di equità. Se, infatti, una confisca di stabili e di terreni poteva essere occasione per successivi usi pubblici o per vendite (con benefici economici), una requisizione di luoghi ove erano sepolti Fondatori di Ordini Religiosi (San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio da Padova, San Domenico di Guzman, Santa Caterina da Siena, San Filippo Neri, San Camillo de’ Lellis e altri), o dove erano posizionate preziose reliquie (esempio: Santa Casa di Loreto, Santa Croce in Gerusalemme a Roma), o dove vivevano Comunità di contemplativi, non aveva una ragione strettamente legata a entrate contabili. Assumeva, piuttosto, il volto di una sopraffazione immotivata.

Unitamente a ciò, non si può tacere un’ulteriore forzatura: l’industria italiana restò concentrata nel Nord, mentre il Sud si sviluppava con molta lentezza. Venne così a formarsi la «questione meridionale», cioè la frattura tra il Nord industrializzato e il Meridione in posizione di svantaggio economico.

2. Sul piano ideologico (le contrapposizioni)

Singole opposizioni, gruppi di resistenti, moti rivoluzionari, spedizioni militari, invasioni di territori altrui, non operarono secondo logiche improvvisate. Ebbero un retroterra ideologico. Proveniente da più ambiti.

Mentre da una parte si consolidarono le ideologie del liberalismo (anche religioso), del capitalismo (con i capitani d’industria, organizzatori e pianificatori della produzione), e del socialismo (come anelito a una giustizia sociale e quindi a un abbattimento delle disuguaglianze), dall’altra continuarono a produrre effetti il deismo (supportato dalla Massoneria), il positivismo (che si collocò in posizione antitetica rispetto alle affermazioni del credo cattolico) e il nazionalismo (inteso come esaltazione di idee, dottrine e movimenti a sostegno del concetto di identità nazionale e di Nazione).

In tale contesto, le idee socialiste – in particolare – trovarono proseliti in più ambienti. Ciò avvenne perché furono denunciate le pesanti conseguenze della «rivoluzione industriale», le situazioni oggettive di squilibrio, di ingiustizia, di violenza, di arbitrio, di soffocamento di ogni forma di libertà, di repressione ingiustificata. Molteplici studi hanno documentato ampiamente le condizioni disumane nelle quali versava una gran parte dei lavoratori (anche in altri Paesi), riconoscendo a diversi esponenti del socialismo storico una reale volontà mirata a ottenere un sistema di tutele a favore dei salariati in generale, e delle donne e dei fanciulli in particolare.

Contemporaneamente, se molte istanze si dimostrarono evidenti nelle intenzioni, e se determinate sperimentazioni posero in risalto la necessità – ormai inderogabile – di taluni cambiamenti di strutture e di metodi, dall’altra, l’influsso di posizioni anticattoliche in generale, e antipapali in particolare, condusse in tempi brevi a scelte di separazione. Chi non volle scostarsi da un percorso di fede in Dio e nella Sua Provvidenza, chi interagiva in modo positivo con il mondo ecclesiale del tempo, non accettò di avallare determinate linee anticlericali, e soprattutto non volle aderire ai principi dell’ateismo e dell’agnosticismo.

Tale situazione divisoria non facilitò la dinamica relazionale di quegli anni, e fu base per contrapposizioni irrigiditesi nei decenni successivi.

Malgrado ciò, furono diversi i Cattolici che divulgarono un patrimonio di idee innovative. Questo loro apporto gettò le premesse per la promozione di un articolato «movimento sociale cattolico». Vennero realizzati vari studi (anche con riferimento alle condizioni dell’agricoltura del tempo), mentre – sul piano operativo – si organizzarono iniziative di solidarietà, di mutuo aiuto, di cooperazione. Nel 1874, a Venezia, si arrivò alla fondazione dell’Opera dei Congressi.

