Gioacchino De Agostini
Interprete del Risorgimento nel Piemonte sabaudo

Il conte Claudio Linati di Parma, che fu legato non solo a Filippo Buonarroti ma, nel suo lungo percorso politico, all’allor celebre patriota piemontese di Carrù, Fiorenzo Galli, conobbe sicuramente il di lui genero, un chierico che abbandonò l’abito talare e mise al centro della propria vita la causa nazionale, con risvolti davvero imprevedibili, rilevanti sul piano storico.

Questi si chiamava Gioacchino De Agostini e di lui rinveniamo nelle memorie della baronessa Olimpia Savio queste scarne ma significative frasi: «Il Professore fu distinto patriota piemontese […] fu tra i promotori del movimento liberale […]. Furono suoi compagni di scuola e suoi amici o suoi discepoli i maggiori uomini d’Italia».

Figlio di Giovanni Battista De Agostini e di Margherita Tacchini, il professor emerito Gioacchino nacque a Torino il 18 agosto 1808 e morì a Vercelli l’8 agosto 1873. Come risulta dall’atto di morte[1] egli appartenne all’Ordine Mauriziano. Sulla sua infanzia torinese non ho al momento notizie. Sappiamo, sempre dalle memorie della baronessa, che colui che la gentildonna descrisse come «distinto patriota» a dodici anni vestì l’abito talare «che portò per trenta anni». Le informazioni che Olimpia Savio ci fornisce sul curriculum formativo del nostro corrispondono con quanto si conserva di lui negli archivi dell’Università di Torino.

Licenziato in filosofia a diciassette anni, ottenne presso l’Università alcune specializzazioni in qualità di docente. In particolare il riferimento è ai verbali degli esami che De Agostini sostenne presso la Facoltà di Lettere per conseguire il titolo di Maestro di Quarta, il 3 giugno 1826, esponendo come trattato «gli elementi di grammatica inferiore»; e, successivamente, l’11 agosto 1828, quello di «professore di Rettorica», vertendo l’esame in quella circostanza su «poesia e prosa latina e italiana»; il tutto trattato verbalmente e per iscritto.[2] Questo secondo verbale specifica che il De Agostini, al momento in cui sostenne gli esami, era già reggente la cattedra di Prosa Latina ed Umanità nel borgo di Lanzo.

Egli levò presto fama di sé come oratore sacro. A partire proprio dal borgo di Lanzo, «dove ricoprì il ruolo nel 1827 di professore di Rettorica, lo ritroviamo nel 1830 a Rivarolo Canavese, nel 1832 a Cuorgnè, nel 1838 ad Asti, nel 1839 a Biella, nel 1843 a Casale, donde scenderà poi nel 1853 a Vercelli, ove dal 1860 al 1863 diresse il Liceo».

Conferma di questi suoi spostamenti abbiamo dallo stesso professore in una sua lettera indirizzata all’amico Quintino Sella, nel 1865. In quel periodo, versando in strettezze economiche, egli chiese al Ministro delle Finanze del neonato Stato unitario di prodigarsi per fargli ottenere l’attesa pensione, fornendo al riguardo una preziosa documentazione.[3]

Sempre da alcuni documenti reperiti presso la Fondazione Sella ho potuto appurare che il nostro, una volta dismesso l’abito talare nel 1848, sposò, l’anno successivo, la protestante convertitasi al Cattolicesimo, Adelaide Galli Dunn. Nata a Londra nel 1833 e figlia di un fuoriuscito piemontese del 1821, la consorte morì in Vercelli nel 1860, lasciando il nostro prematuramente vedovo e con due figlie minori, Luigina e Fiorenzina. Le due ragazze frequentarono il Collegio-convitto «Avogadro» di Biella.[4]

La famiglia del De Agostini annoverava tra i suoi congiunti alcuni membri della famiglia Arpesani di Milano, che ebbe nel corso del Risorgimento e negli anni successivi un ruolo attivo nella formazione del neonato Stato unitario.[5]

Altro congiunto del De Agostini, Padre Giuseppe Galli Ch. R. S.[6], ed ho motivo di ritenere che il rapporto del professore coi Padri Somaschi, peraltro ubicati in Vercelli, sia sempre stato particolarmente importante; un’Ode in onore delle sue nozze gli venne dedicata proprio da Francesco Calandri, ex Rettore del Collegio di Lugano, in relazione con Alessandro Manzoni e residente, dopo il periodo trascorso a Lugano, in Vercelli.[7]

Erudizione e giornalismo accompagnarono sempre l’impegno politico del professore vercellese. Sin dai primi anni d’insegnamento, quando il nostro vestiva ancora l’abito talare, iniziò a collaborare con giornali di diverso orientamento, fra cui anche la testata di Angelo Brofferio «Il Messaggere torinese».[8] [9] Grande collaboratore della testata fu il fratello Paolo, che diresse una tipografia in Torino. Questi pubblicò, tra le altre, opere a sfondo religioso di Don Bosco e Silvio Pellico; e la sua tipografia era sita in Torino, in Via della Zecca numero 23, in un palazzo di proprietà della famiglia Birago da Borgàro, che teneva in città un importante salotto politico.[10]

Per riuscire con ogni probabilità ad abbracciare a tutto tondo l’impegno politico, Gioacchino De Agostini, dismesso l’abito, fondò con Pier Dionigi Pinelli, con Carlo Cadorna, fratello del Generale, e con Luigi De Marchi «Il Carroccio di Casale Monferrato», foglio politico autenticamente liberale che prese piede in Piemonte.[11] Passò poi al «Vessillo di Vercelli», che egli rilevò nel 1855, in marzo, svoltasi la società degli azionisti. «Il Vessillo» diventò prima «Vessillo della libertà», dopo l’unità nazionale «Vessillo d’Italia». La sua attività editoriale e gli interessi culturali, in particolare di natura archeologica, ebbero come riferimenti certi diverse pubblicazioni, al suo attivo, che ne accompagnarono, nel corso del tempo, l’impegno.[12]

L’elogio funebre a lui dedicato, scritto da Cesare Faccio e pubblicato sul giornale vercellese «La Sesia», di cui Faccio fu sia fondatore che direttore, definì ancora De Agostini come l’«antesignano del giornalismo liberale piemontese e professore per antonomasia di quei giovani che fecero poi l’Unità nazionale», ponendo in evidenza soprattutto la comunione d’idee tra il professore vercellese e Vincenzo Gioberti ed una loro diretta comunicazione, grazie alla comune frequentazione di Pier Dionigi Pinelli.

L’amicizia di De Agostini con Vincenzo Gioberti dovette essere piuttosto importante. Il professore in Rimembranze di Venezia[13] narrò come fece conoscere al Prati l’Ode di Gioberti per la laurea del Ratti, ode che il poeta fece ristampare.

Gioberti, in una sua lettera rivolta al Massari, dette di Gioacchino De Agostini, nel 1852, giudizi lusinghieri, precisando che «non fu la passione ad influire nello scritto Il Rinnovamento, ma autentico convincimento».[14]

La traccia sin qui prodotta apre scenari che le successive annotazioni documentano: il patriota democratico Lorenzo Valerio, in una lettera del 1846[15] accostò il nome del professor De Agostini a quello di Cosimo Ridolfi, prossimo all’ambiente di provenienza del religioso toscano Padre Prosperi, amico e collega del De Agostini, le cui vicende politiche collimarono negli anni Quaranta del XIX secolo con quelle del professore vercellese.[16]

In una lettera del patriota Lorenzo Valerio, il professor Gioacchino De Agostini e il Vescovo liberale di Biella, Giovan Pietro Losana, furono citati uno di seguito all’altro.[17] Gioacchino De Agostini fece inoltre da mediatore tra Pinelli e Gioberti, quando l’amicizia tra i due si guastò.

Ciò è quanto emerge ancora una volta dall’elogio funebre che gli dedicò l’amico Cesare Faccio: «Il tratto di tempo corso dal 1848 al 1853 è forse il periodo culminante della sua vita. Legato di saldissima amicizia col Gioberti e col Pinelli, egli fu organo ed intermediario della riconciliazione dei due illustri Piemontesi, separati dalle profonde lotte parlamentari che precedettero e seguirono la catastrofe di Novara». Era stato De Agostini uno dei sottoscrittori giobertiani del 1846, sottoscrizione che sarebbe dovuta durare per un decennio ma che la rottura tra Pinelli e Gioberti interruppe?[18]

Nella corrispondenza Pinelli-Gioberti possiamo rilevare l’assunzione per il Pinelli di un ruolo di «fiduciario» dell’esule amico, sin dai primi momenti dell’esilio di Gioberti. Pinelli appare nel carteggio interprete vigile ma prudente del desiderio dell’amico «d’essere informato intorno alle vicende dei suoi compagni di fede, dei frequentatori di quei convegni, o, come dicevano allora, “accademie”, che si tenevano già a suo tempo nel modesto alloggio del Gioberti a Torino, al quarto piano del vecchio palazzo di Via delle Orfane, o nella casa dell’avvocato Daziani, a conversare e discutere di filosofia e di politica».[19]

Gli stessi richiami ai giornali presenti nell’intero carteggio Pinelli-Gioberti, giornali che in quel preciso momento in Piemonte stavano assumendo un ruolo decisivo, inducono ulteriormente a riflettere sul ruolo politico del religioso, professore e giornalista di Vercelli.

Gioacchino De Agostini infatti collaborò ed ebbe rapporti con alcune delle testate che vengono ricordate da Pinelli; vale a dire «La Gazzetta piemontese» di Felice Romani, «Il Messaggere» di Angelo Brofferio; nulla risulta al momento per «Il Propagatore religioso» ed «Il subalpino» di Montezemolo, pur appartenendo De Agostini al medesimo retroterra culturale.

