Mileva Marić
Una moglie collaboratrice scomoda
La scienziata Mileva Marić, che aveva puntato i suoi interessi sulla fisica e la cui fama è stata – si potrebbe dire – oscurata dall’essere donna e dall’ingombrante presenza del marito, che era nientepopodimeno che Albert Einstein, nacque il 19 dicembre 1875 a Titel, in Serbia. La sua benestante famiglia era di contadini e viveva nel villaggio di Kać non lontano da Novi Sad. Il padre Miloš Marić, che aveva avuto una buona istruzione a Sremski Karlovci e a Novi Sad, intraprese la carriera militare nell’esercito della Duplice Monarchia (Austria e Ungheria) e all’età di 21 anni si sposò con Marija Ružić, originaria del villaggio di Titel. Mileva era la terza dei cinque figli, di cui i primi due morirono presto. Sfortunatamente, lei e la sorella Zorka erano nate con un difetto congenito alle anche, che le costrinse a zoppicare per tutta la vita.
Per ragioni di lavoro del padre, la famiglia si trasferì prima nella città di Vukovar, poi, nel 1877, in quella di Ruma.
La ragazza era di un’intelligenza perspicace e sveglia e i suoi interessi vertevano principalmente sulla musica, il canto e, pur nei limiti dovuti alla sua menomazione all’anca, alla danza. Miloš, che si era reso conto di avere una figlia molto intelligente e con molto talento, le fu sempre vicino, impartendole le nozioni elementari, insegnandole a leggere, a scrivere e a fare di conto e, poiché il Paese in cui vivevano era quello definito della Duplice Monarchia, come ricordato più sopra, si adoperò affinché conoscesse, oltre alla lingua serba, anche quella tedesca.
Del resto, Mileva amava lo studio, al quale si applicava con passione, tanto che fin dal primo anno di scuola fu sempre fra le alunne migliori, cioè fra quelle definite modello e da prendere a esempio.
Finiti gli anni delle elementari, il padre la iscrisse alla Scuola Femminile di Novi Sad, dove Mileva si applicò con profitto a tutte le materie, eccellendo soprattutto nella matematica, nel disegno, nella musica e nella letteratura; unico neo erano le lezioni di educazione fisica, alle quali le sue partecipazioni non potevano che essere limitate per quanto detto sopra. Successivamente, passò alla Scuola Reale Inferiore di Sremska Mitrovica, che era un ginnasio con alunni maschi e femmine. Era una scuola eccezionale, perché ogni insegnante aveva solamente 9 studenti da seguire, e per di più era bene attrezzata con laboratori di fisica e chimica. Dopo, Mileva entrò nel Ginnasio Reale Serbo di Šabac, che era una delle poche scuole della Serbia nelle quali maschi e femmine avevano gli stessi diritti. Qui, aggiunse il francese alle lingue già in suo possesso; delle tre lingue che parlava, il tedesco era preferito e pertanto era quello che conosceva e parlava meglio.
Il padre, naturalmente, doveva seguire il suo lavoro, per cui Mileva dovette andare con lui, quando andò a Zagabria, e dovette abbandonare la scuola prima della fine dell’anno scolastico. In quella città, il padre riuscì a farla entrare nel liceo di lingua tedesca, pur essendo l’unica femmina, ma non le fu consentito di diplomarsi.
E più tardi, fu deciso che continuasse gli studi in Svizzera, dove tutti, maschi e femmine, potevano iscriversi all’Università e nella primavera del 1896 superò l’esame di maturità a Berna. Si presentò poi all’esame di ammissione al Politecnico di Zurigo, dove superò le prove di matematica e fisica. Così, nel 1896, le furono aperte le porte della sezione del dipartimento di matematica e fisica come matricola; insieme con lei erano 4 studenti maschi, fra cui Albert Einstein.
Fra i due (Einstein era più giovane di 4 anni) scoppiò la passione. Divennero coppia fissa e stavano sempre insieme, amanti entrambi sia della fisica sia della musica. Studiavano insieme e insieme suonavano i loro strumenti: il violino lui e il pianoforte lei. Mileva era eccezionale in matematica e nella fisica sperimentale, lui era abile nei ragionamenti e nelle intuizioni ed erano accomunati dagli stessi interessi e dalla stessa professionalità; insomma, il loro lavoro e la loro vita procedevano all’unisono, e lei, più che una moglie, divenne non solo un’assidua collaboratrice del marito, ma pure una coautrice dei suoi successi.