3. Sul piano sociale (le disuguaglianze)

Mentre avvenivano trasformazioni radicali, e mentre si sviluppavano più correnti di pensiero, continuarono a permanere delle realtà di disuguaglianza che solo in periodi successivi avrebbero visto degli interventi migliorativi. Le popolazioni rurali si accorsero presto che molte promesse non erano state mantenute. I padroni restavano tali, i centri di potere amministrativo dominavano la vita civile, nessuna legge era stata approvata per trasformare il latifondo, per assegnare terre ai contadini.

Unitamente a ciò, le disuguaglianze emersero anche sul versante elettorale. La legge elettorale del Regno di Sardegna (estesa poi a tutto il Regno d’Italia) riconosceva il diritto al voto ai cittadini in possesso di precisi requisiti: essere di sesso maschile, avere compiuto 25 anni di età, pagare almeno 40 lire di imposte annue («suffragio censitario»). Ne risultava che gli aventi diritto al voto erano una percentuale assai ridotta della popolazione (il 2% del totale; il 7% della popolazione maschile). Se poi si considera il fatto che si recava alle urne, in media, solo il 50% degli aventi diritto, ci si accorge che gli eletti alla Camera dei Deputati erano espressione della scelta di 200.000 cittadini su 22 milioni di abitanti. I membri del Senato venivano, al contrario, nominati direttamente dal Re. Per il suffragio universale maschile si dovette attendere il 1913.

4. Sul piano dell’assistenza (le criticità)

Se da una parte lo Stato unitario occupò territori pontifici e incamerò beni ecclesiastici, dall’altra manifestò interesse a coinvolgere nelle opere assistenziali del tempo coloro che, meglio di altri, erano abituati ad affrontare le tragedie umane, le calamità naturali, le situazioni di invalidità, le sofferenze mentali, le cure ospedaliere: in altri termini, i Religiosi. Questo utilizzo di persone impegnate nella Chiesa era legato a un problema gravoso: quello dell’assistenza sociale e sanitaria. In tale ambito permaneva, infatti, un sistema che non era riuscito a garantire sostegni immediati, tutele continuative ed equità.

L’apporto degli organi pubblici aveva – sul piano storico – attribuito importanza prioritaria al controllo sociale, all’azione repressiva delle azioni delittuose. In tal senso, l’apparato della Polizia del tempo, diretto da un Delegato, era ben organizzato e distribuito sul territorio. Una seconda manovra aveva riguardato le persone affette da malattie di varia natura (contagiose, o comunque non diagnosticabili con i mezzi del tempo). La promozione di macro-istituzioni era diventata la risposta statale a tutto ciò che poteva comportare un disordine pubblico e un attentato alla vita del Paese.

Tale realtà, oltre ai problemi connessi con istituzioni che generavano dipendenza e cronicità, non risolveva comunque i problemi della povertà, delle cure ospedaliere e domiciliari, della disabilità. La scelta migratoria rimase così per molte famiglie un ultimo tentativo di sopravvivenza.

In tale contesto, la risposta cattolica, attraverso i preti «sociali» (per esempio, il Bonilli), congregazioni di assistenza e movimenti laicali, fu quella di spingere prima verso una riqualificazione della beneficenza pubblica, poi in direzione di una realizzazione di opere che costituirono soluzioni concrete ai drammi del tempo, e – infine – verso una normativa di tutela. Esiste, quindi, un’azione che dal «privato» arriverà al «pubblico», e che dal mondo religioso saprà giungere fino alle stanze ove si decidevano le sorti del Paese. In un certo senso, si può affermare che la prima «riconciliazione» tra Stato e Chiesa non fu attuata nelle istituzioni dei potenti del tempo, ma ebbe inizio «dal basso», cioè da segni poveri e da gesti generosi.