Nel 1853 il nostro divenne il Direttore Gerente del «Vessillo Vercellese», che rileverà dall’assemblea degli azionisti due anni più tardi, trasformandolo in «Vessillo della Libertà». Alcune osservazioni, leggendo il primo numero del giornale, quando egli ne prese la direzione, si rendono necessarie.

Nel suo proclama ai Vercellesi del 12 settembre 1853, dopo aver definito il «Vessillo Vercellese» periodico «eminentemente italiano», si autodefinì «allevato alla scuola del giornalismo liberale» e precisò le motivazioni che lo portarono a scegliere di dedicarsi a tempo pieno al giornalismo. Lo stato di salute malfermo lo costrinse infatti a chiedere un anno di aspettativa dall’insegnamento e «a pensare di non poter meglio occupare l’ozio accordatogli […] delineando in lucidi ed ordinati quadri settimanali la Storia Politica Contemporanea».[20]

Chi è davvero Gioacchino De Agostini? Solo il misurato ex chierico che cerca in ogni modo di diventare un portavoce delle linee guida dello Stato Sabaudo dopo il 1848, condividendone le essenziali dinamiche? Soprattutto, chi è stato Gioacchino De Agostini, il genero del famigerato patriota Fiorenzo Galli, amico strettissimo del conte Linati negli anni che vanno dal 1831 al 1848? Quanto di seguito descriverò non intende chiarire del tutto tali dinamiche, ma certamente aprire uno squarcio in situazioni complesse e decisive della nostra storia Risorgimentale.

Sono venuta a conoscenza di Gioacchino De Agostini grazie ad un caro amico del professore, Gioacchino Prosperi, lucchese ed aristocratico, residente per diversi anni in Piemonte.

Prosperi fu a lungo, negli anni giovanili, vicino a Cesare d’Azeglio[21] ed agli ambienti sabaudi[22], sin dai tempi in cui, studente in Sant’Andrea al Quirinale e poi Padre Gesuita, aveva frequentato «per un lustro intero» il Re Carlo Emanuele IV di Savoia «che in Sant’Andrea al Quirinale visse in un appartamento separato, con un piccolo seguito»[23]; ma fu, egli, anche in relazione con Prospero d’Azeglio, entrato nella medesima casa romana per novizi nel 1814, a ventun anni,[24] quando Padre Prosperi stava per diventare Padre Gesuita (1815).[25]

La frequentazione da parte del religioso della multiforme famiglia d’Azeglio era continuata, dopo l’esperienza romana, in Novara, dove Luigi Taparelli (così si fece chiamare Prospero d’Azeglio per celare il suo vero nome e non mettere in imbarazzo i fratelli Roberto e Massimo, noti liberali) fu Rettore del Collegio Gesuita, dal 1822 al 1824. Era poi proseguita a Torino nelle Amicizie Cristiane,[26] fino almeno alla morte del marchese Cesare, avvenuta in Genova nel 1830.[27] Padre Prosperi fu inoltre corrispondente in quegli anni del Venerabile Pio Brunone Lanteri,[28] cui confidò le sue vicissitudini, anche, indirettamente, di natura politica.[29] I destini dei due professori, De Agostini e Prosperi, si intrecciarono in Piemonte.

Il religioso lucchese ebbe una situazione non facile col Generale Gesuita Fortis, rischiando ripetutamente l’espulsione dall’Ordine, che arrivò, pare, nel 1826.[30] Da docente nel Collegio di Novara, si dedicò successivamente all’insegnamento ed al rettorato nei collegi comunali di Rivarolo Canavese e Cuorgnè, dove anche il professor De Agostini insegnò per un certo periodo. Ne fanno fede sia i riferimenti del De Agostini a Quintino Sella, suo amico, in alcune lettere,[31] sia una pubblicazione apparsa sulla «Gazzetta Piemontese»[32]. Nei primi anni Trenta, quando Gioacchino De Agostini mantenne contatti piuttosto confidenziali con lo storico di fiducia di Re Carlo Alberto, Luigi Cibrario, l’amico, Gioacchino Prosperi, ancora residente in Piemonte, ricevette da Filiberto Avogadro di Collobiano, lo scudiero della Regina Maria Cristina, la commissione di un’Ode,[33] in un momento difficile per il religioso.

Vorrei sottolineare che l’Ode fu commissionata proprio quando Padre Prosperi rischiava l’espulsione dal Piemonte, che avvenne nel settembre di quell’anno[34] per una frase incriminata dell’Ode di Lanzo, scritta, letta e pubblicata presso l’editore Marietti di Torino dallo stesso Padre Prosperi nel 1831, in occasione dei solenni funerali del Monarca Piemontese Carlo Felice.[35] Questa almeno l’ufficialità perché «ufficiosamente» ritroviamo il sacerdote a Torino, ancora nel 1838, a predicare la Quaresima.[36]

Nell’Ode commissionatagli da Filiberto Avogadro di Collobiano egli si firmò «Gioacchino Prosperi, tra gli Arcadi di Roma Epidauro Alseideo», senza offrire ulteriori spiegazioni.

Prosperi fece parte, oltre che dell’Arcadia, di diverse società, fra le quali l’Accademia di Modena, città da cui scrisse la lettera del 1823 indirizzata a Pio Brunone Lanteri, l’Accademia di Arezzo e quella Lucchese, almeno questo è quanto sono riuscita a rinvenire. Prosperi fu uomo dalle mille risorse: divenuto, proprio in quegli anni, seguace di Antonio Rosmini, non venne perdonato per questo dai suoi ex compagni di viaggio gesuiti, almeno dai più intransigenti, stando alle vicissitudini che la vita gli riservò.[37]

Il chierico e cavaliere Gioacchino De Agostini e il religioso suo amico, Padre Gioacchino Prosperi, misero al centro dei rispettivi interessi un obiettivo comune: contribuire a risolvere la questione nazionale, in un’ottica federale, secondo quanto il neoguelfismo prospettava. Per usare le parole del loro scrittore di riferimento, Alessandro Manzoni, lottarono per l’Italia «una d’arme, di lingua e d’altare».

Ancora nel 1833, sulla «Gazzetta Piemontese», leggiamo che Prosperi è amato e stimato in Piemonte, ed il suo nome viene accostato a quello del collega e collaboratore De Agostini, sul piano letterario.[38] I toni usati nella «Gazzetta» di Felice Romani, peraltro organo ufficiale del Regno, ed il titolo dell’Ode di riferimento, La Risurrezione, possono indurre a dubitare sul significato autentico da attribuire all’encomio profuso.[39]

I due personaggi risorgimentali, che possiamo definire «minori», affrontarono da dietro le quinte quanto gli uomini più conosciuti del nostro Risorgimento, che furono loro allievi, compagni ed amici, seppero proporre su larga scala. Si spesero con un’energia senza pari, arrivando a sostenere calunnie e processi, per restare fedeli agli ideali di patria e libertà che li videro coinvolti.

De Agostini seppe sempre valorizzare le sue idealità moderate, pur collaborando con uomini d’impronta laica e democratica: «Un suo articolo sullo “Spettatore del Monferrato”, scritto in occasione dell’attentato contro Francesco Giuseppe d’Austria, venne da alcuni malevoli designato come un’apologia del Regicidio. E l’accusa suonò tanto alta che, sospeso dalla cattedra, venne sottoposto a consiglio disciplinare, da cui però uscì trionfante».[40]

Gioacchino Prosperi subì un processo a Firenze nel 1844 perché sospettato d’essere un prete rivoluzionario, come ci ricorda lo storico ed erudito livornese Ersilio Michel, in una sua pubblicazione.[41]

Apprendiamo da una nota dello storico livornese e da una pubblicazione del 1868 di Giuseppe Masserano che anche la vita del marchese Avogadro, conosciuto e presumibilmente frequentato da Prosperi e De Agostini in Piemonte, fu singolare.[42]

Egli collaborò prima con Carlo Felice, e successivamente con Carlo Alberto. Sotto quest’ultimo fu, a partire dal 1846, presidente della Società Agraria Torinese, voluta dal Re negli anni Quaranta del XIX secolo ed impegnata nel difficile compito di traghettare il Piemonte sia sul piano economico che politico verso «nuove realtà federali» dello Stato sabaudo nella Penisola. Della società Agraria Torinese Lorenzo Valerio, protetto da Filiberto Avogadro di Collobiano per le sue vicende rivoluzionarie, rappresentò l’anima più calorosa. Scrive in proposito Adriano Viarengo: «Quello di Valerio fu un liberalismo severo ma intriso di elementi solidaristici e popolari […]. Eppure Valerio e la Sinistra appoggiarono stranamente l’incostante e troppo moderato Re Carlo Alberto, curiosamente più vicino a lui che al Cavour».[43]

I due professori amici, De Agostini e Prosperi, che condivisero le stesse idealità cattoliche e moderate del Collobiano, furono maestri di quella gioventù italiana che, stando alle parole del De Sanctis, «è la storia della libertà italiana».

Il Collobiano sostenne il patriota Lorenzo Valerio e sin nel 1834 ebbe un atteggiamento non di chiusura verso soggetti non particolarmente graditi al Piemonte sabaudo, vista la commissione dell’Ode a Gioacchino Prosperi, sempre monitorato dalle varie polizie della Penisola.

Il professor Levra ritiene il sostegno offerto dal Collobiano al Valerio rientrare nel novero dei classici rapporti d’antico regime. Dalle mie ricerche traspare su tale rapporto, in controluce, qualcosa di diverso.

