La Francia dalla Rivoluzione all’Impero
Tra la fine del Settecento e l’inizio
dell’Ottocento la Francia fu percorsa da fremiti che
avrebbero distrutto l’Antico Regime e l’avrebbero posta in
un ruolo da protagonista nel contesto socio-culturale e
politico europeo, innescando una catena di eventi che
avrebbero modificato in modo profondo ed irreversibile il
panorama del vecchio continente
La catena di eventi che tra la fine del Settecento e il primo quindicennio del secolo successivo daranno l’avvio ad una profonda trasformazione di un assetto europeo che sembrava ormai consolidato, prende le mosse sulla sponda opposta dell’Oceano: sono le colonie inglesi nell’America del Nord che per prime si scuotono di dosso il giogo della madrepatria. Dopo una lunga e sanguinosa guerra ottengono l’indipendenza, e nel 1783 nasce una nuova, grande nazione, che in futuro sarà destinata ad avere il ruolo preponderante sull’assetto del mondo: gli Stati Uniti d’America!
Ai coloni americani si affiancano truppe francesi: il marchese di La Fayette organizza a proprie spese un piccolo corpo di spedizione per dare aiuto agli insorti, poi sarà lo stesso George Washington ad affidargli il comando d’una divisione, con la quale La Fayette diventerà famoso per alcune importanti operazioni militari. Nel 1780 può condurre in America un vero corpo di spedizione, datogli dal Governo Francese, e in seguito partecipa alle trattative che portano al riconoscimento dell’indipendenza americana.
È proprio in Francia che viene accolto il grido di libertà che s’è alzato al di là dell’Atlantico. Sul trono siede Luigi XVI, e non è un Sovrano famoso per la sua intelligenza, tutt’altro: ha una Corte che fa vita dispendiosa e la stessa Regina, Maria Antonietta, è conosciuta per come riesce a dilapidare con indifferenza immense somme di denaro; per contro il popolo è tassato oltre misura perché le casse dello stato sono vuote, un cattivo raccolto ha prodotto carestia, disoccupazione, miseria e disordini; infine, notabili e parlamenti si oppongono a qualsiasi riforma delle finanze reali che possa colpire i loro privilegi. La situazione è ormai matura per un mutamento definitivo.
Luigi XVI convoca per il 1° maggio 1789 gli Stati Generali dei rappresentanti delle tre classi sociali in cui si divide la popolazione francese: il clero (120.000 membri), la nobiltà (350.000) e il terzo stato, i borghesi (che già cominciano a distinguersi da un quarto stato, gli artigiani e i rurali). Gli scrittori francesi hanno già propagandato le nuove idee di libertà, il terzo stato le raccoglie, denuncia i privilegi e il dispotismo, fa convergere la collera popolare, l’appello ai diritti naturali e la rivendicazione dell’eguaglianza; il 17 giugno si proclama Assemblea Nazionale e il 9 luglio Assemblea Costituente. Le cause prossime di una grande rivoluzione si fondono con quelle remote: la crisi del potere assoluto e della sua rappresentanza, il crescente divario tra i principi e l’evoluzione della società, i mutamenti culturali del secolo, la pedagogia dei Lumi. Il 14 dello stesso mese la folla parigina, incitata da Camillo Desmoulins, conquista la Bastiglia, dando inizio alla Rivoluzione.
L’estate del 1789 coniuga gli effetti di un’insurrezione parigina, una rivolta agraria e soprattutto una rivoluzione politica che spezza l’antico ordinamento sociale: la sovranità viene incarnata dalla nazione e non più dal Monarca di diritto divino, il suddito diventa cittadino, vengono consacrate la libertà e l’eguaglianza ed aboliti i privilegi. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino enuncia i principi di un nuovo diritto, sanzionato dalla Costituzione del 1791; nel frattempo, i deputati mettono i beni ecclesiastici a disposizione della nazione e votano la Costituzione civile del clero. Dal 21 novembre 1792 al 26 ottobre 1795 domina la Convenzione, che propone l’obbligatorietà dell’istruzione elementare, introduce il sistema metrico decimale e adotta il principio del servizio militare obbligatorio.
