Isola Ferdinandea
Toccata e fuga

Si potrebbe iniziare questo discorso ricordando il manzoniano Don Abbondio che si chiese: «Carneade, chi era costui?», esclamando: «Isola Ferdinandea, chi era costei?»

L’equipaggio di una nave, che avesse attraversato un certo braccio di mare libero qualche mese prima e che successivamente si trovasse la rotta sbarrata da un’isola che non c’era, attonito, avrebbe potuto esclamare: «Toh, ma da dove è venuta questa qui?»

Sembra di leggere una fiaba per bambini, una di quelle che i nonni raccontavano ai nipotini nelle lunghe e fredde serate invernali, accanto al fuoco scoppiettante nel camino e, invece, questa vicenda è proprio avvenuta.

Stando al racconto dell’ecclesiastico Arena, i capitani Corrao e Trafiletti, che erano in navigazione nel Canale di Sicilia, furono coloro che, per primi, si resero conto che stava accadendo qualcosa di anomalo, quando videro alzarsi dalla superficie del mare una colonna d’acqua, seguita da fiamme miste a fumo, che raggiunsero, indicativamente, i 550 metri di quota.

Era il 16 luglio del 1831, quando, a una cinquantina di chilometri da Sciacca in provincia di Agrigento, si alzò dal mare nel Canale di Sicilia un complesso roccioso, che formò un isolotto vulcanico.

La nuova isola fu descritta dal dipendente dell’Ufficio Topografico del Regno delle Due Sicilie, Benedetto Marzolla, nella Descrizione dell’Isola Ferdinandea nel mezzogiorno della Sicilia, in data 10 dicembre 1831, e comunicando che era il risultato di una grande attività vulcanica avvenuta il 12 luglio di quell’anno nello Stretto. E il 16 luglio, si cominciò a vedere qualcosa di solido sporgere sulla superficie del mare, come raccontò Corrao, che vi passò vicino durante il suo viaggio di ritorno.

Il fatto, sicuramente una grande novità, mise in movimento tutto un mondo di curiosi, ma pure di scienziati di diversi Paesi, quali la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, la Svizzera e, naturalmente, il Regno delle Due Sicilie, che si affrettarono per osservare da vicino il risultato del colossale fenomeno vulcanico. Degli studiosi che visitarono il luogo si possono ricordare il geologo dell’Università di Berlino, Karl Hoffmann, il docente di Storia Naturale dell’Università di Catania, il fisico Domenico Scinà. Il Professor Carlo Gemellaro propose che l’isola fosse intitolata a Re Ferdinando.

Il tutto era dovuto alla forte attività esplosiva ed eruttiva del vulcano sottomarino Empedocle, che espulse dal sottosuolo tanto materiale che, alla fine, dopo un mese e mezzo, un cumulo si alzava dal mare a formare un cono alto 65 metri, con una base avente una superficie di circa 4 chilometri quadrati. Il materiale costitutivo dell’ammasso era tefrite, cioè una roccia magmatica effusiva avente scarsa resistenza meccanica e, pertanto, soggetta facilmente all’attività erosiva delle onde; e, infatti, nel gennaio 1832 l’isola non esisteva più, lasciando coloro che se ne volevano impossessare a bocca asciutta.

L’episodio fece molto scalpore, tanto da interessare diversi ambiti culturali e non solo, attirando l’attenzione di vulcanologi, geologi, politici, storici, tutti colpiti dalla novità. E divenne l’oggetto di disputa di alcuni Stati, che puntavano al suo possesso, ignari che l’esistenza dell’isolotto fosse temporanea.

Quando si scoprì che c’era una nuova isola, il capitano dell’esercito borbonico, Giovanni Corrao, sentito il parere del geologo Carlo Gemellaro dell’Università di Catania, le diede il nome di «Isola Ferdinandea», in onore del Sovrano del Regno delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone.

Mentre il nome dato a quell’isolotto vulcanico dai Francesi fu «Julia», per ricordare che era «nato» nel mese di luglio («juliet», appunto), incuriosendo gli abitanti della vicina costa e preoccupando i navigatori di passaggio che, fino ad allora, in quel punto, avevano trovato il mare libero da ostacoli.