5. Sul piano dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato

Negli anni post-unitari, la Chiesa Italiana si trovò ad affrontare delle situazioni che sarebbero state impensabili fino a pochi anni prima: lo Stato della Chiesa invaso dall’esercito piemontese, forze armate che irrompono nella Città dei Papi (Roma) usando i cannoni, il Pontefice ristretto dentro le mura vaticane, le proprietà ecclesiastiche incamerate dallo Stato, Vescovi arrestati perché considerati sovversivi, Ordini Religiosi soppressi, chiusura dei Seminari. È la perdita di molteplici ambiti di competenza ecclesiale che si realizzò come uno strappo, e che fu vissuta come un attacco nemico, spingendo più Cattolici a ragionare in termini di riscossa.

Anche se in seguito la perdita del potere temporale liberò la Chiesa da molti problemi non strettamente connessi con la sua funzione salvifica, in quell’ora non fu possibile pensare a una «riconciliazione». Necessariamente si dovette passare per fasi conflittuali che causarono vicende dolorose anche in Umbria. Lo stesso Bonilli vide il proprio Arcivescovo Arnaldi rinchiuso per più di dieci mesi nella rocca di Spoleto, e tale vicenda causò in lui profonda sofferenza. Lo annotò nel proprio diario.

Per i Vescovi dell’Umbria si trattò di passare attraverso ore di sbandamento, incertezza, perdita di riferimenti, cambiamento di interlocutori, presenza di militari, di attuazione di leggi non favorevoli alla Chiesa e alla sua organizzazione. Ciò significò rivedere tutta un’impostazione civile ed ecclesiale, ma si trattò anche di tener conto della normativa penale e dei reati contro lo Stato unitario.

La «Questione Romana» produsse – comunque – un’oggettiva spaccatura. Malgrado tentativi di mediazione, i rapporti Stato-Chiesa rimasero difficili. Si riuscì comunque ad affrontare alcuni aspetti nodali (quali la questione delle sedi vescovili vacanti) attraverso l’opera paziente di uomini di Chiesa (esempio, Don Bosco).

Davanti a un rivolgimento politico, in presenza dello Stato unitario divenuto realtà, vari esponenti del mondo cattolico suggerirono di superare una linea di intransigenza, di rottura, di conflitto, di condanne (scomuniche). E di preferire forme di flessibilità.

Ciò non venne accolto da chi ricordò che con le truppe piemontesi erano arrivati anche esponenti della Chiesa Evangelica, mentre si stavano rafforzando le posizioni delle Logge Massoniche (con stretti collegamenti con l’area inglese), coloro per i quali la Chiesa era da considerare una delle tante società messe in piedi spontaneamente dagli uomini, e di quanti ritenevano completamente superata l’istituzione Chiesa (con la sua gerarchia e i suoi dogmi).

In realtà, la situazione fu ancor più complessa perché se da una parte il mondo laicista del tempo contestava «in toto» il «patrimonium fidei» cattolico (considerandolo alla stregua di mere decisioni umane passibili di superamento), dall’altra emersero pure diverse criticità all’interno della stessa vita ecclesiale. Al riguardo, una lettura dei documenti del Magistero può aiutare a meglio comprendere il travaglio di un’epoca.

6. Sul piano ecclesiale (aspetti dottrinali)

Cominciarono, in modo progressivo, ad affiorare quegli orientamenti che divennero più espliciti negli anni del Pontificato di Pio X. Furono realtà racchiuse in seguito in un’espressione segnata da riprovazione: «modernismo». Si trattò di una situazione articolata ove l’analisi storica cerca a tutt’oggi di individuare i vari volti. Questi ultimi esprimevano una gamma di linee molto difformi tra loro. Si andava da semplici auspici di modifiche, da suggerimenti (rinnovamento della Chiesa in generale, miglioramento degli studi ecclesiastici, impostazione di linee pastorali più adeguate ai tempi…), fino a orientamenti radicali ove veniva messo in discussione lo stesso contenuto dei dogmi. Se è vero, da una parte, che taluni censori ecclesiastici si dimostrarono non adatti a saper distinguere correttamente tra le diverse correnti moderniste, è anche vero, comunque, che taluni aspetti dottrinali furono individuati con chiarezza e condannati da Pio X nell’Enciclica Pascendi Dominici gregis. Le posizioni dichiarate non ortodosse furono le seguenti:

