Gioacchino Murat e Giuseppe Binda
Una collaborazione che veniva da lontano, proseguo di studi storici definiti in passato

Lo storico Adriano Amendola nella sua pubblicazione dal titolo Diario di una spia ha fatto conoscere al grande pubblico la figura di Giuseppe Binda che collaborò fattivamente con Gioacchino Murat sino alla sua caduta nel 1815. I preziosi ritrovamenti di Amendola ci avvicinano non solo al personaggio Binda ma anche a Re Gioacchino, pur tirando conclusioni non sempre in linea con quella che fu l’autentica collaborazione della spia Binda con l’allora Sovrano di Napoli.

Amendola traccia il profilo biografico di Giuseppe Binda che, nato nel 1786 a Lucca da una famiglia della piccola nobiltà cittadina afferente gli ambienti curiali, visse un’infanzia non sempre semplice, per la perdita prematura del padre, ma tuttavia ovattata per altro verso grazie al secondo matrimonio della madre con un membro della famiglia Lucchesini, che nella città di Lucca aveva un ruolo importante.

Giuseppe Binda con i suoi fratelli poté dunque godere degli agi del patriziato e si laureò a Pisa in giurisprudenza, per poi mettersi al servizio dell’allora Sovrana del Principato Lucchese, Elisa Bonaparte, sorella del grande Napoleone, che col marito regnava sul Principato di Lucca e Piombino.

Dalle carte si evince che il nostro aveva avuto dalla stessa l’opportunità di recarsi prima a Roma, e successivamente, dopo l’esperienza romana, a Napoli dove, secondo la versione ufficiale, conobbe Re Gioacchino e ne divenne una spia. Ma in realtà Giuseppe Binda, già quando ancora risiedeva stabilmente a Lucca, era in contatto con gli ambienti massonici che gli consentirono sin da giovanissimo di inoltrarsi in questa sua attività di spia, pur apparendo sempre come uomo di Legge piuttosto che come antiquario e collezionista. Non ultimo divenne bibliotecario a Londra nel salotto di Lord Henry Holland, che a lungo aveva servito la causa napoleonica e murattiana in Italia prima della caduta napoleonica. Lo stesso Binda riuscì a trarsi in salvo durante la disfatta del regime napoleonico nel 1815 quando aveva con sé le carte di Re Gioacchino Murat da recapitare a Genova a Lord Bentick su espressa richiesta del Sovrano Partenopeo, ma dovette cederle all’agente napoletano Macirone perché intercettato proprio a Lucca dal Generale Austriaco Verklein e in fuga per questo verso Londra su intercessione proprio di Lord Holland.

Rimase solo due anni nel salotto londinese e nel 1817 già lo troviamo a New York come collezionista. L’ufficialità vuole che qui si fosse recato per motivi di lavoro, visto che era un collezionista e che solo casualmente pare abbia lì conosciuto la figlia del Generale Sumter, uno degli uomini all’epoca più influenti degli Stati Uniti, sposandola e divenendone dunque il genero. Tutto questo ci dice l’ufficialità e come sempre l’ufficialità ci parla del suo successivo ruolo, a partire dal 1840, di Console Americano a Livorno per conto degli Stati Uniti, essendo egli divenuto cittadino americano. Senza nulla riferire sia ai tempi di Murat che successivamente dei reali movimenti di tale personaggio.

Dalla descrizione che ci hanno lasciato i suoi diari pubblicati da Adriano Amendola si evince però che le cose stanno in modo molto diverso.

Giuseppe Binda conosceva gli ambienti bonapartisti sin da bambino. Ambienti che verosimilmente erano stati in combutta, ai tempi di Pasquale Paoli, con la stessa Inghilterra. Il padre di Giuseppe Binda aveva servito come factotum a Villa Garzoni. I Garzoni saranno coloro che ci faranno conoscere, circa un secolo dopo, le Avventure di Pinocchio in quanto Carlo Lorenzini, papà di Pinocchio, era cresciuto proprio presso Villa Garzoni a Collodi.

Era qui che alloggiavano a fine Settecento Lady Elliott e suo marito, all’epoca Governatore, per conto dell’Inghilterra, della Corsica.

Stiamo parlando di Gilbert Elliot Murray e di sua moglie. Un «whig» d.o.c. che fu nominato Viceré anglo-corso e che evidentemente, viste le carte di Giuseppe Binda, aveva modo di soggiornare nella splendida villa di Collodi dei Garzoni. Dove familiarizzò col padre di Giuseppe Binda. La famiglia del Binda era in comunione con i Chierici Regolari Lucchesi della Madre di Dio, adiacenti in città a Lucca alla stessa abitazione della famiglia Binda. Uno zio della futura spia ne faceva parte in Lucca e un altro zio in Roma. All’interno della chiesa lucchese dei Chierici campeggiava lo stemma nobiliare della famiglia Binda.

Una lettera rintracciata presso la Biblioteca Statale di Lucca, adiacente ai Chierici e che annovera tra i suoi documenti moltissimi ritrovamenti dovuti proprio alla cura dei Chierici, scritta da Pasquale Paoli a Padre Ghelsucci dei Chierici Regolari Lucchesi nel periodo, testimonia la comunione politica tra gli stessi e i Generali di Pasquale Paoli.