È vero che del Collobiano, in una lettera al fratello Venanzio, Quintino Sella parlò, nel 1847, in toni non proprio eufemistici, come di un soggetto di cui non ci si doveva fidare.[44] Ma la lettera fu scritta in un momento difficile per l’ormai anziano aristocratico, che si oppose allora all’espulsione dell’Ordine Gesuita. Era certamente legato, e non solo per il suo ruolo di scudiero della Regina Maria Cristina, in modo personale ad alcuni membri dell’Ordine.

Ritengo necessario perciò non prendere alla lettera le affermazioni di Quintino Sella sul Collobiano, in quanto vanno a mio avviso calate nel contesto.[45] Rimane decisivo capire, io ritengo, come nel 1842 si muovesse il Collobiano verso i Gesuiti, perché è essenziale, per interpretare le vicende che videro protagonista Gioacchino De Agostini con Padre Prosperi, considerare l’intero decennio 1840-1850.

Già agli inizi degli anni Quaranta il conte Avogadro non si trovò sempre in sintonia col Generale Roothaan, in particolare sui destini del Padre Gesuita Giovanni Antonio Grassi, a suo tempo confessore di Carlo Felice e della Regina Maria Cristina. Il Generale infatti volle destinare Padre Grassi, cosa che puntualmente fece, ad altro incarico.[46] Il religioso Padre Grassi fu per l’Ordine un membro particolarmente degno di nota per il ruolo svolto come Padre Gesuita[47] e per il suo strettissimo legame con la Casa Regnante sabauda. Il Collobiano prese le sue difese, accusando pubblicamente Roothaan di crudeltà per la decisione intrapresa.

Possiamo interpretare tale atteggiamento una semplice presa di posizione del conte, dovuta al suo ruolo di scudiero della Regina Maria Cristina. Ma, aggiungerei, tanta determinazione poteva evidenziare una presa di distanza del Collobiano dall’atteggiamento di assoluto controllo esercitato dai Gesuiti sulle Monarchie regnanti, controllo che fu certamente sostenuto a Torino.

Lo stesso Padre Prosperi, quando ancora risiedeva ufficialmente in Piemonte, dimostrò, nei fatti, con le sue frequentazioni da Padre Gesuita, d’essere a conoscenza delle dinamiche politiche di Casa Savoia;[48] essere un membro attivo dell’Ordine gli permise dunque di avvicinarsi in modo indiscutibile ai vertici del potere sabaudo. Ma nel corso degli anni Quaranta è altrettanto indiscutibile che il peso politico dei Gesuiti in Piemonte progressivamente mutò, e questo travaglio vide la luce a partire proprio dagli anni Trenta.

Il Prosperi del resto ne è valido esempio: da fervente Padre Gesuita divenne rosminiano. La mobilità all’interno dell’Ordine, ritengo fosse più dinamica di quanto talvolta non possa apparire. Lo stesso Prosperi dirà, in alcune sue pubblicazioni, che i Padri Gesuiti non potevano venir classificati tout court come tali, ma che di fatto alcuni assunsero posizioni talvolta molto distanti tra di loro. A tal fine egli ricordò l’esempio della lungimiranza di Padre De Ravignan e di Padre Boero, contrapposta dal religioso all’inflessibilità di Padre Liberatore e Padre Melia.

Nel 1834, quando Filiberto Avogadro di Collobiano commissionò a Gioacchino Prosperi l’Ode in occasione della festa di San Massimo in Agliè, ode che egli commissionò a due mani con l’amico professor De Agostini, l’ormai ex Padre Gesuita e, in quel momento, Rettore del Collegio Comunale di Cuorgnè si rivolse, col suo scritto, a Monsignor Giovan Pietro Losana, Arcivescovo di Biella, cui di fatto l’ode venne dedicata.

In quel periodo Monsignor Losana metteva in guardia i parroci della sua diocesi per l’arrivo nel Canavese di gruppi evangelici ritenuti accesi ma che nello stesso tempo non mostravano accanimento verso il clero giansenista.

Egli ebbe un ruolo politico verso le minoranze religiose ben definito, da religioso moderato, che proprio il carteggio di Lorenzo Valerio chiarisce. Il Valerio collaborò sempre, a più riprese, con Giovan Pietro Losana.

La questione ci riporta a come, nel Canavesano, tra gli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo, vi sia stata una certa collaborazione tra i valdesi emigrati ed alcuni profughi italiani trapiantati in Inghilterra. In particolare, un gruppo di evangelici, di origine toscana, si impiantò in Piemonte. Erano in contatto con i conosciuti conte Piero Guicciardini, discendente diretto dello storico Francesco, e col poeta Teodoro Pietracola Rossetti, nipote del conosciuto vate Gabriele Rossetti, esiliato a Londra, la cui consorte, Francis Polidori, aveva origini toscane.[49] Senza contare che il suocero di Gabriele Rossetti, il medico poi emigrato a Londra, Gaetano Polidori, era stato per quattro anni segretario personale di Vittorio Alfieri. Quell’Alfieri che negli ultimi anni della sua vita «propenso a riconciliarsi col proprio Re e con la propria religione cattolica»[50], restava pur sempre l’autore del Saul e dell’Abele. Scrive in proposito lo storico Giorgio Spini: «Che rapporto preciso passa [a partire dal Settecento] tra il prestigio dell’Inghilterra protestante, vittoriosa del Re Sole, e l’ondata dell’anticurialismo italiano? Sono interrogativi questi cui necessita ancora sul piano storiografico una risposta convincente».

Certamente nel corso della prima metà del XIX secolo il fatto che personaggi come Pietracola Rossetti e Guicciardini fossero protestanti non rappresentava un limite nel perseguire le dinamiche socio-politiche comuni a tutti i patrioti della Penisola.

Le non troppo velate accuse di protestantesimo di cui sia Padre Gioacchino Prosperi che l’amico Gioacchino De Agostini, nel corso della loro vita, furono investiti, e da cui in specifico Padre Prosperi si difese sempre con determinazione, stanti i documenti rinvenuti, nascevano da tali rapporti?

Prosperi morì parroco nella sua chiesa di Sant’Anna, alle porte di Lucca, nel 1873.[51] Se continuò a vestire l’abito talare, nonostante le ripetute accuse, erano più i suoi coinvolgimenti politici ad apparire inopportuni, in un contesto d’antico regime, piuttosto che la sua ortodossia.

De Agostini abbandonò l’abito talare nel 1848 per sposare la protestante, convertitasi al Cattolicesimo, Adelaide Galli Dunn, figlia di un fuoriuscito piemontese del 1821 e, dunque, ebbe rapporti coi fuoriusciti italiani della capitale inglese.

Come l’amico Prosperi, egli si rese interprete di un Cattolicesimo liberale che vide nelle vicende unitarie, sposando la causa sabauda, motivo di crescita per il Paese, pur abbandonando l’iniziale visione federalista. Personaggi scomodi, proprio perché, di fatto, non rinnegarono mai le loro idealità moderate.[52] Questo loro far fronte comune coi democratici partiva da lontano.

Esistono ad esempio precisi riferimenti dei rapporti tra Lorenzo Valerio e l’Arcivescovo di Biella, Monsignor Losana, sia nei carteggi del Valerio che in altre pubblicazioni.[53]

Nel 1838 Monsignor Giovan Pietro Losana sostenne in Biella la formazione di una Società Agraria chiamata «Società d’incoraggiamento dell’Agricoltura, Arti e Mestieri», di cui divenne presidente. Tale Società offrì alle «Letture popolari» l’opportunità di parlarne favorevolmente. Ne fu parte attiva Gioacchino De Agostini[54] e, tra i soci fondatori, anche Filiberto Avogadro di Collobiano.[55]

Nonostante l’espulsione dal Piemonte, Prosperi continuò qui a predicare la Quaresima, nel 1838, come si evince dalla sua pubblicazione sulla Corsica, e ad intrattenere rapporti con gli amici piemontesi. In particolare con Gioacchino De Agostini, cui egli dedica le sue lettere missionarie dalla Corsica nel 1844.

Gli anni Quaranta rappresentarono infatti per Padre Prosperi in Corsica anni di missioni, ufficialmente religiose, e con un’impronta rosminiana, che segnarono il destino dei due amici. In quel periodo Rosmini frequentava a Torino con interesse il circolo letterario Pino[56] e i giovani che ne fecero parte provenivano da quell’humus ideale che anche Prosperi e De Agostini avevano conosciuto e, da docenti, educato, nel Piemonte degli anni Trenta.

Nelle frasi de La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, resoconto delle «fatiche missionarie» del religioso lucchese, sono contenute parole che rappresentano in ogni modo indicazioni politiche per interpretare un quadro di riferimento.

Quel taluno a cui la «franchezza soverchia non andrà a genio, e dunque si risentirà» si chiama Padre Melia della Compagnia di Gesù, che il sacerdote lucchese attacca ripetutamente. Melia è un denigratore caloroso della dottrina rosminiana, sia sul piano filosofico che politico ed è ritenuto l’Eusebio cristiano che nel 1841 aveva con forza attaccato Rosmini.

