Platone, il primo comunista della Storia
Il filosofo greco descrisse con ammirazione e simpatia uno Stato comunista e utopistico, ma si scontrò con l’impossibilità di realizzarlo

Quando sentiamo parlare di «comunismo», la nostra mente va quasi inevitabilmente a qualcuno dei regimi che hanno caratterizzato la storia recente o caratterizzano il mondo attuale, dall’Unione Sovietica alla Cina maoista, alla Cuba di Fidel Castro, e potrei continuare a lungo. Oppure ricordiamo Karl Marx, che del comunismo fu uno dei propugnatori e forse il massimo diffusore. In realtà, il comunismo è un’ideologia che ha radici molto antiche nel tempo e anche, per così dire, origini «blasonate». Uno dei suoi maggiori e più illustri teorici è stato un filosofo vissuto oltre 2.300 anni fa: Aristocle figlio di Aristone, più noto come Platone!

Platone, massimo filosofo greco dell’antichità, nato ad Atene nel 429 e morto in quella stessa città nel 387 avanti Cristo, alla veneranda età di 80 anni, ha come centro della sua filosofia l’idea di un Bene assoluto che illumina ogni cosa, e di una giustizia, una bontà e una verità verso cui gli uomini devono tendere con tutto il loro pensiero e tutte le loro opere. Non si impegna nella vita politica, ma ha la volontà di realizzare una società che rispecchi le sue concezioni filosofiche, una società dove i reggitori della «cosa pubblica» abbiano come unico e supremo scopo quello di realizzare il Bene per tutti. La descrizione di uno Stato retto da filosofi-Re, un’aristocrazia comunista di uomini senza proprietà e senza mogli, dediti alla vita semplice e all’alta filosofia, ha la sua prima teorizzazione «ufficiale» nel secondo libro della Repubblica.

Platone non è un «proletario», non è un povero, ma un ricco conservatore idealista che disprezza la democrazia; discende da una famiglia di antico lignaggio, si dedica alla poesia, è iniziato alle più segrete pratiche religiose, eccelle in quasi tutti i campi (comprese le gare di lotta, che gli valgono l’appellativo di «platon» a causa del suo torace robusto), affascina uomini e donne, fonda la sua Accademia che sarà per 900 anni il centro intellettuale della Grecia.

Platone ha coscienza di quali e quanto profondi siano i problemi umani, e sogna una società nella quale non esistano corruzione, povertà, tirannia e guerra. Uno Stato in cui a tutti i giovani, di qualunque sesso e categoria, siano impartiti 20 anni di insegnamento di miti di una nuova religione, che renda l’anima umana incline all’obbedienza ai genitori e allo Stato stesso. Dopodiché tutti saranno sottoposti a prove fisiche, mentali e morali. Chi fallirà, costituirà la classe economica del nuovo Stato, cioè i «produttori»: agricoltori, pastori, artigiani, commercianti; questi avranno proprietà private e potranno accedere a diversi livelli di ricchezza (entro certi limiti) a seconda delle loro abilità; nessuno sarà schiavo. Chi supererà le prove, riceverà altri 10 anni di istruzione, poi verrà sottoposto a un nuovo esame. Chi non lo supererà diventerà «ausiliario», cioè soldato: vivrà in una comunità militare, non avrà proprietà privata e non si impegnerà in altro, che nella difesa dello Stato. Chi avrà avuto successo studierà per cinque anni la «divina filosofia» in tutti i suoi rami, dalla matematica alla logica, dalla politica alla legge, per poi essere lanciato nel mondo pratico per guadagnarsi la vita e raggiungere una posizione sociale. A 50 anni, chi sarà riuscito a sopravvivere diventerà automaticamente membro della classe dirigente e dominante.

Questi uomini avranno tutti i poteri. I problemi saranno risolti dai filosofi-Re secondo un giudizio scevro da prevenzioni, senza bisogno di leggi, ma che può servirsi anche della menzogna. Per evitare che abusino del loro potere, non avranno proprietà private, denaro, famiglie, mogli. Si tratta di un comunismo essenzialmente aristocratico.