La Rivoluzione non rimane però solo un testo e un progetto: è anche un obiettivo del potere designato dall’ideologia egualitaria. Gli eventi precipitano, un’ondata di terrore passa sulla Francia e la sconvolge. Due sono i simboli adottati dai rivoluzionari: la coccarda tricolore (rosso, bianco e blu) per chi accetta la Rivoluzione e la ghigliottina – la nuova macchina di morte che recide la testa d’un colpo – per chi la rifiuta. Sono migliaia le persone che finiscono sulla ghigliottina; tentata invano la fuga e ricondotto prigioniero a Parigi, Luigi XVI viene decapitato il 21 gennaio 1793; stessa sorte tocca alla Regina. Ma la Rivoluzione sospetta di tutto e di tutti, vede intrighi ad ogni angolo, inventa i propri nemici, rilancia periodicamente la minaccia dell’insurrezione popolare: attorno agli stessi simboli (la sovranità nazionale, la volontà popolare, l’idra della controrivoluzione) i rivoluzionari, ad uno ad uno, dai foglianti ai girondini, dai seguaci di Danton agli hebertisti, finiscono anch’essi ghigliottinati; all’interno del paese domina il Terrore (1793-1794), poi il Gran Terrore con Robespierre, anch’egli destinato alla ghigliottina il 28 luglio 1794, con Saint-Just, Couthon ed altri 19 seguaci. In totale, sono state calcolate tra 500.000 e 600.000 le vittime della Rivoluzione.
I Paesi Europei non hanno assistito immobili al regicidio di Luigi XVI; molti Sovrani temono di subire la stessa sorte e mobilitano i loro eserciti per schiacciare la Rivoluzione e ristabilire il vecchio ordine. Sono la Prussia, la Spagna, l’Olanda (che si ritireranno dalla guerra nel 1795) e poi l’Austria, l’Inghilterra, la Russia e tutti gli Stati Italiani. Tra la vittoria di Valmy (1792) che impedisce l’invasione della Francia e quella di Fleurus (1794) che dischiude le porte alla conquista dell’Europa, una lunga serie di rovesci militari obbliga la giovane Repubblica Francese – dilaniata al suo interno dal lassismo, da una guerra civile endemica, dalla crisi dell’autorità accompagnata dallo scarso credito del regime – ad uno sforzo bellico senza precedenti. È in questa situazione che comincia a distinguersi nell’esercito francese un giovane Generale, un uomo semi-sconosciuto ma destinato a riempire delle sue gesta il mondo: si chiama Napoleone Bonaparte, ha 27 anni ed è nato in Corsica, ad Ajaccio, dagli Italiani Carlo e Letizia Ramorino (lui stesso è francese solo perché pochi mesi prima la Repubblica di Genova ha ceduto la Corsica alla Francia).
Napoleone ha la prima occasione per mettersi in mostra all’assedio di Tolone del 1793; è cosa di poco conto, che gli vale comunque la nomina a Generale. Quando, due anni più tardi, i fedeli di Luigi XVI inscenano una rivolta a Parigi e sembra che abbiano la meglio, un uomo politico si ricorda del giovane che ha vinto a Tolone e lo manda a chiamare: questi manovra così bene l’artiglieria che vince in breve tempo. Il Governo riconosce le sue geniali doti di condottiero e gli affida l’armata d’Italia per passare alla controffensiva e battere Piemontesi ed Austriaci sul loro stesso territorio. È il colpo di fortuna di Napoleone, l’inizio della sua gloria.
Quando varca le Alpi, il suo esercito non è equipaggiato e manca di disciplina, ma subisce il fascino del Generale e si trasforma: Piemontesi e Austriaci, sebbene maggiori di numero, sono battuti, e il Re Vittorio Amedeo III è costretto a chiedere la pace. Ma Napoleone non si ferma: invade la Lombardia, aggira gli eserciti avversari, marcia su Milano, poi su Bologna, su Ferrara e su Ravenna. Tutta l’Italia Settentrionale viene occupata e si organizza in Repubblica, col nome di «Repubblica Cisalpina»: uno stato che ha un proprio esercito e adotta per bandiera il tricolore verde, bianco e rosso, che diventerà più tardi la bandiera dell’Italia unita. È il 1797.
Nello stesso anno Napoleone penetra nella Repubblica Veneta, che con la pace di Campoformio del 17 ottobre perde la sua millenaria indipendenza e passa sotto l’Austria (che abbandona la Lombardia), si spinge a Roma, dove fa prigioniero il Papa Pio VI, mentre da Napoli il Re Ferdinando IV fugge in Sicilia.
Il 1798 è l’anno della Campagna d’Egitto: 40.000 uomini partono da Tolone e sbarcano il 1° luglio ad Abukir; il 21 luglio vincono alle Piramidi, ma il 2 agosto l’Ammiraglio Inglese Nelson cola a picco la flotta francese.
