Il Culto di San Napoleone
Come Napoleone Bonaparte legò le sue gesta
alla Chiesa Romana
Ho intrapreso da alcuni anni studi approfonditi su un religioso vissuto dal 1795 al 1873, prima Padre Gesuita e poi Padre Francescano, d’impronta bonapartista, legato a doppio filo al Partito Bonapartista Córso, durante il Risorgimento si fece promotore sia dei valori rosminiani che del più generale percorso unitario della nostra Penisola. Grazie a Padre Gioacchino Prosperi, questo il suo nome, le cui vicende sono rintracciabili sul sito www.storico.org e più in generale in rete, ho potuto studiare in modo dettagliato i legami del mondo cattolico con quello bonapartista. L’operato di Prosperi si colloca prioritariamente dopo la caduta di Napoleone I, tuttavia le sue vicende ed i suoi scritti ci permettono di scoprire tratti inediti delle stesse questioni bonapartiste. Nella sua pubblicazione La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola egli fa riferimento alle Memorie del Cardinale Bartolomeo Pacca, il nemico giurato di Napoleone Bonaparte, che finì a Fenestrelle durante la dominazione napoleonica per poi riprendere a pieno titolo durante la Restaurazione il suo decisivo posto nella Curia Romana. Pacca era Beneventano ma figlio di una Malaspina di Lunigiana. I Bonaparte prima di trasferirsi in Corsica vantavano rapporti di parentela anche con i Malaspina della Lunigiana. Bartolomeo Pacca è sepolto in Santa Maria in Compitelli, in Roma, chiesa di pertinenza dei Chierici Regolari Lucchesi, cui lo stesso Prosperi, seppur non appartenendo a quella Congregazione, era legato per vincoli parentali, lui che era Lucchese. Prosperi con la citazione mette in comunione le vicende di Bartolomeo Pacca a quelle di un prelato córso, Monsignor Sebastiano Pino di Bastia, vicario dell’Arcivescovo Casanelli d’Istria fino al 1843, anno del decesso del Pino, che aveva anch’egli conosciuto la prigionia a Fenestrelle ed era stato vicino in quegli anni al Cardinale Bartolomeo Pacca. Pino fu perseguitato dal regime napoleonico durante il Primo Impero, ma Prosperi nell’Orazione funebre che gli dedica in quel 1843 in Corsica non fa alcun cenno a tali persecuzioni perché in quel preciso momento il Pino è palesemente vicino agli ambienti bonapartisti isolani. La citazione delle Memorie del Cardinale Pacca diventa dunque per Prosperi non solo un escamotage per non definire le situazioni della Chiesa Córsa durante la dominazione napoleonica, ma anche uno strumento potente per definire quanto il Grande Córso sia stato assistito, così sostiene lo stesso Prosperi, nell’ultima sua ora dai Padri Muratori, «testimoni degli ultimi gemiti dell’Aquila Imperiale». Dunque è a tali Padri Muratori (Prosperi ricordo che in quel preciso momento è un religioso presumibilmente già entrato, dopo l’uscita dall’Ordine Gesuita, nell’Ordine Francescano) che il grande Córso affida i suoi ultimi momenti ed il suo testamento politico.
Siamo certi che Bartolomeo Pacca, ufficialmente il nemico giurato di Napoleone, lo sia stato fino in fondo? Dovremmo per esempio porci alcune domande su come i Pacca, congiunti del Cardinale, nel Ducato di Benevento durante la dominazione napoleonica fossero riusciti, con la loro influenza, a ritardare la fine del millenario Ducato proprio grazie a Napoleone. Fino all’avvento di Murat sul trono di Napoli, e cioè fino al 1808, Benevento rimase indipendente. Dunque il Sovrano Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, che regnò dal 1806 al 1808 su Napoli, prima di passare in Spagna, conservò di fatto l’indipendenza del Ducato. I pregressi rapporti con la Lunigiana dei Bonaparte, Lunigiana da cui proveniva la madre di Bartolomeo Pacca, che era una Malaspina, avevano qualcosa a che fare con questi «favori» bonapartisti ai Pacca e a Benevento? Soprattutto perché gli ambienti bonapartisti del 1830, 1840 in Corsica, come si evince dalla pubblicazione di Padre Prosperi, si avvicinano a frange della Chiesa Romana che durante il Primo Impero, almeno in via ufficiale, erano state avverse a Napoleone, al punto che Prosperi arriva a sottoscrivere il ricordo e la presenza del Pacca nelle questioni di Monsignor Pino, citando le celebri Memorie del Cardinale Romano?
