La vita privata della dinastia Strauss
Invidie familiari, amori extraconiugali,
matrimoni e divorzi costellarono la vita della più celebre
dinastia di musicisti viennesi
Chiacchierando con la mia amica Daniela Franceschi, si rifletteva sul fatto che il sito storico sia visitato ogni mese da migliaia di persone, un dato tanto più piacevolmente considerando – come precisava lei – che non si tratta di «un sito di “pettegolezzi”». Mi chiesi allora, perché no? La storia non è fatta solo di grandi eventi politici e militari, ma anche dei fatti più minuti, delle curiosità, dei pettegolezzi e delle cose più... «piccanti». Prendiamo ad esempio gli Strauss, la più importante famiglia (ma sarebbe forse più appropriato definirla «dinastia») di musicisti viennesi dell’Ottocento. Tutti conosciamo Sul bel Danubio blu, il valzer più famoso di tutti i tempi: ogni anno, a San Silvestro, quando scocca la mezzanotte, la radio austriaca saluta il nuovo anno diffondendo le note di quella cullante e travolgente melodia, giusto saluto per il nuovo anno. Gli Strauss seppero interpretare la moda di un’epoca e di una città, tanto che i sudditi dell’Imperatore Ferdinando, e poi di Francesco Giuseppe, affermavano con convinzione che «non c’è vita senza Strauss!»... e gli Strauss li ricambiavano non solo con un mare di note, ma offrendo generosamente spunti alle cronache mondane e ai pettegolezzi, protagonisti com’erano di una serie d’invidie familiari, amori extraconiugali, matrimoni e divorzi.
Il capostipite della dinastia fu Johann Strauss senior, nato il 14 marzo 1804 nella famiglia di un birraio di Vienna. Il padre aveva programmato per il figlio un futuro da rilegatore, ma questi, avvinto dal sacro fuoco della musica, deluse le aspettative paterne. «Finirai a strimpellare il violino in locali di terz’ordine!» lo avvertì minacciosa sua madre. Cosa che puntualmente avvenne: Johann si ritrovò giovanissimo e spiantato nella capitale asburgica, ma ben determinato a dar sfogo alla propria vocazione.
La sua situazione di indigenza non durò per molto: fece combutta con un altro giovanotto di talento, Josef Lanner, che guidava un trio al quale Strauss aggiunse la voce della sua viola; poi il complesso si ingrandì, fino a diventare una vera e propria orchestra. Il suo marchio di fabbrica era il valzer, il nuovo ballo «sconcio» e «peccaminoso» (mai si erano visti prima uomini e donne volteggiare abbracciati così stretti), che faceva letteralmente impazzire i Viennesi e che presto avrebbe conquistato l’intera Europa.
Nel frattempo Johann aveva sposato la bella e volitiva Anna, figlia del locandiere presso cui alloggiava: la fanciulla gli darà sei eredi, il primo dei quali, Johann figlio, nato nel 1825, sarà destinato a diventare il suo più temibile rivale.
Dobbiamo cercare di farci un’idea di che cos’era, a quel tempo, Vienna: la capitale dell’Impero Asburgico assomigliava ad una sorta di immensa sala da ballo. Ogni locale, anche il più modesto, bramava avere la sua orchestrina e la gente frequentava questi locali con pervicace abnegazione: uno aveva addirittura predisposto una sala parto, nel caso qualche cliente rimanesse sorpresa da un lieto evento prematuro. L’Odeon disponeva di un giardino d’inverno con 8.000 piante, specchi e fontane a profusione, e offriva un salone in grado di contenere 15.000 persone!
Johann Strauss si pose a capo di un complesso di quattordici elementi al quale fornì lui stesso i brani da eseguire. E in breve la sua fama crebbe: tutta Vienna aveva imparato a conoscere la sua figura, mentre dominava i suoi orchestrali impugnando il violino come fosse la bacchetta di un direttore. Nel 1832 arrivò la nomina a maestro di cappella del 1° Reggimento della guardia civica, e tre anni dopo quella di Direttore dei balli di Corte. «Vienna è ai piedi di Strauss», scrivevano i giornali.
Johann Strauss in una litografia di Joseph Kriehuber, 1835
Ma non solo Vienna: l’Ungheria, la Francia, la Germania impararono ad apprezzare e amare Strauss e la sua musica, e lui ricambiò l’ammirazione producendo melodie a getto continuo. Nel 1837 il Cancelliere Metternich lo inviò a Londra ad allietare l’incoronazione della Regina Vittoria, e in quell’occasione la diciottenne Sovrana si lasciò andare a più di un giro di valzer.
I successi pubblici non bastarono a rendere serena la vita in famiglia: quando il primogenito Johann, detto Schani (diminutivo di Johann), incominciò a manifestare lo stesso trasporto paterno per la musica, il padre andò su tutte le furie; aveva progettato per lui una carriera in banca, e non voleva che al giovane fosse riservata la sua stessa vita da «forzato del pentagramma». Forse, però, in lui serpeggiava già il timore di un possibile concorrente al suo scettro di «Re del valzer».
