Tu che additasti alle pupille spente… –
Seconda parte
Un profeta tra due secoli. Il Beato Don
Pietro Bonilli (1841-1935) e lo sviluppo della sua Opera
Avvertenza: per ragioni di lunghezza, e in accordo con l'Autore, questo articolo è stato pubblicato privo delle note presenti nel testo originale.
1863 (gennaio). Modena. «Il Divoto di San Giuseppe»
Nel 1863 incominciò a essere stampato a Modena il periodico «Il Divoto di San Giuseppe». Lo dirigeva Don Antonio Dondi. L’episodio è significativo perché attesta una particolare devozione locale allo Sposo legale della Vergine Maria. Da questa Chiesa locale emerse la proposta di dedicare al Santo un intero mese, e di onorarlo con periodiche pubblicazioni. «Il Divoto di San Giuseppe» venne diffuso anche nell’Arcidiocesi di Spoleto. Il Bonilli, che già sosteneva la Compagnia di San Giuseppe a Trevi, lo lesse con interesse e, in tempi successivi, inviò articoli che furono pubblicati. Ebbe inizio da qui un collegamento tra il Beato e vari interlocutori modenesi (inclusi i proprietari di una tipografia).
1863 (dicembre). Bonilli è ordinato sacerdote
Il 19 dicembre del 1863, nella piccola cappella vescovile di Terni, Pietro Bonilli (aveva 22 anni e 9 mesi) venne ordinato sacerdote dal Vescovo Monsignor Giuseppe Maria Severa (1792-1870). Fu nominato parroco di Cannaiola (chiesa di San Michele Arcangelo) con Bolla del 31 agosto 1863. In questa località fece il suo ingresso il giorno di San Silvestro dello stesso anno, ma ottenne il regio exequatur solo il 21 aprile del 1864. L’abitato si trova nella parte più bassa della pianura di Trevi, nella vallata umbra. In quel tempo si trattava di un luogo paludoso, insalubre. Nella zona vivevano circa 600 persone.
Una fonte documentaria
Lo storico che segue i passi del Bonilli ha la possibilità di comprendere l’orientamento della sua azione pastorale anche attraverso la lettura di un manoscritto ove il giovane prete annotò gli avvenimenti più importanti. Queste cronache confluiranno poi in un volume di 282 pagine: Cannaiola. Memorie storiche raccolte negli anni 1873-1874 da Don Pietro Bonilli, parroco del luogo (con un’appendice per gli anni 1863-1877).
Nel testo sono riportate una serie di informazioni che riguardano aspetti storici, civili, religiosi, sugli usi e costumi del tempo, con rilievi topografici, catastali e inventari, oltre a un resoconto del proprio impegno sacerdotale. La situazione economica, morale e religiosa del piccolo centro presentava talune criticità. Aggiungasi un altro fatto. La parrocchia di Cannaiola era rimasta senza parroco per diversi anni. Dal 1857 al 1863, in seguito alla rinuncia del parroco Don Camillo Nardeschi, fu affidata alla cura di vari economi e cappellani, che assicurarono almeno le celebrazioni eucaristiche e l’amministrazione dei sacramenti. Tale situazione, debole sul piano pastorale, ebbe una conseguenza. Quando l’Arcivescovo bandì un concorso per il ruolo di parroco a Cannaiola, si presentò solo il Bonilli. Quest’ultimo superò l’esame. Esisteva, però, un difetto di età. Fu necessario ottenere una dispensa dalla Congregazione del Concilio.
Il piano pastorale
Nel suo impegno pastorale il Bonilli valorizzò i momenti della vita sacramentale, della liturgia, della predicazione, del ministero delle confessioni, dell’istruzione religiosa di base, delle opere caritative, della propagazione della devozione alla Sacra Famiglia, delle aggregazioni laicali (che riorganizzò), della scuola popolare, del canto religioso, dell’iconografia, della buona stampa. Malgrado non fosse un esperto di oratoria, e pur avendo studiato con i condizionamenti del tempo, il nuovo parroco dimostrò preparazione, volontà di aggiornamento teologico-pastorale, entusiasmo, intuizioni non deboli, capacità organizzative. Promosse ritiri e pellegrinaggi, cominciò a tessere una rete di contatti con interlocutori anche distanti da Cannaiola, arrivando a mantenere rapporti epistolari con autorità ecclesiastiche della Curia Romana (anche per ottenere la Festa e la Messa della Sacra Famiglia), con persone presenti in più Diocesi Italiane, e con esponenti delle Chiese locali di Francia e di Spagna. Si occupò inoltre della pastorale vocazionale e della vita comune del clero. Diversi suoi contemporanei si rallegrarono per questa estesa attività. Altri, rimasero estranei o palesemente critici.
Il Bonilli organizzò i parrocchiani in associazioni secondo il sesso e l’età. Istituì per i fanciulli dai 7 ai 15 anni la Compagnia dei Figli della Sacra Famiglia; per le donne sposate la Pia Unione delle Madri Cristiane; per gli uomini la Compagnia della Sacra Famiglia; per le adolescenti l’Associazione di San Luigi Gonzaga; per le giovani la Pia Unione delle Figlie di Maria; istituì pure la Compagnia delle Guardie d’Onore, chiamata anche Pia Unione della Sacra Famiglia. Tale Associazione doveva «rannodare in una sola Compagnia, divisa in più sezioni, le vari classi, età, stati e condizioni di persone».
Unitamente a ciò, il parroco di Cannaiola dette nuovo impulso alla Compagnia dell’Addolorata, alla Confraternita del Santissimo Sacramento, a un’Associazione di giovinette per onorare San Luigi Gonzaga, alla Pia Unione delle Figlie di Maria. Ebbe anche in progetto una Confraternita del Cuore Immacolato di Maria per la conversione dei peccatori.
Don Bonilli si adoperò anche per la sistemazione del cimitero, e per una radicale ristrutturazione della chiesa parrocchiale (1870). A Cannaiola visse con i genitori e con un fratello sposato, nonostante le difficoltà avute con essi durante il periodo degli studi. Quando l’Arcivescovo di Spoleto gli diede in aiuto un cappellano (1873), poté ampliare la sfera operativa del suo apostolato. Riuscì, così, anche a predicare nelle missioni al popolo, e negli esercizi spirituali riservati ai sacerdoti e ai religiosi.
1864. L’Enciclica Quanta Cura di Pio IX
L’8 dicembre del 1864, Pio IX trasmise ai cattolici l’Enciclica Quanta Cura. Al documento era allegato il Sillabo. In quest’ultimo testo erano condannati il liberalismo, le vecchie eresie riproposte nelle idee del tempo, l’ateismo, il comunismo, il socialismo, l’indifferentismo e altre proposizioni relative alla Chiesa e alla società civile (tra cui il matrimonio civile). Si riporta un passaggio significativo dell’Enciclica succitata:
«Questi uomini, con odio veramente acerbo, perseguitano le Famiglie Religiose, quantunque sommamente benemerite della cosa cristiana, civile e letteraria, e vanno dicendo che esse non hanno alcuna ragione di esistere, e con ciò applaudono le idee degli eretici. Infatti, come sapientissimamente insegnava Pio VI, Nostro Predecessore di venerata memoria, “l’abolizione dei regolari lede lo stato di pubblica professione dei consigli evangelici, lede una maniera di vita raccomandata nella Chiesa come consentanea alla dottrina Apostolica, lede gli stessi insigni fondatori che veneriamo sopra gli altari, i quali non ispirati che da Dio istituirono queste società”.
Ed affermano altresì empiamente doversi togliere ai cittadini e alla Chiesa la facoltà “di potere pubblicamente erogare elemosine per motivo di cristiana carità”, e doversi abolire la legge “che per ragione del culto divino proibisce le opere servili in certi determinati giorni” con il fallace pretesto che quella facoltà e quella legge contrastano con i principi della migliore economia pubblica.
Né contenti di allontanare la religione dalla pubblica società, vogliono rimuoverla anche dalle famiglie private.
Infatti, insegnando e professando il funestissimo errore del Comunismo e del Socialismo dicono che “la società domestica, cioè la famiglia, riceve dal solo diritto civile ogni ragione della propria esistenza, e che pertanto dalla sola legge civile procedono e dipendono tutti i diritti dei genitori sui figli, principalmente quello di curare la loro istruzione e la loro educazione”.
Con tali empie opinioni e macchinazioni codesti fallacissimi uomini intendono soprattutto eliminare dalla istruzione e dalla educazione la dottrina salutare e la forza della Chiesa cattolica, affinché i teneri e sensibili animi dei giovani vengano miseramente infettati e depravati da ogni sorta di errori perniciosi e di vizi.
Infatti, tutti coloro che si sono sforzati di turbare le cose sacre e le civili, e sovvertire il retto ordine della società e cancellare tutti i diritti divini ed umani, rivolsero sempre i loro disegni, studi e tentativi ad ingannare specialmente e a corrompere l’improvvida gioventù, come sopra accennammo, e nella corruzione della medesima riposero ogni loro speranza.
Pertanto non cessano mai con modi totalmente nefandi di vessare l’uno e l’altro Clero da cui, come viene splendidamente attestato dai certissimi monumenti della storia, tanti grandi vantaggi derivarono alla cristiana, civile e letteraria repubblica; e vanno dicendo che “il Clero, come nemico del vero ed utile progresso della scienza e della civiltà, deve essere rimosso da ogni ingerenza ed ufficio nella istruzione e nella educazione dei giovani”».
1866. Matrimonio civile. Soppressione Ordini religiosi. La rete ferroviaria
Il 1° gennaio 1866 entrò in vigore in Italia il nuovo codice civile. Venne introdotto il matrimonio civile. Lo Stato non riconosceva più i matrimoni religiosi. Operava una netta distinzione tra contratto e sacramento. Rivendicava la sua competenza sulla validità del matrimonio. In tale contesto, i Vescovi ricordarono ai fedeli che per un Cattolico l’unico matrimonio rimane quello religioso. Ai parroci venne raccomandato di insistere per una celebrazione secondo le norme stabilite dalla Chiesa. Comunque, per evitare inconvenienti e danni pratici, fu consigliato di sposarsi anche civilmente.
Con regio decreto numero 3.036 del 7 luglio 1866 si attuò la soppressione di Ordini e Corporazioni religiose (in esecuzione della legge del 28 giugno 1866, numero 2.987).
Sempre nel 1866, venne completato (29 aprile) il tratto ferroviario Roma-Ancona, con l’apertura delle stazioni di Terni, Spoleto e Foligno, e il tratto Terontola-Perugia. L’avvio dei lavori era stato rallentato dal passaggio dallo Stato Pontificio al Regno d’Italia di gran parte del territorio attraversato dalla ferrovia. La costruzione era andata a rilento per dissesti e scandali finanziari, difficoltà di tracciato e non ultimo, anche per alcuni incidenti (esempio, esplosione del deposito di polveri da sparo durante la costruzione del tratto Narni-Nera Montoro).
1867. Morte dell’Arnaldi
Nel 1867, dopo lunga malattia, morì l’Arcivescovo Arnaldi. A causa delle tensioni Stato-Chiesa, non fu possibile nominare subito un successore. Nelle Memorie storiche del Bonilli si trova un’annotazione riguardante Monsignor Arnaldi: «Fu uomo di genio, intraprendente, attivissimo, strenuo difensore di Santa Chiesa in questi malaugurati tempi». Nello stesso anno, con legge numero 3.848 del 15 agosto 1867, furono dettate norme per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico.