Un articolo che possiamo rinvenire su «Studi Napoleonici», in rete, e pubblicato in data data 17 dicembre 2015, ben si ricollega agli studi che ho intrapreso e pubblicato sul sito www.storico.org. L’articolo del dottor Malvezzi è il seguente: «Napoleone Imperatore e... Santo». Egli sostiene che «lo scopo prioritario di Napoleone nella sua riedificazione della Francia sulla base di una struttura amministrativa più solida, più forte e maggiormente accentratrice, prevedesse anche un rafforzamento nei confronti della Chiesa Cattolica già a partire dal Consolato. Si accentuò ancor più questa tendenza negli anni successivi, sino all’investitura a Imperatore di Napoleone in Notre Dame, in presenza del Papa, il 2 dicembre 1804, episodio con evidente uso calcolato e strumentale della religione da parte del potere napoleonico. Su Pio VII» scrive sempre Malvezzi «negli anni che precedettero l’incoronazione, in Francia la vulgata tendeva a spacciare una piena sintonia tra l’azione della Santa Sede e il potere napoleonico. I rapporti tra Pio VII e Napoleone furono insolitamente abbastanza cordiali, ma quella presunta comunanza d’intenti, più che effettiva era millantata, allo scopo di costruire quel “culto della personalità” che fu impugnato da Napoleone. Col concordato tra Napoleone e la Chiesa non ci fu infatti alcuna concessione circa la restituzione dei beni espropriati dopo il 1789». Anzi, aggiungo, nella Lucca di Padre Prosperi gli espropri della sorella di Napoleone, la Sovrana Elisa Baciocchi continuarono e l’ultimo Ordine a cadere nella rete fu proprio quello dei Chierici Regolari cittadino che fu ceduto nel 1810.
Il Cattolicesimo non venne mai riconosciuto come religione di stato ma definito semplicemente come religione della maggioranza dei Francesi. Gli attriti con la Chiesa Romana non si contarono: celebre l’annullamento d’autorità di Napoleone delle nozze di suo fratello Girolamo con la Statunitense Cattolica Elisabeth Patterson, annullamento cui Pio VII si oppose; l’occupazione di Roma il 1° febbraio del 1808; l’annessione all’Impero dei territori dello Stato Pontificio; la prigionia del Papa a Savona. Eppure l’accentramento amministrativo, pur di costruire il mito di Napoleone, non mancò di ricorrere alle forme della tradizione e della liturgia cattolica. Quest’ultimo argomento è poco studiato – ricorda opportunamente il dottor Malvezzi – ma è indubitabile che sia di grandissimo valore, in quanto sancì un momento di svolta nella storia napoleonica perché inaugurò un vero e proprio processo di socializzazione del potere. Il momento più emblematico di questo processo è dato dal culto di San Napoleone. Scrive il dottor Malvezzi che la nascita di questo insolito culto, segnalato nell’«Almanach National» dell’anno XI (1802-1803) è interessante e meriterebbe un’indagine approfondita. L’allora Arcivescovo di Milano, il Cardinale Giovanni Battista Caprara Montecuccoli, che all’epoca era tra gli ecclesiastici più influenti in Italia, si adoperò per trovare un Santo che potesse supplire alla mancanza di un «San Napoleone»: l’Imperatore non aveva un suo onomastico. Nel 1805 il Cardinale Caprara trovò una soluzione in quanto tra i Santi Martiri di Alessandria ve ne era uno del tutto sconosciuto, un ufficiale romano di nome Neopolus. Il nome latino fu storpiato in Napoleo. Così Neopolus divenne San Napoleone. La memoria dell’ignoto Santo fu poi spostata dal 2 maggio, giorno del martirio, al 15 agosto, giorno di nascita di Napoleone, che divenne festa nazionale. Il dottor Malvezzi ricorda che nel Dipartimento di Genova, in quello degli Appennini (Chiavari) e in quello di Montenotte (Savona) in nome del Santo venivano addirittura realizzate funzioni solenni; e a Marengo, sede della famosa battaglia, esisteva una chiesa dedicata proprio a San Napoleone. Il suo culto verrà abolito nel 1814, all’indomani della caduta dell’Imperatore.