Intanto, il 17 agosto, l’Isola Ferdinandea fu annessa al Regno delle Due Sicilie, per effetto di un regio decreto. Ma pure gli Inglesi vollero assegnare un loro nome all’Isola Ferdinandea, ritenendo adatto quello di «Banco di Graham», assegnatole dall’Ammiraglio Sir Graham, allora appartenente alla flotta inglese con sede nell’isola di Malta che, a quei tempi, era una colonia britannica. Questa decisione piacque tanto a Londra che, nelle carte nautiche internazionali e, poi, nelle riviste scientifiche, l’isola fu inserita con questo nome. Al contrario, sorsero le proteste da parte dei Siciliani e del capitano Corrao.

Ma, come succede spesso, quando c’è qualcosa di nuovo di cui non si sa a chi appartenga, sono diversi coloro che vorrebbero appropriarsene: invero, ci furono coloro che ritennero che il possesso di un approdo in quella posizione sarebbe stato vantaggioso sia dal punto di vista commerciale sia strategico.

Così gli Inglesi, il 2 agosto, si impossessarono dell’«Isola di Graham». E per questo, furono suscitate le ire del capitano Corrao e di tutti i Siciliani e non mancarono dissapori e incidenti diplomatici. Il 17 agosto l’Isola Ferdinandea fu annessa al Regno delle Due Sicilie. E la Francia la prese persa? Nemmeno pensarlo. Pure il Governo Francese ne rivendicò il possesso, senza fare i conti con il Regno delle Due Sicilie, presso la cui costa la novella isola emergeva dal mare, nel Canale di Sicilia. Infatti, il 26 settembre, il geologo Constant Prévost sbarcò da un brigantino francese, insieme con il pittore Edmond Joinville, che rilevò l’isola con disegni, con il compito di fare i rilievi necessari; e furono loro a prevedere che l’isola avrebbe avuto vita breve. Né la Francia, né l’Inghilterra avevano contattato il Sovrano del loro intendimento di occupare l’isola che, per questioni di territorio, apparteneva al Re Ferdinando II di Borbone. Addirittura i Francesi piantarono la loro bandiera nel punto più alto dell’isola.

Ciò fece scappare la pazienza al Sovrano, che mandò il capitano Corrao per piantare la sua bandiera e battezzando la nuova terra con il nome di «Isola Ferdinandea». Questa presa di posizione, datata ottobre 1831, non piacque agli altri occupanti, tanto che il Governo Borbonico espose chiaramente quali fossero i suoi diritti, trovando muso duro sia dalla Francia, sia dall’Inghilterra.

Ma tutto andò a posto per conto suo: infatti, il 7 novembre, un capitano della flotta inglese misurò l’isola e il risultato fu che le dimensioni areali si erano ridotte a circa un miglio, mentre l’altezza non superava i 20 metri, mentre, sempre lui, l’8 dicembre dichiarava che al posto dell’isola erano solamente colonne d’acqua che si alzavano e si abbassavano. Il tutto si era dissolto, spargendosi sul fondo del mare, lasciando un grande banco di lava, indicato nelle carte odierne con il nome di «Banco di Graham».

Il sogno di alcuni Stati di possedere un’isola nello Stretto di Sicilia finì tristemente in un risveglio amareggiato.

Una massa di lava si fece vedere, poi, nel 1836 e, successivamente, nel 1863: ma in entrambi i casi si trattò di «toccata e fuga».

Ci sono stati ulteriori sommovimenti sottomarini, ma l’«Isola Ferdinandea» è rimasta solamente un ricordo, e nulla più.

(novembre 2024)

Tag: Mario Zaniboni, Isola Ferdinandea, Arena, Trafiletti, Canale di Sicilia, 16 luglio 1831, Sciacca, Agrigento, Regno delle Due Sicilie, Benedetto Marzolla, Descrizione dell’Isola Ferdinandea nel mezzogiorno della Sicilia, Karl Hoffmann, Domenico Scinà, Carlo Gemellaro, Empedocle, Giovanni Corrao, Ferdinando II di Borbone, Banco di Graham, Constant Prévost, Edmond Joinville.