1867. La Chiesa davanti all’incameramento statale dei suoi beni
L’espropriazione dei beni ecclesiastici ebbe conseguenze soprattutto dal punto di vista amministrativo. Gli istituti religiosi, in presenza di politiche a loro sfavorevoli, cercarono di trovare dei modi per difendersi. Una strada, fu quella di utilizzare le possibilità offerte dalle leggi civili. Diverse le soluzioni individuate. Una scelta fu quella di intestare i beni a singoli religiosi o religiose. Un’altra fu di costituire delle società tontinarie (come fece Don Bosco). I beni erano intestati a un gruppo di persone, il cui numero poteva essere sempre ricostituito, con il vantaggio di pagare meno al momento della successione. Si utilizzò anche la possibilità di vendere gli immobili a secolari ed ecclesiastici di fiducia, o di fondare società immobiliari, società per azioni, società cooperative, o chiedendo alle autorità del tempo l’approvazione civile come enti morali. Per operare queste strategie, i religiosi ebbero necessità di dispense dalla Santa Sede (concesse in modo rapido).
1868. È approvata la Società della Gioventù Cattolica Italiana
Il 2 maggio del 1868, Pio IX, con la Lettera Apostolica Dum filii Belial, approvò la Società della Gioventù Cattolica Italiana. Fu il primo nucleo, maschile, di quella che sarà poi l’Azione Cattolica Italiana. Tale organismo era stato fondato dal Viterbese Mario Fani (1845-1869) e dal Bolognese Giovanni Acquaderni (1839-1922) il 29 giugno 1867. La Società fu ideata come associazione di difesa dei diritti della Santa Sede nei primi anni della «Questione romana», in considerazione dell’anticlericalismo vigente, ma anche come nuova forma di laicato cattolico capace di andare oltre la pratica religiosa delle antiche confraternite.
1869. Concilio Ecumenico Vaticano I
L’8 dicembre del 1869 si aprì nella basilica di San Pietro il Concilio Vaticano I (XX Ecumenico). Furono presenti quasi 800 Padri. Nelle tre sessioni vennero discusse e approvate due Costituzioni Dogmatiche: la Dei Filius, e la Pastor Aeternus.
Dei Filius: il prologo riepiloga i principali errori emersi dopo il Concilio di Trento (protestantesimo, razionalismo, panteismo, materialismo, ateismo). Il I capitolo insegna l’esistenza di un Dio personale, «un solo Dio, vero e vivo», che ha creato liberamente il mondo e lo governa con la sua provvidenza. Nel II capitolo si dichiara che l’esistenza di Dio può essere conosciuta e dimostrata con la ragione, ma nello stesso tempo difende la necessità della Rivelazione. Nel III capitolo viene spiegata la natura della fede, che è insieme un dono soprannaturale di Dio mediante lo Spirito Santo e una libera adesione dell’intelligenza umana mossa dalla volontà. Nel IV capitolo è affermato che non vi è opposizione tra fede e ragione, «due ordini di conoscenza distinti» ma non contraddittori. Nei canoni finali, viene considerato anatema chiunque affermi il contrario di quanto sancito dalla Dei Filius.
Con la Costituzione Pastor Aeternus, il Concilio definì due dogmi: il primato papale e l’infallibilità del Pontefice.
Il primato del Papa (la sua autorità suprema di giurisdizione), al quale tutti devono obbedienza in forza della subordinazione gerarchica, è qualificato come ordinario, immediato, veramente episcopale, su tutti, pastori e fedeli, e non riguarda solo la fede e i costumi, ma anche la disciplina e il regime della Chiesa. Il dogma dell’infallibilità papale fu espresso in questi termini: «Proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla “ex cathedra”, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i Cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del Beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa».
Le sessioni del Vaticano I furono interrotte nel luglio del 1870, a causa della minaccia delle truppe italiane, in movimento verso Roma.
1869-1870. Si comincia a pensare a una Società di Missionari Figli della Sacra Famiglia
Tra il 1869 e il 1870 si rafforzò in Don Pieri la convinzione che era necessario promuovere delle missioni popolari per rafforzare la crescita spirituale dei singoli fedeli e delle stesse Chiese locali. L’idea in sé non era nuova. C’erano state precedenti iniziative. Nella stessa Spoleto era stata promossa nel 1747 una missione da San Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751). E anche l’Arcivescovo Arnaldi si era mosso per realizzare delle missioni. Dal disegno del Pieri derivò anche la decisione di promuovere una Società di Missionari della Sacra Famiglia per sostenere e coordinare le iniziative missionarie.
1870. «Questione romana». San Giuseppe Patrono
Il 20 settembre del 1870, l’esercito del Regno d’Italia entrò a Roma con la forza delle armi. L’occupazione militare dell’Urbe – nota impropriamente anche come «breccia di Porta Pia» – fu l’episodio del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia. Era la fine dello Stato Pontificio quale entità storico-politica. I Papi perdevano il potere temporale e dovevano re-impostare i loro programmi a più livelli. Pio IX non accettò lo stato di fatto e si auto-relegò entro le mura vaticane. Quanti avevano promosso la spedizione militare su Roma furono scomunicati. Ai Cattolici fu proibito di partecipare alla vita politica del Regno d’Italia.
Nello stesso anno, Pio IX, con decreto della Sacra Congregazione dei Riti (Quemadmodum Deus, 8 dicembre), proclamò San Giuseppe Patrono della Chiesa universale. Nel testo, Giuseppe di Egitto è indicato come tipo di Giuseppe di Nazaret; San Giuseppe è secondo solo a Maria nel potere di intercessione. In seguito, con il decreto Inclytum Patriarcham (7 luglio 1871), fu riconosciuto a San Giuseppe un culto superiore a quello degli altri Santi, affermando che gli furono concesse da Dio grazie speciali per il suo stato.
1871 (febbraio). Roma capitale del Regno d’Italia
Nel 1871 la sede del Governo d’Italia fu trasferita da Firenze a Roma. Ciò non facilitò le tensioni già esistenti con la Santa Sede. Il Governo Italiano non si limitò a occupare gli antichi palazzi della Roma Papale: diede, infatti, impulso alla costruzione di edifici che potessero testimoniare il nuovo corso. Il primo grande palazzo costruito in città fu così la sede del Ministero delle Finanze. L’espansione delle funzioni pubbliche e ministeriali fece riscontrare, tra i vari effetti, anche un deciso aumento della popolazione residente: già al cinquantenario dell’Unità, nel 1911, la città aveva superato il mezzo milione di abitanti. Ma soprattutto era cambiata la struttura sociale della popolazione. Funzionari amministrativi, intellettuali, giornalisti, politici, impiegati divennero il ceto medio della capitale.
1871 (agosto). Si costituisce la Società dei Missionari della Sacra Famiglia
Quanto era stato intuito dal Pieri, e condiviso dai suoi giovani sacerdoti (incluso il Bonilli) in tema di missioni popolari e di Missionari della Sacra Famiglia, cominciò a concretizzarsi nel 1871. In quell’anno, Don Ludovico ricevette una locuzione interiore (5 agosto). Dalle indicazioni ricevute in tale occasione, furono poi ricavati i principi generali e le norme specifiche che costituirono articolazione del Regolamento della Società dei Missionari della Sacra Famiglia.
1871 (ottobre). Monsignor Cavallini, nuovo Arcivescovo di Spoleto
Nel Concistoro del 27 ottobre 1871, fu preconizzato Arcivescovo di Spoleto Monsignor Domenico dei Conti Cavallini Spadoni (1804-1885), Vicario Capitolare di Osimo e Cingoli (Provincia di Macerata). Era noto per essere un valido predicatore. In qualità di Missionario Apostolico aveva dettato meditazioni in molti luoghi d’Italia. A Cingoli faceva parte di una Società simile a quella che pensavano di fondare i Missionari della Sacra Famiglia. Tra i suoi limiti: l’età avanzata e la salute cagionevole.
1872 (febbraio). I primi Missionari della Sacra Famiglia
Il 29 febbraio del 1872, Don Pieri, seguendo una locuzione «divina», scelse i primi Missionari della Sacra Famiglia. A Don Paolo Bonaccia (1838-1894), uno Spoletino di adozione, venne affidato il compito di superiore (sulla terra, era il «vice gerente» di San Giuseppe). Il suo compito fu di seguire tre «rami». I primi due erano costituiti da Don Pietro Bonilli, e da Don Giuseppe Tabarrini (1842-1896), prebendato della Metropolitana di Spoleto. Il terzo «ramo» doveva essere formato da un giovane: Giuseppe Balami.
A questo punto, si era costituita l’Associazione dei Missionari. Don Pieri, però, non ne fece parte. Rimase in una posizione defilata. In tale contesto, ci si preoccupò della stesura degli atti costitutivi, nella previsione di una futura vita in comune. I sacerdoti individuati dal Pieri dimostrarono nel tempo oggettive qualità. Al riguardo, oltre alla figura del Bonilli, è interessante osservare quella di Don Bonaccia.
Don Paolo Bonaccia studiò nel Seminario di Spoleto. Ordinato sacerdote il 24 maggio del 1861, rimase in questa istituzione in qualità di professore di dommatica. Ebbe comunque la possibilità di dedicarsi alla predicazione e agli studi umanistici e storici.
Il 1° giugno del 1863 l’Arcivescovo Arnaldi gli dette una prebenda in cattedrale. Nel 1869 divenne canonico della Metropolitana, con nomina pontificia. Nel 1875 l’Ordinario Cavallini gli dette una prebenda in cattedrale. Nel 1891 ricevette la nomina a canonico penitenziere. Durante il mandato dell’Arcivescovo Pagliari, ricoprì anche il ruolo di pro-Vicario Generale e di rettore del Seminario. Morì a 56 anni.
Tra le sue pubblicazioni si possono ricordare: Memorie storiche sopra la vita e le virtù del giovane Francesco Possenti tra i Passionisti confratel Gabriele dell’Addolorata (1868), Il protestantesimo considerato nella sua natura e nei rapporti con l’Italia e con Roma (1872), Novena storica in onore di Nostra Signora di Lourdes (1873), La Sacra Famiglia: Gesù, Maria e Giuseppe modello della famiglia cristiana: corso di pie lezioni con preghiere ed esempi per il mese di gennaio (1882), La casa di Nazareth modello della casa religiosa, ossia La vita della sacra famiglia Gesù, Maria, Giuseppe, proposta all’imitazione delle famiglie claustrali (1885), Il perfetto manuale di San Giuseppe composto per uso dei suoi devoti (1891), Ghirlanda di 150 sonetti sacri sopra lo sposalizio di Maria con Giuseppe (1896, postumo).
Anche la figura di Don Tabarrini, nato a Trevi, presenta aspetti interessanti.
Fu tra i primi a entrare a far parte dell’Associazione di San Giuseppe istituita dal Pieri. Dopo gli studi primari presso il Collegio Lucarini, entrò nel Seminario di Spoleto. Nel maggio del 1869, ancora diacono (19 settembre 1868), fu nominato mansionario nella cattedrale di Spoleto, della quale divenne canonico (17 maggio 1878). Ordinato sacerdote nel 1869, rimase in Seminario come professore, e qui conobbe il Bonaccia, al quale fece conoscere i progetti del Pieri sulla devozione alla Sacra Famiglia. Dal gennaio 1876 fu per alcuni anni segretario dell’Arcivescovo Monsignor Cavallini. Nel 1878 venne creato canonico metropolitano.
