Le società segrete in Italia
Un intreccio di poliziotti, spie e
cospiratori caratterizza il panorama politico e sociale
italiano della prima metà dell’Ottocento
Il Congresso di Vienna è terminato e l’Europa sembra poter godere di un lungo periodo di serenità e di pace, ma è solo una facciata. In Italia (e non solo) cominciano a nascere fermenti di indipendenza, dapprima in sordina, che però col passare del tempo si fanno sempre più chiari e più decisi. Gli anni che vanno dal 1815 al 1870 (ma si potrebbe prolungare fino al 1918) segnano l’arco di tempo in cui è racchiuso il Risorgimento Italiano, ovvero quel movimento che, tra slanci di idealità e brusche frenate, condurrà la Penisola all’indipendenza ed all’unità. È comunque bene tener presente che questo Risorgimento è un fenomeno culturale e spirituale avanti e più che politico-militare e territoriale: ciò che risorge non è infatti lo stato unitario italiano (che, come tale, non è mai esistito); è il sentirsi e realizzarsi «nazione», sulla base di una certa civiltà che si prende coscienza di possedere come popolo. È Mazzini che porta questi concetti alla maturazione, mentre la politica di Vittorio Emanuele II, l’abilità diplomatica di Cavour e l’intraprendenza militare di Garibaldi ne consentono la realizzazione. Essi sono però soltanto gli eredi e gli interpreti di tanti altri studiosi ed eroi nascosti, che una migliore comprensione del Risorgimento dovrebbe esaltare al pari dei «grandi».
In tutti gli stati italiani, la polizia vigila. Ma, se i Sovrani dell’Antico Regime sono tornati al proprio posto ed hanno ristabilito l’ordine, sotto la cenere cova comunque un desiderio di libertà: i princípi che si sono affermati con la Rivoluzione Francese sono considerati indispensabili per la costituzione di uno stato in cui siano rispettati i diritti di ogni cittadino. Molti nobili, molti intellettuali, molti scrittori cominciano a sognare il momento in cui da tutti questi stati sorgerà una nazione sola. Nascono così i complotti, le rivolte, fioriscono ovunque circoli di «patrioti» disposti a rischiare la vita per combattere il dispotismo che domina sul Paese. La polizia risponde sguinzagliando spie, tendendo gli orecchi, facendo arrestare coloro che sognano la libertà e che da questo momento si chiameranno «liberali».
In Italia solo il Regno di Sardegna si può dire veramente indipendente: il Lombardo-Veneto fa parte dell’Impero Austriaco e gli altri stati sono indirettamente sotto il vigile controllo dell’Austria. L’Imperatore Francesco II, per impedire agli Italiani di esprimere apertamente l’amore per la propria patria e il desiderio di vederla libera e indipendente, abolisce persino la libertà di stampa e di riunione.
Dopo i moti del 1820 e del 1821, sull’esempio dell’Austria, si moltiplicano le misure di polizia. A Parma e Piacenza Maria Luisa fa compiere parecchi arresti, ma nel 1825 mette tutti in libertà, purché lascino il Paese. A Modena Francesco IV istituisce un tribunale speciale, che condanna a morte nove persone: però viene giustiziato solo il sacerdote Giuseppe Andreoli. Gli esuli si rifugiano soprattutto in Toscana, dove si gode di maggiore libertà, e si inseriscono nei circoli di Gino Capponi e del Ginevrino Gian Pietro Viesseux: questi fonda nel 1821 l’«Antologia» e nel 1827 il «Giornale dell’Agricoltura». Si forma anche un circolo pedagogico di cui fanno parte Cosimo Ridolfi, Bettino Ricasoli, Ubaldino Peruzzi e l’Abate Raffaele Lambruschini. Centro del Risorgimento è, prima del 1848, la Toscana.
Gli stati della Penisola cominciano a pullulare di «società segrete»: gruppi di persone che si riuniscono in case private, in cantine, e che sono legati fra di loro dal segreto; i membri di queste società si trincerano dietro un muro di mistero, si danno nomi convenzionali, si organizzano secondo un complesso cerimoniale. La società segreta è in questo periodo sia una necessità, sia una moda: una necessità perché solo in segreto si può parlare senza pericolo di politica e di libertà; e una moda perché non tutte le società che sorgono in questi anni hanno fini patriottici: in queste società militano anche spie, avventurieri ed individui che fanno il doppio gioco, e molti aderenti sperano solo di fare una carriera più rapida o di procacciarsi amicizie importanti.
Le società segrete o non sono legate fra di loro, o hanno legami molto deboli: ciascun circolo si differenzia dagli altri. Nel Settentrione nascono l’Adelfia (composta in prevalenza da ufficiali, da gente della buona borghesia e da ricchi provinciali), la società dei Raggi (fondata già nel 1794) e quella dei Federati.
