Kubrick come Napoleone?
Le analogie nascondono importanti segreti

Stanley Kubrick è deceduto nel 1999 di infarto. Prima ancora che il suo ultimo film Eyes Wide Shut fosse presentato al grande pubblico. Il suo era quasi un testamento. Si aprirono sin da subito dietrologie che volevano quell’infarto causa del decesso a una sorta di vendetta di forze massoniche che il regista nel film mise praticamente alla berlina, denunciando un mondo malato e corrotto. Solo dietrologia?

Stanley Kubrick nella sua vita non è riuscito a realizzare un grande sogno: quello di girare un film su Napoleone. Raccolse per anni informazioni, documenti, stese una sceneggiatura accurata sul grande Córso. Lo sentiva un personaggio suo, si sentiva in simbiosi con lui. Ma gli eccessivi costi di produzione e le difficoltà a reperire quei fondi lo fecero desistere. Eppure questo sogno è stato ed è costantemente celebrato, tanto da aver convinto il celebre regista Steven Spielberg a voler egli stesso girare un film e/o una serie su Napoleone, utilizzando le ricerche quasi maniacali e la documentazione raccolta da Stanley Kubrick.

Una recente conferenza a Lucca, cui ho assistito, sull’argomento mi ha convinto a scrivere questo breve articolo per chiarire alcune dinamiche.

Soprattutto perché le affinità tra i due personaggi, il geniale regista e il geniale condottiero e uomo politico, non si fermano a ciò che viene comunemente narrato.

Stanley Kubrik aveva origini ebraiche e legami stretti con la massoneria. Nessuno può negare la conoscenza meticolosa del grande regista del mondo massonico che in tutta la sua filmografia, a volte onirica, altre volte meticolosamente strutturata, pone in essere. E qui gli esempi si sprecano. Non solo l’ultima sua fatica ma Arancia Meccanica, forse il più geniale dei suoi film; o Orizzonti di Gloria che volle trattare le vicende della Prima Guerra Mondiale. Arancia Meccanica affronta i condizionamenti e il libero arbitrio. In una società che li nega; anche in questo caso una sorta di denuncia come nell’ultimo film da lui girato. La scelta delle musiche di Beethoven comprova il legame forte con la massoneria, visto che Beethoven fu un celebre affiliato, fosse o non fosse Kubrick, lui stesso, membro di tale organizzazione.

La forza del pensiero di Beethoven in una sorta di apoteosi della violenza, questo è Arancia Meccanica.

E l’altro film che ho citato, Orizzonti di Gloria, dove la Prima Guerra Mondiale viene riproposta. Non a caso la Grande Guerra, che dette il là ai conflitti moderni e al XX secolo che di tali conflitti si è abbeverato.

Senza più la precisione geometrica degli schieramenti campali delle truppe, in una sorta di caos generale e commistione tra popolo ed esercito, guerra di tutti contro tutti dove l’unica ragione resta potere e denaro. Acquisito da pochi eletti.

Kubrick è certamente critico in queste sue descrizioni, quasi sarcastico; indubitabilmente quello che emerge di più è la sua conoscenza dal di dentro, retrospettiva e introspettiva, di fatti e situazioni; una sorta di uomo ombra Kubrick, che sa toccare il tasto giusto al momento giusto. Uomo ombra anche nel suo stile di vita: si ritirerà in Inghilterra abbandonando la natia New York anche perché la società americana è troppo «glamour» e caotica per lui.

Ma torniamo a Napoleone. Lui certamente massone (nel caso di Napoleone è comprovato dagli storici) e vicino agli ambienti ebraici. Sì, perché i legami di Napoleone col mondo ebraico erano nutriti. La sua famiglia in Corsica aveva profondi rapporti con la Legione Córsa cui molti membri dell’«entourage» dei Bonaparte furono affiliati. Dentro a tale organizzazione troviamo a esempio gli Arena, bonapartisti della prima ora, tanto per citare un nome. Che avevano origini ebraiche e che peraltro parzialmente andarono a vivere nella mia città, Lucca. Del resto, la comunità ebraica in Corsica era nutrita.