– la Rivelazione non è davvero Parola di Dio e neppure di Gesù Cristo, è un prodotto naturale della nostra sub-coscienza;

– la Fede non è un fatto oggettivo, dipende dal sentimento di ciascuno;

– i dogmi sono simboli dell’esperienza interiore di ciascuno; la loro formulazione è frutto di uno sviluppo storico;

– i Sacramenti derivano dal bisogno del cuore umano di dare una forma sensibile alla propria esperienza religiosa. Non furono istituiti da Gesù Cristo. Servono solo a tener vivo nei fedeli il pensiero della presenza del Creatore;

– il Magistero della Chiesa non ci comunica affatto la verità proveniente da Dio;

– la Bibbia è una raccolta di episodi mitici e/o simbolici, non è un testo divinamente ispirato;

– gli interventi di Dio nella storia (esempio: miracoli, profezie) non sono altro che racconti trasfigurati di esperienze interiori personali;

– il Cristo della Fede è diverso dal Gesù della storia. La divinità di Cristo non si ricava dai Vangeli canonici;

– il valore espiatorio e redentivo della morte di Cristo è frutto della teologia della croce elaborata dall’Apostolo Paolo.

7. Sul piano ecclesiale (orientamenti pastorali)

Mentre sul piano dottrinario la Chiesa volle richiamare in modo energico i punti-chiave dell’ortodossia cattolica, sul versante pastorale emersero diversi aspetti-nodali. Da una parte, sulla base degli insegnamenti ricevuti in Seminario, i sacerdoti continuarono a privilegiare un tipo di predicazione che non si discostava da prassi ormai consolidate: enunciazione di verità di fede, esempi di Santi, storie edificanti, racconti di eroismi. La gente ascoltava (non sappiamo quanto comprendeva), e seguiva le cerimonie con rispetto e devozione.

Dall’altra, si cercò di dare maggiore impulso all’istruzione religiosa di base, utilizzando dei catechismi di facile lettura. Si valorizzarono le missioni al popolo, le sacre rappresentazioni, le diffusioni di immagini sacre, le processioni, i pellegrinaggi, la distribuzione della buona stampa.

Non si persero di vista neanche le attività di costante formazione laicale. Furono realizzate, in genere, organizzando i fedeli in associazioni. All’interno di queste ultime, era previsto un programma dettagliato: riunioni settimanali, partecipazione alla vita sacramentale, sostegno alla devozione popolare, opere di carità.

Per il clero si attribuì una particolare importanza alla promozione degli esercizi spirituali. Vi partecipava, in genere, anche l’Ordinario del luogo, e si annotavano in modo scrupoloso i nomi dei partecipanti e degli assenti.

In tale contesto, il secolo XIX fu caratterizzato da una migliore valorizzazione della liturgia ma anche, e talora in modo autonomo, da un incremento della pietà popolare. Così, la diffusione di inni liturgici coincise con la propagazione di nuovi canti popolari, con la distribuzione di sussidi (messali bilingui a uso dei fedeli), con la stampa di libretti devozionali.

Si assiste a un fenomeno di vasta portata: espressioni di culto locale, sorte per iniziativa popolare, in riferimento a eventi prodigiosi (miracoli, apparizioni), ottengono successivamente un riconoscimento ufficiale, il favore e la protezione dell’autorità ecclesiale, e sono assunte nella stessa liturgia. A questo riguardo, il caso di diversi santuari, meta di pellegrinaggi, centri di liturgia penitenziale ed eucaristica, e luoghi di pietà popolare mariana, è emblematico.

