L’inizio della fine dei dinosauri
Ciò che accadde a Chicxulub Puerto
Il pianeta Terra, nel lontano passato, non era certo un luogo tranquillo in cui gli animali potessero vivere e allevare con tranquillità i loro piccoli: un po’ ovunque erano in atto sconvolgimenti tellurici, eruzioni vulcaniche, venti tumultuosi e altro ancora.
Un giorno, però, successe qualcosa al di fuori di ogni norma: un enorme impatto sconvolse la tranquillità della Terra quando un qualcosa di colossale, proveniente dallo spazio esterno, si abbatté a una velocità spaventosa, catastroficamente, sulla sua superficie. Ciò avvenne tra i 65 e i 95 milioni di anni fa, data indicata nel 2018 dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia e dall’International Stratigraphic Chart, nel periodo di transizione fra il Cretaceo e il Terziario (Paleogene e Neogene).
L’area colpita fu quella posta nelle vicinanze del paese Chicxulub Puerto, a Nord della capitale Mérida della penisola messicana dello Yucatan, coinvolgendo anche una piccola porzione dell’Oceano Atlantico Settentrionale. Secondo i calcoli fatti, l’impatto fu causato da una massa del diametro fra i 10 e i 14 chilometri: naturalmente, si tratta di ipotesi fondate su quanto è stato possibile rilevare dalle conseguenze dello scontro, perché dell’asteroide, supposto che di asteroide si tratti, ben poco è giunto ai giorni nostri. Il risultato fu la formazione di un cratere avente un diametro dai 150 ai 180 chilometri e una profondità di circa 20 chilometri.
Non fu un caso sporadico: chissà quanti sono stati gli ammassi rocciosi che si sono scontrati, nel loro moto intergalattico, con il nostro pianeta che, serenamente, percorreva la sua solita e tranquilla orbita attorno al sole.
Gli studi portati avanti in merito all’estinzione dei dinosauri e di una grande quantità di specie animali indirizzano a questo risultato. O non è stato così? Secondo alcune opinioni, la strage di animali fu dovuta al disastro causato da un’eruzione vulcanica al di fuori della norma. Naturalmente c’è ancora molto da dimostrare, valutando i pro e i contro. Come resta pure da provare se la grande massa fosse un asteroide o piuttosto una cometa, come pensano ricercatori di Harvard: comunque sia, si è trattato di un avvenimento da ritenere di una rara eccezionalità, e i risultati sono nascosti sotto i suoli che nel corso di milioni di anni per sedimentazione si sono sovrapposti. Il passaggio dal Cretaceo al Terziario (Paleogene e Neogene) è stato contrassegnato dalle successioni stratigrafiche relative; la transizione è fatta risaltare da uno strato dello spessore massimo di un centimetro, dove sono abbondanti l’iridio e altri metalli abbastanza rari nella crosta terrestre, ma comuni nelle meteoriti. Questo significa che, con ogni probabilità si è trattato di un asteroide, piuttosto che di una cometa, giacché in quest’ultima l’iridio è assente.
Secondo calcoli fatti, come accennato più sopra, l’impatto fu causato da una massa del diametro fra i 10 e i 14 chilometri; qualcuno, però, parla addirittura di 81 chilometri di diametro. E pure sull’energia liberata, non ci sono valori aventi un ristretto intervallo di valutazione: invero, si parla di un arco da cento milioni a oltre due miliardi di megatoni (un megatone emette un’energia equivalente a quella sprigionata da un milione di tonnellate di tritolo); altre teorie ritengono che i megatoni siano stati anche decine di miliardi. Si tratta d’ipotesi fatte in conformità a quanto è stato possibile riscontrare dalle conseguenze dello scontro, perché dell’asteroide ben poco è rimasto, dall’interpretazione dei ritrovamenti e secondo i ragionamenti che ne derivano, sicuramente diversi fra i vari studiosi.
La collisione fra il corpo cosmico e il pianeta Terra fu di un’intensità smisurata, tanto da provocare la formazione di un maremoto d’immani proporzioni, che fece sollevare dal punto d’impatto onde gigantesche, di un’altezza inimmaginabile, valutata sul chilometro e mezzo, che si allontanavano a cerchi concentrici in tutte le direzioni, tutto sommergendo e distruggendo; l’isola caraibica di Cuba, trovandosi disgraziatamente sul loro percorso, fu tra le vittime designate.
La diffusione di particelle solide e polvere fu tale che il clima terrestre subì cambiamenti assimilabili a quelli che capitano quando si entra in un’era glaciale. Naturalmente, sono consentite solo ipotesi, ma non è da escludere che per molti anni il globo terrestre sia stato avvolto da una nube di polvere, che abbia causato, secondo i pareri del fisico Luis Alvàrez e del figlio geologo Walter, la fine prematura di quei dinosauri e di tante altre specie di animali che fossero sopravvissuti al disastro. Una teoria che in linea di massima è ritenuta la più convincente, anche perché di quel periodo, come ricordato più sopra, nel confine geologico si è riscontrata l’abbondante presenza d’iridio, metallo poco comune nella crosta terrestre e abbondante nei meteoriti.