1872 (marzo-aprile). Monsignor Cavallini a Spoleto. Problemi. Interazione con i Missionari
Il 4 marzo del 1872 l’Arcivescovo Cavallini prese possesso dell’Arcidiocesi di Spoleto. Non aveva ottenuto il regio placet (lo ebbe in seguito). Per tale motivo, nei primi anni del suo mandato, le autorità del tempo vollero interagire solo con il Vicario. Durante il suo ingresso in città, avvenne un fatto increscioso. Alcuni soggetti, ostili alla Chiesa, contestarono il Presule in modo aperto.
Dai documenti del tempo, emerge pure il fatto che una parte del clero mantenne una posizione di distacco dall’Ordinario. Lo afferma anche quest’ultimo, scrivendo al Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari. Probabilmente, ciò fu legato al fatto che il nuovo Presule operò con una serie di svantaggi iniziali, fece fatica a controllare situazioni interne al clero, mostrò una particolare benevolenza verso i Missionari della Sacra Famiglia (con il Pieri che esprimeva giudizi non positivi sul clero spoletino), rivolse reprimende ai sacerdoti in cura d’anime delle diverse località dell’Arcidiocesi. Addirittura puntò il dito contro l’indolenza e l’avarizia dei preti. La stessa visita pastorale del Presule del 1873 (maggio, settembre, ottobre) ebbe momenti difficili.
In tale realtà articolata, il rapporto tra il Cavallini e i Missionari della Sacra Famiglia fu segnato da sintonie. Lo conferma un’udienza accordata loro il 21 aprile del 1872 (assente il Pieri). Il nuovo Presule incoraggiò i Missionari della Sacra Famiglia e trattò con loro di vari argomenti: importanza di un insegnamento-base per i fedeli privi di formazione religiosa, il culto alla Sacra Famiglia, la promozione di esercizi spirituali riservati al clero presso il santuario della Stella. In quell’occasione fu presentato al Presule il Regolamento della Società dei Missionari della Sacra Famiglia.
Il 26 aprile dello stesso anno, Monsignor Cavallini firmò il decreto con il quale approvava il Regolamento dei Missionari. Il testo conteneva due punti-chiave: la salvezza è per tutti, e la predicazione è il mezzo ordinario per conseguire tale fine; la Società deve spezzare ai popoli il pane della vita, per richiamare i peccatori e confermare i giusti. Dopo tale riconoscimento, ai primi tre Missionari si unirono: Don Francesco Petrucci (1843-1876, professore in Seminario), Don Leonardo Leonardi (1843-1919; arciprete di Campello), Don Carlo Archilei (1844-1909; confessore delle Benedettine di Castel Ritaldi) e il giovane laico Giuseppe Balami.
Don Petrucci, nato a Tuscania, entrò nel Seminario di Spoleto nel novembre del 1862. Ordinato sacerdote nel 1867, dopo essere stato cappellano in alcuni istituti religiosi e precettore in una famiglia spoletina, nel 1870 rientrò in Seminario per insegnare matematica e fisica. Fu per alcuni anni segretario di Monsignor Cavallini. Il suo apostolato missionario si svolgeva nei due mesi estivi, un impegno gravoso per la sua salute cagionevole. Morì in concetto di santità.
Don Leonardi, nato a Gualdo Cattaneo, studiò nel Seminario di Spoleto. Ordinato sacerdote a Roma nel 1866. Nominato parroco di San Donato del Castello di Campello, dopo regolare concorso. In seguito, divenne insegnante nelle scuole primarie del Comune di Campello, e cappellano della chiesa della Madonna della Bianca.
Don Archilei, nato a Camposalese di Spoleto, venne ordinato sacerdote nel 1867. Per alcuni anni fu cappellano delle Benedettine di Castel Ritaldi, della cui parrocchia divenne parroco, con Lettera Apostolica di Leone XIII del 27 giugno 1880. In seguito, fu parroco di Santa Maria di Azzano.
1872 (maggio-dicembre). L’impegno pastorale dei Missionari della Sacra Famiglia
Dopo l’udienza accordata da Monsignor Cavallini, si accentuò l’impegno dei Missionari. In particolare, il Bonilli proseguì nella ricerca sulle Congregazioni e sulle associazioni che erano consacrate alla Sacra Famiglia, e sugli stampati che trattavano di tale realtà evangelica. A tal fine utilizzò l’Enciclopedia Ecclesiastica e altre fonti.
Il 5 settembre, il gruppo dei Missionari si recò in pellegrinaggio a Loreto. Qui, nella Santa Casa, si svolse la cerimonia di consacrazione, alla presenza del Vescovo Anconetano Monsignor Tommaso Gallucci (1813-1897). I pellegrini si recarono anche a Castelfidardo ove le truppe del Papa erano state sconfitte dai Piemontesi (18 settembre 1860).
Il 2 ottobre ebbe inizio la prima missione popolare. Si svolse nella parrocchia di Cannaiola. Durò 12 giorni. Vi presero parte Bonaccia, Bonilli e Leonardi. Si concluse con un pellegrinaggio al santuario della Stella.
A dicembre, si mossero i primi passi per fondare il periodico «La Sacra Famiglia».
1873 (gennaio). Monsignor Cavallini approva la Società dei Missionari della Sacra Famiglia
Con il decreto Supereminens del 6 gennaio 1873, l’Ordinario eresse a livello canonico la «Società dei Figli Missionari della Sacra Famiglia». Il centro operativo fu posizionato a Spoleto (presso Don Bonaccia), la «Casa-Madre» rimase a Trevi (presso Don Pieri). A tale organismo si aggiunsero in seguito altri sacerdoti (provenienti da zone diverse). Monsignor Cavallini autorizzò, poi, i missionari a portare al collo, durante le missioni, un Crocifisso e a cingersi i fianchi con una fascia ove erano riportate le iniziali della Sacra Famiglia (decreto dell’8 dicembre 1873). L’attività dei Missionari si rivelò una risorsa non marginale per la vita religiosa umbra. La loro presenza in più iniziative pastorali seppe dare un’impronta di rilievo e costituì il momento forte di varie celebrazioni.
1874. Notizie dalla «Sicilia Cattolica»
Nel 1874, il Bonilli, leggendo il periodico «La Sicilia Cattolica», fu colpito da un articolo che riferiva di iniziative collegate al culto alla Sacra Famiglia nelle città di Bologna e di Palermo. Non sapeva, però, che tali manifestazioni erano espressione dell’Opera promossa a Lione dal Gesuita Padre Francoz.
1875. Anno Santo
25 anni dopo la celebrazione del XX Giubileo, non fu possibile – per le vicende legate alla Repubblica Romana, e per il temporaneo esilio del Papa – indire un nuovo Anno Santo. Il Pontefice poté promulgare, comunque, quello del 1875 (Bolla Gravibus Ecclesiae et hujus saeculi calamitatibus; 24 dicembre 1874).
Il XXI Anno Santo, a causa dell’occupazione di Roma da parte delle truppe di Vittorio Emanuele II, fu privato delle cerimonie di apertura e di chiusura della Porta Santa.
Venne inaugurato l’11 aprile 1875 in San Pietro, alla sola presenza del clero romano e senza l’apertura delle Porte Sante.
Limitandosi a celebrare solo privatamente questo Giubileo, Pio IX volle rimarcare le distanze tra la Santa Sede e il nuovo Regno d’Italia. Egli continuava a ritenersi prigioniero in Vaticano, e a considerare scomunicati Vittorio Emanuele II e gli esponenti del suo Governo.
Prevedendo le difficoltà dei pellegrinaggi, il Papa concesse le indulgenze plenarie in tutto il mondo con visite a determinate chiese.
Durante questo Giubileo non fu possibile ricevere un adeguato sostegno da ospizi e confraternite che avevano operato durante i precedenti Anni Santi (erano decaduti). Le Opere Pie erano state secolarizzate. Le Case Religiose soppresse. Nessuna nuova organizzazione a sostegno di pellegrini era sorta.
Ogni cerimonia religiosa comportò problemi organizzativi e logistici. Gli unici pellegrinaggi di una certa entità furono quelli francesi.
1875 (aprile). Monsignor Cavallini approva la Pia Unione della Sacra Famiglia «ad experimentum»
Agli inizi del 1875, Don Pieri e i suoi giovani sacerdoti concordarono di promuovere nell’Arcidiocesi di Spoleto una Pia Unione della Sacra Famiglia. Chiesero al riguardo l’approvazione arcivescovile presentando anche il Regolamento. Monsignor Cavallini accordò il suo consenso nell’aprile dello stesso anno «ad experimentum».
1875 (novembre). Tensioni a Cannaiola
Alla fine del 1875 si verificò a Cannaiola un triste episodio che rimane significativo perché documenta i problemi del tempo legati alle nuove normative unitarie. Il fatto non ebbe per fortuna conseguenze dolorose. Il Bonilli lo descrisse nel seguente modo in una lettera datata 12 novembre 1975:
«Sabato passato essendo morto un uomo di Cannaiola, stante la nuova legge sui cemeteri, dovea portarsi a quello di Trevi. Non si sa da chi, né come, s’alza qui la voce che pel trasporto ogni famiglia dovrà pagare 50 lire per cadavere; si sparge che a Fabri non ce l’avea potuto il Municipio di Montefalco e un morto non era stato portato via dalla parrocchia; si va vociando che questa è una prepotenza il portarci via i morti e portarli ai Cappuccini di Trevi.
La moltitudine vi è impressionante, si decide di non consegnare il cadavere. Per mala sorte, la carolina apparisce sulla piazza di questa chiesa al termine della funzione, quando un 300 persone ne escono furibonde, avendo già sentito rumoreggiare il carro mortuario. Tutta la moltitudine, uomini, donne, fanciulli gli si stringono attorno urlando e intimando al conduttore e al cappellano […] di ripartire all’istante per dove eran venuti.
Il conduttore resiste […] tira fuori il coltello. Allora passò questi un brutto momento, lo avrebbero fatto a pezzi, se non v’erano degli animosi che lo trassero fuori dai tumultuanti».
1876 (gennaio-ottobre). Associazionismo. Diffusione del tifo
Nel gennaio del 1876 il Bonilli organizzò a Cannaiola una filiazione della Pia Unione della Sacra Famiglia per giovani, ragazze, madri e padri. A ogni gruppo di aderenti era stato affidato un proprio Regolamento. Come riferimento devozionale unitario, il fondatore acquistò, con l’apporto dei parrocchiani, un nuovo quadro della Sacra Famiglia, e stabilì di celebrare una festa in suo onore la IV domenica di agosto. Nello stesso anno, il Bonilli venne colpito dal tifo. In una lettera che scrisse (27 ottobre 1876) a Don Paolo Bonaccia si trova un passaggio che documenta la diffusione di questa malattia tra le campagne spoletane.
«Rimessomi io dall’infermità, è caduto Marice. Da domenica è in letto colpito dalla malattia ora qui dominante e che nemmeno il rifrescarsi dell’aria può cacciare: il tifo. La malattia è già pericolosa, se non altro lunga. Pregate San Giuseppe per esso, e per me».
1878 (2 febbraio). Approvazione definitiva della Pia Unione della Sacra Famiglia
Il 2 febbraio del 1878, l’Arcivescovo di Spoleto, Monsignor Cavallini, approvò la Pia Unione della Sacra Famiglia e ne sostenne la diffusione nella Chiesa locale. Il Centro propagatore fu stabilito a Trevi. La proposta per nuove associazioni dedicate alla Sacra Famiglia oltrepassò presto l’area spoletina. Una lettera, in merito, venne indirizzata ai parroci italiani già nel dicembre dello stesso anno.