La più nota fra le società segrete è la Carboneria, poco diffusa al Nord, alla quale aderiscono soprattutto ufficiali dell’esercito, alti funzionari statali e uomini di cultura: essa deriva probabilmente dalla Carboneria francese (alla fine del XIV secolo, molti Francesi, per sfuggire al governo tirannico della Regina Isabella, avevano abbandonato le città e si erano nascosti nelle foreste del Giura e delle Alpi. Al momento di decidere di costituire una società segreta per combattere contro il dispotismo regio, avevano scelto il nome «Carboneria» perché, per vivere, essi vendevano il carbone che ottenevano con la legna ricavata dalla foresta. Quando, secoli dopo, alcuni Francesi fondarono una società segreta per combattere la prepotenza di Napoleone Bonaparte, la chiamarono anch’essi «Carboneria»: la loro società aveva infatti il medesimo scopo di quella sorta al tempo della Regina Isabella, ovvero quello di lottare contro le Monarchie assolute). Il nome «Carboneria» si riferisce anche al gergo simbolico usato dai membri quando parlano o scrivono, per non essere scoperti – i luoghi di riunione vengono chiamati «vendite», l’Italia è la «selva», i poliziotti e gli Austriaci sono «lupi», i soci sono «buoni cugini», le donne carbonare sono chiamate «cugine giardiniere» (si occupano di soccorrere i Carbonari feriti e di aiutare quelli poveri); si parla di «boschi», «asce», «fornelli». Se un Carbonaio vuol dire: «Bisogna liberare l’Italia dai tiranni», si deve esprimere in questi termini: «Bisogna liberare la selva dai lupi»; mentre «suonare a piena orchestra» significa «far scoppiare un’insurrezione generale». Per riconoscersi quando s’incontrano, i Carbonari usano segni particolari: se stanno fumando, soffiano tre fumate consecutive, due a destra ed una a sinistra; oppure si riconoscono dal modo in cui si tolgono il cappello o battono in terra il bastone. Nonostante le «vendite» di una regione dipendano da una «vendita centrale», chiamata «alta vendita», esse non sono rigidamente coordinate, essendo l’origine di ciascuna frutto dell’iniziativa di qualche socio.
Solitamente le riunioni dei Carbonari si tengono in una grande sala; su di una parete v’è un quadro raffigurante San Teobaldo, scelto come protettore della società perché era stato carbonaio. Le riunioni sono presiedute dal capo del gruppo, il quale siede sul fondo della sala; lungo le pareti laterali, su più file di panche, stanno gli altri appartenenti alla società.
Riunione di Carbonari italiani
Chi vuole iscriversi alla Carboneria deve sottoporsi ad una cerimonia speciale: inginocchiato con la gamba sinistra e rivolgendo un pugnale verso il cuore, deve prestare questo solenne giuramento: «Giuro e prometto su questo pugnale, punitore degli spergiuri, di custodire gelosamente tutti i segreti della Carboneria, di non scrivere, incidere o disegnare cosa alcuna, senza averne ottenuto il permesso per iscritto dall’Alta Vendita. Giuro di soccorrere i miei Buoni cugini per quanto comportano le mie facoltà e di non attentare all’onore delle loro famiglie. Se divenuto spergiuro, sono contento che il mio corpo venga fatto a pezzi, indi bruciato e le mie ceneri sparse al vento, affinché il mio nome sia esecrato da tutti i miei Buoni cugini sparsi sulla terra. Così Dio mi aiuti». A questo punto, otto «buoni cugini» lo attorniano brandendo un pugnale in atto minaccioso. Il capo del gruppo esclama: «Tutti questi pugnali saranno in tua difesa in ogni momento, se osserverai la santità del giuramento prestato; saranno invece a tuo danno se diventerai spergiuro. La pena del traditore è la morte!». Infine, il capo lo abbraccia e lo nomina Carbonaro: subito l’iscritto deve procurarsi un fucile, una baionetta e 25 cartucce.
Tra i moltissimi Carbonari, ricordiamo Santorre di Santarosa, Silvio Pellico (che ci ha lasciato nel libro Le mie prigioni una testimonianza importante delle dure pene che i Carbonari hanno dovuto soffrire da parte dei Governi oppressori), Vincenzo Gioberti, Goffredo Mameli (autore del nostro Inno Nazionale), Giovanni Berchet, Federico Confalonieri, Ugo Foscolo, Luigi Settembrini, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi. La Carboneria ha iscritti dappertutto: in Sicilia, in Lombardia, a Genova e a Napoli. Lo storico Pietro Colletta ci informa che nel Regno delle Due Sicilie i Carbonari sono già 642.000 nel 1820; dieci anni più tardi, oltre 800.000 Italiani sono iscritti alla Carboneria.
A dispetto di queste cifre, tutti i moti della Carboneria hanno esito infelice: falliscono le insurrezioni del 1821 a Torino e Napoli, così come quelle del 1831 a Modena e Bologna. Per liberare l’Italia dalla tirannia dell’Austria ci vuole ben altro che le forze scarse e malamente organizzate di cui dispongono i Carbonari. Oltretutto, a loro manca anche l’appoggio del popolo, che li guarda con disprezzo e con sospetto: quando giungerà il momento di agire e di prendere posizione, molti dell’Adelfia o della Carboneria si dilegueranno per non correre pericolo. Già in questo periodo si avverte una linea netta nel nostro Risorgimento: da una parte il popolo indifferente e disilluso di tutti, il «grande assente» del Risorgimento, dall’altra il ceto intellettuale che porterà avanti la lotta fino alla completa indipendenza della nazione.