Come si è giunti a concludere che in quel territorio si fosse formato un cratere dalle dimensioni eccezionali, non essendoci in superficie elementi che lo facessero supporre? A quel risultato si arrivò mettendo insieme quanto era stato individuato da diversi studiosi. Andando con ordine, si incontra negli anni Novanta del secolo scorso Alan R. Hildebrand, il quale, studiando terreni dell’isola di Haiti appartenenti al periodo che interessa, cioè quello che segna il passaggio dal Cretaceo al Terziario, si trovò di fronte a depositi di rocce frammentate, disposte in maniera definibile come casuale, che gli fecero sorgere il dubbio che fossero state strappate da un certo luogo, scagliate lontano da una forza violenta e depositate in giro da un colossale maremoto: solamente un impatto con un corpo celeste avrebbe potuto giustificare una tale situazione. A rafforzare la sua convinzione contribuì la scoperta di un tipo di ghiaie con un contenuto in iridio, come si è detto non molto comune nella crosta terrestre, e di piccoli elementi di quarzo e di silicio che dimostravano di avere subito uno smisurato aumento di temperatura. Finì concludendo che la collisione non poteva essere avvenuta a una distanza superiore di mille chilometri da lì. Dove? Nell’Oceano Atlantico al largo della Colombia, nei Caraibi attorno a Cuba o altrove? Si seppe poi, attraverso un giornalista texano che informò Hildebrand, che secondo il geofisico Glen Penfield il cratere poteva essere nascosto sotto la penisola dello Yucatan. Egli giunse a questa clamorosa conclusione a seguito di una scansione magnetica aerea che aveva individuato una grande linea ad andamento curvo, con la concavità disposta verso Sud, che si andava a collegare a una opposta nell’entroterra dello Yucatan: insieme formavano una linea circolare del diametro di 180 chilometri con il centro proprio nel villaggio di Chicxulub Puerto: come si dice, Bingo! Comunque, prima di essere accettata, questa teoria dovette attendere diverso tempo, ma alla fine, superate le difficoltà, i pareri contrari e quant’altro, ci fu la conferma unanime che le cose non potevano essere andate altrimenti. Gli studi che continuarono ad andare avanti, puntualizzarono che il diametro del cratere doveva essere almeno di 300 chilometri, mentre i 180 chilometri individuati non potevano che corrispondere a un fronte interno.
Come era avvenuto il tutto? A pochi secondi dall’impatto, un’ombra enorme, minacciosa coprì il cielo. La massa enorme del diametro di 15-20 chilometri o di più (e di quanto?), presumibilmente di roccia, ma potrebbe essere stata anche di ghiaccio (meteorite o cometa?), si scontrò con la superficie terrestre alla tremenda velocità di 20 chilometri al secondo, cioè 72.000 chilometri orari; immediatamente vaporizzò, formando una palla di fuoco con migliaia di gradi di temperatura, che incenerì tutti gli animali e i vegetali che incontrava sul suo cammino fino a migliaia di chilometri di distanza, con un effetto devastante globale. L’impatto provocò la formazione di potentissime onde d’urto, che liquefecero il suolo e spaccarono le rocce sottostanti nello stesso momento in cui migliaia di chilometri cubi di materiale fuso erano lanciati verso l’alto a elevatissima velocità, facendoli uscire dal cratere che si era istantaneamente formato; la velocità fu talmente elevata, che certi pezzi di roccia superarono la velocità di fuga, disperdendosi nello spazio, mentre il resto ricadde al suolo, arroventando l’atmosfera e riempiendo il cratere che si era formato. La collisione innescò almeno due maremoti, alti diverse centinaia di metri, di cui il primo spostò lontano miliardi di metri cubi di acqua in tutte le direzioni secondo centri concentrici. Le acque, esaurita la spinta iniziale, cercarono tumultuosamente di tornare al punto di partenza per riempire il vuoto, ma intanto il cratere si era riempito del materiale ricaduto, dopo il volo iniziale, per cui le respinse, mettendo in atto il secondo maremoto. Questi immani maremoti si propagarono velocemente su tutto il globo terrestre, allagando le terre emerse e sconvolgendo i mari. Il fenomeno generò onde sismiche valutate con magnitudo attorno a 10-11 Mw, dove la w pedice significa «lavoro meccanico». Per avere un’idea di che cosa si stia parlando, si ricorda il terremoto, definito il «grande terremoto», sicuramente il più violento mai registrato nella storia, che nel maggio del 1960 colpì il Cile, nella località Valdivia, 900 chilometri a Sud della capitale Santiago: la magnitudo fu di 9,5 Mw. Anche in quel caso si formò un maremoto con onde alte 25 metri, che attraversarono l’intero Oceano Pacifico, finché colpirono rovinosamente diversi Stati, fra cui le isole Hawaii, il Giappone, le Filippine, Hong Kong, la Nuova Zelanda, le isole Aleutine appartenenti all’Alaska, località distanti dai 9.000 ai 18.000 chilometri. Per tre mesi, fenomeni tellurici hanno continuato a dissestare il Cile Meridionale.
Come si è detto, ci fu un globo di fuoco che tutto illuminò e incendiò, mentre miliardi di materiale detritico di minuscole dimensioni stazionarono nell’atmosfera, avvelenandola di sostanze chimiche ricche di bromo, cloro, acido solforico e nitrico, oscurando la Terra e avvolgendola in modo continuo, tanto che, se animali si erano salvati, questi hanno fatto il resto, facendo estinguere moltissime specie.
Visivamente tutto quanto ricordato non è più individuabile, però rimane la certezza che ciò che è capitato sicuramente diverse volte, con maggiore o minore intensità, malauguratamente può ricapitare, per cui ben vengano gli studi effettuati da astronomi, geofisici, tecnici e altri ancora, per tenere sotto controllo il possibile incontro con corpi celesti in un’eventuale rotta di collisione con il nostro pianeta e per progettare le modalità per compiere la loro distruzione o la loro deviazione.