Paolo Fabrizi, un «medico senza frontiere»
Fratello del più celebre Nicola, Paolo
Fabrizi fu un «gregario» patriota e scienziato, una figura
davvero speciale
Desidero mettere in evidenza la figura di Paolo Fabrizi, di cui davvero la storiografia si è occupata in modo marginale, sia in veste di patriota che di scienziato.
I quattro fratelli Fabrizi da Modena furono tra i più stretti collaboratori di Giuseppe Mazzini, anche se si smarcarono dal Maestro per le direttive unitarie, che condividevano ma non a patto di sacrificare la possibilità di cacciare a breve lo straniero, cosa che la politica mazziniana, più attendista, poteva inficiare. In particolare i quattro fratelli sacrificarono la pregiudiziale repubblicana, assolutamente condivisa con Giuseppe Mazzini, per consentire a più breve termine una unità monarchica costituzionale, cosa che si verificò in Italia nel 1861.
Nicola, il maggiore, era avvocato; Pietro, uomo d’affari in Malta; Luigi, il più «scavezzacollo», non volle studiare e davvero fu un po’ gregario ed un po’ coinvolto in vicende familiari difficoltose; Paolo, il medico scienziato, seppe brevettare dei macchinari clinici innovativi per quei tempi ed essere al contempo un attivissimo patriota.
Quest’ultimo nacque a Modena nel 1805 dall’avvocato Ambrogio, garfagnino di origine, e da Barbara Piretti, una nobildonna bolognese. Come i fratelli Nicola, Luigi e Carlo fu un politico di razza ma, quasi sempre visto in relazione all’opera del fratello maggiore, Nicola, più conosciuto, non ha ricevuto, ritengo, sufficienti manifestazioni di stima. Se vogliamo descrivere in maniera succinta una sua biografia possiamo mettere in evidenza che egli compì i primi studi nel locale collegio di «San Giovanni», passando poi a Pisa nel 1826 per frequentare i corsi di medicina. Sin da giovanissimo Paolo Fabrizi intese il compito del medico come principalmente rivolto al miglioramento delle tecniche operatorie e inserito in un programma di polizia sanitaria dai contenuti sociali. Quando arrivò a laurearsi in medicina, nel 1828, già da un anno aveva pubblicato una sua nuova tecnica perfezionata della miringotomia. Lavorò al «Santo Spirito» a Roma, facendo pratica ospedaliera, e successivamente a Napoli. Viaggiò molto in quel periodo per ragioni di studio: Bologna, Parigi, Milano. Al suo ritorno a Modena, poiché in passato era stato legato ad Enrico Misley e conosceva sicuramente i suoi intenti insurrezionali, divenne uno dei personaggi di punta della rivoluzione modenese del 1831: organizzò infatti la guardia nazionale mobile, in cui ebbe il grado di capitano e, richiamato in servizio, si prodigò condividendo la resistenza dello Zucchi che capitolò costringendolo, raggiunta Ancona, ad imbarcarsi per Corfù. Si sentì in quel momento giudicato dai commilitoni per aver troppo velocemente abbandonato la scena. In verità qualche tempo dopo, il 6 giugno 1837, fu ritenuto colpevole di usurpazione e condannato alla pena dell’impiccagione. Un suo viaggio lo portò a Marsiglia, che doveva essere una méta intermedia, e che invece si rivelò una dimora ospitale.
Fondamentale il viaggio che nel 1839, su invito del fratello Nicola, egli fece a Londra per comunicare con Giuseppe Mazzini le ragioni che avevano costituito il punto di forza per la creazione della Legione Italica.
