Napoleone Bonaparte e la Campagna di Russia
Non solo un’avventura politica
Analizzare alcuni rimandi della Campagna di Russia napoleonica equivale a comprendere più da vicino i legami tra l’Europa Occidentale tutta e la Russia. Perchè questi legami nel corso del tempo sono stati davvero importanti.
La seconda lingua russa è stata a lungo il francese. Addirittura i nobili russi spesso parlavano francese e non conoscevano se non parzialmente il russo. Ciò almeno fino a tutto il XIX secolo. Neppure il conflitto con la Francia napoleonica aveva potuto frenare questa abitudine. Ciò per svariate ragioni. Innanzi tutto la nobiltà russa, perché della nobiltà stiamo parlando, aveva bisogno di una lingua che i servitori non capissero. Per comprendere come si viveva nella Russia del tempo basta pensare agli Hermitage che in Russia furono costruiti. Il primo di questi è stato costruito a Peterhof, sobborgo di San Pietroburgo, per ordine di Pietro il Grande. All’epoca si trattava di padiglioni di un parco progettati perché i nobili si rilassassero. Qui potevano «nascondersi» dai loro servi, che erano ammessi solo fino al primo piano dell’edificio. In tali edifici trovavamo meccanismi di elevazione dei cibi dal primo al secondo piano in modo tale che i servitori non dovessero ascoltare la conversazione dei loro padroni.
E anche la lingua adottata fu il francese, per evitare che la servitù ascoltasse le conversazioni dei nobili.
Del resto il francese era ormai la lingua internazionale della politica in Europa. Se il latino rimase la lingua della scienza, la lingua della diplomazia, a partire dal Cinquecento, divenne il francese. Solo però nel 1648 i primi documenti internazionali di grande importanza redatti con la Pace di Vestfalia furono in francese. Dalla metà del XVII secolo diplomatici e scienziati russi iniziarono a studiare il francese. I forti legami con la Francia e col francese si resero più sostenuti dopo la Rivoluzione Francese del 1789. Molti fuoriusciti, soprattutto monarchici, si recarono in Russia e divennero i precettori dei nobili rampolli locali. Cosa che accentuò l’avvicinarsi dei Russi medesimi della classe nobiliare alla Francia. È facilmente comprensibile da quanto descritto come la conoscenza del francese distinguesse la nobiltà dal volgo. La cosa andò avanti anche quando, dopo il 1826, lo Zar Nicola I, incoronato quell’anno, ordinò che tutti i documenti statali fossero scritti in russo. Se questo è lo scenario, non dobbiamo stupirci particolarmente della volontà di Napoleone I di invadere la Russia. Non si trattò solo di un atto sconsiderato sul piano militare. La cultura russa e quella francese avevano subito un’accelerazione notevole che «giustificava» in qualche modo le stesse mire espansionistiche francesi.
A riprova d ciò, l’amicizia intensa tra l’Imperatore Napoleone I e il nobile Nilolaj Demidoff, e ancor più, successivamente, di suo figlio Anatoli, con gli ambienti italiani e francesi. La storia dei Demidoff, divenuti da fabbri a potentato dell’acciaio e dell’economia russa, tanto da superare per forza economica gli stessi Zar, è suggestiva. Anatoli, nato nel 1813, si imparentò con la famiglia Bonaparte sposando Matilde Bonaparte, figlia di Girolamo, uno dei fratelli di Napoleone I, e di Carolina di Wuttemberg, nata a Trieste nel 1820.
Le fronde zariste c’erano, eccome. I nobili russi non sempre amarono incondizionatamente la loro dinastia; ma soprattutto sul piano politico e giuridico guardarono alla Francia e più in generale all’Europa. La servitù della gleba fu abolita solo nel 1861.
Date queste premesse, come possiamo pensare che la napoleonica Campagna di Russia sia stata solo frutto di megalomania da parte del grande córso?
