Un Risorgimento da riscrivere
Questioni complesse poco trattate dagli
storici
C’è un grande personaggio appartenuto alla nomenclatura inglese, Sir Holland, che durante il soggiorno romano della madre di Napoleone I, Letizia Ramolino, la visitò qui ripetutamente.
Sir Holland per un certo periodo risiedette anche in Firenze, poi in Inghilterra fondò un circolo culturale conosciuto come Holland House, luogo visitato da intellettuali e dissidenti, provenienti da tutto mondo.
Lord Holland era un «whig», uomo che sostenne la lotta internazionale contro la schiavitù. Credette e si batté per un futuro lontano dai valori dell’antico regime. Si spese inesorabilmente in Patria e fuori per il liberismo economico e politico.
Lo storico romano Diego Angeli, fiorentino d’origine e con legami familiari stretti con l’antica madrepatria, Lucca, mise in evidenza in una sua pubblicazione proprio questo particolare legame di Lord Holland con Letizia Ramolino.
La madre di Napoleone cercò verosimilmente, come ricorda lo stesso Angeli, in un primo momento di sostenere una fuga del figlio ex Imperatore dal luogo di prigionia, Sant’Elena, dove morì nel 1821.
Successivamente Letizia Ramolino si spese a favore di alcuni suoi congiunti che avevano abbracciato i valori mazziniani, nella lotta risorgimentale, col duplice scopo di risollevare la Penisola e ritagliarsi uno spazio in Europa.
Chi avrebbero potuto essere i referenti di Lord Holland, della famiglia Bonaparte?
Due nomi su tutti spiccano in quegli anni: Carlo Luciano Bonaparte, scienziato e uomo politico, figlio di Luciano Bonaparte, uno dei fratelli di Napoleone; e Luigi Napoleone Bonaparte, anche lui figlio di un fratello dell’ex Imperatore Francese, Luigi, e futuro Napoleone III.
Entrambi patrioti, ebbero una certa sintonia col Duca Carlo Ludovico di Borbone, che li ospitò segretamente nel suo Ducato, Lucca, nel 1834 e poi nel 1837, quando erano dei ricercati mazziniani.
C’è una prova inconfutabile che lega Lord Holland a questi personaggi: i suoi legami con l’avvocato Giuseppe Binda. Quest’ultimo, nato a Lucca, a lungo agente murattiano, poi uomo di fiducia in Holland House dal 1815 al 1817. L’ex agente di origini lucchesi, che qualche anno dopo divenne cittadino statunitense col nome di Joseph Agamennon Binda, non fu solo dal 1815 al 1817 il Segretario personale di Lord Holland in Londra e curatore della sua biblioteca in Holland House. ma certamente valido sostegno per i nascenti «whig» inglesi.
Nel 1817, infatti, senza dare particolari spiegazioni, Giuseppe Binda si trasferì da Londra a New York. Ce lo racconta l’avvocato John Whishow, in amicizia con Lord Holland.
Whishow era un potente avvocato inglese, anche lui di posizioni «whigt», apparentemente incapace di dare valide spiegazioni sull’allontanamento di Giuseppe Binda da Londra. Questa sua particolare reticenza (si frequentavano e conoscevano molto bene questi due personaggi) ci mette nella condizione di pensare non solo che Whishow bene avesse compreso le reali motivazioni della «fuga» del celebre ex agente dalla «perfida Albione» ma di assecondare egli stesso questo allontanamento.
Whishow disse che Binda si era recato a New York perché qui aveva trovato da migliorare la sua condizione economica ampliando il suo mestiere di collezionista d’arte. Pur tuttavia questa sua spiegazione viene lasciata piuttosto nel vago, eppure Whishow conosceva vita, morte e miracoli di tutti in Londra.
Ciò che sconvolge però è che Giuseppe Binda a New York agganciò proprio quegli eminenti «liberal» americani che tanto erano legati a Lord Holland e ai nascenti «whig» inglesi, di cui John Whishow non parla.
Giuseppe Binda arrivò addirittura a sposare, lui che in apparenza non era nessuno, la figlia del potentissimo Generale Sumter, la cui famiglia spadroneggiava nel Parlamento Americano a partire dalla Guerra d’Indipendenza.
Joseph Binda sostenne poi da New York, e ciò con prove documentarie ben precise, intorno al 1830, alcuni patrioti italiani risorgimentali che erano legati agli ambienti mazziniani e in particolare a quegli stessi ambienti che vedevano un Giuseppe Garibaldi, allora presente in New York, in prima fila (penso al Generale Avezzano che qualche anno dopo aiutò nella fuga verso Mazzini durante la Repubblica Romana proprio in Italia). E tutti conosciamo i rapporti importanti intercorsi tra Avezzano e Garibaldi.