«Le missioni» di Padre Prosperi e gli interventi più generali degli esuli córsi ci appaiono, ad una lettura più attenta, come tentativi politici affannosi, peraltro di complicato coordinamento. Ersilio Michel cercò di cogliere in certe situazioni di personaggi presenti all’epoca sull’Isola, attraverso i suoi minuziosi studi, quasi una «successione di eventi», come se talvolta gli esuli fossero «staffette» pronte a tutto.[57] Nelle sue pagine dedicate a Luigi Carlo Farini ed a seguire, al ruolo svolto da Gioacchino Prosperi, nel 1844, in Corsica, sta, io credo, un’immagine efficace di tali tentativi insurrezionali, certamente sulla Penisola, non sappiamo se in Corsica,[58] prima ancora che le singolari frasi del religioso lucchese al De Agostini sulle navi che potrebbero transitare nel golfo di Ajaccio;[59] o i nomi che egli fece di coloro che si prestarono nel soccorrerlo durante le sue predicazioni, peraltro tutti personaggi coinvolti nelle questioni politiche isolane.[60] Dalle lettere traspare dunque un impegno civile del professore vercellese, forse aperto ad istanze comuni a più Stati di antico regime.

Ma se volessimo anche solo sostenere che il professor De Agostini era esclusivamente un appassionato topografo, oppure un «semplice» erudito, particolarmente attento agli indirizzi culturali del momento, resta tuttavia significativo che Prosperi addirittura si scusi con lui perché, troppo occupato in questioni religiose (delle quali le lettere non forniscono alcun valido riferimento) non riesce a relazionare adeguatamente con l’amico sul piano topografico. Autentica contraddizione in termini, vista l’appassionata descrizione dell’Isola ivi contenuta. Egli, all’interno di tale pubblicazione, ricorda al De Agostini di un suo viaggio compiuto a Parigi nel 1833, dove si sentì ammirato per le vestigia delle gesta napoleoniche.

Si trattò, in quel caso, certamente di un atto di riverenza rivolto verso il grande Córso, che anche i moderati guardavano con ammirazione. Ma è doveroso chiedersi cosa potesse mai fare nel 1833 a Parigi l’allora Rettore e Prefetto degli Studi, «naturalizzato» piemontese, dal momento che i documenti ufficiali lo vogliono a Cuorgnè, ammirato e stimato da tutta la popolazione. Il viaggio esprime in ogni caso le particolari inclinazioni politiche del religioso, di cui Filiberto Avogadro di Collobiano non poteva, nel 1834, non essere a conoscenza.

L’ufficialità vuole il sacerdote lucchese bizzarro, legato esclusivamente al suo contesto cittadino e con un ruolo defilato, del tutto marginale nelle vicende del periodo.

La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola è viceversa un testo che, meglio di qualunque altro suo scritto, c’introduce, tra le righe, in un clima incandescente. La pubblicazione richiama non solo i trascorsi del Prosperi, ma soprattutto un presente, fatto di sotterfugi ed ambiguità politiche. Il bizzarro Duca Lucchese Carlo Lodovico di Borbone, che gli dette la trasferta missionaria, di concerto col Capo della Polizia Lucchese, Vincenti, di origine córsa, il «titubante» Carlo Alberto di Savoia e, più in generale, l’intero assetto politico peninsulare dovettero confrontarsi con tale contesto.

L’ambiente lucchese,[61] da cui l’ex Padre Gesuita proveniva, era legato ai Rossetti ed al mondo protestante inglese, pur mantenendo ben salde le proprie radici cattoliche.[62] I rapporti dell’entourage lucchese di Padre Prosperi con Raffaello Lambruschini e, più in generale, col gabinetto Vieusseux, sono documentabili.[63]

Ho cercato di rintracciare il professor De Agostini ed il collega, professor Prosperi, all’interno del gabinetto di Monsignor Clemente Pino, visto che Monsignor Pino voleva emulare le gesta del gabinetto Vieusseux, cui si ispirò sin dall’inizio, ma non ho riscontrato il loro nome. Però, date le frequentazioni dei due, sia toscane che piemontesi, e la presenza nel gabinetto di corrispondenti esterni,[64] i due amici, di stampo moderato, non poterono quanto meno ignorare il ruolo che assunsero i protagonisti del gabinetto piemontese.

La mia disamina politica si incentra su una semplice constatazione: il Duca Lucchese Carlo Lodovico di Borbone, dopo aver incaricato il sacerdote della trasferta missionaria córsa nel 1839, ed avere per anni cercato contatti sia con gli Inglesi che coi Bonaparte, nella speranza di non dover rinunciare alla possibilità di restare sul trono lucchese magari, come ebbe a dire lo stesso Carlo Alberto nel 1830, divenendo il «Re d’Italia»[65] che genere di contatti politici aveva imbastito dentro e fuori la Penisola? Forse un personaggio intelligente e bizzarro come Padre Prosperi e, per di più un religioso, ben introdotto negli ambienti romani e sabaudi, avrebbe potuto mantenere i contatti con i patrioti presenti in Corsica, che la famiglia Bonaparte cercava in quel periodo (1839-1846) di addestrare ed opportunamente armare per risolvere le questioni politiche isolane pendenti. Di fronte a tale situazione, relativa ad un possibile inserimento politico della Corsica nell’orbita italiana, quanto l’opera preziosa, e talvolta silenziosa di Niccolò Tommaseo e di Salvatore Viale, all’epoca residenti sull’Isola, e opportunamente citati da Padre Prosperi nel suo scritto, incise nelle articolate situazioni statuali che emersero in quegli anni?

Stretti furono i rapporti intercorsi tra lo scienziato Carlo Luciano Bonaparte e Carlo Alberto.

Scrive Diego Angeli in proposito: «Gli organizzatori dei Congressi Scientifici capirono quanta importanza questi potevano avere per l’Unificazione italiana. Carlo Bonaparte aiutato e incoraggiato da Carlo Alberto – il quale lo ebbe amico anche quando l’amicizia di un napoleonide poteva essere pericolosa per un Sovrano della Santa Alleanza – incominciò a far entrare uno spirito politico e nazionale in quei dibattiti che avrebbero dovuto rimanere soltanto nel campo ideale della scienza».[66]

Il particolare documento del 1846,[67] che il religioso Padre Prosperi ci ha lasciato sulle sue «fatiche missionarie» córse, mette in ombra sia il suo ritratto di semplice predicatore che di «sacerdote rivoluzionario», con cui rispettivamente sostenitori e denigratori lo hanno dipinto. Redatto con una grafia frettolosa, posto in appendice alla mia tesi, ad un’attenta e puntigliosa lettura ci offre l’opportunità di riflettere su scenari inconsueti delle vicende del nostro primo Risorgimento. Possiamo leggere in questo documento che il religioso, il 29 marzo del 1846 si trovava ancora ad Ajaccio «animato dal pio legislatore di Nicotera [Pasquale Galluppi] con la patente di efficace abaro [all’interno Prosperi è dichiarato massone], a colmare lo stato di tristezza di tutti i cuori sugli avvenimenti dell’infelice Polonia [dei primi di marzo di quell’anno]». Il riferimento a Pasquale Galluppi non è casuale: il filosofo che introdusse in Italia la filosofia kantiana fu vicino sia a Gioberti che a Rosmini, e legato, per la sua profonda fede, ai redentoristi di Sant’Alfonso de’ Liguori. È proprio Sant’Alfonso che Prosperi cita nei suoi scritti, ad aver ispirato il Venerabile Pio Brunone Lanteri, cofondatore di quell’Amicizia Cristiana di Torino con Cesare d’Azeglio, di cui Prosperi fece parte da Padre Gesuita. Alcune frasi successive ci lasciano interdetti, rovesciando quelli che sono i parametri delle nostre abituali conoscenze storiche sul periodo. Prosegue infatti: «Noi non ci poniamo qui a discorrere delle infamità delle nostre antiche vicissitudini [il noi è riferito ai patrioti córsi] ma i córsi non sognano e dimenticano che il Regale Ciuffo [Napoleone I] fu intimo amico del Paoli e che i Padri Muratori [Prosperi in quel momento è un Padre Francescano, come ho rinvenuto attraverso le sue carte] sono stati i testimoni degli ultimi gemiti dell’Aquila Imperiale [sembra che Napoleone abbia lasciato quasi un testamento politico]. Il Muratore Prosperi lì ci stette nove anni per manifestare con più luminosità il Vangelo, calice di amore, di speranze, di libertà contro le tenebre dell’errore, della schiavitù, della morte e in un momento di Resurrezione! Ha egli pronunciato quei discorsi a pro di quei sacerdoti polacchi atleti di una religione che il laicismo italo-sardo, ancora fastidiosamente vantaggioso, li armò, finalmente!». Un Padre Prosperi che col collega De Agostini, quale Padre Massone ed animato dal «pio legislatore di Nicotera» (pensiamo a quanto scrisse sul Galluppi Giovanni Gentile) sottoscrive l’aiuto materiale degli ambienti laici e liberali del Regno di Sardegna ai moti insurrezionali polacchi del tempo, ammiratore per giunta dell’aquila imperiale, cioè collegato agli ambienti bonapartisti, ancora eminentemente liberali! Carlo Alberto ed il Duca Lucchese sembrerebbero in qualche modo coinvolti nei richiami del Prosperi e dell’amico! Segue: «Noi siamo lieti di annunciare una sottoscrizione ad agosto della nostra città [Ajaccio?] a favore dei Muratori, e andiamo sperando che un vasto e più esteso movimento sia iniziato in tutta la Corsica!».

Al suo interno si fa riferimento alla nascita di un «Santo Regno» italiano, con ogni probabilità regionalistico ed alcune lettere presenti all’Archivio di Stato di Lucca, lettere del 1838, fotografano questo quadro storico.[68]

Nella prima lettera rinvenuta, indirizzata dalla marchesa Eleonora Bernardini, grande amica di Padre Prosperi,[69] all’allora Segretario di Stato Lucchese, il conte Ascanio Mansi, la nobildonna riferì che a Genova l’atteso ambasciatore di Carlo Alberto a Parigi, il marchese di Brignole[70] fosse stato erroneamente, in quella circostanza, scambiato con un Monsignore diretto anche lui a Genova e proveniente da Firenze.

