Napoleone III, le tentazioni di un Imperatore
Nascita e tramonto di un sogno

Uno dei pericoli non rari in cui può incorrere un essere umano è il non saper distinguere tra le proprie aspirazioni e le possibilità di concreta realizzazione delle stesse, anche se orientate verso il bene. Ciò è tanto più grave, quanto chi ne è «colpevole» non è un uomo comune, ma un Capo di Stato, con una responsabilità che abbraccia un’intera Nazione, soprattutto quando non vi è alcuno che possa frenarne o mitigarne il potere. La vicenda di Napoleone III, in questo senso, è emblematica.

Il suo nome era Luigi Napoleone, ed era nipote del grande Napoleone I, Imperatore di Francia. L’ammirazione verso lo zio era assoluta, tanto che nel 1821, quando Napoleone morì a Sant’Elena, il tredicenne Luigi scrisse a sua madre che «ciò che mi addolora maggiormente è di non avere conosciuto il grande Imperatore e di non averlo visto neppure una volta. Quando sono tentato da qualche cattiva azione, basta che rammenti di essere nipote di quel grande uomo perché cerchi subito di rendermi degno del nome di Napoleone».

Si può dire che per tutta la sua vita Luigi Napoleone non abbia avuto in mente che di imitare lo zio; e ricordiamo che Napoleone I fu responsabile di una grandissima sciagura per la Francia a causa delle sue guerre.

Poco più che ventenne, Luigi Bonaparte meditò di mettersi a capo della Francia, organizzando una grande rivoluzione per scacciare dal trono il Re Filippo d’Orleans; la cosa gli sembrava non troppo difficile, dato che era venuto a sapere che quasi tutti i militari, che avevano servito nella Grande Armata Napoleonica, erano pronti ad appoggiarlo.

Non aveva fatto però i conti con gli ufficiali rimasti fedeli al Re, che a Strasburgo nel 1836 e a Boulogne nel 1840 riuscirono ad avere il sopravvento sugli insorti.

Il 6 ottobre 1840, la Corte dei Pari condannò Luigi Bonaparte alla «prigione perpetua». Non vi restò troppo a lungo: il 25 maggio 1846 riuscì a fuggire e a rifugiarsi a Londra, dove ripensò nuovamente a un colpo di Stato.

Nella capitale inglese lo raggiunse la notizia che il 24 febbraio 1848 era scoppiata a Parigi la rivoluzione, Filippo d’Orleans aveva abdicato ed era stata proclamata la Repubblica. Capito che un simile momento non si sarebbe più presentato, lasciò immediatamente l’Inghilterra e, quattro giorni più tardi, entrò a Parigi.

Alle elezioni del 4 giugno, il primo successo: Luigi Bonaparte venne eletto deputato nel dipartimento della Senna. Era il primo passo. Ora doveva riuscire a farsi nominare Presidente della Repubblica. Compiuto un viaggio attraverso la Francia e assicuratosi il favore soprattutto dei sobborghi parigini, dei contadini e degli operai di provincia, nel dicembre del 1848 presentò la propria candidatura alla Presidenza. La vittoria fu strepitosa: su 7.517.811 elettori, ben 5.572.834 votarono a favore del Bonaparte!

Per comprendere questa sua vittoria, dobbiamo pensare che il fatto che Luigi Bonaparte fosse nipote del grande Napoleone aveva una sua notevole importanza: la maggior parte del popolo francese vedeva in lui non soltanto il Presidente della Repubblica, ma l’unico uomo che potesse ricostituire l’Impero Napoleonico e riportare la Francia a un ruolo preminente in Europa. Durante le riviste militari, al passaggio del Presidente, quasi tutti i soldati gridavano: «Viva Napoleone! Viva l’Imperatore!».

Luigi Bonaparte approfittò dell’entusiasmo popolare. Il 21 novembre 1852, i Francesi furono chiamati alle urne per rispondere al quesito: «Il popolo francese vuole il ristabilimento della dignità imperiale nella persona di Luigi Bonaparte?».

I voti favorevoli furono 7.839.532, quelli contrari appena 253.000. Luigi Bonaparte aveva finalmente raggiunto il suo scopo, e divenne Imperatore di Francia con il nome di Napoleone III.