Tra i suoi referenti, in quel 1830 alcuni nomi sono molto noti: Michele Carducci, il padre del futuro poeta Giosuè; il conte Bichi, senese; Gherardi Angiolini, legato a quel plenipotenziario Giuseppe Angiolini di Pietrasanta amico personale di Giuseppe Bonaparte, ex Sovrano Napoletano e fratello maggiore dell’ex Imperatore Francese, che fra l’altro proprio in quegli anni dimorava negli Stati Uniti.
Dunque il tutto accadeva quando il grande Lord Holland si spendeva in ripetute visite a Roma, presso la madre dei Bonaparte, donna Letizia; ossia fino al 1836, anno della morte della stessa nobildonna, proprio in Roma.
Non credo ci voglia molta fantasia per comprendere il messaggio di tali peregrinazioni.
Giuseppe Binda palesemente non fu mai davvero lontano da Lord Holland, anche quando dimorava negli Stati Uniti e qui ottenne la cittadinanza americana.
Per l’occasione il Governo degli Stati Uniti nella persona del Presidente Buchanan si fece suo portavoce (il cognato di Binda era un potentissimo senatore) e lo inviò come Console onorario a Livorno intorno al 1840.
Livorno era la piazza essenziale del Risorgimento Italiano. Primo porto della Penisola ad aprirsi ai traffici Americani (e aggiungerei assolutamente nutriti i traffici inglesi), Livorno vedeva al suo interno una vasta comunità ebrea, anglicana, e americana.
Era in Livorno che Carlo Ludovico di Borbone si dirigeva costantemente nei suoi contatti sia con i Protestanti che con gli Ebrei.
A Livorno transitarono importantissimi Inglesi «whig». Sempre da Livorno tutti i patrioti diretti sia nella vicina Corsica che nel resto del Mediterraneo dovevano passare. Tra questi i celebri fratelli Fabrizi, diretti a Malta, dopo essere a loro volta transitati in Lucca, loro patria «originaria» (nativa la famiglia di Sassi Eglio e con loro cugini patrioti residenti proprio nel contado lucchese).
Giuseppe Binda si spese inequivocabilmente per difendere, in qualità di Console Statunitense, questi patrioti, difesi soprattutto nel 1848, al momento delle travagliate vicende rivoluzionarie europee, come appare dai documenti.
E poco importa se successivamente cadde in disgrazia in Italia, non così negli Stati Uniti e in Europa. Tant’è che il Presidente degli Stati Uniti lo difese fino all’ultimo dalle accuse di doppio gioco rivoltegli in relazione alla dinastia sabauda (pare avesse dato sostegno agli Asburgo Lorena, ma la cosa deve essere ancora provata storicamente perché anche all’epoca apparve dubbia).
È del tutto evidente che la Restaurazione Italiana era davvero vicina alla sua piena realizzazione, molto più di quanto gli storici hanno voluto mettere in evidenza fin qui, a partire dal Primo Risorgimento.
L’avvento al potere della Regina Vittoria nel 1837 poteva fare la differenza. La Chiesa Romana si apprestava in quegli anni a un avvicinamento al Protestantesimo e all’Anglicanesimo in specifico, cosa che non si realizzò, ritengo, quando la Regina Vittoria si trovò costretta a spostare le sue mire nel Mediterraneo Orientale anziché Occidentale, per i nutriti cambiamenti interni al Mediterraneo stesso.
Infatti dopo il 1840 ci furono cambiamenti così radicali da costringere l’Inghilterra ad abbandonare le Isole Ionie al loro destino. Gli Inglesi non sostennero più su quelle Isole il loro Protettorato. E, ritengo, non sostennero più sufficientemente neppure i vari Sovrani della Penisola Italiana che di casata non facevano Asburgo, come accadde viceversa fino al 1840, prima fra tutte la Casata Borbonica.
Fu solo a questo punto che rimasero in campo esclusivamente i Savoia e i Napoleonidi, ammirati ma nel contempo monitorati dalla Corte Inglese.
I Savoia mantennero come loro prioritario obiettivo politico la formazione di un forte Stato Sabaudo nel Nord Italia, senza trascurare mai la realizzazione di una possibile confederazione di Stati Italici, magari sotto l’egida pontificia.
Leggerei lo stesso 1848 in questa chiave politica. Se Carlo Alberto rimase da solo a combattere la sua battaglia una ragione politica incontrovertibile c’era, e non solo la sua miopia, come qualcuno ha «così sapientemente» sempre voluto rimarcare.
Il mio non vuole assolutamente essere un giudizio politico, bensì un modo per rileggere da un’angolazione diversa, magari più defilata, il nostro Risorgimento.
Ci siamo soffermati troppo sul decennio preparatorio di matrice cavouriana, senza voler approfondire le prerogative politiche di chi fino al 1850 aveva davvero costituito una possibilità politica autentica per il nostro Paese, e non solo ideale ma assolutamente fattuale. Non vorrei scriverlo, ma qualche volta siamo stati cattivi profeti in Patria.