Le preoccupazioni della nobildonna, impegnata politicamente,[71] appaiono nella lettera palpabili. Non solo, ma l’anno successivo Antonio Panizzi, il futuro sir Panizzi, già all’epoca direttore del British Museum, cercò di venire in incognito da Londra a Lucca, passando per Torino e per Genova. Aveva con sé delle lettere di Giuseppe Mazzini, da recapitare a Genova alla madre del Mazzini, Maria. In Torino, dove il Duca Lucchese gli aveva procurato un lasciapassare da cittadino britannico, nessuno lo importunò e potette circolare liberamente. Ma Panizzi era un illustre ricercato politico e, una volta giunto a Genova venne pesantemente intimidito dal governatore della città, al punto da fare marcia indietro e ritornare frettolosamente a Londra.[72] Ufficialmente Panizzi era diretto a Lucca per riordinare la biblioteca personale del Duca Borbonico. In realtà, così traspare in un’altra pubblicazione,[73] Panizzi voleva fare anche una visita a Reggio Emilia per rivedere i suoi cari, non limitandosi al passaggio in Toscana. Si potrebbero ipotizzare dunque «possibili» scenari di natura politica. Sempre del 1838 è una lettera indirizzata a Lucca a Pier Angelo Sarti da Pietro Rolandi, il celebre editore piemontese emigrato a Londra, lettera scritta a due mani in cui anche Gabriele Rossetti invia i suoi saluti all’amico, a far riflettere. Pier Angelo Sarti, organizzatore del British Museuum, era da poco rientrato a Lucca.[74] Singolare il tentativo, qualche mese dopo, del Panizzi di raggiungere il Duca!

Sono proprio le frasi del Duca, contenute in una sua lettera indirizzata al patriota emiliano nel 1839, e le frasi di una missiva indirizzata, sempre in quell’occasione, da Mazzini alla madre, a stupirci.

Il Duca definì con ironia il comportamento di Panizzi che aveva avuto troppo timore, questa la versione del Sovrano Lucchese, verso le autorità genovesi. Panizzi vanificò così, egli ritenne, tutto il suo impegno nel fargli avere avuto il lasciapassare a Torino.[75]

Mazzini viceversa, nella sua lettera alla madre, in cui fece riferimento all’episodio descritto, chiese esplicitamente, visto l’accaduto, se in Piemonte i Sovrani erano, in quel momento, uno oppure due.[76]

Solo, anche in questo caso, velata ironia, o un voler sottolineare che certi movimenti non andavano a buon fine perché il Sovrano non riusciva a gestire adeguatamente varie situazioni di politica interna? Tra le quali, forse, singolari aspettative, anche nei confronti della Corsica.

Qualche anno dopo, il professore vercellese Gioacchino De Agostini chiederà all’amico Quintino Sella d’inviare «a quelli del British» copia di una sua pubblicazione.[77] Evidentemente il British Museum rappresentò per tutti questi patrioti, negli anni Quaranta del XIX secolo, una fucina d’idee e relazioni.


Note conclusive

Ritengo rilevante, per le questioni trattate, l’inserimento di Padre Gioacchino Prosperi in La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola di un’orazione funebre, da lui scritta, letta e pronunciata nel 1843, in occasione dei solenni funerali di Monsignor Sebastiano Pino, Vicario di Corsica, a lungo perseguitato durante le vicende rivoluzionarie da Napoleone I.

Da un’attenta lettura del documento e dal rinvenimento, successivo alla stesura della mia tesi, di una lettera del giugno 1840 dello stesso Vicario a Padre Prosperi, non pare essere Monsignor Pino così contrario, prima della morte, ad un avvento ipotizzabile della dinastia Bonaparte in territorio córso. Egli esorta infatti con enfasi il prete «rivoluzionario» Prosperi a fargli visita, in quel giugno 1840, per conoscere sia i membri della collettività bastiese che lo stesso Vicario. L’Arcivescovo Córso Casanelli d’Istria in quel periodo è impegnato in una visita [pastorale? Monsignor Pino non lo rivela] a Roma e la comunità di Bastia, cui il Vicario fa riferimento nella lettera, comunità desiderosa di conoscere Padre Prosperi, era molto attiva verso i patrioti di ogni colore che si adoperarono sull’Isola. Francamente sconcerta l’ammirazione del Vicario, ritenuto intransigente, verso un sacerdote certamente non reazionario!

La particolare orazione funebre «dell’eloquente Lucchese», che Prosperi stese nel 1843 in onore del Vicario appena deceduto, e le modalità di tale stesura e pubblicazione, lasciano il lettore ancor più interdetto e dubbioso di quanto già non possa essere, leggendo le sue carte. Una qualche convergenza tra la Chiesa Córsa del periodo e le vicende sin qui descritte forse ci fu.

Puntualmente lo stesso Prosperi volle, qualche anno più tardi, precisare l’ufficialità delle sue missioni córse, di cui molti ecclesiastici erano all’epoca a conoscenza e che approvarono.

Nello stesso periodo delle vicende trattate un altro Pino, Monsignor Clemente, insieme con Monsignor Clemente De Negri, stava riscuotendo, ribadiamolo, grande successo tra i giovani studenti torinesi, con la sua Accademia.

Il canonico torinese Pino tentò anche di ottenere un formale riconoscimento da parte delle autorità del carattere di accademia di quella che denominò «conversazione letteraria», ma Carlo Alberto preferì non darle tale sanzione, pur autorizzandone l’attività. I cofondatori, con Gioacchino De Agostini, del «Carroccio» di Casale Monferrato, appartennero al gabinetto, così come Luigi Cibrario, amico e sostenitore del professore vercellese.

Ciò che più coinvolge in questa disamina è certamente la partecipazione attiva di Antonio Rosmini alle «Conversazioni letterarie» del Pino, quel Rosmini che ebbe un peso tanto significativo nelle vicende di Gioacchino Prosperi e, viste le lettere dalla Corsica, con ogni probabilità dello stesso De Agostini.

Non sono sempre documentabili i movimenti politici di quegli anni, al punto da sviscerare le ambiguità dei vari Sovrani della Penisola, e tra questi certamente Carlo Alberto e il Duca Borbonico Carlo Lodovico, coinvolti in tali vicende. In ogni caso i documenti fin qui evidenziati tendono a sottolineare che, almeno in via ufficiosa, coinvolgimento ci fu.

Nel 1836 il console piemontese a Livorno, cavalier Cesare Spagnolini, scrisse al marchese Paolo Ludovico Garzoni Venturi, ciambellano della Granduchessa di Toscana (peraltro dai carteggi del Garzoni intimo sia della Regina Maria Cristina che del Collobiano) una lettera a tale Marietta Giranti a Bastia, consegnata «in sua mano» attraverso un «collega» di cui lo Spagnolini non precisa il nome, e naturalmente neppure i contenuti della lettera; dopodiché menziona però «l’ottimo conte Broglio», allora responsabile degli affari esteri di Carlo Alberto di Savoia in Toscana, che proprio in quel periodo anche la marchesa Eleonora Bernardini di Lucca attende nella sua città, insieme con Ascanio Mansi, Segretario di Stato Lucchese, con impazienza. La marchesa era amica e protettrice di diversi patrioti della Penisola, nonché amica e confidente di Padre Prosperi.

Non possiamo escludere, come lo stesso Adriano Viarengo sostiene, la possibilità che le frange più moderate e quelle reazionarie abbiano in qualche modo collaborato nel corso del primo Risorgimento, anche se ciò non è stato a sufficienza preso in considerazione dalla storiografia ufficiale.

Da una pubblicazione di Lucien Vieville sulla vita di Luigi Napoleone Bonaparte emerge che nel 1840 Palmerston, Primo Ministro Inglese, per contrastare la politica di Luigi Filippo, sostenne la spedizione di Boulogne di Luigi Napoleone. Essa fu fallimentare per il ritiro, all’ultimo momento, dell’aiuto promesso dagli Inglesi. Il tutto in sintonia con la difficile congiuntura internazionale di quegli anni, di cui ci parla anche Adriano Viarengo quando asserisce che Carlo Alberto agiva in via ufficiosa per ottenere credito nei circuiti politici d’oltre Manica. Lo stesso possiamo riferire del Duca Borbonico Lucchese.

Ripensando al viaggio in Italia di Antonio Panizzi nel 1839 e ai confidenziali saluti inviati nello stesso anno da Londra a Lucca al suo collaboratore al British Museum, il repubblicano Pier Angelo Sarti, sia da Gabriele Rossetti che da Pietro Rolandi, tutto lascia supporre che le analisi di Adriano Viarengo siano più che fondate.

Alcune frasi poi, che ho tratto da una pubblicazione del 1901, contribuiscono ad avvalorare questa ipotesi, vista la credibilità della fonte, sul piano politico.

Lo scrivente è un membro della Pia Società di San Francesco di Sales, Giovan Battista Lemoyne. Egli così cita, riferendosi al 1841: «In Carlo Alberto erano sempre vive le fantasie di gloria intravedute ne’ suoi sogni giovanili. […] Personaggi di grande autorità si univano agli adulatori ed accendevano sempre più questa sua passione. [I loro discorsi] tolsero a Carlo Alberto assolutamente il lume, che era necessario a discernere il vero. Manifestava simpatie per il conte Ilarione Petitti, per il Promis, per il conte Federico Sclopis, per il conte Gallina e Roberto d’Azeglio, ambedue carbonari e congiurati del 1821. Costoro gli suggerivano, ed egli si figurava di poter valersi del concorso delle sette, come di un istrumento che poi spezzerebbe dopo raggiunta la méta. […] Misteriosi messaggeri e segretissimi erano spediti da Torino a tutte le regioni italiane, nonché a Bruxelles e a Parigi. […] Di questi maneggiamenti, nulla trapelava al pubblico, mentre da anni un più ruinoso lavorìo si andava con astuzia facendo delle sette in ogni regione d’Italia e specialmente nel Regno Pontificio per abbattere i Troni e la Chiesa Cattolica […]». Evidentemente le ripercussioni derivate dall’Unità nazionale furono tali da frenare sul piano politico i risultati storiografici ufficiali degli anni successivi, dal momento che non abbiamo ancora una ricostruzione organica delle vicende.