Superato il primo anno, tornò a Zagabria per riposare e trascorrere le vacanze in famiglia, per andare poi in Germania, a Heidelberg, iscrivendosi alla sua Università, che era uno degli atenei più famosi e prestigiosi dell’Europa intera. Qualche mala lingua disse che si trattò di una decisione per evitare l’assidua corte di Einstein, ma per molti sono solamente pettegolezzi. Forse è più vicino al vero che la sua scelta sia dipesa dal fatto che il programma di quell’ateneo la soddisfaceva di più di quello del Politecnico di Zurigo, dove alla fisica erano dedicate troppo poche ore. Così, il 20 ottobre 1897, volle iscriversi all’Università di Heidelberg. Ma, poiché non erano ammesse donne, fu accettata solamente come «uditrice», e per questo non poté sostenere esami e, perciò, non ottenne nemmeno documenti relativi ai suoi studi. In ogni modo, essa disse di essere sempre stata soddisfatta di quella Università e in particolare del Professor Lenard.
Il rapporto fra lei ed Einstein incontrò l’avversione del padre di Albert, che riteneva che il figlio si dovesse sistemare prima di pensare al matrimonio, e la madre era preoccupata e forse sospettosa per quella donna che non era Ebrea e che aveva caratteristiche sia intellettuali sia di indipendenza che si dimostravano contro quelle che avrebbe dovuto avere una brava moglie. Inoltre, la donna era sempre in difficoltà proprio perché l’ambiente maschilista non le lasciava spazio. E, purtroppo, pur essendo i risultati degli esami sempre ottimi, la votazione, ingiustamente, lasciava a desiderare. Situazione infelice per Mileva, che, fra l’altro, nel 1901, all’esame finale per ottenere la laurea, al quale si presentò incinta, venne bocciata (ti pare che al Politecnico potesse presentarsi per ottenere la laurea una donna che, oltre tutto, era incinta?). Una delle cause del «disastro» di Mileva, cioè la nascita della figlia Lieserl avvenuta il 27 gennaio del 1902, scomparve con la sua morte, quando contrasse la scarlattina.
Nel 1903, si sposarono e Mileva si mise a disposizione del marito, aiutandolo con la sua intelligenza e le sue conoscenze scientifiche. In quel periodo solamente lui portava a casa guadagni, mentre la sua carriera progrediva.
Nel frattempo, Mileva studiava e si dedicava con passione alla teoria della cinetica dei gas, che la portò verso le idee di Einstein nel 1905. Nel 1910, Einstein ebbe la cattedra di fisica all’Università Carolina di Praga e, pertanto, il 30 marzo 1911 la famiglia si trasferì in quella città. E, mentre lei era totalmente dipendente dal marito, questi accresceva la sua popolarità, diventando sempre più richiesto nei salotti importanti sia di Praga sia europei, sempre impegnato in incontri e viaggi, e ciò contribuì a rendere sempre più sola Mileva. Il Politecnico di Zurigo, nel gennaio 1912, gli offrì il ruolo di docente di teoria della fisica, per cui ci fu il trasferimento in Svizzera. Poi, ci fu l’offerta dell’incarico di docente presso l’Accademia delle Scienze Prussiana a Berlino e di nuovo le valigie pronte. Ma qui accadde ciò che non era previsto, cioè Einstein si era dedicato a una relazione extraconiugale con la cugina di primo grado, Elsa Löwenthal. Mileva, malgrado i tentativi di Einstein di farle accettare la situazione (sic!), non intese sopportare quella umiliazione, per cui chiese il divorzio e, il 29 luglio 1914, lasciò la Germania insieme con i suoi figli per trasferirsi a Zurigo. Così, la donna si trovò sola con i figli, di cui il minore aveva gravi problemi di salute.
Ed Einstein continuava la sua vita, prendendo sempre più il volo e godendo successo e gloria per i suoi lavori di scienziato, ai quali lei aveva contribuito assiduamente, per poi essere messa miseramente da parte (dimostrazione dei limiti della riconoscenza umana).
