Figure dell’ultimo Risorgimento: Giuseppe Picciola (1859-1912)
Un protagonista dell’italianità e dell’irredentismo esule

Molti protagonisti dell’epopea risorgimentale italiana hanno avuto la ventura di essersi impegnati per un progetto unitario meno ristretto e più conforme a comuni attese anche dopo il 20 settembre 1870, data dell’acquisizione di Roma, e come tale, assurta a momento fondante dell’Italia finalmente unita, libera e indipendente. In effetti, dopo Porta Pia l’unità sarebbe stata per lo meno incompleta, mancando la redenzione di Trento e Trieste, e dei loro territori regionali, che fu raggiunta soltanto nel 1918, al termine della Grande Guerra, a prescindere dall’acquisizione di Fiume, sopraggiunta notevolmente più tardi, vale a dire nel gennaio 1924, quando il fascismo era giunto al potere da poco più di un anno[1].

Esistono personaggi di rilievo importante nell’impegno per l’unità completa che appare cosa buona e giusta affidare alla memoria comune. Fra quelli accantonati anche nelle migliori sedi culturali e storiografiche conviene onorare l’esempio di Giuseppe Picciola, uomo d’azione e di cultura fedele per tutta la vita all’ideale irredentista, e recentemente ricordato nelle manifestazioni triestine del 28 ottobre 2024 per il LXX anniversario del ritorno della città di San Giusto alla Madrepatria Italiana (1954) e per il centenario della redenzione di Fiume (1924), fortemente volute per l’impegno del Senatore Roberto Menia, Vice Presidente della Commissione Affari Esteri e Difesa di Palazzo Madama, e di altri patrioti.

Giuseppe Picciola, appartenente a famiglia istriana di sicura fede italica (Parenzo, 26 settembre 1859-Firenze, 18 giugno 1912) divenne esule in Patria sin dalla prima giovinezza e dalla minore età dell’epoca (1878) restando tale anche dopo il 1899, quando Vienna decise il conferimento di una tardiva amnistia a diversi profughi di rango ragguardevole come il Picciola, che sin dal 1881 aveva ottenuto la laurea in Lettere all’Università di Pisa, era stato in rapporti di cordiale amicizia con Guglielmo Oberdan, e aveva avviato un proficuo rapporto culturale con Giosuè Carducci, per poi dedicarsi pienamente all’insegnamento e alla letteratura, in specie poetica[2].

Non c’è dubbio sul fatto che la figura di Picciola debba essere ricordata in maniera congrua e funzionale, sia per essere stata protagonista di un lunghissimo esilio proseguito per buona parte della vita lontano dalla sua terra nativa, sia per i valori culturali espressi con perseveranza durante il suo percorso di docente, di poeta e di patriota dell’Italia Irredenta. Ciò, senz’altro fine che non fosse il manifestare a tutti la forte italianità della sua Istria, e senz’altro premio, se non l’impegno per la giustizia e per la verità storica, nell’assunto – tipico del Carducci – di battersi inflessibilmente contro i tanti «vigliacchi d’Italia».

Da questo punto di vista, la commemorazione del 28 ottobre tenutasi al Senato ha colmato una lacuna considerevole, e compiuto un atto sostanzialmente dovuto, cui hanno contribuito, oltre al Senatore Menia, artefice prioritario dell’iniziativa, i vari relatori, nelle persone di Marino Micich, Direttore dell’Archivio Museo Storico di Fiume; di Giorgio Baroni, Docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; di Maria Ballarin, Consigliere dell’Associazione Nazionale Dalmata; e di Davide Colombo, anch’egli Ordinario della predetta Università Cattolica.

In particolare, Micich ha ricordato che la famiglia Picciola aveva già contribuito al Risorgimento Nazionale con l’impegno di alcuni suoi combattenti nella Seconda Guerra d’Indipendenza, e che nel 1870 gli Istriani rifiutarono di designare due deputati al Parlamento di Vienna, mentre Giuseppe, accusato di renitenza alla leva austriaca, non ebbe altra scelta se non il lungo esilio in Italia, proseguito ininterrottamente sino a fine secolo, per circa un ventennio. Dal canto suo, il Professor Baroni ha posto in luce la grande contraddizione tra la firma della Triplice Alleanza con Austria e Germania firmata dall’Italia nel 1882, e il fatto che l’Impero Asburgico fosse «il più diretto nemico di Roma» come sarebbe stato confermato dall’impiccagione di Guglielmo Oberdan avvenuta in quel medesimo anno a fronte di un’accusa meramente presuntiva, senza dire che, con anticipazione di sei secoli, Dante Alighieri era stato «profeta dell’Unità». Dal canto suo, Maria Ballarin, curatrice degli Scritti Danteschi del Picciola e di una raccolta di altre sue opere edite da Olschki, non ha mancato di porre in evidenza il contenuto fortemente liberale, e per vari aspetti anticlericale, della sua produzione letteraria, con particolare riguardo ai contributi pubblicati da «L’Opinione». Quanto a Davide Colombo, docente e diplomatico, il suo intervento ha posto in luce l’attenzione di Picciola per raccogliere «poesie di autori italiani d’oltre confine» durante il lungo periodo di sovranità austriaca sulle terre irredente, la cui pubblicazione avrebbe avuto luogo nel 1912, con larga diffusione sia alla vigilia della Grande Guerra, sia durante il conflitto, ad avallo delle cospicue attese irredentiste.