Ritengo sulla stessa lunghezza d’onda le questioni córse in cui Gioacchino De Agostini e Padre Prosperi furono coinvolti. La lettera rintracciata, del giugno 1840, di Monsignor Sebastiano Pino, Vicario di Corsica, ed indirizzata al religioso lucchese, dove il Vicario esortò il predicatore a non raggiungere Ajaccio perché l’Arcivescovo, il «moderato» Casanelli d’Istria, stava per recarsi a Roma, rappresenta una chiave di lettura del percorso storico-politico sin qui delineato.

Il Pino invitò Prosperi ad andare in ogni caso a Bastia, anche dopo la partenza dell’Arcivescovo, e previde per il sacerdote in Bastia lo stesso successo riscontrato in precedenza in Ajaccio, con le sue predicazioni. Sebastiano Pino, che morirà nel 1843 e a cui Padre Prosperi dedicherà una controversa orazione funebre, scriverà, in quegli anni, un resoconto della sua vita avventurosa. Per quante ricerche in Corsica siano state fatte di tali memorie, già a partire dagli anni Trenta del XX secolo, nulla è stato rinvenuto.

La lettera rintracciata del Pino, peraltro scritta non in veste ufficiale, avrebbe dovuto, ritengo, solo avvertire il religioso lucchese della partenza dell’Arcivescovo, non esortarlo a cambiare itinerario alle sue predicazioni religiose, peraltro dai contenuti imprecisati, come si evince nella pubblicazione delle lettere del sacerdote.

Dal 1839 in poi, in via ufficiale, Prosperi prese a recarsi sull’Isola; dunque nel giugno del 1840 conosceva ormai persone e situazioni, come lo stesso Monsignor Pino precisò nella lettera, in riferimento ai territori presso Ajaccio.

Per giunta, se Monsignor Pino era così desideroso di conoscere un personaggio come Padre Prosperi, non poteva avere preconcetti verso un prete, diremmo noi oggi, anticonformista, ammiratore sia di Pasquale Paoli che di Napoleone I! Dove erano andate a finire le posizioni reazionarie del Vicario, il suo antibonapartismo iniziale?

Il predicatore, ponendo in appendice all’Opera, indirizzata al professore piemontese, la scarna Orazione funebre dedicata al Pino volle, io credo, lanciare soprattutto dei precisi messaggi.

«Povero è il dono [recato in Piemonte, questo quanto scrive Prosperi in La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola], ma tutti questi scritti sono frutto dei nostri sudor». In una parola, sembra egli riferire all’amico, in Corsica non ho potuto fare di più.

«Qualcuno mi taccerà di franchezza soverchia» – prosegue – «dirà cioè che ho esagerato»!

Quel qualcuno doveva, viste le frasi, essere ancora incerto sul da farsi, senza una grande fiducia nella possibile riuscita dei sommovimenti sull’Isola.

Come sollecitare l’amico De Agostini a convincere i dubbiosi?

Le risolute imprecazioni di Padre Prosperi, di qualche anno più tardi, scritte in sua difesa, ci riportano con la memoria ai rapporti che lo stesso ebbe con eminenti personalità della Chiesa, non solo Córsa, ma anche Toscana e Romana. Gli ambienti romani che ricevettero nel 1840 la visita del Casanelli d’Istria furono con ogni probabilità gli stessi che in quel periodo ospitavano e proteggevano i napoleonidi.

Non ho rinvenuto a tutt’oggi ulteriori documenti che possano avallare quanto Prosperi asserì in quella sua accorata difesa d’ufficio, ma l’affetto personale del Cardinale Pacca verso Massimo d’Azeglio, peraltro quest’ultimo in amicizia con De Agostini e, visti i trascorsi familiari, una possibile frequentazione romana dello stesso Prosperi, era ancora una certezza nel 1838, quando il Cardinale consentì al d’Azeglio di sposare la protestante Enrichetta Blondel, come traspare dai documenti di Massimo d’Azeglio.

Nell’Orazione dedicata a Monsignor Pino, Prosperi citò proprio le memorie del Cardinale Pacca, volendo così ricordare ai suoi lettori, Gioacchino De Agostini compreso, che il Pino era persona gradita a Roma, tanto quanto l’Arcivescovo Casanelli d’Istria, voluto nella veste arcivescovile nel 1830, contro la sua stessa volontà, per esorcizzare un possibile avvento di un membro del clan córso dei Sebastiani, sostenitori, questi sì, di Luigi Filippo.

Nominando quale Arcivescovo di Corsica il Casanelli d’Istria, il Vaticano intorno al 1830 indebolì il clan dei Sebastiani, senza dover rafforzare il clan rivale dei Pozzo da Borgo, cugini e nemici dei Bonaparte. Ritengo questo un modo di consentire ai napoleonidi opportunità politiche sull’Isola.

Alla luce di tutto ciò la figura di De Agostini ci appare in un ruolo ben diverso da quello di semplice professore, religioso e giornalista, verosimilmente impegnato in prima linea in difficoltose situazioni politiche locali e nazionali.

Al centro di tali vicende, come opportunamente egli tracciò nel suo «Vessillo», i Congressi Scientifici, che largo richiamo avevano avuto in Italia per dibattere le questioni politiche risorgimentali. Ancora nel 1860, per sottolineare l’importante ruolo svolto da questi Congressi, così egli scrisse: «La città di Siena avrà presto il merito di aver instaurata la celebrità di quegli Annuali Congressi Scientifici ai quali è dovuto in gran parte il felice cambiamento degli ordini politici nei quali si rinnova in questi giorni l’Italia. Egli è in quei Congressi che cominciarono a intendersi gli Italiani: che si conobbero più dappresso gli uomini di più alto vedere e sentire nelle cose della patria comune, ed è di là che partirono i primi lampi che illuminarono le menti all’ardua impresa della nazionale rigenerazione».

Si trattò, io credo, di una sua intenzionale dichiarazione politica, volta a riferire come tali coinvolgimenti avessero rappresentato il vero fulcro della vicenda unitaria, cui indirettamente (o direttamente?) egli aveva preso parte.

Anche alcuni napoleonidi, primo fra tutti Carlo Luciano Bonaparte, principe di Canino, parteciparono a tali Congressi con scopi rivoluzionari, che investivano la questione risorgimentale più generale della Penisola. Carlo Luciano Bonaparte fu ammirato e stimato da Carlo Alberto, che con egli intrattenne rapporti anche quando «era sconveniente averne con un napoleonide».

Una nota, fra tutte, fa riflettere sul personaggio De Agostini: nella sua pubblicazione del 1871 del Palazzo dei Cesari c’è un preciso riferimento al marchese Savelli di Pietramala, di stanza in Vercelli.

I Savelli erano aristocratici, il cui ramo principale, romano, si estinse nel Settecento, ma che avevano molti rami cadetti. Non ultimi certamente i Savelli di Corsica. Leggendo i riferimenti di Padre Prosperi nella sua pubblicazione più nota, dove accenna anche a dei Savelli, ma soprattutto leggendo la rivista diretta da Gioacchino Volpe ed ora soppressa, cui ho fatto cenno, tale famiglia compare come sostenitrice di un rinnovamento nell’Isola, foriera di novità politiche verso una soluzione bonapartista.

Queste idealità cattolico-liberali continuarono in De Agostini a prevalere nel corso di tutta la sua esistenza.

Le frasi che rinveniamo sul giornale del professore vercellese all’indomani della mozione Pantaloni-Passaglia, nel 1860 lo confermano, lasciando trasparire con forza le difficoltà che proprio quei Cattolici, schierati come lui tra i moderati, dovettero affrontare.

Gioacchino De Agostini si adoperò per sostenere il loro inserimento nei circuiti della politica nazionale post-unitaria, cercando di evitare le dure conseguenze politiche che portarono alla chiusura definitiva del Pontefice ad ogni collaborazione con i vertici del neonato Stato unitario, a seguito del Concilio Vaticano I. Egli pubblicò sul suo giornale frasi che da sole sono un testamento politico.

«All’erta, Cristiani Cattolici, all’erta!» – scrisse –. «Guardatevi, per l’Onore di Dio e della sua Religione, anche pel bene di voi medesimi, guardatevi in questi giorni dalle insidiose calunnie di cui venne colpito l’insigne Personaggio ecclesiastico virtuosissimo e dotto. Le calunnie furono sempre le vili armi usate contro il clero che sta fermo nella divina fede del Papa: e spesse volte i nemici della Religione si servono anche di falli commessi da sacerdoti, sì, ma da pochissimi sacerdoti purtroppo loro amici, da tali sacerdoti che per la loro dottrina e condotta già riprovati dai buoni e insieme compianti non solo col Papa, per denigrare la fama di quelli che stanno col Papa».

Come Giovan Pietro Losana e l’amico Padre Prosperi, De Agostini fu contrario alla soluzione finale dell’«infallibilità pontificia», che costrinse di fatto i Cattolici, almeno in via ufficiale, a non prendere più parte alla politica attiva, sino alla Legge delle Guarentigie.