Il contrasto fu causa di liti furibonde tra le mura domestiche; il padre arrivò addirittura a ridurre in frantumi il violino di Schani. «Poco male, gliene comprerò un altro», sentenziò la madre, e poi, rivolta al marito, aggiunse: «D’altra parte tu non puoi più interferire nella vita dei tuoi figli, da quando te ne sei andato con quella là». («Quella là» era Emilie Trampush, una piccola modista con la passione del ballo con la quale Strauss ormai conviveva da un anno. La donna gli darà cinque figli, da uno dei quali Johann contrarrà la scarlattina che lo condurrà alla morte).
Il padre dovette assistere impietrito, il 15 ottobre del 1844, al trionfale debutto di Schani, avvenuto al Casino Dommayer di Hietzing con orchestra e composizioni proprie (il padre aveva rifiutato l’ingaggio) – un pubblico in delirio lo sommerse con diciannove richieste di bis e la stampa scrisse: «Buona notte, Lanner! Buona sera, Strauss-Padre! Buon giorno, Strauss-Figlio!». Da quel giorno la Vienna danzante si divise in due fazioni: chi era col padre e chi col figlio. Strauss contro Strauss.
Il padre, nonostante lo strepitoso successo del figlio, tutto sommato ebbe la meglio: nel 1846 gli venne assegnato infatti il titolo di «Direttore musicale del ballo di Corte Imperiale e Reale».
La rivalità tra padre e figlio passò dalla musica alla politica: durante i moti rivoluzionari del 1848 i due si ritrovarono (fisicamente) dalla parte opposta delle barricate; con i conservatori il vecchio (comporrà la Marcia di Radetzky per celebrare con gioia e solennità i massacri perpetrati dallo spietato Feldmaresciallo in Lombardia), con i liberali il giovane. Questi diresse a Vienna pubblicamente l’inno nazionale francese, la Marsigliese, allora severamente vietato in Austria, e compose i valzer Marcia della Rivoluzione e Canzoni di libertà; fu arrestato e successivamente fu ostacolato nella sua carriera anche dalla Corte Asburgica: la sua domanda di diventare direttore dei balli di Corte fu respinta due volte.
Quando il padre morì, l’anno successivo, Schani lo pianse con un ennesimo valzer, poi riunì le due orchestre e si gettò in una frenetica attività che lo portò in giro per l’Europa a mietere successi tanto artistici quanto mondani. Le donne lo adoravano e lui non era insensibile al loro fascino: un giorno confidò al fido Lewy di essere un po’ preoccupato perché erano già ventiquattr’ore che nessuna ammiratrice gli cadeva ai piedi.
Per alcuni anni fu ospite fisso per dirigere concerti e balli nel famoso Pavillon Vauxhall del palazzo di Pavlovsk, presso San Pietroburgo, invitato dalla Zarina di tutte le Russie, ed anche là venne osannato come un dio. Non mancò neppure di imbastire una turbolenta relazione con la giovane Olga Smirnitskaja, una fanciulla di nobile e facoltosa famiglia (suo padre era un funzionario della Corte Imperiale Russa).
Il Vauxhall di Pavlovsk nel 1862
Il carico di lavoro e la vita sregolata lo portarono, nel 1853, a un crollo psicofisico; dato però che gli interminabili impegni andavano onorati, mamma Anna e Lewy riuscirono a convincere il fratello minore Josef, avviato a una promettente carriera di ingegnere, a salire sul podio. Josef se la cavò benissimo, fino a quando anche lui dovette chiedere il cambio: e fu la volta del giovanissimo Eduard, strappato a un brillante avvenire in diplomazia.
Così, quando anche Schani tornò in attività, Vienna si ritrovò con ben otto orchestre che si fregiavano del nome Strauss, guidate, a rotazione e anche nel corso della stessa serata, dai tre scatenati fratelli.
Nel 1862 Johann sposò la ex cantante Henriette Challupetzky, chiamata Jetty, una dama di mondo, sicura, vivace e spiritosa, con una vita fuori del comune alle spalle, che aveva sette anni più di lui e che secondo le malelingue aveva avuto anche un’avventura con Johann padre.
L’anno seguente, Schani ricevette la nomina a direttore della musica dell’Imperial Regio Ballo.