Napoleone III

Franz Xaver Winterhalter, Ritratto di Napoleone III, 1855, Museo napoleonico di Roma (Italia)

Gli intellettuali del tempo, che erano erano suoi avversari politici, gli diedero una serie di giudizi negativi e offensivi: «piccolo» (Victor Hugo), «cretino» (Adolphe Thiers), «idiota» (Jules Favre), «sfinge» (Emile Zola). In realtà, in esilio, lontano dalla Francia, aveva avuto una formazione scientifica e tecnica e una padronanza delle lingue che ne facevano un uomo moderno, particolarmente adatto a cogliere e ad appoggiare i segnali di innovazione che emergevano nel Paese. Egli fu sempre, comunque, un uomo solo, circondato da alcuni collaboratori che non erano altro che semplici esecutori della sua politica: il regime instaurato dall’Imperatore si identificava in lui, e in lui solo.

Una volta salito al potere, decise di ridare alla Francia la grandezza che le aveva procurato Napoleone I.

Il compito non era dei più facili, dato che la Russia e l’Austria erano già pronte a ostacolarlo. Napoleone III non si scoraggiò, pensando di affrontare le due potenze una alla volta.

Intervenne nella guerra russo-turca in Crimea per colpire la Russia che aveva attaccato la Turchia, con un corpo di spedizione di 150.000 uomini. Fu lui a volere a tutti i costi la conquista della piazzaforte di Sebastopoli, con un assedio che durò dall’ottobre del 1854 al settembre del 1855 e che costò agli alleati (Francia, Gran Bretagna, Impero Ottomano e Regno di Sardegna) e ai Russi uno spaventoso tributo di sangue. Al termine del conflitto, i Francesi avevano perso in battaglia 14.000 uomini, tra morti e feriti, mentre i morti per il colera e le altre malattie oscillavano dai 30.000 ai 40.000 uomini. Al Congresso di pace, tenutosi a Parigi, Napoleone III riuscì a far accogliere buona parte delle sue tesi, ottenendo un indubbio successo diplomatico: si stabilì la smilitarizzazione del Mar Nero e si garantì l’integrità territoriale dell’Impero Ottomano, oltre a una piccola revisione dei confini russi a favore della Turchia. A questo punto, Napoleone III mise subito in atto un piano per poter attaccare l’Impero Austriaco e ottenere l’assoluto predominio in Europa. Si alleò al Regno del Piemonte e nel 1859 fu al suo fianco per aiutarlo nella lotta contro l’Austria.

Non aveva il genio militare dello zio e la guerra fu una vittoria militare ma un totale fiasco politico. Il suo intento reale non era quello di aiutare la fondazione di un Regno in Italia, ma di sostituirsi agli Austriaci nel controllo della Penisola creando una Confederazione di Stati di cui l’Austria non facesse parte o in cui avesse un’importanza marginale. La situazione gli sfuggì di mano quando i vari Regni dell’Italia Centrale si sollevarono per unirsi al Regno di Sardegna (comprese le Romagne che appartenevano allo Stato Pontificio), cosa che gli avrebbe impedito ogni ingerenza futura in Italia e gli avrebbe precluso la possibilità di espansione in quella direzione. L’impresa non gli procurò che l’acquisizione di Nizza e della Savoia in cambio dell’aiuto militare offerto al Piemonte; un compenso magro in rapporto all’altissimo numero di perdite provocate dalla guerra.

L’Imperatore tentò allora la via delle conquiste coloniali: colse alcuni successi in Africa (dove fondò la colonia del Senegal) e in Asia (conquistò la Cocincina e la Cambogia).

L’economia francese conobbe un periodo di grande sviluppo, le cui cause remote vanno però ricercate non tanto nel regime autoritario imposto dell’Imperatore, quanto nello sviluppo della borghesia dopo la Rivoluzione. Il trattato commerciale stipulato nel 1860 con l’Inghilterra e ispirato a criteri di liberalizzazione dei rapporti fra i due Paesi favorì l’ascesa economica: la produzione di acciaio veniva quintuplicata, il numero delle macchine a vapore veniva più che raddoppiato mentre la rete ferroviaria, fino allora assai limitata, si estendeva nel 1860 per ben 18.000 chilometri. In 12 anni furono costituiti i grandi stabilimenti di credito della Francia moderna: dal Crédit foncier, al Crédit agricole, al Crédit lyonnais.