1878 (7-20 febbraio). Muore Pio IX. Eletto Leone XIII
Alla morte di Pio IX (7 febbraio 1878), fu convocato il nuovo Conclave che elesse (20 febbraio 1878) il Cardinale Gioacchino Pecci (1810-1903). Questi, assunse il nome di Leone XIII. Nato a Carpineto Romano, e Vescovo di Perugia dal 1846 al 1877, il nuovo Papa cercò di superare l’isolamento nel quale la Santa Sede si era ritrovata dopo la perdita del potere temporale. Anche una volta divenuto Papa, non ritenne lesivo della propria dignità il rilasciare interviste alla stampa, nel febbraio 1892 al «Petit Journal» e nel marzo 1899 al giornale parigino «Le Figaro». Sostenne il mondo scientifico (fondazione di Istituti di filosofia e Università cattoliche a Lovanio e a Washington). Aprì agli studiosi parte degli Archivi segreti. Promulgò 86 Encicliche. Tra queste, assunse un particolare rilievo la Rerum Novarum (sulla «questione operaia»). Promosse la canonizzazione di Chiara da Montefalco (1268-1308), e fece riaprire il processo di beatificazione di Camilla Battista da Varano (1458-1524). Fu il primo Pontefice a essere ripreso da una cinepresa. In quell’occasione il Papa impartì la prima benedizione mediatica.
1878. Traduzioni dal francese
Fu un merito del Bonilli quello di aver fatto conoscere in Italia uno scritto dell’abate Emmanuel Petit de Leudeville, canonico di Versailles (pubblicata in Francia nel 1877). Questo ecclesiastico fondò, durante il Pontificato di Pio IX, un’Associazione denominata «Unione nella Santa Famiglia». Da Leone XIII ottenne un’approvazione nel 1882. Si riporta il titolo completo del testo di questo canonico:
La grazia del rinnovamento col mezzo dell’unione in Gesù, Maria e Giuseppe, per l’abate E. de Leudeville; versione dal francese del parroco Don Pietro Bonilli, Modena, Tipografia Pontificia ed Arcivescovile dell’Immacolata Concezione, 1878.
L’opera venne tradotta dal Bonilli dal francese all’italiano. Ciò fu possibile perché il parroco di Cannaiola aveva studiato francese negli anni trascorsi in Seminario.
1878 (marzo). Interazione Don Bonilli-Padre Francoz
Mentre era impegnato nella pubblicazione del testo dell’abate de Leudeville e del Regolamento della Pia Unione della Sacra Famiglia, il Bonilli venne a conoscenza di un fatto. Esisteva in Francia un’Associazione delle famiglie consacrate alla Sacra Famiglia. Sulla base di tale informazione, il parroco di Cannaiola scrisse (marzo 1878) al fondatore di tale organismo, il Gesuita Padre Francoz che risiedeva a Fourvière.
Dopo un primo contatto epistolare, i due interlocutori decisero di concretizzare un disegno unitario. Il Padre Francoz, facendo parte della Compagnia di Gesù, chiese il permesso (15 agosto 1878) ai superiori (e l’ottenne). Don Bonilli si rivolse a Don Paolo Bonaccia. Quest’ultimo, non mostrò entusiasmo. Aveva riserve. Forse, non vedeva di buon occhio quell’accumulo di responsabilità e di impegni che avrebbe gravato il Bonilli. Forse, temeva possibili contrarietà da parte della Curia Spoletina. Per tale motivo, la Società dei Missionari della Sacra Famiglia si dichiarò indipendente dalla direzione dell’Associazione delle Famiglie affidata al Bonilli.
Malgrado gli imprevisti, si arrivò a un accordo formale. L’Opera promossa dal Padre Francoz, e quella sostenuta da Don Bonilli e da altri sacerdoti (la Pia Unione della Sacra Famiglia), realizzarono un’osmosi pastorale. Era il 10 ottobre del 1878.
Nasceva in tal modo la «Société franco-italienne pour la direction et la propagation de l’Association des Familles consacrées à la Sainte-Famille de Jésus, Marie, Joseph».
Don Pietro Bonilli venne nominato promotore e direttore in Italia dell’Associazione (con sede a Trevi). Quest’ultima, ebbe come Centro Universale la «Santa Casa» di Loreto.
1879 (febbraio). Dimissioni di Monsignor Cavallini. Nominato il Pagliari
Il 28 febbraio del 1879, dopo neppure otto anni di permanenza a Spoleto, Monsignor Cavallini Spadoni, per questioni di salute, dovette lasciare il ruolo di Ordinario di Spoleto. Due giorni prima aveva inviato al clero e al popolo dell’Arcidiocesi una Lettera Pastorale di congedo. La Santa Sede nominò allora un successore: Monsignor Elvezio Mariano Pagliari (1834-1900). Una volta preso possesso canonico dell’Arcidiocesi di Spoleto (26 maggio 1879), il nuovo Presule manifestò in breve tempo un orientamento che modificò precedenti equilibri. Nei suoi passi, traspare la volontà di ridisegnare il «modus operandi» della Chiesa a lui affidata. Ciò doveva avvenire con un’accentuazione del ruolo apicale dell’Arcivescovo, con un’assegnazione a quest’ultimo di ogni decisione inerente materie di natura ecclesiale, con una modifica di taluni atti firmati dai suoi predecessori. Tale linea fu chiarita anche durante le sei visite pastorali che il Presule realizzò negli anni del suo mandato. Il 9 aprile del 1897, il Pagliari trasmetterà a Roma la sua prima relazione sullo stato dell’Arcidiocesi di Spoleto.
1879. Direttorio del Francoz
Nello stesso anno della nomina del Pagliari ad Arcivescovo di Spoleto, fu pubblicato a Modena un lavoro del Padre Francoz. Il titolo originario (1862) era: Notices sur l’Association des Familles consacrées à la Sainte Famille de Jésus, Marie, Joseph par la prière du soir en commun devant l’image de la Sainte Famille.
Il Bonilli aveva tradotto il testo e vi aveva inserito delle annotazioni. Lo scritto del Gesuita venne edito con un nuovo titolo: Direttorio dell’Associazione delle Famiglie Consacrate alla Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Opera domestica e parrocchiale… per il Padre Fr. F. Francoz della Compagnia di Gesù; versione dal francese di Don Pietro Parroco Bonilli, Modena, Tipografia Pontificia e Arcivescovile dell’Immacolata Concezione, MDCCCLXXIX (1879). In 8. di pagine 194.
Sempre nel 1879, pervenne al Bonilli una lettera che proveniva dalla Spagna. Si voleva promuovere a Barcellona un’iniziativa capace di diffondere il culto della Sacra Famiglia nel Paese Iberico. Il fondatore manifestò aperto interesse. Sul piano organizzativo, suggerì di interagire con il centro francese, perché era meglio organizzato.
1880 (agosto). «L’Apostolo della Sacra Famiglia»
Dall’agosto del 1880 cominciarono a essere divulgate (sul periodico «Divoto di San Giuseppe») una serie di notizie che riguardavano l’Associazione franco-italiana fondata in onore della Sacra Famiglia. Serviva, però, un organo di stampa associativo. Per questo motivo, il Bonilli fondò nello stesso anno (15 agosto) un bollettino mensile (poi bimensile): «L’Apostolo della Sacra Famiglia» (1880-1883). L’iniziativa era inserita in un disegno più vasto: la promozione di feste religiose, la consegna a ogni famiglia di un’immagine della Sacra Famiglia (da appendere dietro la porta di casa), la fondazione di associazioni di uomini, donne e giovani di ambo i sessi, in onore della Sacra Famiglia.
1880 (ottobre-dicembre). L’interazione Pagliari-Bonilli
Il processo di verticalizzazione impresso dall’Arcivescovo Pagliari (che comportò un rallentamento di alcune attività, e la modifica o cessazione di altre) riversò effetti anche con riferimento all’insegnamento e all’operato di Don Ludovico Pieri (che morì nel 1881), a quello dei Missionari della Sacra Famiglia (vicini al Pieri), e all’attività delle associazioni laicali consacrate alla Sacra Famiglia (anche queste in sintonia con l’apostolato svolto dal Pieri).
Monsignor Pagliari guardò poi in modo non benevolo a quanto sconfinava dal proprio territorio senza passare attraverso la sua persona. È il caso dell’interazione di taluni sacerdoti (incluso il Bonilli) con Vescovi, parroci e Istituti religiosi di altre Diocesi Italiane, con esponenti della Santa Sede, e con interlocutori di altri Paesi (si pensi all’intesa tra il Pasre Francoz e il parroco di Cannaiola).
L’Ordinario di Spoleto volle, infine, riesaminare in termini critici ogni aspetto della pubblicistica religiosa. Questa includeva testi devozionali, stampati con le procedure da seguire per determinate cerimonie religiose, esortazioni, formule di promesse, catechismi popolari.
In tale contesto, per iniziativa della Curia di Spoleto le bozze del periodico «L’Apostolo della Sacra Famiglia» furono sottoposte a censura preventiva. Ciò generò problemi. L’approvazione arcivescovile arrivava in genere in ritardo, mentre i numeri degli stampati avevano delle scadenze prestabilite. Inoltre, Monsignor Pagliari comunicò al Bonilli un prossimo trasferimento a Bevagna. Forse, l’intenzione era quella di spingere il fondatore in altri ambiti operativi, allontanandolo da impegni che lo stavano coinvolgendo in modo accentuato. Il parroco di Cannaiola, comunque, con motivazioni economiche, e grazie anche alle pressioni dei suoi fedeli sulla Curia, riuscì a evitare il trasferimento.
1881 (30 marzo). Il Sant’Uffizio si esprime su Don Ludovico Pieri
Il 30 marzo del 1881, il Commissario Generale del Sant’Uffizio, l’Arcivescovo Domenicano Monsignor Vincenzo Leone Sallua (1815-1896), a seguito di precedente iniziativa di Monsignor Pagliari, trasmise a quest’ultimo una lettera che è significativa. Include infatti un’affermazione riguardante l’operato di Don Ludovico Pieri: «Non può dirsi né in parte né in tutto [che negli scritti del Pieri ci siano proposizioni] “contra fidem”, giacché vi domina fede, pietà, e devozione».
1881 (maggio). L’uso di una stamperia in proprio
Nelle attività riguardanti i sussidi pastorali, il parroco di Cannaiola, per necessità, dovette all’inizio far stampare «L’Apostolo della Sacra Famiglia» a Foligno, presso la ditta di Giovanni Tomassini. Sul piano pratico, però, si rese necessario un controllo più ravvicinato del lavoro tipografico (c’era l’esigenza di inserire notizie aggiornate, di apportare correzioni all’ultimo momento, di evitare ritardi nelle consegne…). Per tale motivo, il Bonilli decise di non appoggiarsi più a centri esterni ma di acquistare un macchinario da usare in proprio a Trevi. Acquistò quindi la tipografia del signor Mollaioli per 2.000 lire. Era la nascita della «Tipografia Nazzarena». L’inaugurazione avvenne il 20 maggio 1881. Vi operavano anche tre ragazzi rimasti orfani. Nel 1884 il fondatore ne trasferì la sede a Cannaiola. L’operazione fu onerosa ma produsse effetti non deboli. In questo impegno, il fondatore divulgò periodici, opere proprie o lavori di altri autori (di cui curò la traduzione). Tutto doveva servire a promuovere la devozione alla Sacra Famiglia e a San Giuseppe.