Mileva poteva tirare avanti abbastanza bene, ma poi, come a tutti, anche a lei capitò addosso, come una doccia fredda, la Prima Guerra Mondiale, che mise l’intera Europa in ginocchio. Il marco subì una svalutazione tale che, per comprare un chilogrammo di pane, bisognava recarsi al panificio con una scarriolata di «carta straccia», tanto per chiarire che cosa la moneta fosse diventata.
In tale nuova situazione, per Einstein il mantenimento del rispetto dell’accordo intercorso con la ex moglie era divenuto insostenibile, al punto che le chiese di ritornare in Germania dove, sicuramente, le cose sarebbero migliorate. Ma niente da fare: da parte di lei, picche!
Comunque Mileva, come si dice, si rimboccò le maniche e iniziò a dare lezioni private, i cui proventi, insieme con gli affitti, le consentivano di tirare avanti quasi dignitosamente.
Le pratiche per il divorzio andarono per le lunghe, tanto che giunsero in porto solamente nel 1918, anche perché fra i due non si raggiungeva mai l’accordo. Alla fine, fu deciso che Einstein dovesse versare ai suoi familiari gli alimenti a intervalli trimestrali, più un deposito di 40.000 marchi tedeschi nella Banca Svizzera; egli poteva incontrare i figli in terreno svizzero nelle vacanze estive; inoltre, qualora lui avesse vinto il Premio Nobel per la fisica, la gloria sarebbe stata di lui, ma il denaro sarebbe stato della ex moglie.
Finalmente, il 14 febbraio 1919, il Palazzo di Giustizia di Zurigo rese il divorzio ufficiale, dando un colpo di spugna alla coppia Einstein-Marić.
Nel 1921, Einstein ebbe il Premio Nobel per la fisica e fu rispettato l’accordo preso fra loro due nel 1919: a lui l’onore, qualora avesse ricevuto il Premio, e a lei e ai figli il corrispettivo in denaro. E il 14 febbraio di quell’anno, il tribunale di Zurigo ratificò il divorzio tra Mileva e Albert, e il 2 giugno Albert sposò la cugina Elsa Löwenthal. Intanto il denaro, conferito dall’Accademia Svedese delle Scienze, consistente in 121.572 corone svedesi, pari al compenso decennale di un docente, era giunto, e con i compensi per lezioni private di fisica e matematica a ragazzi di Zurigo, Mileva poteva condurre una vita dignitosa e poté acquistare un piccolo condominio in cui abitare e del quale poteva affittare una parte.
Furono anni duri, con dispiaceri e lutti, fra cui la morte del padre, che era stato sempre il suo maggiore sostegno, e, dopo una lunga malattia, anche quello della sorella minore, Zorka.
Il 3 ottobre 1933 Albert Einstein, scandalizzato dal comportamento discriminatorio dei nazisti hitleriani, restituì il passaporto al Governo Tedesco e se ne andò negli USA, dove, dopo non molto tempo, fu raggiunto dal figlio maggiore, Hans Albert, che si era laureato in ingegneria. L’altro figlio, invece, aveva abbandonato gli studi e aveva grossi problemi legati alla schizofrenia, che lo aveva reso incapace di intendere e di volere.
Intanto, non si sa per quale ragione, Mileva si trovava in difficoltà, tanto che temeva che il condominio le fosse sequestrato dalle autorità. Einstein, allora, lo comprò, in tal modo tranquillizzando l’ex moglie che, così, poté curare il figlio minore.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale un po’ di sole illuminò l’Europa martoriata e Albert e Mileva ripresero i contatti.
Il tempo scorreva e la donna fu costretta svendere il condominio per far fronte alle spese da affrontare per curare il figlio, nel frattempo cercando un tutore che potesse seguirlo, come le aveva intimato di fare il Governo Elvetico.
Nel maggio 1948, un ictus la colpì e fu ricoverata nell’ospedale di Zurigo, dove anche a lei fu riconosciuta l’incapacità di intendere e volere. Ma non durò a lungo: infatti, il 4 agosto Mileva morì e fu sepolta nel cimitero Nordheim di Zurigo, secondo il rito serbo-ortodosso.