In questo periodo, tuttavia, il rapporto tra la liturgia, in fase di nuova valorizzazione, e la pietà popolare, in progressiva espansione, è segnato da un elemento critico: si accentua il fenomeno della sovrapposizione dei pii esercizi alle azioni liturgiche.

In definitiva, lo sforzo principale dei parroci fu quello di far capire alla gente le principali verità del Cattolicesimo. Essendo queste ultime diverse, e di non sempre immediata comprensione, specie per chi era analfabeta e lavorava la terra, si cercò di trovare un’idea unificante, capace di «sintetizzare» in qualche modo l’insegnamento della Chiesa, il messaggio del Vangelo.

Il Bonilli (e con lui altri sacerdoti, figli spirituali di Don Ludovico Pieri) individuò questa idea-chiave nella realtà della Sacra Famiglia di Nazareth.

8. Sul piano ecclesiale (la devozione alla Sacra Famiglia)

La Sacra Famiglia rappresentò (e rappresenta) per le Comunità ecclesiali un riferimento particolare. Sul piano storico, il suo culto si sviluppò particolarmente nel secolo XVII. Ciò avvenne attraverso pie associazioni che avevano il fine della santificazione delle famiglie cristiane sul modello di quella del Verbo incarnato. Questa devozione, introdotta in Canada dai Padri della Compagnia di Gesù, non tardò a propagarsi in modo rapido grazie all’impegno di Monsignor Francesco di Montmorency-Laval (Santo; 1623-1708), primo Vescovo di Québec.

Quest’ultimo Prelato, con il suggerimento e il concorso del Padre Pierre-Joseph-Marie Chaumonot (1611-1693) e di Barbara di Boulogne, eresse nel 1665 una confraternita di cui preparò i regolamenti. In seguito, istituì canonicamente nella sua diocesi la festa della Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, elaborando i testi della Messa e dell’Ufficio.

A partire dal XVIII secolo, si nota un fatto: diverse Congregazioni religiose e Confraternite, femminili e maschili, vengono intitolate alla Sacra Famiglia.

Sempre sul piano storico, può essere utile ricordare che il tema iconografico della Sacra Famiglia si presentò secondo due schemi distinti: da una parte la rappresentazione della Vergine con Gesù Bambino accompagnata da Sant’Anna, dall’altra l’immagine della Vergine con il Bambino e San Giuseppe. Il gruppo con Sant’Anna si diffuse nei secoli XV e XVI, mentre la rappresentazione più tipica della Sacra Famiglia, con San Giuseppe, si affermò dal Cinquecento acquistando un posto di rilievo con la Controriforma quando, specie a opera dei Gesuiti, divenne immagine simbolica del manifestarsi della Trinità e modello di vita per la famiglia cristiana.

In tale contesto, pure per Don Ludovico Pieri, direttore spirituale del Bonilli, la realtà della Sacra Famiglia fu particolarmente significativa perché favoriva una contemplazione immediata, e perché consentiva una meditazione basata su pagine evangeliche. Ne derivava in tal modo una catechesi capace di coinvolgere le famiglie cristiane, in particolare sui temi amore, ubbidienza, nascondimento, povertà.

In tale contesto, anche il Bonilli – seguendo il suo maestro – favorì un culto alla Famiglia di Nazaret. Lo fece secondo il proprio stile, ampliando alcuni temi di riflessione (specie l’aspetto del guardare insieme al Disegno di Dio Padre), e operando un collegamento con le realtà dell’oggi.

Sul piano teologico, l’avvicinamento alla Famiglia terrena di Gesù si sviluppò partendo da una contemplazione del «Mistero della Redenzione». Nel Disegno di Dio la Salvezza offerta all’umanità – segnata dal peccato e dalla morte – doveva trovare «un luogo» nel quale operare un Offertorio Unico nel suo genere.