1881 (giugno). Morte della madre del Bonilli
Nel giugno del 1881 morì la madre del Bonilli. Questo decesso venne così riferito a Don Paolo Bonaccia (lettera del 19 giugno 1881): «Anch’io sono orfano. Mamma mia non è più. Mercoldì trapassò da questa vita, come spero all’altra di eterni gaudi. Ma quanto mi ha costato! E quanti patimenti non ha sofferti la povera madre mia; l’infermità ha durato per 15 mesi: per cui non si può dire quanto ha patito… La raccomando ai vostri suffragi».
1881 (ottobre-dicembre). Le denunce del Pagliari
Nell’ambito di iniziative apicali, che non sempre facilitavano un clima sereno, Monsignor Pagliari decise di avviare presso la Santa Sede un procedimento che poneva sotto accusa i Missionari della Sacra Famiglia e i Cooperatori. Forse per propria convinzione, forse per l’influsso di pareri ricevuti (fortemente critici verso Don Ludovico Pieri e, di conseguenza, avversi ai Missionari della Sacra Famiglia), forse perché incline all’intransigenza, denunciò, con varie motivazioni, alla Sacra Congregazione dell’Indice il Manuale e il Regolamento dei Missionari (21 ottobre 1881), e il Regolamento della Compagnia dei Cooperatori, contenuto in due numeri del periodico «L’Apostolo della Sacra Famiglia» (29 dicembre 1881). L’iniziativa non fermò la vita spirituale e pastorale dei sacerdoti missionari e dei laici a loro vicini, ma certamente rallentò diversi progetti e procurò agli interessati profonda sofferenza.
1882 (3 gennaio). Attività della Congregazione dell’Indice
La documentazione spedita da Spoleto arrivò a Roma. Il 3 gennaio del 1882 il Segretario della Sacra Congregazione dell’Indice, Padre Maestro Girolamo Pio Saccheri O.P. (1821-1889), scrisse al Barnabita Giuseppe Maria Granniello (1834-1896), consultore presso la succitata Congregazione, invitandolo a esaminare il Manuale della Sacra Famiglia. E chiese un parere scritto.
1882 (20 gennaio). Le considerazioni del Saccheri
Unitamente a ciò, il Padre Saccheri O.P. volle trasmettere (20 gennaio 1882) al Padre Granniello anche delle proprie considerazioni.
Il Saccheri esaminò il Manuale pei Sacerdoti Missionari della Sacra Famiglia, e annotò: «Quell’unire Gesù a Maria e molto più a San Giuseppe per “modum unius”, quasi sempre in tutte le orazioni non sembra da approvarsi, ed è alieno dallo spirito della Chiesa, che rende diversità di culto a Gesù Cristo, alla Beata Vergine Maria ed ai Santi».
Aggiunse ancora: «Si legge in onore di San Giuseppe una parodia dell’Avemaria: cosa che non si può permettere affatto».
E ancora: «Nella lode della Sacra Famiglia si dice:
Cantiamo, o fedeli,
L’augusta famiglia
Che in terra somiglia
La triade del Ciel.
Son concetti teologici?».
1882 (13 marzo). Il parere del Granniello
Nel frattempo, il Padre Granniello, per acquisire un quadro completo degli scritti provenienti da Spoleto, volle esaminare pure il Direttorio, il Catechismo Popolare e il testo delle Rivelazioni ricevute da Don Ludovico Pieri. Alla fine, dalla sua residenza (Collegio San Carlo ai Catinari, Roma), il consultore trasmise una relazione datata 13 marzo 1882. Lo scrivente ha ritrovato l’intero carteggio presso l’Archivio dell’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il Padre Granniello, fin dall’inizio volle puntualizzare che la materia in esame si presentava articolata perché coinvolgeva le competenze «delle Sacre Congregazioni della Suprema Inquisizione, de’ Vescovi e Regolari, de’ Sacri Riti e delle Indulgenze». Esaminò comunque in modo attento l’Opera della Sacra Famiglia di Spoleto cominciando a individuare le specifiche espressioni operative.
1) Indicò per prima la Società de’ Missionarii figli della Sacra Famiglia (1872, Spoleto, Bolla di approvazione dell’Arcivescovo Monsignor Cavallini). Vengono ricordate le indulgenze concesse da Pio IX, e una missione tenuta a Bari.
2) Viene poi menzionata l’Associazione delle famiglie cristiane consacrate alla Sacra Famiglia (Padre Francoz S.I., approvazione con Breve Apostolico del 1870). I commenti riguardanti l’Opera del Gesuita Francese risultano totalmente favorevoli.
In questo paragrafo il consultore afferma che l’avvicinamento nel 1876 dei Missionari di Spoleto all’iniziativa del Francoz, e la loro azione in Italia, avevano costituito – a suo parere – un fatto profondamente negativo.
Egli mostra di valutare in termini molto critici una serie di aggiunte apportate dai preti spoletini all’impostazione del Francoz. A esempio rammenta il fatto che i fedeli che conoscevano il latino dovevano assumere vari obblighi: ufficio della Beata Vergine, preghiere, meditazione, lettura spirituale, «ogni mese una certa promessa di castità».
Varie considerazioni sono poi trascritte riguardo alla promessa di ubbidienza e ai tre voti semplici. La promessa succitata era da ritenere, sottolinea il consultore, un semplice patto umano. Non poteva considerarsi un voto. L’uso della terminologia prescelta generava incertezza, alimentava confusione. Non era da approvare.
3) Al terzo punto è citata la Compagnia de’ Cooperatori della Sacra Famiglia. Tale fondazione è ritenuta dal censore un’ulteriore aggiunta (negativa) apportata dai Missionari di Spoleto all’Opera del Francoz. Egli la definisce «anello di congiunzione tra i Missionari e l’Associazione delle Famiglie».
I rilievi annotati dal Padre Granniello
Ciò premesso, il consultore annotò più rilievi. Qualche riferimento di merito può servire a far comprendere l’orientamento del revisore.
Nel Regolamento dei Missionari, stampato a Modena nel 1876, era scritto che quest’ultimi «pervenuti al campo destinato (per le missioni) si porteranno subito all’adorazione de’ Sacri tre Cuori nel tabernacolo dell’amore». Annotò il consultore: «Come se nell’Eucaristia ci fossero anche i Cuori della Beata Vergine e di San Giuseppe», rilevando inoltre il fatto che «la Santa Sede non ha ancora approvato il culto al Cuore di San Giuseppe».
Il Padre Granniello contestò poi la frase: «Questa mirabile triade terrena, immagine la più perfetta della triade divina».
Con riferimento al Manuale pei Sacerdoti Missionari della Sacra Famiglia, il consultore prende atto del Visto dell’Arcivescovo Cavallini (2 febbraio 1877), e ricorda che il testo venne stampato a Modena nel 1880. Al riguardo, il Padre Granniello sottolinea che l’Arcivescovo Pagliari si era lamentato presso la Santa Sede del fatto che la stampa del Manuale era stata realizzata in sua assenza e senza la sua approvazione.
Unitamente a ciò, la critica si amplia con riferimento a situazioni «confuse» che riguardavano il culto in alcuni casi al Sangue di Gesù Cristo, e in altri momenti al Suo Cuore, alla reliquia della Sacra Famiglia (di cui si sottolinea la non identificazione), a versetti devozionali. Nel revisore, inoltre, si rafforza la convinzione che «il Padre Francoz aveva trovato il modo di santificare le famiglie senza caricarle di nuove pratiche. All’incontro i Missionari di Spoleto con tanti obblighi che hanno inventato quasi le allontanano dalla Religione, sì i medici, gli avvocati, i magistrati diranno tutti i giorni l’ufficio della Madonna, faranno la meditazione, eccetera».
Non manca, poi, un riferimento a Don Pieri: «Il quinto punto degno di nota è l’allusione che talora si fa a certe rivelazioni».
Con riferimento al Regolamento dei Cooperatori si trova anche questa annotazione: «Trovo inoltre che il Direttore vende egli i registri per le parrocchie, i diplomi, le pagelle, le immagini, i quadri, i libri riguardanti l’associazione, eccetera. Veggo che si ricevono abbonamenti al Periodico anche per quattro o cinque anni, e si promettono premii e agli abbonati e a’ collettori». Questa frase e le seguenti fanno capire che il censore adombra (ma non lo dichiara) un movimento economico che disapprova.
E torna un dito puntato sulla figura del Pieri: «In fine vi ha un’allusione alle rivelazioni».
Con riferimento al Catechismo Popolare («Di alcuni brani del Catechismo sulla Sacra Famiglia») il Padre Granniello riporta risposte che disapprova. Un esempio:
«D. Nella grotta di Gesù v’era stato nessun altro?».
«R. Dicono tradizioni antiche Davide, Noè ed Abramo ci avevano cercato un ricovero; e c’era stato anche Set figlio di Adamo per pregarci».
Con riferimento alla Versione italiana del Direttorio del Padre Francoz fatta dal reverendo Parroco Bonilli, il consultore scrive: «Il traduttore vi ha posto in principio una lettera Al clero italiano, che corre dalla pagina XXV alla XXXV. Quasi alla prima pagina troviamo una specie di profezia: “Il nostro secolo, nefando per tanti titoli, rimarrà tuttavia celebrato pel culto della Sacra Famiglia che vedrà diffondersi su tutte le contrade dell’universo. Esso sarà testimone della venuta in ispirito di tre santissimi Personaggi Gesù, Maria e Giuseppe sulla terra, i quali schiuderanno un’epoca novella di prosperità e di pace, un’epoca feconda di uomini, tutti investiti dello spirito di Dio”».
Le succitate espressioni furono evidenziate in negativo dal consultore. Unitamente a ciò, il Padre Granniello volle annotare quanto segue: «Aggiungerò anche che il parroco Bonilli ha più luoghi interpolato lo scritto del Padre Francoz, senza avvertire punto che è il traduttore che parla, non già l’autore, e me ne sono accorto in qualche luogo perché ho veduto che si parla di Trevi. Così per esempio chi non ha letto il Manuale, crede che le canzoni che ho menzionato sopra sia del Padre Francoz, là dove sono del Bonilli».
I riferimenti del Padre Granniello al Pieri
Il consultore, già in precedenza aveva indicato in termini di disapprovazione alcune espressioni usate da Don Ludovico Pieri (e utilizzate dai suoi discepoli). Nella parte finale della sua relazione volle anche trattare «Delle Rivelazioni in quanto hanno relazione con gli scritti esaminati e co’ membri principali della Società della Sacra Famiglia». Padre Granniello aveva ricevuto gli scritti del Pieri e li aveva esaminati criticamente. Con riferimento a questo sacerdote, egli userà indicarlo solo attraverso le iniziali del nome e cognome. In merito scrive: «Una gran parte sono istruzioni morali, ascetiche e mistiche dirette a L. P. da Gesù Cristo, dalla Sacra Famiglia, dalla Santissima Trinità e talora da qualche Santo». La disapprovazione-chiave sarà quella di veder applicate le indicazioni del Pieri (trascritte per i figli spirituali) a momenti liturgici. E scriverà: «Il primo esempio ce lo fornisce la solennissima funzione della benedizione de’ fanciulli».
Annoterà ulteriormente: «Nelle rivelazioni è tutto minutamente divisato il loro regolamento per le missioni».