Si insiste parecchio sulle analogie tra Napoleone e Kubrick, sul fatto che Kubrick avesse avuto difficoltà a inserirsi nel mondo della scuola da ragazzo come Napoleone all’Accademia Militare di Brienne, dove la famiglia lo indirizzò.

Napoleone era il secondogenito e fu il primogenito Giuseppe a laurearsi in Legge a Pisa come il padre Carlo, mentre il figlio cadetto venne sostenuto nella carriera militare. Napoleone non vantava titoli nobiliari. In realtà fu un suo zio, un religioso di San Miniato, a fargli avere il titolo agognato. Perché la famiglia Bonaparte apparteneva alla nobiltà di spada toscana che nel Trecento fu costretta in parte a fuggire da Firenze. Non possiamo escludere i sommovimenti in quegli anni nei cavalierati cui la famiglia apparteneva. Si rifugiarono a Sarzana e poi nel Settecento in Corsica. Ma tra il Cinquecento e il Settecento la famiglia Bonaparte, quando già viveva in parte a Sarzana, si imparentò sia con i Malaspina, nota famiglia toscana appartenuta alla nobiltà di spada e ai cavalierati, sia con i Calandrini, originari di Lucca, anche loro nobiltà di antico retaggio, che in massa poi nel Cinquecento, divenuti protestanti, fuggirono in quel di Ginevra.

Napoleone dunque non era un semplice «parvenue». Certo, a Brienne i Córsi non esistevano, e la Corsica era sicuramente una Cenerentola nel panorama francese. In questo senso Napoleone si sentiva un pesce fuor d’acqua. Ma dobbiamo stare attenti nel descrivere similitudini e situazioni senza tener conto di realtà storiche incontrovertibili. Le qualità militari di Napoleone sono fuori discussione e forse, dico forse, avevano origini lontane, provenivano da quella tradizione militare a cui la sua famiglia non era affatto estranea.

Ci sono documenti che comprovano quanto sto asserendo, rimasti troppo a lungo nei cassetti.

Il padre di Napoleone, Carlo Buonaparte, un uomo di legge, era segretario personale di Pasquale Paoli, il Córso rivoluzionario a cui la famiglia Bonaparte fu legata per un certo periodo. Pasquale Paoli era un massone e legato alla realtà politica inglese che lo accolse poi nel momento del bisogno. Quando il padre di Napoleone prematuramente venne a mancare, la famiglia Bonaparte si distaccò dalle mire indipendentiste di Pasquale Paoli sulla Corsica. Non poté, aggiungo io, più sostenere, neppure sul piano finanziario, queste mire e queste situazioni. E cercò altrove legami e sopravvivenza in ambito economico e politico. Senza tuttavia mai staccarsi completamente da quella realtà, al punto che Luciano, uno dei fratelli di Napoleone, ancora nel 1840 faceva parte con i suoi figli di secondo letto della Legione Córsa. I documenti sono all’Archivio di Stato di Lucca dove un loro adepto, il religioso lucchese Padre Gioacchino Prosperi, in quegli anni seguiva la loro causa mazziniana di un riavvicinamento della Corsica all’Italia in un’ottica di inserimento dell’Isola Bella in una confederazione di Stati Nazionali Italiani sotto egida papale, come suggeriva l’amicizia tra Luciano Bonaparte e l’allora Segretario di Stato Vaticano Cardinale Bartolomeo Pacca, che fu sempre in sintonia con Luciano e che Padre Prosperi cita nelle sue memorie.

Bartolomeo Pacca di madre faceva Malaspina, forse antico retaggio della stessa appartenenza dei Bonaparte medesimi a tale casata. Si possono leggere le documentazioni al riguardo sul sito www.storico.org dove ho pubblicato in proposito. Padre Prosperi era un frate massone.[1]

Napoleone Bonaparte con la sua famiglia aveva sempre dunque assaporato cavalierati e tatticismi. E una lettera di Pasqule Paoli, il loro antico amico poi nemico ma non troppo, lo comprova.

Siamo nel 1819, Napoleone è da poco caduto. Ancora in vita, relegato a Sant’Elena. E a Torino lo storico di fiducia di Casa Savoia, Luigi Cibrario, pubblica per l’editore Agliana del capoluogo sabaudo una lettera di Pasquale Paoli che appare in tal senso davvero illuminante.