La Famiglia di Nazareth diventò questo «Luogo». E fu da qui («Incarnazione», «kénosis») che il Figlio di Dio poté offrire Se Stesso al Padre per la Redenzione dell’umanità.

Sul piano pastorale, le sottolineature furono semplici e immediate. La Famiglia di Nazareth doveva essere presentata come Luogo non solo di accoglienza ma anche di vocazioni.

Gesù, Sommo Sacerdote, è l’Agnello Immolato. Maria, Sua Madre, è Colei che dona, segue, sostiene e testimonia il Risorto. Giuseppe è il laico capace di santificarsi nel quotidiano, valorizzando il proprio lavoro. Svolge compiti senza alcuna straordinaria rilevanza sociale (tranne il ruolo religioso previsto dalla legge ebraica per il capo famiglia), ma è anche capace di intervenire con rapidità quando i Suoi Cari sono in pericolo.

Non è l’Uomo del silenzio, ma è l’Uomo della quotidianità. Il Suo offertorio sulla terra termina quando la Sua Missione arriva al compimento.

Il tema delle vocazioni legato alla Sacra Famiglia è dunque un percorso contemplativo che spinge a riflettere sulla missione che Dio affida a ogni persona. È nella realizzazione di tale compito che si realizza l’offertorio personale e comunitario.

In tale contesto, ciò che spinge le tre Persone della Sacra Famiglia a compiere il ruolo scelto per loro da Dio è l’Amore. È questo Amore che sorregge e fortifica l’unità e la comunione della Famiglia di Nazareth.

9. Sul piano ecclesiale (San Giuseppe nella Sacra Famiglia)

Guardando all’iconografia religiosa valorizzata dal Beato Bonilli sembrerebbe, a prima vista, che la riflessione su San Giuseppe si esaurisca nella presentazione degli schemi catechistici del tempo. Al contrario, se si effettua un’analisi comparata di tutti gli scritti del parroco di Cannaiola, ci si accorge che nel fondatore il riferimento al padre legale di Gesù servì anche per sviluppare una serie di tematiche collegate al movimento sociale cattolico di quei decenni.

In particolare, emerge al riguardo un’opzione-chiave. Il Bonilli non scelse di scrivere articoli o libretti sulla politica sociale. Ciò avvenne per un motivo: le trasformazioni radicali del tempo inducevano a mantenere una posizione di cautela, di prudenza. Da una parte, infatti, si poteva attirare lo sguardo severo delle commissioni di censura. Dall’altra, una parte dei Cattolici poteva interpretare un’apertura a trasformazioni sociali come adesione o all’opera di movimenti a impronta socialista, o comunque come una linea di transigenza verso l’amministrazione pubblica territoriale.

A questo punto, il Bonilli scansò l’ostacolo, e affrontò la questione sociale partendo da basi evangeliche. E qui, nella figura di Giuseppe di Nazareth, egli sottolineò sia le caratteristiche fatte proprie – ormai – dallo stesso Magistero Pontificio, sia (in aggiunta) le scelte quotidiane legate a un vissuto trascorso in un villaggio di povera gente (Nazareth), le preoccupazioni di tutela davanti a eventi improvvisi e nefasti, le decisioni mirate a non far morire la vita (in tutte le sue espressioni).

Partendo quindi da precisi concetti (i vissuti quotidiani, le preoccupazioni giornaliere, le scelte per non far cessare la vita), il Bonilli indicò delle strade: una rete di solidarietà (l’«Opera delle campagne»), la pronta accoglienza nelle situazioni di emergenza (soggetti a rischio, orfani), le case di lavoro, la necessità di sostenere le società di mutuo soccorso, l’importanza di modificare il sistema delle colture, le colonie agricole, l’urgenza di qualificare l’ospedale di Trevi, la fondazione di opere sociali stabili per accogliere orfani e disabili.