Per dimostrare l’influsso del Pieri sui giovani sacerdoti (Missionari della Sacra Famiglia), il Padre Granniello riporterà delle «rivelazioni» ove il Signore comunica le destinazioni dei singoli presbiteri (definiti «angeli»). Con riferimento al Bonilli si trova scritto: «Or nella rivelazione dell’8 febbraio 1873 il Signore disse: “L’Angelo di Cannaiolo non lasci il suo posto, giacché ivi l’ho collocato ed ivi lo voglio”».
1882 (gennaio). «L’Apostolo della Sacra Famiglia» è pubblicato in Francia
Nel contesto fin qui descritto, arrivò al Bonilli anche una notizia positiva. Il 31 gennaio del 1882, il Padre Francoz comunicò al fondatore che «L’Apostolo della Sacra Famiglia» era stato tradotto e pubblicato anche in Francia. Di ciò, il Gesuita ne aveva già informato il proprio superiore con lettera del 15 gennaio 1882.
1882 (16-27 marzo, 3 aprile). Decisioni della Congregazione dell’Indice
La Congregazione dell’Indice si mosse in più tempi. Il 16 marzo 1882 si svolse la «Congregatio preparatoria». L’orientamento emerso fu stampato il 27 dello stesso mese. Il 3 aprile del 1882 la «Congregatio generalis», sulla base del lavoro svolto in precedenza, decise di far ritirare dalla circolazione il Manuale dei Missionari della Sacra Famiglia, il Regolamento dei Cooperatori, e di togliere dal Direttorio del Padre Francoz, S.J., quanto era stato aggiunto dal Bonilli nella traduzione italiana. Non fu dichiarata alcuna condanna. Il fondatore ubbidì. Fece stralciare dal lavoro succitato l’introduzione che aveva scritto. In una lettera al Cardinale Gaetano Alimonda (1818-1891), datata 3 maggio 1882, il parroco di Cannaiola annotò: «Per quel che riguarda la mia prefazione al Direttorio, è presto anche rimediato; poiché fortunatamente incontrandosi in un foglio a sé, questo si può togliere, senza sconcio del resto del libro».
La vicenda descritta è significativa, perché indica un modo di pensare e di intervenire che caratterizzò gli anni in cui visse Don Pietro Bonilli. Tre figure si mossero secondo logiche rigorose: quella di Monsignor Pagliari, e quelle dei religiosi Saccheri e Granniello.
1) L’orientamento di Monsignor Pagliari si acuì – probabilmente – per una vicenda legata agli scritti di Don Ludovico Pieri.
Il Pagliari, a seguito di voci non favorevoli alla persona e all’operato del Pieri, appena quest’ultimo morì, ordinò il ritiro di tutti i suoi scritti. Ci furono delle resistenze. Stanislao, il nipote del Pieri (che svolgeva un ruolo di sacrestano) fu anche scomunicato. Quest’ultimo, per tale motivo, attraverso un procuratore, si rivolse alla Santa Sede. Vi furono diverse missive tra Spoleto e Roma (e viceversa).
Alla fine si arrivò a una ricomposizione della dolorosa vicenda ma l’episodio penalizzò fortemente i sacerdoti che erano stati diretti spiritualmente dal Pieri, tra i quali il Bonilli.
Forse, l’Arcivescovo si sentì «scavalcato» dalla capacità d’iniziativa dei Missionari (accolti con favore in più Diocesi), dalle intese da questi raggiunte e dai contatti intercorrenti con la stessa Santa Sede.
Forse, il Pagliari prestò eccessiva attenzione a persone che osservavano in modo critico il progressivo estendersi dei progetti bonilliani (tipografia inclusa).
2) Il lavoro dei Padri Saccheri e Granniello, preparatorio alla riunione della Congregazione dell’Indice, dimostrò severità e fu accolto solo in parte (ritiro di testi ma non condanne). Attenti alla linea dell’Ordinario di Spoleto, senza acquisire memorie difensive, questi religiosi non tennero conto di alcuni elementi-chiave. Tra questi: i benefici spirituali ottenuti dalla gente che viveva in ambienti rurali, la testimonianza di fedeltà alla Chiesa pur in presenza di gruppi anticlericali, la valorizzazione del laicato cattolico, la feconda intesa tra Chiese locali.
1883. Monsignor Pagliari sopprime la Società dei Missionari
Nel 1883, dopo le decisioni dell’Indice, Monsignor Pagliari adottò delle decisioni che riversarono effetti dolorosi anche sull’operato del Bonilli. In particolare:
– la Società dei Missionari della Sacra Famiglia venne soppressa nella forma delineata dall’atto costitutivo, e ricostituita su base esclusivamente diocesana;
– il periodico «L’apostolo della Sacra Famiglia» fu soppresso;
– al posto della pubblicazione succitata fu edito un nuovo periodico dal titolo: «La Sacra Famiglia» (15 luglio 1883);
– il nuovo periodico, strettamente controllato dal Pagliari, doveva servire per la riforma del clero, e per il rinnovamento della società travagliata dai moti suscitati contro la Chiesa da liberali e massoni.
Davanti a tale situazione, il Bonilli fece atto di ubbidienza. Accettò di restare nella rifondata Società dei Missionari, e di pubblicare «La Sacra Famiglia» (1884-1891). In questo periodico, dal 1886, fu inserito come supplemento il «Bollettino Nazareno» (1886-1888).
1884 (settembre). Il primo progetto assistenziale
Pur affrontando varie salite, il Bonilli rimase comunque convinto della necessità di andare avanti. Egli aveva da tempo diffuso la devozione alla Sacra Famiglia (ravvivando in tal modo la spiritualità di sacerdoti, religiose e laici), e aveva pure sostenuto la distribuzione della «buona stampa» (per migliorare la formazione religiosa dei fedeli). Adesso, era importante tradurre con gesti concreti, immediati, duraturi, quanto era stato predicato in parrocchia, nelle missioni, negli esercizi spirituali: la reale attenzione ai poveri, agli ultimi.
L’occasione si presentò quando ebbe notizia che un ragazzo (Luigino Plini), rimasto orfano dei genitori, affetto da scabbia, veniva schivato dalla gente e vagava in stato di abbandono. Situazioni di questo genere non erano infrequenti, e – talvolta – si erano concluse in modo tragico. A questo punto, il Bonilli fece la scelta di accogliere il malato e di curarlo (8 settembre 1884). Era pure affetto da sordità e ipovedente.
Unitamente a ciò, il fondatore informò i lettori del periodico «La Sacra Famiglia», di aver aperto a Cannaiola il «Piccolo Orfanotrofio Nazzareno» per l’educazione e l’assistenza dei fanciulli orfani e abbandonati. Si trattava di una casa con un podere attiguo. Nella mente del Bonilli, questa iniziativa si collegava idealmente anche a un fatto analogo. Pure il curato di Ars, Jean-Marie Baptiste Vianney (Santo; 1786-1859) aveva fondato un orfanotrofio denominato «La Provvidenza».
In tale contesto, un altro dato rimane significativo. In una lettera trasmessa al Bonaccia, il Bonilli informa che in quello stesso giorno (19 giugno 1884) sarebbe andato ad Assisi per ricevere delucidazioni riguardo le colonie agricole. Il suo interlocutore era il Padre Abate dei Benedettini.
1884 (dicembre). Le mormorazioni
Da una lettera di risposta del Bonilli a Don Bonaccia si legge che quest’ultimo aveva dato un suggerimento al parroco di Cannaiola in una precedente missiva: «Sfuggiamo la taccia di affaristi». Il fondatore replicò dicendo che tale indicazione gli rimaneva oscura. In effetti il Bonilli (ciò è documentato in precedenti scritti) versava in difficoltà economiche perché dall’attività tipografica provenivano problemi. In realtà, questo episodio, pur marginale, rimane storicamente significativo perché attesta che il Bonaccia doveva aver ascoltato a Spoleto voci non favorevoli al Bonilli. Tale fatto, mentre da una parte riconduce alle molte salite affrontate dal fondatore, dall’altra documenta un suo impegno notevole, capace di andare avanti pur in presenza di umiliazioni.
1885. Il pensiero sociale del Bonilli
Don Pietro Bonilli fu un uomo essenzialmente pratico. Per tale motivo, anche sul versante dell’impegno sociale, egli preferì costruire dei progetti concreti piuttosto che sviluppare pensieri teorici in testi dedicati alla questione contadina. Ne è prova il fatto che, scrivendo al Bonaccia, annotò quanto segue:
«Da qualche anno si viene agitando la cosiddetta questione agricola; certa gente che sembra spasimare per il bene del popolo, se ne è preoccupata: e veramente se le questioni si dovessero risolvere a forza di chiacchiere, di progetti, di studi, di stampe, di commissioni, seguite dagli indispensabili pranzi […], anche la questione agricola sarebbe stata risolta da un pezzo, i contadini si troverebbero ad essere in un paradiso terrestre; ma siccome per risolvere questioni di fatto come è appunto quella agricola, ci vogliono i fatti e non le parole, così fra tanti sproloqui e tanti solenni stampati… il contadino è rimasto sempre più povero e disperato di prima».
La visione sociale del fondatore si dimostra concreta, immediata, di largo respiro. Nello stesso 1885 scrisse sul numero di ottobre del periodico «Sacra Famiglia»:
«Sacra Famiglia per me indica: amore al prossimo, carità per il derelitto, sacrificio per l’orfano, zelo per la salute delle anime più abbandonate; per me Sacra Famiglia vuol dire civiltà, progresso, fratellanza universale, pace, felicità temporale ed eterna».
È un momento, comunque, non facile per il fondatore. Probabilmente, lo stesso Don Bonaccia è a conoscenza di «voci» non favorevoli al fondatore su aspetti socio-pastorali collegati all’attività pubblicistica. Lo si intuisce da un passo di una lettera del parroco di Cannaiola del 1885: «È un po’ curioso quello che mi dite del Giornale nostro, che ha più del profano che del sacro: non capisco dove stia questo profano: non mi diceste che non avesse tanto di sacrestia?».
1886. L’Opera delle Campagne
Il disegno sociale delineato dal Bonilli non si fermò – comunque – al solo «Piccolo Orfanotrofio Nazzareno». Egli volle andare oltre. Lo si capisce da un suo scritto pubblicato nel «Bollettino Nazzareno» del gennaio 1886. Per il fondatore era necessario «svolgere quei fatti che possono giovare alla cultura morale e industriale della classe agricola, parlare delle società operaie cattoliche tanto raccomandate dal nostro Santo Padre Leone XIII». In tale contesto, il parroco di Cannaiola, leggendo testi religiosi editi in Francia, fu colpito da un’iniziativa promossa a Fleury (3 aprile 1857) dall’abate Jean Marie Vandel (1809-1877). Si trattava dell’«Oeuvre des Campagnes». Tale progetto, ispirandosi a quanto realizzato in precedenza da San Giovanni Maria Vianney, mirava a favorire una formazione cristiana nelle contrade francesi utilizzando più mezzi. Attraverso l’azione di curati missionari, di istitutrici e delle comunità laicali, si dovevano edificare case e ricoveri per orfani, promuovere patronati per giovani, istituire società cattoliche operaie e di mutuo soccorso. Con riferimento a quest’Opera il Bonilli ne informò il Bonaccia.
«A momenti termino l’abbozzo dell’Opera della Sacra Famiglia a beneficio delle campagne. Non è altro se non l’estensione dell’istituto della Sacra Famiglia a maggiori vantaggi pel popolo di campagna. In questi giorni ho letto che appunto esiste in Francia l’Opera delle Campagne da circa 30 anni, che non ha altro scopo che quello che ho tracciato io. Vedremo quello che Dio vorrà. Intanto se mi riesce farò venire le stampe che ne parlano per avere maggiori lumi».