A questo punto farei un balzo temporale in avanti, fino al 1844. In La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, edito quell’anno presso la Tipografia Fabiani di Bastia, Padre Prosperi presenta di fatto un Napoleone inedito, attraverso gli occhi di quegli isolani, bonapartisti come lui, spesso reduci dalle gesta napoleoniche, che affiancarono in quegli anni Quaranta Monsignor Pino e il suo Arcivescovo, Monsignor Casanelli d’Istria, nel difendere l’operato dei Napoleonidi degli anni Quaranta del XIX secolo. Ciò in quanto Prosperi, in una sua pubblicazione successiva, per difendersi dalle accuse che lo volevano un prete rivoluzionario, rispose che la Chiesa Córsa e quella Toscana da cui egli proveniva erano a conoscenza della natura delle sue predicazioni nell’Isola Bella di quegli anni, che di fatto, bene lo possiamo intuire dalle lettere da cui è composta l’opera in oggetto, resoconto di tali fatiche missionarie, non ha nulla di religioso. C’è un documento, presente nell’Archivio di Stato Lucchese, documento del 1846, che sottolinea come Prosperi fosse legato agli ambienti bonapartisti ed avesse dichiarato egli stesso che «i Córsi non sognano e dimenticano che il Regale Ciuffo fu intimo amico del Paoli e che i Padri Muratori furono i testimoni degli ultimi gemiti dell’Aquila Imperiale». Anche il grande Córso nelle sue memorie si dichiarò da sempre Cattolico per educazione ricevuta e per intenti politici. Monsignor Sebastiano Pino, Vicario di Corsica, ed il Cardinale Bartolomeo Pacca, le cui Memorie sono opportunamente citate nell’opera da Padre Prosperi, si votarono in quegli anni Quaranta del XIX secolo con gli ambienti bonapartisti isolani e non alla loro causa, o lo erano da molto tempo, forse dalla stessa epoca bonapartista del Primo Impero? Qualche afflato col Cardinale Fresh, fratello di Letizia Ramolino, madre dell’Imperatore Córso? Ci sono pochi studi in proposito, concordo, e quelli che ci sono non sempre approfondiscono nel dettaglio queste singolari questioni. Mi limito a rilevare un particolare. La figlia di Vittorio Emanuele I di Savoia sposerà in quegli anni Carlo Ludovico di Borbone, divenendo Sovrana di Lucca, la Lucca di Padre Prosperi. Vittorio Emanuele I di Savoia, che in quegli anni, dopo l’abdicazione di suo fratello Carlo Emanuele IV, era il Sovrano Sabaudo spodestato dal regime napoleonico ed in esilio in Sardegna, fu un giacobita. Di più, egli fu l’erede diretto dei Giacobiti, anche se non accettò mai la carica. Il suo fratello Carlo Emanuele IV, esiliatosi dopo l’abdicazione in Sant’Andrea al Quirinale in Roma come Gesuita e qui in diretto contatto e sintonia proprio con Padre Prosperi, ivi studiò per prendere i voti fino al 1815. Chi erano i Giacobiti? Senza dubbio dovettero avere uno stretto legame con la massoneria scozzese, per alcuni con quella di York. Ad ogni modo Vittorio Emanuele I di Savoia era l’erede ufficiale dei Giacobiti, ma non accettò mai l’incarico in via ufficiale. La mano del Sovrano è dentro il panciotto in un celebre dipinto che lo ritrae, così come quella dell’Imperatore Francese Napoleone I, e siamo nello stesso periodo. Chi erano questi Sovrani d’Antico Regime, a cui anche Napoleone a suo modo si richiamò, nel momento stesso in cui volle farsi garante della tradizione religiosa e culturale del passato, che non volle rompere i ponti con i valori espressi dall’illuminismo? Ma soprattutto quanto l’illuminismo influenzò la Chiesa nelle sue scelte nel corso del XVIII secolo? Pensiamo a Papa Lambertini, un personaggio non troppo studiato ma molto innovativo, per alcuni addirittura il Papa Roncalli del XVIII secolo. La Massoneria ebbe un ruolo decisivo negli ambienti bonapartisti: è risaputo che non solo Napoleone ma tutti i suoi fratelli aderirono alla Massoneria. I Giacobiti furono anch’essi dei Massoni che si richiamarono alla tradizione cattolica degli Stuart. San Napoleone non fu un culto così disprezzato, io credo da chi, come Padre Prosperi in epoca immediatamente successiva, sentì, seppur cattolico, forte il richiamo verso un universalismo di cui anche la Chiesa tese a riappropriarsi, in quel periodo, e l’avvicinamento tra mondo cattolico e mondo protestante, soprattutto anglicano, fu comunque allora una realtà. Ciò spiegherebbe i successivi legami tra il mondo whig inglese e i bonapartisti superstiti del Primo Impero.