Principali pubblicazioni rinvenute di Gioacchino De Agostini

Necrologio a cura di Achille Giovanni Cagna su «Il Vessillo d’Italia» del 21 agosto 1873.

Lettere di Quintino Sella a De Agostini in Epistolario 1866-1892, a cura di Guido Quazza.

Gioacchino De Agostini, Della più vera gloria del Principe, Casale Monferrato 1848.

Gioacchino De Agostini, Orazione detta nei funerali di Carlo Alberto, Casale Monferrato 1849.

Gioacchino De Agostini, I Chiostri, Torino, Chirio e Mina 1838.

Gioacchino De Agostini, Nelle nozze Berrettini, Vercelli, Edizione Cappa 1855.

Gioacchino De Agostini, All’egregia cantante Anna Bazzurri, Vercelli 1860.

Gioacchino De Agostini, Biografia di Vittorio Mandelli, volume IV, de Il comune di Vercelli nel Medioevo, Vercelli 1861.

Gioacchino De Agostini, Sospiri e Memorie, Vercelli 1863.

Gioacchino De Agostini, Discorso su Palestro, Vercelli 1868.

Gioacchino De Agostini, Luigi Palma di Cesnola e il console americano a Cipro, Vercelli 1871.

Gioacchino De Agostini, Luigi Palma di Cesnola a Cipro, Vercelli 1871.

Gioacchino De Agostini, Il Palazzo dei Cesari a Roma, le sue rovine e gli scavi, Vercelli, tipografia Fratelli Guglielmoni 1871.


Note

1 Atto di morte numero 709 del 19 agosto 1873 in Vercelli – Uffici dello Stato Civile dell’amministrazione comunale di Vercelli.

2 Archivio Storico dell’Università di Torino, Facoltà di Lettere, Verbale degli esami per professori e maestri, XF1 e FX2, pagina 58. Le notizie mi sono state gentilmente offerte dalla dottoressa Novaria, responsabile dell’Archivio Storico dell’Università.

3 Nella lettera datata 23 maggio 1865 ed indirizzata a Torino al Ministro Quintino Sella, De Agostini sostiene di aver insegnato per ben 12 anni nelle scuole comunali di Lanzo, Rivarolo e Cuorgnè, in provincia di Torino. Fondazione Sella-Biella, Serie carteggio, fascicolo «De Agostini».

4 Fondazione Sella-San Gerolamo-Biella, Carteggi, fascicolo «De Agostini», lettera inviata dal De Agostini a Quintino Sella recante il timbro «Regia Segreteria di Gabinetto per la pubblica istruzione» e lettera del 23 maggio 1865, sempre contenuta nel medesimo carteggio.

5 Famiglia di tradizioni liberali. Particolarmente noto l’architetto milanese Cecilio Arpesani, nato a Casale Monferrato nel 1853 e deceduto a Milano nel 1924. Riferimento: fascicolo «De Agostini», Fondazione Sella-Biella, lettera del 21 giugno 1865.

6 Archivio Fondazione Sella, fascicolo «De Agostini», documento inviato da De Agostini al Commendator Quintino Sella a Torino contenente l’annuncio della morte dell’amata moglie del professore, Adelaide, avvenuta in Vercelli. La lettera è del 2 marzo 1860.

7 Padre Francesco Calandri, in «Rassegna storica del Risorgimento», anno 1939, pagina 250. E Biblioteca Famiglia Ferraioli, citazione dello storico Ersilio Michel di una lettera del 1853 indirizzata al religioso, residente all’epoca in Vercelli.

8 L’orientamento politico di Gioacchino De Agostini fu certamente diverso da quello di Angelo Brofferio, ma ciò non impedì la profonda stima ed amicizia tra i due, visto che ancora nel 1871 il De Agostini pubblicò un manoscritto del Brofferio del 1840 dal titolo Il Palazzo dei Cesari a Roma, le sue rovine e gli scavi presso la tipografia dei fratelli Guglielmoni di Vercelli.

9 Lorenzo Valerio, Carteggi, volume II (1842-1847), pagina 147.

10 La tipografia dell’amato fratello Paolo De Agostini era sita in Via della Zecca numero 23, oggi Via Giuseppe Verdi, in Torino, presso casa Birago. Nel 1851 questa tipografia pubblicò per conto di Don Bosco il libro dal titolo Ai contadini – regole di buona condotta per la gente di campagna utili a qualsiasi condizione di persone e nel 1854 Notizie intorno alla Beata Panasia, pastorella Valsesiana nativa di Quarona, raccolte da Silvio Pellico.

11 Raccolta dei fascicoli del giornale «La Sesia», anno 1874, pagina 123. Commemorazione del Professor Gioacchino De Agostini da parte del Direttore e Fondatore del giornale Cesare Faccio.

12 Ibidem.

13 Gioacchino De Agostini, Rimembranze per Venezia, Torino, Fontana 1847 (Vedi il giornale «Vessillo della Libertà» di Vercelli, numero 637, pagina 102).

14 La lettera cui Gioberti fa riferimento fu edita nei carteggi giobertiani a cura di Giovanni Gentile nel 1910 a Palermo, tipografia Optima, pagine 16-17.

15 Lorenzo Valerio, Carteggio, volume II (1842-1847), pagina 414.

16 La Toscana nell’Età del Risorgimento, pubblicazione del 2011 a cura di Valentino Baldacci e Cosimo Ceccutti, 150° anniversario dell’Unità nazionale, Editore Regione Toscana. Qui si fa riferimento al pittore Giuseppe Pierotti di Castelnuovo Garfagnana, vicino a Cosimo Ridolfi, ma anche alla famiglia di Padre Prosperi, come una fonte in Lucca mi ha suggerito.

17 Troviamo Monsignor Losana in corrispondenza con Padre Gioacchino Prosperi nel 1834, anno in cui con De Agostini questi insegnava nel Collegio di Cuorgnè. Nel 1838 il De Agostini è presente nella Società Agraria fondata e voluta dall’Arcivescovo Losana.

18 Carteggio Gioberti-Massari, pagina 370, in nota.

19 Lettere di Pier Dionigi Pinelli a Vincenzo Gioberti (1833-1849) a cura di Vittorio Cian, Roma, Vittoriano 1935 XIII, pagina XI del proemio.

20 Da «Vessillo Vercellese» del 12 settembre 1853, prima pagina.

21 Biblioteca Statale di Lucca, manoscritto 1372, lettera di Gioacchino Prosperi a C. Lucchesini numero 67, 12 dicembre 1830.

22 Gioacchino Prosperi, Ode in Memoria di Sua Maestà il Re Carlo Felice pronunciata in Lanzo, Torino, edizioni Marietti 1831.

23 Ibidem.

24 G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983), Brescia, Morcelliana 2003, pagina 23.

25 Biblioteca Statale di Lucca, manoscritto 1368, lettera di Gioacchino Prosperi a C. Lucchesini, Roma, 15 agosto 1817.

26 Ibidem, lettera del 24 novembre 1822.

27 Biblioteca Statale di Lucca, manoscritto 1372, citato.

28 Lettera del 21 dicembre 1823 da Reggio di Modena (Reggio Emilia), Carteggio del Venerabile Pio Brunone Lanteri (a cura di P. Calliari O.M.V. volume III, gennaio 1815-1824), editrice Lanteriana, Torino 1976, pagine 380-381.

29 Padre Prosperi sostiene nella lettera che le divergenze sopravvenute col Generale dei Gesuiti Fortis potrebbero ancora venir sanate. Tuttavia il proseguo delle vicende del religioso rivelano che tali divergenze dovevano essere davvero sostenute.

30 Istituto San Giorgio della Compagnia di Gesù, Bergamo, Catalogus socio rum et officio rum societatis Jesu in Italia; Inuente anni MDCCCXVIII, Romae, Typis Aloysii Perego Salvioni, superiorum Facultate, Gioacchino Prosperi è annoverato tra gli Scolastici Auditores Retoricae tra i novizi scolastici. I cataloghi ove è inserito sono del 1818 e del 1820. Dopo il 1826 non è più citato.

31 Fondazione Sella-Biella, fascicolo «De Agostini», citato.

32 «Gazzetta Piemontese» numero 41 del 1833.

33 Gioacchino Prosperi, Ode commissionatagli dal conte Filiberto Avogadro di Collobiano nel 1834 per conto dell’Arcivescovo di Biella, Monsignor Giovan Pietro Losana, in occasione della festa dei Santi Martiri di Agliè, documento che attualmente è in possesso del dottor Giovanni Bertotti di Cuorgnè.

34 Riccardo Poletto, Rivarolo tra cronaca e storia 1798-1886, San Giorgio Canavese, tipografia Joannes 1987, (edito dal comune di Rivarolo Canavese). Qui si fa riferimento al Regio Convitto dove Padre Prosperi fu Rettore ed insegnò insieme all’amico professor Gioacchino De Agostini.

35 Gioacchino Prosperi, Ode, citato.

36 Gioacchino Prosperi, La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, Bastia, tipografia Fabiani 1844.

37 Luigi Venturini, Di Gioacchino Prosperi, prete lucchese e del suo libro sulla Corsica, Milano, società editrice Tyrrenia 1926.