Nel 1867, in occasione dell’Esposizione universale di Parigi, Strauss conquistò la capitale francese con la sua ultima creazione, Sul bel Danubio blu, un motivo che da tempo gli frullava per la mente. Le parole furono scritte da Josef Weyl, di professione funzionario di polizia, che ebbe il compito di scrivere un testo, a tratti spiritoso, a tratti satirico e ironico, che fosse in grado di esortare i contadini, i finanzieri, i costruttori, i proprietari terrieri, gli artisti e i politici a tornare a ballare durante i festeggiamenti del carnevale: il 3 luglio 1866, infatti, l’Esercito Austriaco aveva subito a Sadowa una terribile sconfitta da parte dei Prussiani, perdendo il controllo della Confederazione Germanica a favore proprio della Prussia, e la situazione era tragica. Al testo fu sufficiente togliere le parole, assolutamente idiote, per farne un capolavoro (vi siete mai chiesti perché, nonostante il valzer venga eseguito ogni anno durante il Concerto di Capodanno dai Wiener Philarmoniker, nessuno abbia mai avuto il coraggio di cantare il testo?). Per togliere ogni dubbio, accludo qui di seguito il testo in traduzione integrale: «Viennese sii felice! Oho, perché? Basta guardarsi intorno! / Vi chiedo, perché? C’è un barlume di luce. Ma non vediamo ancora niente, / Ah, Carnevale è qui! Ah, bene bene, anzi! Sfidiamo questi tempi, / Cielo, questa età. Buio della depressione. Ah questa sarebbe la cosa migliore da fare! / A cosa servono i rimpianti. I lutti. Meglio essere felici e stare allegri. / Onora la legge del Carnevale, sono altre le cose cattive. Le finanze, / Balliamo, in questi giorni si suda, come a stare seduti nella propria camera, / Come si fa sulla pista affollata durante un ballo!»).
Nel 1872, in occasione del Giubileo internazionale per la pace, Schani si recò a Boston per dirigere il valzer alla guida di un’orchestra di 20.000 elementi con 100 sottodirettori assistenti dinanzi ad un pubblico di 100.000 spettatori... ma non si sentiva ancora appagato.
Ad insaputa del marito, Jetty gli sottrasse alcuni abbozzi di sue composizioni e li affidò, perché venissero corredati da un testo, a Richard Genée, un Kapellmeister del Theater an der Wien. La prova ebbe successo e Strauss si convinse che poteva tentare il grande salto.
Nel frattempo Josef, colto da collasso mentre dirigeva a Varsavia, era morto: la sua scomparsa scavò un primo solco tra Johann e Eduard, che accusava il fratello maggiore di avere sfruttato oltre le sue possibilità fisiche il povero «Pepi».
Il 5 aprile 1874, domenica di Pasqua, il Theater an der Wien decretò il trionfo del Pipistrello, l’operetta che Strauss aveva scritto in quarantadue giorni e notti di furioso lavoro. Un suo ritornello, «Felice è chi dimentica / ciò che non si può più mutare», divenne immediatamente un pezzo popolarissimo, che i garzoni dei fornai cantavano per le strade e le dame chiedevano ai tenori di intonare nei loro salotti. Vienna, che un anno prima era stata travolta dal crollo della Borsa, trovò in quelle melodie rinnovato gusto per la vita.
Johann Strauss figlio, 1880
Nel 1878 Jetty morì e per il compositore fu un colpo tremendo. Non resistendo alla solitudine, dopo sole sette settimane sposò un’attricetta poco più che ventenne, Lily Dittrich; com’era prevedibile, il matrimonio finì nel naufragio, con un lungo e rissoso strascico legale fino al divorzio. A sessantadue anni, Schani poté convolare a nozze per la terza volta con Adele Deutsch, vedova di uno Strauss banchiere, che aveva trentun anni meno di lui: tra l’altro, per potersi sposare Johann Strauss aveva dovuto rinunciare alla cittadinanza austriaca, perché il diritto della cattolica Austria non prevedeva il divorzio; prese la cittadinanza del ducato tedesco Sachsen-Coburg-Gotha e divenne protestante, come fece anche la moglie che era originariamente di fede ebraica.
Con Adele trascorse anni sereni, e fu ammesso nella Società degli Amici della Musica, della quale facevano parte Brahms, Bruckner, Liszt, Verdi e Wagner.
Alla fine di maggio del 1899 Johann Strauss si ammalò di raffreddore e indisposizione gastrica. In seguito ad una polmonite, all’inizio di giugno perse coscienza mentre dirigeva alla Hofoper l’ouverture del Pipistrello. Sentendo che si avvicinava ormai l’ora del commiato dal mondo, in momenti di lucidità mormorava la melodia «Fratellino delicato, dobbiamo separarci», una canzone scritta dal suo vecchio professore di musica Joseph Drechsler.
Sabato 3 giugno, poco dopo le ore 16, moriva tra le braccia di Adele, senza essere riuscito a rappacificarsi con il fratello Eduard.
Johann Strauss figlio riposa vicino ad altri geni musicali come Beethoven, Schubert e Brahms. Ha lasciato un patrimonio di 835.000 fiorini e una miriade di melodie immortali: 18 operette, 145 valzer e varie altre opere minori. Eduard Hanslick, il primo e temutissimo critico musicale moderno, lo ha definito «il più originale genio viennese».