«Vi mando i fascicoli. Vi spedisco pure un abbozzo dell’opera che intitolerei della Sacra Famiglia a beneficio delle campagne. Desidero che la leggiate e vi facciate sopra le vostre osservazioni. Dopo la presenterò a Monsignor Arcivescovo. Ho scoperto che esiste in Francia da 30 anni e fa un bene immenso. Dovete notare che è uno statuto per Opera portata molto avanti nell’azione. Io mi contenterei di pur far qualcosa».
Il Bonilli, tradusse poi dal francese all’italiano Oeuvre des Campagnes, un testo di Vandel (edito in Francia nel 1864). Le prime copie uscirono nel 1888 con il titolo Guida del Buon Pastore. L’Opera delle Campagne fu approvata dall’Arcivescovo Pagliari con decreto del 14 gennaio 1886, e ottenne pure la benedizione di Leone XIII (19 febbraio 1886). Non riuscì, comunque, a oltrepassare i confini di Cannaiola, malgrado i tentativi del fondatore mirati a coinvolgere i «Curati e Parrochi di campagna».
1886 (novembre). Il gruppo scultoreo della Sacra Famiglia
Nel 1886, il Bonilli volle far scolpire a Lecce, nella bottega di Pasquale Conte, un gruppo scultoreo di tre statue di cartapesta colorata raffiguranti la Madonna, San Giuseppe e Gesù. Quest’ultimo, è rappresentato non in età infantile, come solitamente viene fatto, ma oltrepassata l’adolescenza. L’opera fu poi collocata nel presbiterio della chiesa parrocchiale di Cannaiola (14 novembre 1886), all’interno di una mostra d’altare lignea seicentesca. Fu presente alla cerimonia l’Arcivescovo di Spoleto. Tale fatto è storicamente significativo perché attesta una catechesi rivolta al popolo dal fondatore, anche attraverso delle espressioni artistiche.
1887 (maggio). Le bambine non-vedenti e sordomute
L’attenzione che era stata rivolta all’Opera delle Campagne, accentuò nel Bonilli la riflessione sulla condizione sociale degli emarginati del tempo. Il problema-base era quello di istituire centri di accoglienza permanente. L’urgenza era notevole. In quel momento, mancavano i presupposti organizzativi (finanziamenti, personale, strutture adeguate) per gestire più progetti. Si poteva, però, individuare almeno un aspetto nodale e affrontarlo con i pochi mezzi a disposizione. È in tale contesto che l’orientamento socio-assistenziale si indirizzò verso le bambine orfane, cieche e sordomute, considerate in famiglia «una disgrazia», una realtà «da nascondere». Nel 1887, dopo consultazioni e valutazioni, il «Piccolo Orfanotrofio Nazzareno» di Cannaiola fu trasformato (1° maggio) in «Orfanotrofio femminile». In prospettiva, il fondatore aveva in mente anche una Casa di Lavoro.
Alcune donne si presentarono per l’attività di assistenza. E già erano state individuate tre orfanelle. L’attivo parroco, per far conoscere questa nuova iniziativa, pubblicò «Il Bollettino Nazzareno» come supplemento a «La Sacra Famiglia». Le offerte dei fedeli, però, non coprivano i costi. Fu necessaria una questua di grano.
1888 (maggio). Nasce l’Istituto delle Suore della Sacra Famiglia
L’orfanotrofio «Nazzareno» necessitava, però, di una direzione e di personale qualificato. Per questo motivo, il Bonilli si rivolse alla Diocesi di Bergamo, dove c’era il Pio Istituto delle Suore e dei Fratelli della Sacra Famiglia (fondato nel 1862 dalla nobile Costanza Cerioli). La sua richiesta fu disattesa. Prese allora contatti con le Religiose della Sacra Famiglia di Modigliana (provincia di Forlì-Cesena). L’esito fu negativo. Decise, quindi, di auto-organizzarsi valorizzando l’apporto di alcune volontarie. Nasceva in tal modo l’Istituto delle Suore della Sacra Famiglia. II 13 maggio del 1888, data ufficiale di fondazione, l’Arcivescovo Pagliari si recò a Cannaiola, per consegnare di persona l’abito religioso alle prime quattro giovani. Altre vestizioni si realizzeranno nel 1889, 1890, 1893. L’impegno delle Suore, nel trascorrere del tempo, si dimostrò pluridirezionale: assistenza a malati (ospedali), a cieche e sordomute (istituti), a bambini (scuole d’infanzia), a parrocchiani (catechesi e altro)…
1888 (maggio). Manifestazione anticlericale a Spoleto
Sempre nel maggio del 1888 si svolse a Spoleto una manifestazione significativa, perché attesta la situazione politica di quel momento storico. Venne commemorata la figura del filosofo nolano Giordano Bruno (1548-1600). La manifestazione riunì quanti professavano un deciso anticlericalismo. Non mancarono accuse, rivendicazioni e invettive nei confronti degli ecclesiastici dell’Arcidiocesi. In tale contesto, può essere utile ricordare che in Umbria l’anticlericalismo emerse anche in ambito culinario. Ne sono esempio gli strangozzi o strozzapreti. Il nome deriva dalla somiglianza con le stringhe delle scarpe con le quali i rivoltosi umbri strangolavano, ai tempi del dominio dello Stato Pontificio, gli ecclesiastici di passaggio.
1888 (luglio). Premura per l’ospedale di Trevi
Nel frattempo, mentre nasceva l’Istituto delle Suore, il Bonilli intervenne pure per migliorare la situazione dell’ospedale di Trevi. In questo nosocomio il personale non era sempre qualificato, e occorreva una direzione valida per l’amministrazione. L’attività del fondatore, al riguardo, la si trova documentata in una lettera del 1888:
«Ora vi voglio dire d’una domanda che mi è stata fatta. L’ospedale di Trevi, dai tempi del nostro padre Don Lodovico, sapete bene che è un lupanare. I superiori ne sono ristucchi: vogliono rimediarci. Francesconi mi ha pregato di trovare una direttrice. Io sto facendo pratiche, ma però non si troverà persona adatta, che non sia dello spirito monacale. Così se la troverò, io procurerò che addivenga suora della Sacra Famiglia; così per nostro mezzo si toglieranno tanti scandali, così noi andremmo in quell’ospedale dove il nostro Padre stette tanti anni. È un’idea che mi seduce. Pregate che succeda quello che il Signore vorrà».
1888 (agosto). Il culto eucaristico
Con l’entusiasmo che segnava le sue iniziative, il Bonilli volle rafforzare nel proprio territorio anche il culto eucaristico. Per tale motivo, cominciò a pensare a un periodico mensile. Scrisse, al riguardo, a Don Paolo Bonaccia:
«Qui vi debbo pure annunciare che se l’Arcivescovo sarà contento, io sto disponendomi a pubblicare un altro piccolo periodico religioso. Per quanto abbia cercato, non ho trovato che vi sia un periodico sul Santissimo Sacramento. Ne ho interrogata la Civiltà Cattolica e anch’essa mi ha risposto che non è a sua cognizione che esista. Mi pare che nella colluvie di giornali, sia un peccato che non ci stia questo per la cosa più importante di nostra santa religione. In Francia esiste da tredici anni. Io dunque voglio tentarne la pubblicazione».
Il periodico uscì nel 1889. Ebbe per titolo «Il Tabernacolo dell’Amore» (1889-1899).
1889 (dicembre). La Società di Mutuo Soccorso
Nel dicembre del 1889, Don Pietro Bonilli, in una lettera al Bonaccia, annotò anche un tema che riguardava la costituzione di una Società di Mutuo Soccorso. Sul piano storico, questo documento è significativo perché attesta un’attenzione costante del fondatore verso la «questione sociale».
«Vi mando il Regolamento di Don Mariano per la Società di Mutuo Soccorso; dice che lo rivediate insieme con Don Giuseppe e facciate quelle osservazioni che credete. Lui dice che parte dell’introito si dovrà impiegar per l’orfanotrofio».
Anche in uno scritto di Don Eugenio Venturini (1834-1906) sono annotate delle indicazioni rilevanti:
«13. Il Mutuo Soccorso: ecco un’altra istituzione proficua, nel 18… sorta nel nostro paese, come quasi in tutti gli altri, proficua, perché è la cassa del giornaliero risparmio per trarre una sovvenzione nei bisogni più angosciosi e pressanti della vita, la malattia e la vecchiaia; proficua però in senso relativo, cioè per gli imprevidenti, che sono quasi tutti, poiché il pagamento della contribuzione settimanale deve essere certo, e il conseguimento della sovvenzione ruota nell’incertezza, ovvero potrebbe restringersi a una tenuità. La quale incertezza si convertirebbe in certezza per sé e i suoi, in ognuno, previdentemente, percependo il risparmio per proprio conto, esclusa l’associazione.
Ad ogni modo è a prevedersi che questa istituzione vada a rimanere soppiantata dalle nuove non locali ma nazionali, che sorgono con ben altri vantaggi.
Del resto questa associazione è amministrata da un presidente col suo consiglio direttivo, un segretario e un consigliere: il tutto in base dello Statuto Sociale.
Vi hanno due casse: pei sussidi all’infermità dei soci e per le pensioni alla loro vecchiezza».
1890 (maggio). Consacrazione delle Diocesi alla Sacra Famiglia
Nel 1890, il Bonilli fece pressioni su Don Paolo Bonaccia per non ritardare l’invio ai Vescovi di una circolare riguardante la consacrazione delle Diocesi alla Sacra Famiglia.
«Ora che sarete ritornato da Camerino, giacché mi si disse che andavate anche voi con Monsignor Arcivescovo, è tempo di non far passare nemmeno un giorno per fare la circolare ai Vescovi per la nota consacrazione da compiersi il 15 agosto. So che Monsignor Arcivescovo ne interpellò il Cardinale Laurenzi e questi gli disse che si poteva far benissimo la circolare, però che ogni Vescovo la compisse individualmente, senza nessun ordine che si fosse potuto impetrare da Roma. L’importante è che si faccia subito la circolare. Se avessimo da aspettare che la facesse Monsignor Arcivescovo non se ne farebbe niente; dunque fatela voi o a nome suo, o a nome della Società con la sua adesione. Si esponga che già son 30 i Vescovi già aderenti. Io l’aspetto dunque subito».
Si era comunque innestata una corrente ecclesiale favorevole che aveva coinvolto anche gli organismi curiali romani:
«Il movimento operatosi generalmente per onorare la Sacra Famiglia, ha fatto viva impressione in Roma e la Sacra Congregazione dei Riti ha deciso di esaminare questo soggetto per prendere quelle risoluzioni che crederà opportune. Tanto m’ha scritto il Padre Biaschelli, tanto pure ha pubblicato la Squilla, e così pure io noto nella Sacra Famiglia. Credo che da questo studio, verrà fuori una decisione la più onorifica per Gesù, Maria e Giuseppe. Però sarà bene pregare e far pregare le anime pie pel trionfo della Sacra Famiglia».
La situazione stava evolvendo in positivo. Lo conferma un’affermazione del Bonilli: «A proposito pare assicurato l’esito della Messa e dell’Ufficio della Sacra Famiglia. Biaschelli mi disse che gli inni erano stati commessi ad un prete di Viterbo. Che festa sarà quella quando escirà quel Decreto. Oh come il Paradiso risuonerà di cantici quel giorno, che potremo far noi sulla terra?».