10. Sul piano ecclesiale (l’eredità di Don Pietro Bonilli)

Don Pietro Bonilli non studiò per diventare un «manager». Non fu mai un esperto di pubblica amministrazione. Non insegnò in cattedre prestigiose. Non scrisse manuali legati alle scienze del tempo. Fu solo un prete. La sua preparazione poggiò su quanto aveva ricevuto in Seminario. In pochi lo sostennero nella costruzione progressiva del suo «fiat» vocazionale. Non ebbe crediti di alcun genere. Non ricevette favori. Non si presentò con raccomandazioni. Operando in una parrocchia povera, fu considerato alla stregua dei suoi fedeli. Quando, poi, con tenacia singolare, riuscì a concretizzare alcune idee che aveva in mente (e che si traducevano in opere), non trovò decisivi sostegni né tra il clero, né tra gli stessi notabili cattolici di Spoleto.

Furono diverse le persone che in modo esplicito, o sottovoce, posero interrogativi sulla sua persona.

Dove voleva arrivare il Bonilli con il suo attivismo? Che interessi aveva a seguire la costruzione del santuario dedicato a Maria Ausiliatrice? Come svolgeva il suo ruolo di «fabriciere» di questo edificio di culto? Quali erano i veri obiettivi legati a un’attività pubblicistica che si allargava? Nascondeva introiti non dichiarati? Esistevano in lui idee liberali? Moderniste? Stava spingendo i contadini verso quali traguardi? Voleva un ribaltamento dello «status quo»? Dei poteri costituiti? Voleva mettere in discussione il sistema gestito dai proprietari spoletini? Aveva appoggi segreti? L’insistere sulla Sacra Famiglia nascondeva un retroterra di devozionismo?

Per alcune resistenze interne al mondo cattolico il Bonilli, forse, non raggiunse alcuni traguardi che si era prefisso. Probabilmente, il suo carattere deciso, le iniziative che animava, le adesioni che riceveva dai più poveri (ma anche da benefattori), le proposte che presentava, lo misero in controluce presso alcuni ambienti conservatori (la cui politica non prevedeva progetti sociali da realizzare con il «nemico» del tempo, lo Stato unitario).

Egli dovette far comprendere a più interlocutori che realizzare delle opere di carità non significava né sostenere l’azione di coloro che combattevano il Papa e la Chiesa, né allearsi con chi emanava direttive di estromissione dei Vescovi e del clero dai vari poteri temporali. Qualcuno si convinse. Ma non tutti. Per questo motivo l’intera vita di Don Pietro Bonilli fu, a ben vedere, una salita.

Il fondatore non ebbe né la gioia di vedere l’espansione dell’«Opera delle campagne» oltre Cannaiola, né poté osservare uno sviluppo sereno e ben radicato nelle Chiese locali dell’Associazione dei Missionari della Sacra Famiglia. Ugualmente, i suoi «zelatori della Sacra Famiglia» non trovarono sempre dei sostegni adeguati. Fu sottoposto a censura preventiva con riferimento ai suoi stampati, affrontò momenti difficili con le Congregazioni romane, e – una volta ricevuta la nomina a penitenziere della cattedrale di Spoleto – dovette alla fine raggiungere questa città, con residenza stabile.

L’eredità che egli dona a quest’oggi di Dio non è quindi individuabile né in una particolare «tattica» operativa (anche se egli anticipò dei metodi a favore dei sordomuti), né in scritti ascetici, capaci di elevare l’anima verso le altezze di Dio.

La si individua, piuttosto, nel sì offertoriale pronunciato davanti a orizzonti apparentemente senza alcuna novità.

Mentre altri suoi contemporanei si dimostrarono sensibili a benefici economici, arrivando anche a delle contro-testimonianze, il Bonilli si inginocchiò sulla terra di Cannaiola e da quel momento divenne compagno di strada della gente del posto.