Base operativa dei fratelli Fabrizi in quegli anni era l’isola di Malta dove Pietro si era trasferito in pianta stabile come commerciante. Nonostante la rottura con Mazzini, i rapporti tra Malta e Londra non si troncarono del tutto, in particolare nell’estate del 1843, quando insieme ad Ignazio Ribotti, Paolo Fabrizi raccolse alcune bande in Corsica e le portò nelle Romagne, ma senza ottenere successi. Furono gli insuccessi a migliorare i rapporti con Giuseppe Mazzini, il quale l’anno successivo, ossia nel 1844, acconsentì alla trattativa con alcuni banchieri spagnoli, intenzionati a finanziare con un prestito la causa italiana. Per concretizzare il progetto, Paolo Fabrizi si recò a Tolosa dove non concluse nulla, visti anche gli stretti margini posti da Mazzini; qui si ammalò ed in preda ad una forte depressione fece rivelazioni, consegnando ad estranei carte ritenute compromettenti. Raggiunse poi Bastia, dove sua madre già da tempo viveva, ebbe una crisi mistica mentre l’intera sua famiglia fu investita da pesanti critiche, spesso immotivate, che si aggiunsero a vicende private complesse. Fu qui che il Fabrizi, quasi per riscattarsi da quella triste condizione, riprese la professione medica interrotta a Corfù molto tempo innanzi, attraversò a cavallo tutta la Corsica per eseguire interventi chirurgici sui bisognosi. Pubblicò poi un opuscolo che intendo qui segnalare per tracciare meglio la figura sia dell’uomo che dello scienziato. Il titolo dell’opuscolo è Intorno ad un viaggio fatto a pro’ degli infermi indigenti della Corsica durante gli anni 1845-1846 e 1847 e fu pubblicato a Nizza dalla tipografia Caisson e Compagni nel 1854. Vi troviamo una lettera del dottor Paolo Fabrizi da Modena, il dottore in medicina e chirurgia, socio di altre accademie scientifiche italiane e straniere, indirizzata al Dipartimento della Corsica per la sezione del 1847.
Paolo Fabrizi ricorda: «Le parole di plauso e di lode, delle quali è stato cortese nell’ultima sua tornata il Consiglio generale della Corsica verso la medica missione che io mi era assunto a pro’ degli infermi, indigenti di codesta Isola, pervennero a mia conoscenza allorché la sessione era già chiusa, di modo che tolta mi venne l’opportunità di poter significare a questo popolare organo della pubblica opinione la mia riconoscenza». Gli inizi della sua missione non sono facili.
Scrive: «Quantunque prosperamente iniziata, la mia missione era allora ancor lungi dal suo compimento. Proseguirla, giovandomi del voto espresso dal Consiglio generale, compirla come meglio io poteva, e venir quindi nella susseguente sessione a presentare il programma di questa missione stessa – farne conoscenza il punto di partenza e lo scopo, gli inciampi che incontrò, e fra questi quali superabili e quali superiori ad ogni risorsa. Presentare codesto quadro a chi governa, cui sarebbe facile assicurare alla umanità il maggior punteggio a rendere omaggio al concorso di quei buoni cittadini che seppero favorirne lo scopo e sviluppare così alla mente ed al cuore di chi potrebbe desiderare imitarmi l’entità reale dell’opera che andrebbe egli ad intraprendere – questo è a mio credere il migliore dei ringraziamenti che potesse tributare il mio cuore.
E questo è precisamente ciò che vengo ad offrire al Consiglio generale oggi, che allo spirare del secondo anno delle fatiche indurate per conseguire un tanto scopo, oso dire “la mia missione compiuta, come meglio mi fu permesso dalle mie forze e dai mezzi di cui mi fu concesso valermi”». Un medico senza frontiere, il Fabrizi, che cercò in ogni modo di favorire la popolazione ed i suoi bisogni.