Ma Platone si spinge più in là: il matrimonio dovrà essere regolato in modo preciso, con i migliori che dovranno procreare tra loro il più possibile. Tutti i bambini devono essere allevati dallo Stato in modo eguale, «poiché [questa] è l’unica maniera di mantenere il gregge nelle migliori condizioni». Si tratta di un linguaggio che ricorda molto quello di alcuni teorici dell’Unione Sovietica.

Platone conclude: «Fino a che i filosofi sono Re, o i Re e i principi di questo mondo possiedono lo spirito e il potere della filosofia […] le città non subiranno mai il male, né lo subirà la razza umana».

Platone ritiene di aver trovato un simile Re in Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa. La scelta non è casuale: la città siciliana è la capitale di un vasto Impero e si pone, in Occidente, come ciò che è Atene in Oriente, un faro di civiltà. Ma il suo linguaggio piuttosto «imprudente» e le sue idee rivoluzionarie gli alienano ben presto la simpatia del Sovrano e l’appoggio della popolazione, che in questi casi si mostra sempre più lealista del Re e teme ogni cambiamento come qualcosa di negativo. Ritorna a Siracusa una seconda volta come precettore del nuovo Re Dionigi II (Dionisio il Giovane), più malleabile del padre, ma anche questa volta si trova invischiato in una fitta rete di intrighi e lotte politiche che lo costringe a una fuga precipitosa.

Il fallimento dei suoi progetti lo porta, nei suoi ultimi anni, a teorizzare uno Stato diverso, autosufficiente. Nelle Leggi, il più antico esemplare superstite di una legislazione europea, la città ideale deve evitare ogni innovazione: deve essere posta all’interno della terraferma per non essere contaminata da idee, commerci o lussi esterni. Il numero dei liberi cittadini deve essere fisso e facilmente divisibile, abbastanza grande per difendersi dalle aggressioni esterne ma abbastanza piccolo perché tutti si conoscano tra loro. Nessuno possiederà oro né argento; gli uomini dovranno sposarsi fra i 30 e i 35 anni e procreare solamente nel corso di 10 anni (qui si entra nel campo dell’assurdo!). Ci dovrà essere un completo controllo da parte dello Stato sull’educazione, sulle pubblicazioni e su tutti gli altri mezzi intesi a formare la pubblica opinione e il carattere individuale. Sarà vietata l’espressione di idee (in letteratura, scienza e arte) che possano essere considerate dannose alla morale. Sarà creata una religione di Stato per garantire l’obbedienza alle leggi con la minaccia di sanzioni soprannaturali: chi la metta in dubbio dovrà essere imprigionato in un carcere denominato «creatore di assennatezza», e se persiste nella propria posizione critica dovrà essere ucciso. Ricorda molto l’esperienza dell’Unione Sovietica e dei Paesi suoi satelliti, dove c’era un rigido controllo su tutto e tutti, l’ateismo di Stato come una sorta di «religione senza Dio», e il tentativo di bloccare qualsiasi cosa provenisse dall’esterno (soprattutto le idee e il concetto di libertà).

Dall’utopia, Platone – convinto che con la sola ragione si possa edificare uno Stato perfetto che prescinda da considerazioni di tempo e di luogo – è scivolato nell’incubo, uno di quegli incubi che, purtroppo, più volte nel corso della Storia si sono tramutati in realtà. Come ha scritto Giovanni Giorgini in Il pensiero politico greco dai sofisti a Platone («La Storia», volume 2: La Grecia e il mondo ellenistico, De Agostini Editore S.p.A., Novara 2004, pagina 419) per Platone «la perfezione richiede un’immobilità incompatibile con la fragile precarietà delle cose umane […]. In un mondo perfetto niente vi deve essere di privato e tutto deve essere controllato e vigilato, perfino i sogni. La costruzione politica platonica fa appello alla ragione e prescinde dalle reali passioni dell’uomo, ma la storia politica dell’Occidente, e probabilmente dell’intera umanità, è contrassegnata, meglio creata, proprio dallo scontro lacerante delle passioni e dal conflitto tra sogni politici».

(maggio 2025)

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