Davanti alla realtà della Sacra Famiglia di Nazareth, egli comprese l’importanza di non presentare solo «il Mistero» (l’Azione Trinitaria, Cristo vero Dio e vero Uomo; Maria, Vergine e Madre; Giuseppe, Sposo putativo e padre legale), ma di far comprendere che «quel» Mistero è in funzione di un Disegno Redentivo.

L’umanità è «coinvolta» in «questo» Disegno.

A ogni persona, infatti, Gesù chiede di seguirLo. Di collaborare con Lui («dategli voi stessi da mangiare», Luca 9,13). Di accettare il cammino verso il Tabor e verso il Golgota.

Evidentemente, in presenza di contadini che morivano di fame e di malattia (oltre a crollare per epidemie e terremoti), il Bonilli – figlio anche lui di contadini – non poteva solo parlare in termini generici di un Dio Amico, di un Dio che salva, di un Dio che si commuove, ma doveva anche essere segno visibile e concreto di «quell’Amicizia». Era, infatti, sacerdote. Era un «alter Christus».

Così, guardò a tutti con attenzione sincera, ma dedicò una particolare premura verso i figli più fragili, verso coloro che erano ritenuti dalle proprie famiglie «una disgrazia»: i non-vedenti, i sordomuti. I disabili erano allora condannati a una vita senza speranza, senza conforto, segnata talvolta da violenze domestiche.

Per tale motivo, se talune decisioni del fondatore possono sembrare attualmente troppo improvvise, e non sorrette da supporti specialistici, ciò si deve solo alle dolorose notizie che arrivavano alle orecchie del prete. E che facevano scattare in lui non solo vigilanza, ma anche uno stato di emergenza.

Oggi, la documentazione in possesso degli storici, non consente di ricostruire nei dettagli molte vicende famigliari segnate da episodi che distruggevano equilibri. Il Bonilli, però, conosceva i suoi parrocchiani, ed era informato delle situazioni «a rischio». Così, intervenne in taluni casi con tempestività, anche se alle spalle non poteva contare su sostegni qualificati. La fondazione delle Suore della Sacra Famiglia riequilibrò questa situazione. Ma anche in questo caso furono comunque necessari cuori generosi e mani operaie.

Egli restò sempre pioniere. Non ebbe delle certezze tra le mani. Non ebbe le «spalle protette».

Al di là, comunque, delle sue decisioni sul piano socio-pastorale, fu pure chiamato dall’Arcivescovo del tempo a seguire il cammino dei seminaristi. Si trattò di una scelta gravosa ma felice. La presenza del fondatore tra le generazioni dei futuri preti garantì il passaggio tra due estremi: quello delle rivendicazioni a oltranza (legate agli eventi politici), dei radicalismi conservatori, e quello della trasmissione «passiva» di insegnamenti che non riscaldavano i cuori e le menti. I seminaristi trovarono nel Bonilli un prete di frontiera, capace di pagare di persona, un non diplomatico. Videro in lui l’uomo di Dio.

Nell’attuale periodo storico, ove le voci del nostro tempo sembrano talvolta dimenticare una storia ecclesiale che ha anticipato le attuali intuizioni sociali e le stesse scelte pastorali, la persona del Beato Bonilli rimane grande.

Non per una «straordinarietà» di realizzazioni. Ma perché seppe essere «semplicemente» un servo umile. Pronto ad alzarsi in piedi appena il Signore lo ha chiamato.


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Ringraziamenti

Dottor Daniel Ponziani, Responsabile dell’Archivio della Congregazione della Dottrina della Fede (Città del Vaticano).

Suor Provvidenza Orobello, Segretaria Generale Istituto delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto (Roma).

Dottoressa Paola Monacchia, Presidente della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria (Perugia).

Dottor Mario Roncetti, Archivista della Biblioteca-Archivio della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria (Perugia).

Dottor Adalgiso Liberati, Archivio-Biblioteca Arcidiocesi di Spoleto-Norcia.

Signor Franco Spellani, Pro Loco di Trevi.

(maggio 2025)

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