Lo precisa lui stesso: «Una missione umanitaria, purché sia adempiuta in tutte le esigenze del mio piano razionale-morale, ha bastevole forza per trionfare delle rivalità disoneste, ed ha nel tempo stesso abbastanza pudore per rifiutare le lodi non meritate, e non abbigliarsi che delle proprie vesti, procedendo innanzi modesta, sicura e vincitrice. Ed a fine di qui parla ora sotto un punto di vista il più chiaro e compiuto, io mi servirò delle parole stesse con cui la formulai allorché visitava per otto anni consecutivi i principali stabilimenti scientifici del Mezzogiorno e della parte centrale d’Italia e, cercando pormi, in quelle condizioni di fama e di cognizioni che credo essenziali a chi intende sostenere una missione quale è quella di cui in questo scritto si tratta, pubblicava memorie chirurgiche, allo scopo di lasciar documento dei sacrifici fatti per l’acquisto della scienza e della estimazione a me concessa da coloro che ne esercitano con maggiore autorità il supremo ministero».
Non dissimili le difficoltà di Fabrizi a quelle di un medico che oggi si appresti a raggiungere terre turbate da conflitti e povertà, di cui all’epoca l’intero Stivale era colmo, spendendosi senza pari. La missione partiva da lontano. Già nel 1827 Fabrizi, non ancora medico (si laureò l’anno successivo) prese a voler essere un ardimentoso medico, pronto ad ogni sacrificio.
Egli ricorda: «E fu per ben chiarire il motivo di siffatte replicate pubblicazioni, [...] che il programma della missione in discorso io formulava nel 1827[1] alla Società medica di Livorno, presentando la prima mia memoria chirurgica; poi nel 1829[2] dinanzi all’Istituto di Incoraggiamento di Napoli, nella prefazione alle sei memorie chirurgiche da me lette in quell’anno. E finalmente quando presentai in Milano al celebre istituto nell’amministramento chirurgico da me inventato. Se, dimenticando per un istante, io diceva, ciò che si conosce essere accaduto realmente nella società, qualcuno si domandasse cosa debba essersi generato da quell’universale e profondo sentimento della umana natura, per cui l’uomo è, talvolta suo malgrado, portato al desiderio di poter soccorrere alla altrui infermità, certamente questi sarebbe condotto a pensare che la umanità abbia in ogni possibile modo cercato quali siano i mezzi per meglio trattare il numeroso stuolo di infermità». Bellissime le parole con cui si definisce e definisce la Corsica: «Egli si sente missionario indefesso e paziente dei doni che l’amore provvido dell’Universo ha affidato al suo ministero. Uno dei caratteri più generali della Corsica si è la sobrietà, quella virtù che spiana ed assicura la via alla giustizia, di cui è condizione fondamentale ed insuperabile. E se essa è quella che qui mantiene alle famiglie la ristretta ma sufficiente fortuna che quasi a ciascuna appartiene, e che costituisce la condizione essenziale» (valore ritenuto da Fabrizi eroico, visto anche il contesto storico del periodo) «e se quella che li sorregge e presso loro siede compagna e ministra di perseveranza e di forza nelle privazioni di una vita angosciosa, cui li assoggetta non di rado, nei drammi sanguinosi della loro vita, votata all’obbedienza verso i precetti tradizionali, pure nel medico esercizio, in quel ministero a cui la vita dell’uomo, e l’avvenire di tanti affetti e di tanti interessi pende sospeso». Trova cioè tra tale sobrietà ed il ruolo del medico un parallelismo.