Presto, però, la sua parabola precipitò: la spedizione in Messico, costata grandi sacrifici di uomini e di denaro, si risolse in un completo fallimento. Il Governo Messicano aveva deciso nel 1862 di sospendere per un biennio il pagamento degli interessi sui debiti esteri, per contenere il proprio deficit. Gran Bretagna, Francia e Spagna, approfittando anche del fatto che gli Stati Uniti erano impegnati nella guerra civile, risposero con un intervento militare di intimidazione, occupando Veracruz. Napoleone III lo trasformò in una rapida guerra di conquista, impossessandosi di Città del Messico nel giugno dello stesso anno e facendo nominare come Imperatore del Paese l’Arciduca Massimiliano d’Asburgo, fratello dell’Imperatore Austriaco Francesco Giuseppe. Questi contava di poter regnare su un popolo di sudditi fedeli e di poter portare lo Stato ai tempi floridi di un secolo prima; in realtà il Messico era dilaniato dalle guerre civili e in pieno dissesto economico, oltretutto i benefici (scarsi) della conquista francese andavano ai Francesi anziché ai conservatori locali che erano andati a Parigi proprio per caldeggiare l’impresa. Gli Stati Uniti, usciti dalla Guerra di Secessione, cominciarono a sostenere il Governo Messicano transfuga nel Nord, mentre Napoleone III, preoccupato dalla piega che stavano prendendo gli eventi in Europa, ritirò le proprie truppe. Rimasto senza soldati e senza fondi, Massimiliano d’Asburgo fu catturato e fucilato il 19 giugno 1867.

Frattanto un’altra Nazione era divenuta molto potente nel Vecchio Continente: la Prussia, che nel 1866 aveva sferrato un colpo mortale all’Austria strappandole il controllo della Confederazione Germanica. Ora la bilancia degli equilibri si era spostata, al binomio Francia-Austria si era sostituito il binomio Francia-Prussia (la Prussia mirava oltretutto ad assicurare agli Hohenzollern la successione del trono di Spagna: la Francia sarebbe rimasta in tal modo accerchiata dal nemico). Si vedeva sfumare la possibilità di raggiungere il Reno, considerato essenziale per la sicurezza dei confini francesi. Sperando ancora di fare della Francia la più forte potenza europea, oltreché di rialzare il proprio prestigio personale che sentiva intaccato, Napoleone III decise di affrontare l’esercito prussiano. La dichiarazione di guerra fu pronunciata il 19 luglio 1870. Mal preparato e mal condotto, senza un vero e proprio piano di guerra, il conflitto si trascinò di sconfitta in sconfitta: ai Prussiani bastarono appena quattro settimane per porre termine per sempre ai sogni di grandezza dell’Imperatore.

A Sedan, il 1° settembre l’esercito francese subì una disfatta completa, perse 17.800 soldati tra morti e feriti e lo stesso Napoleone III cadde prigioniero con altri 100.000 uomini. Era la fine: il 4 settembre 1870, sotto la pressione di una sollevazione popolare, venne proclamata in Francia la Repubblica.

Napoleone III rimase prigioniero in Germania, nel castello di Wilhelmshohe, sino al marzo del 1871. Poi si stabilì in Inghilterra, nei pressi di Londra, dove morì il 9 gennaio 1873.

In Francia, l’Impero era tramontato per sempre. E non sarebbe più risorto.

(febbraio 2025)

Tag: Simone Valtorta, Napoleone III, Francia, Ottocento, Luigi Napoleone, Sant’Elena, Napoleone I, Filippo d’Orleans, Parigi, Imperatore di Francia, guerra russo-turca in Crimea, Sebastopoli, Regno del Piemonte, Nizza e Savoia, spedizione in Messico, Massimiliano d’Asburgo, Prussia, Sedan, Repubblica Francese.