Sono gli anni della collaborazione di Pasquale Paoli con il mondo inglese «whig», anni in cui il padre di Napoleone, Carlo Buonaparte, era peraltro il suo segretario personale. Come si evince la comunione col Bonaparte padre, lo stesso Pasquale Paoli e la famiglia Binda, che appunto familiarizzò con Lord Minto, è innegabile. Le vicende andarono in direzione diversa per la Corsica rispetto a quanto auspicato da Pasquale Paoli che fu poi costretto a riparare proprio in Inghilterra. E la famiglia Bonaparte, deceduto il padre di Napoleone, divenne vicina agli ambienti francesi al punto da permettere al grande Córso di emergere e divenire l’Imperatore degli ex avversari. Tuttavia tutto questo lascia intendere che i Chierici Regolari fossero in Lucca a conoscenza di tutte le mosse politiche del periodo e dunque lo stesso Napoleone dovette, giocoforza, tenere questo in considerazione. Ecco la comunione sempre con gli ambienti bonapartisti, che mai però disdegnò la comunione anche con i «whig» inglesi del Binda, questa volta nella figura del celebre Lord Holland, che foraggiò a lungo le imprese napoleoniche, pur essendo Napoleone amico strettissimo dei «tory» inglesi allora al potere.

Le idee liberali che poi attraverso la Carboneria Gioacchino Murat incarnò nel 1815, quando diretto a Rimini passò anche dalla città di Lucca, erano dunque di antica data nella città toscana e in sintonia con la nomenclatura inglese «whig». Quando Giuseppe Binda andò a Napoli e divenne spia murattiana aveva sicuramente avuto modo, e i carteggi in nostro possesso lo lasciano presagire, di assaporare quegli ideali, quei valori che Re Gioacchino Murat si permise di incarnare. Una comunione dunque non casuale, non improvvisata come i documenti ufficialmente descrivono, ma con ogni probabilità ben costruita.

Gioacchino Murat dovette davvero credere che i «whig» inglesi non lo avrebbero abbandonato e che Lord Bentick, per quanto «tory», avrebbe accettato le sue carte. Binda non riuscì a raggiungere Genova nel 1815. Non sappiamo se avrebbe fatto la differenza in luogo della spia Macirone, che ottenne da Lord Bentick diniego.

La fuga di Binda a Londra è testimonianza di tale comunione e delle possibilità reali e non solo fittizie per l’impresa murattiana.

Le carte di Giuseppe Binda bene ci avvicinano a Re Gioacchino, a quello che fu il suo mondo. Prima della sua prematura scomparsa, fucilato a Pizzo Calabro, ma anche dopo. Perché il pensiero e gli ideali di Re Gioacchino vennero portati avanti da Lord Holland a Londra, in sintonia con lo stesso Giuseppe Binda. Abbiamo vari riferimenti in proposito. Gioacchino Murat rappresentò prima per il Regno di Napoli e poi per l’intera Penisola un punto essenziale di riferimento.

Di quale Unità parlava davvero Murat? Si sentiva in grado di creare davvero una unica realtà politica in Italia?

Sicuramente queste forze che con lui collaboravano furono a lungo partecipi di possibilità diversificate a Roma. Non dimentichiamo la «questione Vaticana».

Solo modificando le posizioni intransigenti a Roma sarebbe stato possibile allargare gli orizzonti politici della Penisola e dello stesso Murat.

Evidentemente i Chierici Regolari Lucchesi, viste le carte di Giuseppe Binda e i rapporti collaborativi, già nel Settecento, con Pasquale Paoli, furono propensi ad agevolare questo percorso. Soprattutto di riavvicinamento di ambienti europei protestanti come quello inglese alla compagine romana. Non dimentichiamo che nel periodo Lord Henry Holland fu vicino non solo a Giuseppe Binda ma anche al pittore di Castelnuovo Garfagnana Giuseppe Pierotti, che con la città di Lucca e tali ambienti aveva legami.

Quest’ultimo infatti si vide commissionare qualche anno dopo proprio a Londra un busto dello zio di Lord Holland, il celebre Lord Charles Fox, che oggi rinveniamo dentro i locali dell’Università di Oxford.

Tutto questo non appare sicuramente come casuale.

È verosimile che Giuseppe Binda nel 1817 non si sia repentinamente allontanato da Londra per recarsi a New York solo per i suoi affari di antiquariato, bensì per raccogliere sfide politiche in quegli ambienti americani ricchi di fuoriusciti italiani al pari di Londra e dove sempre non casualmente conobbe e si innamorò della figlia del Generale Sumter, divenendone lo sposo nonché cittadino americano.

Dunque l’operato di Gioacchino Murat, nonostante questi fosse deceduto fucilato come sappiamo a Pizzo Calabro, fu salvaguardato e messo in opera da chi poté usufruire di queste particolari prerogative.

Il Primo Risorgimento, come noi lo conosciamo dalle carte, risulta essere molto più articolato e complesso di quanto si immagini. Gioacchino Murat credeva nella possibilità di una Unità Nazionale coinvolgendo gli ambienti romani in tale percorso, cosa non troppo realizzabile come i fatti successivi hanno dimostrato. Ma al contempo si continuò, anche dopo Re Gioacchino, a perorare una Unità Nazionale, questa volta di stampo federale, col concorso soprattutto delle varie Casate Peninsulari non asburgiche, accorpando volontà comuni ma non trovando diretto assenso.

Difficili queste scelte, e per diverse ragioni dunque si realizzò qualcosa di ben diverso. Re Gioacchino e il suo pensiero sono comunque di imperitura memoria.

(novembre 2025)

Tag: Elena Pierotti, Giuseppe Binda, Gioacchino Murat, Lord Henry Holland, Pasquale Paoli, Lord Bentick, Generale Sumter, Diario di una spia.