Continua nella descrizione di quell’esperienza: «Né potrei mai io, che percorsi tutta l’Isola, e che ebbi campo a sottoporre ad esame i casi di malattia che essa racchiude, mancar di segnalare come dal quadro di questi, e di quando lasciavamo i paesi dove la mia missione aveva ottenuto risultati felici, mi fu assai dolce il vedere come la riconoscenza non dimenticasse dirigere ad essi quella larga parte di ben meritato affetto che loro era dovuto. Di modo che si riscontrò ben dimostrato come prova costante, che dal medico si può giovare all’umanità con onore proprio, e con onore di tutti i suoi confratelli, e che il mio problema quindi sotto questo delicato interessante rapporto aveva ottenuto la sua compiuta soluzione, la mia missione il suo pieno trionfo. Ma un altro ben vitale interesse si aggiunse ai tanti, che ora enumerava, come il prodotto della ospitale accoglienza dei medici dell’Isola, ed era essermi da essa fornita la più desiderabile testimonianza per i principi pratici che ho religiosamente seguiti nel mio esercizio. E dopo aver con questa cooperazione potente percorsa tutta l’Isola, paese per paese, fissandomi nei luoghi per centralità ed influenza più idonei onde prestar occasione e comodo ai malati di valersi della mia missione; dopo averla portata sempre ardente dell’opera sua, nei monti del Niolo, di Cruzine, di Coscione, di Tenda eccetera… non meno che nelle facili contrade di cui qui non occorre ripetere il nome, io credo che ogni sforzo decoroso e praticabile dal lato mio per ottenere questo scopo sia stato compiutamente esaurito. E finirò col dire come sia dolce soddisfazione il poter fregiare la mia missione del nobile vanto di non avere io raggiunto un solo individuo con le mie relazioni senza che lo pregassi di coadiuvare all’opera mia: di non essermi pervenuto un solo invito per qualche caso suscettibile d’una utile operazione chirurgica che mi abbia trovato restio al rendermi tosto all’adempimento della mia missione; di non esservi paese remoto che sia, che io non abbia perlustrato di presenza, o col mezzo delle persone le più fedeli per la loro cooperazione al mio scopo umanitario: ed infine non essermi, con le relazioni così molteplici e varie che strinsi in Corsica, pervenuta novella di un solo infermo a cui potessi giovare, che appena coltone indizio non ne sia andato in traccia fino a che non l’abbia trovato; ed in ciò interessato per uno di questi infelici quanto lo avrei potuto essere per tutti assieme».
Un uomo, Fabrizi, votato alla professione medica non meno che allo sforzo politico di liberare la Penisola dallo straniero e con alti ideali di libertà. In qualche modo con questa missione voleva quasi «scusarsi» degli errori cui era incorso verso quei patrioti, anche córsi, che avevano collaborato con lui sia nelle Romagne che per la spedizione verso il Regno delle Due Sicilie. Non erano solo errori suoi, come talvolta si è sottolineato, tutt’altro. Ma Paolo Fabrizi, che aveva una religiosa idea missionaria in entrambi i ruoli ricoperti, faceva della espiazione e della modestia fonte di gratificazione ed esternazione. Un uomo d’altri tempi, potremmo dire. Non proprio. Anche oggi sono molti i medici senza frontiere, coloro i quali spendono ogni loro energia verso gli altri, prescindendo dai trionfalismi e dalle etichette personali. Direi che Paolo Fabrizi si colloca a pieno titolo tra questi medici. Oltretutto egli fu un autentico scienziato, innovatore, diremmo noi oggi una vera promessa in campo medico. Tutto dunque concorreva a farne un uomo degno di nota, ammirato e sostenuto. Così fecero anche i medici córsi, che intelligentemente vollero gratificarlo e permettere alla sua missione di trionfare. Ho scritto in un precedente articolo che non ci sarebbero stati i Mille di Garibaldi senza i Mille di Paolo Fabrizi. Epoche diverse, anche se a poca distanza di anni, quella che vide trionfare l’Eroe dei Due Mondi ed il concorso di Paolo Fabrizi nelle vicende dello Stivale. Eppure, non a torto, molti storici lo hanno ritenuto un autentico precursore ed innovatore risorgimentale, un uomo che seppe coinvolgere persone appartenenti a ceti sociali molto diversi, molto pragmatico, estremamente realista. Morì troppo presto, il primo dei quattro fratelli, nel 1859. I suoi trionfi sono dunque legati al Primo Risorgimento, periodo controverso e non molto trattato organicamente. Anche per tale ragione Paolo Fabrizi è rimasto nell’ombra, non ricevendo il plauso che gli era dovuto. Per i suoi coinvolgimenti politici, rimando ad altri articoli presenti sul sito.
1 Mercurio delle scienze mediche, aprile 1827, Livorno.
2 Archivi di medicina e chirurgia, agosto e settembre 1829, Napoli.