Il marmo del Partenone Ateniese
Una storia nel segno anacronistico della competizione

La storia di un’opera immortale di Fidia[1] come i fregi del Partenone che furono asportati all’inizio dell’Ottocento per iniziativa inglese, e mai restituiti, è un esempio di comportamenti contrari all’etica civile, tanto più necessaria quando i protagonisti, come accade nella fattispecie per la Grecia e la Gran Bretagna, appartengono all’Europa. Eppure, sarebbero stati sufficienti un minimo di buona volontà e l’abbandono di posizioni antistoriche, per prevenire il rischio di qualche discrasia inopportuna, e certamente degna di miglior causa. D’altro canto, le pregiudiziali campaniliste, sempre vive anche a certi livelli nazionali, sono tradizionalmente difficili da esorcizzare con l’ausilio della ragione.

Il problema dei marmi ateniesi del Partenone ebbe origine nel 1802, quando Sir Thomas Bruce, Conte di Elgin[2] e Ambasciatore Britannico in Turchia (all’epoca titolare della sovranità sui territori ellenici) si fece autorizzare, con un documento di validità per lo meno dubbia, ad asportare dal massimo monumento ateniese una cinquantina di lastre, quindici metope, e altri pezzi minori con cui avrebbe voluto arricchire la propria dimora. Del resto, non sarebbe stata la prima volta: per qualche esempio relativamente più vicino, basti citare le asportazioni di opere d’arte eseguite da parte tedesca, per iniziativa prioritaria di taluni massimi esponenti nazionalsocialisti, nei territori occupati durante il Secondo Conflitto Mondiale.

Elgin era innamorato del marmo, materiale «tanto bello quanto indipendente dai mutamenti della moda» come aveva scritto nel 1801 aggiungendo che gli «ornamenti lapidei non sono mai eccessivi»: tuttavia, questi buoni sentimenti non gli impedirono di fare il «prelievo» con mezzi approssimativi arrivati dall’Inghilterra e con carente professionalità, tanto che alcuni pezzi furono irrimediabilmente danneggiati, mentre altri andarono perduti a causa di un naufragio. Se non altro, nel nuovo millennio i furti delle opere d’arte sono praticati con maggiori attenzioni per la loro necessaria tutela, a prevenzione di danni irreversibili.

Anni dopo quelle prime esperienze, Elgin, vista l’opportunità di lucrare un buon affare con le pietre di Fidia, decise di rinunciare agli «ornamenti in marmo» del suo castello e di venderli al Governo Inglese avviando contatti col British Museum e col Primo Ministro Sir Spencer Perceval. Inizialmente, fece una richiesta di 62.440 sterline, che a suo dire erano pari alle spese affrontate per il distacco materiale delle opere e per il trasporto in Gran Bretagna, ma dopo cinque anni di trattative finì per accontentarsi di 30.000, con uno «sconto» di oltre metà della cifra che nel 1816 sarebbe stata fissata definitivamente con delibera della Camera dei Comuni.

La compravendita ebbe luogo alla condizione, richiesta da Elgin, che l’intera collezione fosse esposta perennemente nelle sale del British Museum dove si trova tuttora, e che lui stesso, assieme ai suoi eredi, fossero chiamati a far parte del Consiglio dei Curatori. Nessun accenno alla pur teorica restituzione alla Grecia, impegnata nella lotta per la propria indipendenza, e al fatto che il grande poeta ottocentesco Byron aveva definito l’operazione di Elgin come un autentico furto.

Il marmo di Fidia, vale a dire il Bianco Pentelico dell’Attica, ha due millenni e mezzo di vita e un valore simbolico che trascende lo scorrere dei secoli: quando fu posto in opera con la partecipazione di un giovane Socrate in veste di scultore e di scalpellino, il grande drammaturgo Sofocle era all’apice della gloria e scriveva la tragedia di Antigone mentre si ergevano le colonne e le trabeazioni del tempio, non senza una viva partecipazione popolare. Se non altro per questo, si dovrebbe parlare di un diritto morale alla restituzione, negato anche nel 1985 da David Wilson, direttore del British Museum, perché sarebbe stato «un disastro infinitamente più grave della minaccia di far saltare in aria il Partenone».

La pervicace pretesa inglese di trattenere i fregi di Fidia non è giustificata da alcuna ragione giuridica né tanto meno conservativa o tecnologica. La sola motivazione probante è quella espressa con crudo realismo da Lord David Strabolgi, secondo cui «se cominciassimo a restituire le opere d’arte agli altri Paesi non rimarrebbe gran che nei nostri musei». Ecco un comportamento tanto più opinabile, considerando che il «furto» di Elgin ebbe luogo dopo ben 23 secoli di storia, compresi gli ultimi tre di dominazione ottomana: un lunghissimo periodo in cui nessun conquistatore aveva mai pensato di asportare ciò che oggi appartiene al patrimonio dell’umanità.

In buona sostanza, la storia dei marmi ateniesi del Partenone è una testimonianza certamente ragguardevole del fatto che l’arte può essere oggetto di strumentalizzazione per scopi che trascendono la sfera estetica e culturale alla luce di motivazioni politiche, e talvolta, anche degli interessi personali, in specie quando i valori artistici pervengono, come nel caso in questione, alla sfera dell’assoluto. Ecco un prezzo da pagare alla bellezza, e con essa, alla pervicace tentazione umana di farne valore di scambio, in luogo di quello etico, che non contraddice l’estetica, pur collocata in un ruolo subordinato come da permanente assunto dell’idealismo critico di Benedetto Croce.

Oggi, dopo l’apertura del Museo dell’Acropoli esiste una nuova opportunità di proporre al mondo la complessa questione dei «marmi di Elgin» che potrebbero essere collocati in detta sede permettendo agli Inglesi di rinunciare al ruolo di «orgogliosi bottegai» che lo stesso Byron, quale poeta dell’età romantica di Albione, aveva conferito ai suoi connazionali. Senza dire che l’Unesco ha per emblema proprio il Partenone, avendone tratto un ottimo simbolo mondiale di civiltà e di cultura.


Note

1 Vissuto nel quinto secolo dell’evo precristiano, Fidia è stato definito «momento di svolta per l’intera civiltà figurativa occidentale», con particolare riguardo proprio ai fregi del Partenone, il celebre tempio votivo voluto da Pericle (495-429 avanti Cristo) in onore della dea Atena, per celebrare la storica vittoria sui Persiani, e diventato un simbolo perenne dei valori espressi dalla civiltà ellenica.

2 Settimo Conte di Elgin, Sir Thomas Bruce (1766-1841) sarebbe passato alla storia soprattutto per la questione dei fregi e del cosiddetto «saccheggio» del Partenone, che ha fatto versare tanti fiumi d’inchiostro, suscitando un dibattito tuttora assai vivo, con notevoli pareri favorevoli alla restituzione, espressi anche da parte britannica. D’altra parte, agli inizi dell’Ottocento non esistevano norme di diritto internazionale che impedissero di «smembrare» i monumenti, senza dire che due frammenti erano già stati portati a Vienna nel 1687 e che un secolo più tardi altri finirono al Louvre di Parigi senza essere mai restituiti, diversamente dai tre frammenti dei Musei Vaticani ritornati finalmente in Grecia nel 2023.

(dicembre 2024)

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