38 «Gli è raro che un Rettore e Professore di Collegio possa associare gli ufficii delle sue cariche all’evangelico ministero, però è tanto più lodevole chi, economizzando il tempo, arriva a compiere le due parti senza togliere all’una nulla del necessario per attendere all’altra; Questo esempio di letterato-apostolico zelo lo ha dato non è guari il Sacerdote Gioacchino Prosperi, Professore e Rettore del collegio di Cuorgnè il quale ha bandito la parola di verità dal pergamo dell’Insigne Collegiata di quel ragguardevole Borgo nella scorsa Quaresima. Facendo ragione della frequenza dei suoi ascoltanti, il frutto delle sue fatiche debb’essere stato corrispondente al religioso motivo che lo indusse ad intraprenderle, esso è inoltre attestato da una bellissima Ode intitolata La Resurrezione, dettata da uno dei suoi colleghi, il Professore Gioacchino De Agostini, e da esso dedicata al Sacro oratore; Il Poeta ha desunto il suo argomento da una delle Orazioni di lui, ed ha descritto la lacrimevole scena della Morte del Redentore, che precedette il portento della Risurrezione; in questo poetico componimento vi è molto calore d’immaginazione, e movimento d’affetti; tranne alcune voci che sanno di ricercato e di vieto, questa ode disvela un’anima che sente, ed un leggitore delle Odi di Manzoni». La «Gazzetta» esprime puntuale riferimento al grande scrittore rossiniano, cui Prosperi fu legato. Lo si deduce sia da alcune sue pubblicazioni che dai rapporti familiari intercorsi tra sua madre, Maria Angela Castiglioni, dei Castiglioni di Olona. Questi avevano legami di parentela coi Verri di Milano.

39 Il termine «Risurrezione», visti i trascorsi, non poteva non avere per i due professori amici e colleghi una connotazione legata alla rinascita nazionale.

40 Cesare Faccio, «La Sesia», articolo del 1874, citato.

41 Archivio di Stato di Firenze, Buon Governo Segreto, anno 1844, pagina 90. Nota numero 54 a pagina 187 da Esuli italiani in Corsica, con prefazione di Gioacchino Volpe, Bologna, Licinio Cappelli 1938.

42 G. Masserano, Notizie biografiche su Filiberto Avogadro di Collobiano, Biella 1868.

43 Filiberto Avogadro di Collobiano, dopo aver frequentato l’Università di Torino ed intrapreso la carriera delle armi, se ne ritrasse perché chiamato a Corte da Carlo Felice. Creato dal Sovrano primo ufficiale della Segreteria di Gabinetto e guadagnatosi sul campo la sua completa stima, egli tuttavia se ne valse per proteggere e dare asilo a molti patrioti, fra i quali il futuro Senatore del Regno Lorenzo Valerio.

44 Lettera numero 30 dell’epistolario di Quintino Sella a cura di Guido e Marisa Quazza, volume I (1842-1865), edizioni Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano.

45 La lettera di Quintino Sella al fratello Venanzio è del 1847.

46 Padre Giovan Antonio Grassi fu inviato a Roma, dove trascorse il resto della sua vita. Ivi morì nel 1849.

47 Padre Giovan Antonio Grassi (1775-1849) ancora novizio fu mandato, nel 1801, in Bielorussia dove per volere di Caterina II la Compagnia di Gesù non era stata sciolta. Nel 1804 fu inviato a Pechino per una spedizione politico-diplomatica organizzata dallo Zar. Dopo una serie di peripezie passò a Lisbona e nel 1810 nel Maryland. Restò in America sette anni e fu direttore del Georgetown College, che divenne poi la Georgetown University, di cui è considerato il padre fondatore.

48 «Avrei potuto farmi ricco corredo per un lustro intero in cui ebbi l’onore di stare sotto lo stesso tetto con il Re Carlo Emanuele IV, suo fratello amatissimo [di Carlo Felice]». Vedere Ode di Lanzo, citato.

49 La moglie di Gabriele Rossetti, Francis Polidori, era figlia del dottor Gaetano Polidori di Bientina (Pisa), primo segretario di Vittorio Alfieri, rifugiatosi poi a Londra.

50 Giorgio Spini, Risorgimento e protestanti, Milano, Il Saggiatore, pagina 43.

51 Padre Evaristo Giannini, Ode in memoria di Gioacchino Prosperi, Lucca, tipografia Canovetti 1874.

52 «Vessillo della Libertà», 5 aprile 1860 e 26 aprile 1860. Necrologio Calunnia, Calunnia!

53 I. Petitti di Roreto, Associazione Agraria negli Stati Sardi, in «Annali universali di statistica», anno II, numero 34, 25 agosto 1838, pagine 265-271. Altre indicazioni sul Losana in A. Viarengo, Tra filantropia e progetto politico. Le «Letture Popolari» di Lorenzo Valerio (1836-1841), in «Rivista Storica Italiana», 1988, pagine 648-649.

54 Angelo Stefano Bessone, Giovan Pietro Losana (1793-1873), Fondazione Cassa di Risparmio di Biella 2011.

55 Ibidem, pagina 218.

56 Leggendo i carteggi di Lorenzo Valerio pubblicati a cura di Adriano Viarengo apprendiamo questa significativa notizia.

57 In un panegirico della Corsica, presente nella prima lettera del Prosperi, ricorda all’amico professor De Agostini quanto l’isola sia italiana a tutti gli effetti, e come troppi, in passato, in Italia, l’abbiano denigrata. Come non leggere, tra le righe, un preciso riferimento alle frasi dell’amico Gioberti contenute nel suo Primato del 1843?

58 Scrive Michel: «Prima del 15 marzo 1844 giungeva a Bastia da Marsiglia il dottor Luigi Carlo Farini».

59 Gioacchino Prosperi, La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, Bastia, tipografia Fabiani 1844.

60 I riferimenti sono ad un Franceschino Baciocchi che fu coinvolto in moti insurrezionali, nipote del Principe Felice, cognato di Napoleone; ma anche ai Colonna di Corsica, un ramo dei Colonna romani. Peraltro una bisnonna di Napoleone I appartenne ai Colonna córsi. Ed ancora ad un Savelli. Come non ricordare la prestigiosa famiglia romana, estintasi alla fine del XVIII secolo, ma che vantava congiunti i marchesi di Pietramala, uno dei quali è citato come di stanza in Vercelli dal De Agostini in una delle sue pubblicazioni? E potremmo continuare con le citazioni degli abitanti del Nìolo, regione ad alta concentrazione carbonara, che accolsero a braccia aperte il predicatore Prosperi. O riferimenti ad un Grimaldi. E come rinveniamo da Archivio di Corsica di Gioacchino Volpe il Grimaldi di Bastia nipote dell’Arcivescovo Córso Casanelli d’Istria fu in quegli anni implicato come carbonaro nei moti di Romagna.

61 Prosperi fece riferimento soltanto in La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola all’incarico missionario affidatogli dal Duca Lucchese Carlo Ludovico, di concerto col Capo della Polizia Vincenti, di origine còrsa; e di un Don Luigi Forlanini, ospite come esiliato, nel Ducato Lucchese, che lo convinse all’impresa. Non ho individuato chi fosse in realtà il religioso Luigi Forlanini.

62 Nonostante ci fossero, ai Bagni di Lucca, dove la famiglia Prosperi aveva proprietà, molti protestanti, soprattutto inglesi, le radici cattoliche, quantomeno dell’entourage di Prosperi, rimasero indiscutibili. Numerosi tra le varie comunità furono viceversa i contatti. In Vetriano, comune di Pescaglia, visse Pier Angelo Sarti, che per un certo periodo fu uno dei collaboratori del British Museum, rientrato proprio nel 1839 in Lucca, quando il più celebre Antonio Panizzi prese accordi col Duca per riordinargli la biblioteca, come appare dai carteggi curati da Luigi Fagan, per poi venir fermato a Genova dal governatore della città.

63 Il pittore Giuseppe Pierotti (1827-1884) di Castelnuovo Garfagnana frequentava a Meleto Cosimo Ridolfi, come riscontriamo nel quadro che la recente pubblicazione La Toscana nel Risorgimento della Regione Toscana, menzionata, rileva. Nella stessa famiglia altri membri ospitarono, di concerto col Duca, alcuni membri fuggiaschi della famiglia Bonaparte. Vedi pubblicazione Da Menabbio a Benabbio, edita dal Comune di Bagni di Lucca.

64 Lorenzo Valerio, Carteggi, citato.

65 Augusto Mancini, Storia di Lucca, pagina 330.

66 Diego Angeli, I Buonaparte a Roma, Verona, Arnoldo Mondadori 1938, pagina 141.

67 Archivio di Stato di Lucca, Legato Cerù 142, riferimento 7, fascicolo di Gioacchino Prosperi alla data 29 marzo 1846.

68 Biblioteca Statale di Lucca, B.ta 2220-14. Mario Ferrara.

69 Archivio di Stato di Lucca, Carte Mansi, fFilza 4, riferimento 206.

70 Archivio di Stato di Lucca, Carte Mansi, filza 4, riferimento 206. In particolare la lettera del 23 settembre 1838.

71 Ibidem. Vedere l’intero carteggio.

72 Costanza Brooks, Antonio Panizzi letterato e patriota, Stamperia Università di Manchester 1931.

73 Giulio Caprin, L’esule fortunato Antonio Panizzi, Vallecchi editore, pagine 147-148.

74 Archivio di Stato di Lucca, Legato Cerù, volume 18, riferimento Gabriele Rossetti.

75 Lettere ad Antonio Panizzi di uomini illustri e di amici italiani (1823-1870) pubblicate da Luigi Fagan, Firenze, G. Barbéra editore, 1880 (Legato Pansa 1968, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia).

76 Costanza Brooks, Antonio Panizzi letterato e patriota, Stamperia Università di Manchester 1931, pagina 85, nota 1.

77 Fondazione Sella-Biella, fascicolo «De Agostini», lettera dell’8 marzo 1871.

(novembre 2013)

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