Al potere all’epoca c’è in Piemonte Carlo Felice, il quale sottobanco, legatissimo a Londra, spera in una sua flotta nel Mediterraneo e nell’ampliamento del porto di Genova. Ma un religioso, amico sia di Luciano Bonaparte che dello stesso Carlo Felice, lo mette nella condizione di dover temere qualche ripercussione per questi suoi desideri. Perché il loquace bonapartista Padre Gioacchino Prosperi, una volta che il Re è appena deceduto, e gli è successo il nipote Carlo Alberto, pubblica su stessa richiesta di Casa Savoia una Ode in memoria del Re Carlo Felice dove denuncia il desiderio patriottico del Sovrano e della sua dinastia, di ampliare il porto di Genova e la flotta. Mi riferisco a quella che viene chiamata Ode di Lanzo in memoria di Carlo Felice. Il religioso, ex Padre Gesuita adesso Francescano, rettore di collegi in Piemonte, viene nel 1834, ma solo, ribadisco, nel 1834, espulso per tale motivo in via ufficiale dal Piemonte. Salvo poi restarci sempre, senza mai venir disturbato, anzi qui chiamato anche a predicare ancora nel 1838.

Perché dunque Luigi Cibrario, amico comprovato di Padre Prosperi e della sua cerchia, non solo di Carlo Alberto, storico di grido, aveva nel 1819 osato pubblicare una lettera davvero compromettente appartenuta a Pasquale Paoli, lettera d’epoca pre napoleonica?

Perché Casa Savoia di nascosto, come ho potuto provare, collaborava alacremente con i Bonaparte mazziniani nel 1819. E ancora nel 1840. E la lettera di Pasquale Paoli dimostra che a fine Settecento un religioso lucchese dei Chierici Regolari, ossia Padre Ghelsucci, conosceva vita, morte e miracoli del rivoluzionario Paoli, di lui e dei suoi Generali, e con loro era in sintonia.

In un’epoca in cui ancora i Bonaparte non si erano sganciati del tutto dall’orbita del Paoli, e che comunque a lungo ne avevano perorato la causa. Al punto che, dopo la caduta napoleonica nel 1815, continuarono nella figura di Luciano Bonaparte ma non solo, visto il coinvolgimento del nipote Luigi Napoleone come risulta dai documenti, futuro Napoleone III, anche lui ampiamente coinvolto in tali sommovimenti.

Dunque religiosi massoni, legati alla figura e alle gesta del Paoli, che strizzavano l’occhio alla protestante Inghilterra, necessariamente, visti i risvolti risorgimentali italiani che ho potuto rinvenire[2] in un completo legame di continuità con l’epopea e le gesta napoleoniche.

Certo, Napoleone era un mangiapreti, almeno ufficialmente. Ma all’atto pratico la realtà, i compromessi, le vicende politiche, personali e familiari non coincidevano affatto con tale descrizione storiografica.

Che ancora oggi nasconde la portata reale degli eventi.

Kubrick dunque, come il grande Córso, non dissumulava. Ma era inserito in un contesto politico e sociale lungo secoli. Dove tali cavalierati in Italia come in Francia e nel resto dell’Europa avevano portato avanti una politica sotterranea[3] fatta di intrecci internazionali, di bisogni politici di comunione e fatturazione che il vecchio mondo, sino alla Rivoluzione Francese, spartiacque dei tempi, non aveva infranto. Da qui la necessità dell’Uomo Nuovo, Napoleone appunto. Da qui anche una commistione tra sacro e profano che non poteva prescindere da tali esigenze. E il XIX e il XX secolo, che Kubrick magistralmente racconta, hanno potuto dissimulare? Solo in parte, tant’è che i conflitti hanno dovuto prendere una piega diversa, sul piano strategico oltre che tattico. Al punto che il potere è divenuto sempre più specchio del denaro. Dovendo costruire nuovi equilibri in un equilibrio davvero sempre più precario. L’introspezione personale di Kubrick tradisce questa mancanza di equilibrio dei nostri tempi.


Note

1 Archivio di Stato di Lucca, Legato Cerù, riferimento 18.

2 www.storico.org, Elena Pierotti.

3 Ibidem.

(ottobre 2024)

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