La Tavola Periodica degli Elementi
La felice intuizione di un illustre
scienziato
Chi durante il corso dei suoi studi si trova di fronte alla tavola di Mendeleev, rimane sorpreso a come possa essere venuto in mente a uno studioso l’idea che fra i vari, tantissimi elementi naturali, che potrebbero essere completamente indipendenti fra di loro, ci potesse essere un collegamento, tanto da essere riuniti in una raccolta definita e ragionata. E fu la stessa impressione a me causata quando, durante gli studi liceali prima e quelli universitari dopo, affrontando i principi della chimica, mi trovai davanti quella tavola, ricca di simboli, lettere e numeri, in varie colorazioni.
Si sta parlando della Tavola Periodica degli Elementi, frutto degli studi e del lavoro del grande chimico russo Dmitry Ivanovich Mendeleev, portando avanti quelli di insigni colleghi che l’hanno preceduto.
E infatti, già verso la fine del XVIII secolo, secondo il parere di molti storici, la tavola periodica era stata oggetto di studio da parte del chimico francese Antoine Laurent de Lavoisier, il quale, con l’aiuto della moglie Marie Anne, era giunto all’importante conclusione che certe sostanze, quali l’ossigeno e il carbonio, non sono scomponibili attraverso reazioni chimiche. L’elenco dei 33 elementi noti fino ad allora divenne di dominio pubblico nel 1789 e Lavoisier era dell’avviso che presto o tardi ne sarebbero stati scoperti altri, che avrebbero chiuso i buchi lasciati vuoti nella sua tavola. Importanti furono i suoi studi che lo portarono all’enunciazione della legge sulla massa, secondo la quale i pesi delle sostanze partecipanti a una reazione chimica rimangono tali e quali al suo compimento. Purtroppo, però, gli studi del chimico francese furono interrotti quando fu coinvolto nella Rivoluzione Francese e il tribunale popolare rivoluzionario lo condannò a morte, per cui finì tragicamente la sua vita sotto la ghigliottina nel 1794.
In quello stesso anno, un altro scienziato, Louis Proust, esaminata attentamente la legge annunciata da Lavoisier, concluse che era corretta, ma mancava quanto enunciò nel 1799: questa fu una legge che diceva che quando due o più elementi si uniscono a formare un composto, le proporzioni di massa restano sempre definite e costanti.
L’Inglese John Dalton (diventato famoso per gli studi fatti sul disturbo di cui lui soffriva nel non riconoscere i colori, tanto da entrare nella storia per il «daltonismo», appunto) nei primi anni dell’Ottocento dimostrò che, quando due elementi si combinano, ciò avviene con il quantitativo dell’uno e i quantitativi multipli dell’altro. Per chiarire questo concetto, Dalton si riferì alla teoria dei filosofi greci Leucippo, Democrito ed Epicuro, passata sotto il nome di «atomismo», secondo la quale gli elementi sono formati da piccolissime entità indivisibili, talmente piccole da risultare invisibili.
Successivamente ci fu l’intervento di Jons Jacob Berzelius, chimico svedese che, per semplificare le cose, propose di abbreviare i nomi degli elementi, indicandoli con una o al massimo due lettere, e di inserire numeri interi per indicare le loro proporzioni nelle formule chimiche. Fra l’altro, a Berzelius è riconosciuta l’idea di invertire il procedimento che aveva portato Volta all’invenzione della batteria elettrica, quale risultato di una reazione chimica, usando al contrario l’elettricità per fare avvenire reazioni chimiche in soluzioni: nacque così l’elettrolisi. Questa fu fondamentale per la scoperta di diversi elementi fino ad allora sconosciuti.
In poco tempo, molti elementi si aggiunsero all’elenco di quelli di Lavoisier e gli scienziati sentirono la necessità di metterli in ordine, basandosi sulle loro caratteristiche.
E, a questo punto, nei primi mesi del 1869, un docente di chimica dell’Università di San Pietroburgo in Russia, Dmitry Ivanovich Mendeleev, si impegnò giorno e notte per compiere questo estenuante lavoro, giungendo alla realizzazione della cosiddetta Tavola Periodica degli Elementi, come è stato ricordato più sopra.
I risultati divennero pubblici quando, il 6 marzo 1869, presentò alla Società Chimica Russa la relazione che considerava il collegamento esistente fra i pesi atomici degli elementi. Mendeleev aveva fatto tutto il suo lavoro senza essere a conoscenza che altri, Julius Lothar Meyer e John Newlands, rispettivamente nel 1864 e 1865, avevano tentato la stessa impresa, ma con carenze rispetto alle sue conclusioni. Egli prese in considerazione i 63 elementi chimici allora noti, riportandone le caratteristiche su altrettante tabelle e, cercando collegamenti fra di loro, si rese conto che questi periodicamente mostravano il ripetersi delle loro caratteristiche. E nella tavola che ne trasse, egli lasciò tre buchi, in corrispondenza di elementi che, secondo lui, esistevano, ed erano in attesa di essere scoperti; era questa la previsione mancante nelle tavole dei due studiosi ricordati.
A parte il fatto che Mendeleev abbia riconosciuto l’assenza di elementi dalla sua tavola, c’è da ribadire il concetto che egli previde quali caratteristiche chimico-fisiche essi avrebbero dimostrato di possedere, una volta che fossero stati individuati; e ciò capitò puntualmente quando, più tardi, si pervenne alla scoperta degli elementi scandio, gallio e germanio che possedevano le proprietà da lui previste.
È molto interessante il fatto che il chimico tedesco Julius Lothar Meyer fosse giunto, per conto suo, alle stesse conclusioni, fra cui la presenza dei buchi in corrispondenza degli elementi ancora ignoti.
Non c’è che dire: la tavola di Mendeleev è una piattaforma per mezzo della quale i chimici hanno potuto elaborare le loro teorie giungendo, fra notevoli difficoltà, a nuove scoperte di elementi, partendo dalla «periodicità» richiamata dal Russo in merito al ripetersi di certe caratteristiche, che gli consentirono di raggrupparli in gruppi. Fra gli elementi di nuova scoperta, figurano i gas nobili, fra cui l’elio, che sono inerti e difficili da individuare. Ma ciò che in tutti gli studi ebbe una rilevante importanza fu la scoperta, negli anni conclusivi del XIX secolo, che gli atomi di Dalton (e, prima di lui, quelli dei filosofi greci ricordati più sopra) non erano per niente indivisibili, perché essi erano costituiti da entità ancora più piccole in attesa di essere riscontrate.
Però la tecnologia fa avanti un passo al giorno e lo stesso capita alla chimica: le nuove conquiste entrano nel quotidiano, vengono valutate e aggiunte a ciò che fino a quel momento era disponibile. Ecco, pertanto, la teoria che si riferisce alla struttura atomica, con la scoperta dei componenti super invisibili, cioè dei protoni, con la loro carica positiva, i neutroni, neutri appunto, e gli elettroni carichi negativamente. E, da qui, il passaggio alla determinazione del numero atomico, quel numero che non poteva essere a disposizione di Mendeleev; però, quell’ordine da lui dato agli elementi noti, inconsapevolmente, l’aveva fatto nel modo giusto; per questo, è bastato sostituire i suoi numeri d’ordine con quelli atomici, dando alla tabella la sua conformazione definitiva. Nel Novecento, poi, con la meccanica quantistica, la tavola è stata ulteriormente migliorata.