Le conclusioni sono state tratte con esemplare chiarezza dal Senatore Menia, che – dopo avere attirato l’attenzione dei presenti sul fatto che si vive «un’epoca di dimenticanza nazionale» – ha voluto mettere in luce come il ricordo di un patriota integerrimo quale fu Giuseppe Picciola intenda «riconsegnare alla storia nazionale una testimonianza dell’amore istriano per l’Italia»[3]. Ecco un’affermazione da mandare a memoria per opera di quanti hanno a cuore i destini e le prospettive dello Stato Italiano in cui pur vivono, e che non intendono indulgere alle «magnifiche sorti e progressive» evidenziate con evidente ironia nel celebre carme di Giacomo Leopardi; e nello stesso tempo, ecco un impegno da onorare, e quindi da perseguire compiutamente.


Note

1 Componenti minoritarie dell’irredentismo, con riguardo specifico a quelle di origine nazionalista, diventate più forti a partire dall’inizio del Novecento, estesero le rivendicazioni italiane anche a Malta, alla Corsica e ai comprensori del Nizzardo e della Savoia trasferiti alla Francia dopo la Seconda Guerra d’Indipendenza. Nondimeno, quelle concernenti il Trentino e tutto il comprensorio giuliano, istriano e dalmata furono sempre maggioritarie, da un lato perché subordinate a un regime assolutista e vessatorio come quello austriaco, e dall’altro perché di ben maggiore rilevanza strategica e demografica.

2 La carriera accademica di Giuseppe Picciola lo vide insegnante, dapprima a Pesaro e Ancona, poi a Lucca e Reggio Emilia, e infine nel prestigioso Liceo-Ginnasio «Galileo» di Firenze, dove fu anche Preside, senza che l’impegno professionale ne precludesse l’attività artistica, testimoniata a più riprese dalle pubblicazioni dei suoi Versi (Bologna 1890) e dei suoi Letterati Triestini (Bologna 1894) per non dire della raccolta postuma Poeti Italiani d’oltre confini (Firenze 1914). Nello stesso tempo fu socio attivo della Società «Dante Alighieri» di cui fu Presidente nelle sedi di Pesaro e Firenze, ed ebbe rapporti di cordiale amicizia con Giovanni Prati, con Giovanni Pascoli, e soprattutto col suo maestro Giosuè Carducci, sin dall’epoca (1885) in cui quest’ultimo amava villeggiare a Pian d’Arta, in Carnia, mentre Picciola, soprattutto d’estate, veniva a visitare il padre nella contigua Chiusaforte, non senza approfondire gli studi su Dante, su Ludovico Ariosto e su altri esponenti della letteratura italiana. Non a caso, Picciola è curatore, assieme a Guido Mazzoni, della celebre Antologia Carducciana che dopo la prima edizione del 1907 ebbe notevoli fortune editoriali, anche scolastiche. Per quanto riguarda la vita familiare, si deve dire che nel 1891 Picciola contrasse matrimonio con Beatrice Vaccaj, figlia dell’Onorevole Giuseppe Vaccaj (1836-1912) che fu anche Sindaco di Pesaro, e che avrebbe sempre conservato un ottimo rapporto col genero, procurandogli taluni incarichi di prestigio, come l’allocuzione dell’agosto 1896 per la scopertura del monumento a Terenzio Mamiani. A proposito della famiglia, conviene aggiungere che due figli di Picciola caddero durante la Grande Guerra combattendo valorosamente sul Carso nella prima fase del conflitto; tuttavia, il padre non ebbe il dolore di tale notizia ferale, perché scomparso prematuramente nel 1912. Una bibliografia aggiornata è quella di Nando Cecini, Giuseppe Picciola: una biografia intellettuale, Il Lavoro Editoriale, Ancona 2016, con introduzione di Silvia Cecchi, 160 pagine; per un’utile informativa di sintesi, si veda anche la scheda predisposta da Pamela Tedesco per la Lega Nazionale di Trieste.

3 Come avrebbe proposto l’antico saggio, «indocti discant et ament meminisse periti». Ecco un invito a quanti si distinguono per un apporto di buona volontà, siano essi gli ignari, in specie giovani, siano quelli che conoscono i fatti storici e le idee che li mossero, ma non hanno ancora potuto esprimere in misura piena e propositiva le loro volontà, alla luce di un lungo ostracismo che soltanto in tempi recenti ha potuto iniziare a essere eliso.

(dicembre 2024)

Tag: Carlo Cesare Montani, Giuseppe Picciola, Roberto Menia, Guglielmo Oberdan, Giosuè Carducci, Marino Micich, Giorgio Baroni, Maria Ballarin, Davide Colombo, Dante, Giacomo Leopardi, Giovanni Prati, Giovanni Pascoli, Ludovico Ariosto, Guido Mazzoni, Beatrice Vaccaj, Giuseppe Vaccaj, Terenzio Mamiani, Nando Cecini, Silvia Cecchi, Pamela Tedesco, Roma, Trento, Trieste, Fiume, Parenzo, Firenze, Vienna, Pisa, Istria, Austria, Germania, Malta, Corsica, Nizzardo, Savoia, Francia, Trentino, Pesaro, Ancona, Lucca, Reggio Emilia, Pian d’Arta, Carnia, Chiusaforte, Carso, Italia unita, Porta Pia, Grande Guerra, Archivio Museo Storico di Fiume, Università Cattolica del Sacro Cuore, Associazione Nazionale Dalmata, Risorgimento, Seconda Guerra d’Indipendenza, Triplice Alleanza, Impero Asburgico, L’Opinione, Liceo Ginnasio Galileo di Firenze, Società Dante Alighieri, Antologia Carducciana, Lega Nazionale di Trieste.