Farei dei ragionamenti. Durante la Rivoluzione Francese molti Francesi, anche nobili, e dunque colti, si rifugiarono in Russia facendo anche i precettori. Il legame tra i due Paesi divenne sempre più intenso. Tali nobili crearono una rete che coinvolse la nomenclatura russa. Quando Napoleone si accinse a recarsi con le sue armate nei territori russi sapeva di trovare una sua accoglienza. Certamente non aveva fatto i conti né con la tenacia dei Romanov né tantomeno con l’adesione del popolo russo, del tutto estraneo al legame con la Francia, alla politica zarista e all’autonomia della propria Nazione. Napoleone voleva esportare in Russia la Rivoluzione. Si considerava a ragione o a torto l’erede indiscusso dei valori rivoluzionari francesi. E in effetti non solo aveva salvato la Rivoluzione Francese dallo sfacelo, ma era riuscito anche con le sue continue vittorie militari a divenire un simbolo in Europa, come unificatore del sempre rincorso progetto di unificare il continente europeo. E cosa, più della cara Russia, avrebbe potuto fare l’impresa? Napoleone uno sprovveduto? Sicuramente un temerario. Ma non sprovvisto di agganci politici in loco e di importanti legami socio-culturali e linguistici con la Francia.
Se lo Stato di diritto fosse stato esportato in Russia, la storia avrebbe seguito un diverso corso. C’era sicuramente in ballo anche la questione religiosa che rientrava in tali rimandi. Definire Napoleone un ateo o miscredente come spesso la storiografia ha fatto, contribuisce a nascondere la verità dei fatti. La Santa Sede in quel frangente, o almeno qualcuno all’interno della Santa Sede, non poté non tifare per Napoleone. Il sogno di riavvicinare la fede ortodossa e al contempo le varie fedi cristiane europee che nel Cinquecento con la Riforma avevano creato disomogeneità e contrasti in Europa, era sogno comune. Comune a Roma, ma anche comune al resto d’Europa. Ho scritto in precedenza un articolo che mostra che possiamo tranquillamente definire Napoleone Bonaparte un giansenista. Fu infatti lui, come prima di lui i rivoluzionari francesi, a salvare da ogni ira distruttiva o totalizzante Saint Jacques du Haut Pas a Parigi, unica chiesa a venir risparmiata e non travolta dagli eventi. Qui la presenza delle spoglie mortali del massimo collaboratore di Giansenio mette in luce tali possibilità.
Lo zio di Napoleone, fratello di sua madre, il Cardinale Fresh, in Vaticano, tese a sfrondare certi atteggiamenti legati alla stampa del tempo. Ebbe importanti legami con le realtà riformate. Ma sarà sopratutto suo nipote Luciano, il politico intelligente e ribelle, che nel XIX secolo con i suoi figli continuerà questa politica imperiale del fratello Napoleone in Italia e fuori d’Italia, non troppo approfondita dalla storiografia ufficiale. Molti richiami al Cardinale Bartolomeo Pacca e agli esiti risorgimentali nel primo Risorgimento Italiano che ho pubblicato lo attestano.
Proprio in epoca risorgimentale infatti un Italiano poco noto alle cronache odierne, non così nella sua epoca, l’ingegnere Ermete Pierotti, vissuto a lungo sia in Palestina che a Parigi in comunione con Napoleone III, ma anche a San Pietroburgo dallo Zar come spia zarista, mette in evidenza proprio tali giochi politici.
E allora la Russia e i rimandi ai Demidoff, la casata russa più importante fino a tutto il XIX secolo, ancor più potente in termini economici degli stessi Romanov, lo attestano. Legata agli ambienti di provenienza dell’ingegnere Ermete, la casata era altresì legata a doppio filo proprio ai Bonaparte, legame che maturò definitivamente col matrimonio nel 1840 di Anatoli Demidoff con Matilde Bonaparte, figlia di Girolamo, il fratello minore di Napoleone I.
La frattura della Rivoluzione d’Ottobre e la caduta degli Zar Russi indubitabilmente rimodulò tutti questi legami. Ma Parigi e San Pietroburgo restarono sempre indissolubilmente legate all’intellighenzia russa che dovette per l’occasione fuoriuscire dal proprio Paese.