Tornato in Francia, nel 1799 Napoleone con un colpo di stato diviene Primo Console: pur instaurando nel Paese un regime del tutto nuovo per l’Europa dell’epoca – il dispotismo illuminato di un Generale circondato dall’aureola della gloria militare –, ottiene il consenso della maggioranza della popolazione, stanca delle metamorfosi continue della Repubblica ma altrettanto poco disposta ad accettare una restaurazione della Monarchia. Ad un esame della situazione interna francese, il Consolato e il successivo Impero appaiono in effetti come un’epoca di stabilità: le costituzioni che via via si succedono finiscono per lasciare spazio ad un unico personaggio, mentre il compito di proseguire l’apprendistato della democrazia viene rimandato alle generazioni successive. L’Austria tenta di approfittare dello scontento creato in Italia dalle violenze francesi, dalle ruberie dei soldati e dalle tasse, ma Napoleone ridiscende nella Penisola e il 14 giugno 1800 ottiene la vittoria di Marengo.
Nonostante l’opposizione dell’Inghilterra, dell’Austria, della Prussia, della Russia e dell’Olanda, Napoleone si impadronisce totalmente della Francia: dapprima si fa eleggere Console a vita e poi, il 2 dicembre 1804, si auto-incorona Imperatore dei Francesi alla presenza di Pio VII (il primo Imperatore dai tempi di Carlo Magno). Si propone in primo luogo di perpetuare la stabilità recuperata: il Codice civile, la garanzia dei beni nazionali, il Concordato, la Legion d’Onore, i titoli nobiliari soddisfano le aspirazioni più profonde – la riconferma della proprietà privata, il ripristino di valori quali l’autorità, la religione, la famiglia, la gerarchia, le distinzioni di cui sono avide le classi borghesi. Alla Francia degli stati e dei privilegi succede la Francia dei notabili, dei proprietari e dei padri di famiglia. In seguito si potrà dedicare ad un formidabile lavoro di ricostruzione della pubblica amministrazione, che si compirà verso il 1808 e prefigurerà l’effettiva unificazione della Francia in un moderno stato nazionale.
Ma l’azione costruttiva dell’uomo di stato trova il suo limite nell’ambizione sfrenata del condottiero: se si esclude la tregua che segue la pace di Amiens (1802), la stabilità interna della Francia non si accompagna all’equilibrio militare e diplomatico del continente europeo. Esattamente un anno dopo la sua incoronazione, Napoleone consegue la sua più brillante vittoria, ad Austerlitz: tutta l’Europa è ai suoi piedi, ed egli può dettare le condizioni di pace che vuole. Immagina una costruzione politica europea che sappia contemporaneamente allargare le frontiere della Francia, organizzare gli stati in una gerarchia piramidale di vassalli, soddisfare le ambizioni private della famiglia Bonaparte, unificare il continente in un mercato ostile al commercio inglese e sensibile agli interessi francesi. Per questo, pone sui troni membri della sua famiglia: affida il Regno di Napoli al fratello Giuseppe Bonaparte, l’Olanda al fratello Luigi, il Granducato di Toscana alla sorella Elisa e il Principato di Guastalla alla sorella Paolina; divenuto Giuseppe Re di Spagna, il Regno di Napoli passerà al cognato Gioacchino Murat.
La serie di successi di Napoleone s’interrompe nel 1812. La Campagna di Russia è un fallimento: nonostante l’occupazione di Mosca, il 19 ottobre la cavalleria francese è costretta ad una ritirata disastrosa per le sterminate pianure russe. Di 400.000 soldati che partono, ne tornano in patria soltanto 25.000. L’anno successivo, il Generale è sconfitto a Lipsia. Il 6 aprile 1814 abdica e si ritira in prigionia all’Isola d’Elba, sorvegliato dalla flotta inglese.
Meno di un anno dopo, il 1° marzo, riesce a fuggire: le truppe francesi inviate a combatterlo passano dalla sua parte e il popolo lo accoglie acclamandolo. Sembra che la fortuna lo assista, ma è un fuoco di paglia, destinato a durare poco più di un centinaio di giorni: nella battaglia di Waterloo del 18 giugno, Inglesi e Prussiani gli infliggono la sconfitta decisiva. Ormai ha sprecato sia il suo destino personale, sia una serie di conquiste rivoluzionarie che sarebbe stato forse possibile conservare a prezzo di qualche compromesso. Relegato a Sant’Elena, un’isoletta in mezzo all’Oceano Atlantico, il 5 maggio 1821 muore, probabilmente per un (involontario) avvelenamento. Alessandro Manzoni gli dedica un commovente epitaffio, l’ode Il 5 maggio.
L’Europa esce dall’«avventura» napoleonica profondamente ostile verso una Francia sentita ormai, oltre che come il Paese da cui si sono diffusi gli ideali dell’Illuminismo, anche come potenza dominatrice e sfruttatrice, da tener sotto stretto controllo affinché non possa più nuocere. I Sovrani Europei pensano che, comunque, l’Impero di Napoleone sia stato nulla più che una breve parentesi, da cancellare senza sforzo, ma s’ingannano: questi pochi anni saranno decisivi per la storia futura dell’intero continente.