1890 (ottobre). Il funerale di Pianciani a Spoleto. Celebrazione massonica
Nel 1890, a Spoleto, morì il conte Luigi Pianciani ex sindaco di Roma, membro della Massoneria. In quella occasione la rivista massonica dedicò molte pagine alla descrizione dettagliata dei funerali che si svolsero a Spoleto la mattina del 20 ottobre nella più fastosa ufficialità. La salma venne poi trasportata a Roma. Qui fu cremata la mattina seguente, e coperta dagli emblemi del Pianciani: la bandiera tricolore, la camicia rossa e la sciarpa massonica con le insegne del 33° grado del Rito Scozzese Antico e Accettato. Nel testamento olografo il conte spoletino lasciò scritto:
«Voglio che il mio cadavere sia cremato e le mie ceneri, prelevandone due ricordi, uno per Letizia, l’altro per Ines, riposte in un’urna e depositate nel sepolcro di mia proprietà, dove riposa la mia prima moglie Rosa, nel Campo Verano, unendovi nella parte posteriore del piccolo monumento le sole parole: Qui sono riposte le ceneri di Luigi Pianciani. Non voglio alla mia morte né funzioni religiose, né suoni di campane, né preti attorno al mio letto, queste sono sempre state le mie idee e voglio che siano osservate».
Le sue ceneri furono deposte nel sepolcro di famiglia, a Campo Verano. L’episodio è storicamente significativo perché attesta la presenza (e l’influsso) di massoni a Spoleto e nel circondario.
1891. Leone XII e la «Questione operaia»
Il 15 maggio del 1891, tenendo conto di quanto era già emerso in più Chiese locali (italiane ed estere), Leone XIII promulgò l’Enciclica Rerum Novarum (15 maggio 1891). Questo atto magisteriale ebbe il merito di dettare una linea di equilibrio in un periodo nel quale il mondo cattolico si orientava verso più opzioni. In presenza di un capitalismo segnato da posizioni di dominanza e di sfruttamento dei salariati, alcuni ritenevano possibile un cauto avvicinamento ad alcune realizzazioni del movimento socialista. In tal modo, si pensava di costruire risposte solidali e di fronteggiare l’ateismo marxista. Su altra linea si poneva chi auspicava un rafforzamento del progresso in generale, del commercio e della linea economica dettata dal principio del «laisser-faire» (liberismo puro). Non mancavano, poi, anche le voci di coloro che ritenevano ancora valida l’esperienza acquisita con le antiche corporazioni. In tale contesto, Leone XIII non sostenne la lotta di classe e non approvò neanche il dispotismo di posizioni padronali antistoriche. Condannò, piuttosto, ogni forma di sfruttamento, ricordò l’importanza di difendere i ceti più deboli, auspicò la nascita di associazioni formate da lavoratori (anche da proprietari e lavoratori), e benedisse le iniziative già realizzate dai Cattolici in ambito sociale. Si riportano, al riguardo, alcuni passaggi dell’Enciclica:
«33. Quanto alla tutela dei beni temporali ed esteriori prima di tutto è dovere sottrarre il povero operaio all’inumanità di avidi speculatori, che per guadagno abusano senza alcuna discrezione delle persone come fossero cose.
Non è giusto né umano esigere dall’uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da fiaccarne il corpo. Come la sua natura, così l’attività dell’uomo è limitata e circoscritta entro confini ben stabiliti, oltre i quali non può andare. L’esercizio e l’uso l’affina, a condizione però che di quando in quando venga sospeso, per dar luogo al riposo.
Non deve dunque il lavoro prolungarsi più di quanto lo comportino le forze. Il determinare la quantità del riposo dipende dalla qualità del lavoro, dalle circostanze di tempo e di luogo, dalla stessa complessione e sanità degli operai. Ad esempio, il lavoro dei minatori che estraggono dalla terra pietra, ferro, rame e altre materie nascoste nel sottosuolo, essendo più grave e nocivo alla salute, va compensato con una durata più breve.
Si deve avere ancor riguardo alle stagioni, perché non di rado un lavoro, facilmente sopportabile in una stagione, è in un’altra o del tutto insopportabile o tale che si sopporta con difficoltà.
Infine, un lavoro proporzionato all’uomo alto e robusto, non è ragionevole che s’imponga a una donna o a un fanciullo. Anzi, quanto ai fanciulli, si badi a non ammetterli nelle officine prima che l’età ne abbia sufficientemente sviluppate le forze fisiche, intellettuali e morali.
Le forze, che nella puerizia sbocciano simili all’erba in fiore, un movimento precoce le sciupa, e allora si rende impossibile la stessa educazione dei fanciulli.
Così, certe specie di lavoro non si addicono alle donne, fatte da natura per í lavori domestici, i quali grandemente proteggono l’onestà del sesso debole, e hanno naturale corrispondenza con l’educazione dei figli e il benessere della casa.
In generale si tenga questa regola, che la quantità del riposo necessario all’operaio deve essere proporzionata alla quantità delle forze consumate nel lavoro, perché le forze consumate con l’uso debbono venire riparate col riposo.
In ogni convenzione stipulata tra padroni e operai vi è sempre la condizione o espressa o sottintesa dell’uno e dell’altro riposo; un patto contrario sarebbe immorale, non essendo lecito a nessuno chiedere o permettere la violazione dei doveri che lo stringono a Dio e a se stesso».
«36. Finalmente, a dirimere la questione operaia possono contribuire molto i capitalisti e gli operai medesimi con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi e ad avvicinare e unire le due classi tra loro.
Tali sono le società di mutuo soccorso; le molteplici assicurazioni private destinate a prendersi cura dell’operaio, della vedova, dei figli orfani, nei casi d’improvvisi infortuni, d’infermità, o di altro umano accidente; i patronati per i fanciulli d’ambo i sessi, per la gioventù e per gli adulti.
Tengono però il primo posto le corporazioni di arti e mestieri che nel loro complesso contengono quasi tutte le altre istituzioni.
Evidentissimi furono presso i nostri antenati i vantaggi di tali corporazioni, e non solo a pro degli artieri, ma come attestano documenti in gran numero, ad onore e perfezionamento delle arti medesime.
I progressi della cultura, le nuove abitudini e i cresciuti bisogni della vita esigono che queste corporazioni si adattino alle condizioni attuali. Vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni di questo genere, sia di soli operai sia miste di operai e padroni, ed è desiderabile che crescano di numero e di operosità.
Sebbene ne abbiamo parlato più volte, ci piace ritornarvi sopra per mostrarne l’opportunità, la legittimità, la forma del loro ordinamento e la loro azione».
1892 (giugno). Leone XIII e la Sacra Famiglia
Il 14 giugno del 1892, Leone XIII, con il Breve Neminem fugit (A nessuno sfugge), eresse canonicamente la «Pia Associazione Universale delle famiglie consacrate alla Sacra Famiglia di Nazaret». Si volle così promuovere la consacrazione delle famiglie alla Sacra Famiglia e un coordinamento delle associazioni esistenti. In merito, il Pontefice ricordò la storia del culto, e fece un esplicito riferimento all’opera svolta a Lione dal religioso gesuita Padre Francesco Filippo Francoz. Con il Breve fu pubblicato lo Statuto preparato dalla Sacra Congregazione dei Riti. La Pia Associazione ebbe il suo centro in Roma «presso l’Eminentissimo Cardinale Vicario “pro tempore” di Sua Santità». Quest’ultimo ne divenne il Protettore. Doveva inoltre dirigere il nuovo organismo a livello internazionale, coadiuvato dal Segretario della Congregazione dei Riti, da due prelati di sua scelta, e da un ecclesiastico con funzioni di Segretario. In ogni Diocesi, l’Ordinario, per meglio promuovere la Pia Associazione, aveva l’obbligo di nominare un direttore. Spettava ai direttori diocesani il compito di mantenere un collegamento con i parroci. La consacrazione delle famiglie seguiva la formula approvata da Leone XIII, e un’immagine della Sacra Famiglia era da collocare in famiglia.
1893. Istituita la Festa della Sacra Famiglia
L’8 gennaio del 1893, il Cardinale Vicario per Roma, Lucido Maria Parocchi (1833-1903), pubblicò, su direttiva pontificia, le regole che dovevano essere seguite dalle associazioni che promuovevano il culto alla Sacra Famiglia. Lo stesso Papa compose tre inni in onore di Gesù, Maria e Giuseppe. Il 14 giugno del medesimo anno, la Sacra Congregazione dei Riti concesse, con decreto, l’Ufficio proprio e la Messa propria della Sacra Famiglia (data: terza domenica dopo l’Epifania).
1893. Ricovero per cieche e sordomute
Il 7 maggio 1893 (domenica), il Bonilli aprì a Cannaiola il Ricovero per le fanciulle cieche e sordomute. L’Opera fu diretta dalle sue Suore, e venne preceduta dall’invio di una lettera che il Bonilli indirizzò ai sindaci dell’Umbria. Nel testo si chiedeva di segnalare le situazioni riguardanti fanciulle cieche. Unitamente a ciò, la missiva conteneva un appello alla corresponsabilità anche sul piano economico. Le risposte riguardarono, in realtà, le sordomute. Nello stesso anno uscirono i primi numeri del periodico mensile «La Famiglia Cattolica» (1893-1901).
1894. Nuova soppressione dei Missionari
Nel 1894, la Società dei Missionari della Sacra Famiglia venne nuovamente soppressa. Secondo il pensiero dell’Arcivescovo di Spoleto, i compiti di tale organismo erano stati di fatto assorbiti dal «Centro Universale delle Associazioni delle Famiglie Consacrate alla Sacra Famiglia» (voluto da Leone XIII).
1894. Le Suore in Sicilia
L’azione assistenziale delle Suore della Sacra Famiglia trovò un ambito operativo anche in Sicilia. Nel 1894 cominciarono a operare ad Agira (Enna) seguendo malati, anziani e orfani. In seguito, le Religiose si insediarono a Piazza Armerina (1898; ospedale), a Niscemi (1901, ospedale). Tale dinamica è rilevante perché attesta che le interazioni del Bonilli si stavano estendendo a largo raggio, e che avevano trovato interlocutori molto interessati alla sua Opera. Inoltre, la scelta di un ospedale come ambito lavorativo assume un particolare significato se si considerano le condizioni del tempo e le mentalità dominanti.
A fine Ottocento, gli ospedali erano classificati come «opere pie». Fruivano di qualche sussidio pubblico (precario). Tali strutture, però, per necessità molteplici, erano sostenute anche dalla carità della gente, e dalla dedizione volontaria di persone generose. Tra queste, le più affidabili e richieste erano le suore.
Esistevano, poi, anche dei pregiudizi legati al ricovero ospedaliero. Oltre che luogo di sofferenza, il nosocomio era ritenuto un ambiente che imprimeva una specie di triste nomea a quanti vi ricorrevano. «Finire in ospedale», infatti, significava essere identificati come gente povera, impossibilitata a curare a casa il proprio congiunto (con medici e medicine) per mancanza di soldi.
Le situazioni che si creavano erano diverse. Chi pagava un’assistenza privata (affrontando alti oneri con successivi squilibri economici famigliari). Chi non si curava (seguendo un certo fatalismo). Chi si affidava alla «scienza» o «magia» popolare.
La situazione descritta si complicava, poi, anche per due motivi. Un uomo che aveva subito un ricovero ospedaliero non era poi ritenuto affidabile per nuovi lavori. Le ragazze, infine, rischiavano di essere «etichettate» come malaticce e ciò ostacolava il cammino verso il matrimonio.